We found love in a hopeless place
Non seppe cosa fu a svegliarla. Forse fu il freddo. O forse il caldo ma si passò una mano tra i capelli, sedendosi e lasciando che le coperte potessero scivolarle lungo al busto nudo, scoprendola. Si inginocchiò davanti alla finestra, attenta a non svegliare Percy addormentato accanto a lei, posando una mano sul vetro freddo ed osservando la luna che illuminava il paesaggo sottostante. Era bellissima e la luce si rifletteva sulla neve che sembrava aumentasse giorno dopo giorno.
Era tutto silenzioso, il paesaggio fuori, la sua stanza, la casa e quasi le sembrava assurdo aver pensato che qualcuno avesse potuto osservarla, la sera prima.
Era circondata da una pace meravigliosa e da persone splendide, cosa mai sarebbe potuto andar storto?
Poi si spostò da davanti alla finestra, abbastanza perché la luce tenue della luna potesse illuminare la schiena nuda di Percy, scoperta dal duvet che lei stessa aveva tirato quando si era rialzata. Ed era bellissimo. La pelle era candida sotto alla luce della luna, quasi fosse stata neve stessa. Il volto era girato verso di lei, le labbra socchiuse ed i capelli scompigliati un po' più del solito, sia per come stava dormendo sia per quanto li aveva tirati lei stessa qualche ora prima o qualche minuto prima, non riusciva a dirlo con esattezza. Era bellissimo però e si disse, mentre incrociava le gambe, portandosi il duvet sulle ginocchia per ripararsi dal freddo almeno un po', che non si sarebbe mai stancata di osservarlo per ore, beandosi dei tratti fanciulleschi, delle labbra rosee, della pelle chiara che tanto si confondeva con la propria.
C'era solo una cosa che stonava ed era la sua cicatrice sulla base della schiena. Non si era mai ritrovata ad osservala così bene, con la stessa attenzione che le stava dedicando in quel momento e, no, non aveva idea del perchè.
L'aveva sfiorata più volte quando facevano l'amore o quando lui le avvolgeva un braccio attorno alle spalle, attirandola a sé e lei sistemava il proprio attorno alla sua vita. Aveva sentito la pelle aggrinzita in rilievo e lui si era sempre irrigidito un po', impercettibilmente, abbastanza da spingerla a non fargli domande, ad aspettare che fosse lui a parlare.
Era una brutta cicatrice. Biancastra, lunga orizzontalmente una decina di centimetri ed era dritta, come se fosse stata una lama, brutalmente infilata nella pelle, a procurargliela.
Rabbrividì, fermandosi quando si accorse fosse inginocchiata verso di lui, le dita a pochi millimetri dalla pelle rovinata, quasi avesse paura a sfiorarla, quasi avesse paura fosse sbagliato. Ma la sfiorò comunque, la fronte lievemente corrugata e le dita leggere, a percorrerla per intero.
Percy sorrise davanti alla confezione a righe blu e bianche di caramelle che la mamma gli aveva portato dal suo negozio. Lo faceva sempre. Lo faceva ogni giorno quando tornava a casa, riempiendo il sacchetto di carta di caramelle blu.
Percy le nascondeva sotto al letto e poi le mangiava tutte quando la casa si addormentava, quando sembrava che anche New York lo facesse anche se, e lo sapeva bene, New York non dormiva mai, un po' come lui.
"Mamma" mormorò, tentanto di portare quel fardello sulle sue spalle troppo piccole di quattordicenne. "Mamma noi possiamo andarcene" continuò, stringendo il pugno sinistro con forza ed accarezzando delicatamente, con la mano destra, il livido violaceo sotto l'occhio della mamma. "Scappiamo quando dorme. Le chiavi della macchina tanto, le tiene sempre nello stesso punto. Perché devi.. " si bagnò le labbra con la lingua, contenendo a stento la rabbia che gli faceva battere il cuore così forte contro la cassa toracica che quasi gli sembrava potesse esplodere. "Perché devi continuare a stare con lui se ti picchia?" ringhiò, sollevandosi di scatto dal letto.
Ma fu la donna a trattenerlo, stringendogli la mano tra le sue. "Il mio bambino.. " mormorò con un sorriso, senza guardarlo negli occhi però, quasi a ricordarsi che Pecy fosse il suo bambino, a sperare che fosse ancora innocente e piccolo. "Dove vivremo? Non abbiamo tutti quei soldi. Li abbiamo per un po' di benzina ma poi dove staremo?"
Percy si sedette accanto a lei ancora una volta, lasciando la mano tra quelle delle madre, passandosi quella libera tra i capelli, nervosamente. "Non posso continuare a vederti così, mamma". Ringhiò. "Non posso più continuare a far finta che non ti stia succedendo nulla, nascondendomi sotto l'aqua delle vasca da bagno. Lui ti picchia " esclamò, "e non riesco più a starmene qui con le mani in mano, sperando che le cose migliorino o che non stia succedendo davvero!" Si alzò di scatto, strappando la mano da quelle della mamma, ignorando il pesante velo di tristezza che le oscurò le iridi castane. "Dobbiamo andarcene qui o prima o poi finirà per ammazzarti!" barcollò difronte alla sue stesse parole, indietreggiando fino a che i fianchi non incontrarono la scrivania, facendolo voltare di scatto per la sorpresa. Gabe sarebbe arrivato a tanto? L'avrebbe davvero uccisa?
Avrebbe potuto farlo?
Sentì la porta aprirsi e poi richiudersi con un tonfo e la rabbia gli montò in petto con una forza indicibile, con una forza che non aveva mai provato prima. Il cervello gli andò in panne e strinse i pugni.
"Donna! Dove cazzo sono le mie birre?" esclamò Gabe aspro e Percy chiuse gli occhi, serrando le labbra ed i pugni così forte che sbiancarono.
Picchiava la mamma per il semplice gusto di farlo. L'aveva sempre fatto e l'avrebbe sempre fatto. Non si sarebbe fermato fino a che non l'avrebbe uccisa.
Era la sua mamma. Era tutto quello che aveva.
Perché continuava a stare con lui? Perché con Gabe avevano più soldi? Perché solo così si sarebbe potuta permettere una buona scuola per lui, forse? O dei vestiti decenti? O una casa in grazia di Dio?
"Lo ammazzo" decise, spalancando la porta della sua camera, ignorando le urla della mamma nel tentativo di trattenerlo.
Attraversò il corridoio a gandi falcate, ritrovandosi a studiare Gabe come un vero e proprio bersaglio per la prima volta da quando era piombato nelle loro vite con la stessa fatalità della peste bubbonica. Era grasso, un po' più alto di lui e sicuramente più grosso.
Ma non era lucido. Aveva chiesto una birra alla madre ma, sicuro al cento per cento dal modo in cui faticava a tenersi in piedi davanti alla porta principale, non sarebbe stata la prima della giornata.
Aveva imparato a canalizzare la forza, ad usare la sua corporatura a suo vantaggio e fu per quello che, quando lo colpì alla mascella con un pugno, Gabe barcollò, abbastanza da rischiare di cadere. Si tenne al tavolino alle sue spalle ma Percy lo colpì ancora con la mano sinistra, dritto sul naso.
"Stupido ragazzino" biascicò l'uomo, portandosi una mano al volto ed allungando quella libera verso di lui. Percy si spostò velocemente di lato, colpendogli il volto col pugno destro ancora una volta, caricando velocemente l'altro fino a che Gabe il puzzone non cadde a terra con un tonfo, senza smettere di tenersi il naso.
Scrollò la mano destra, ignorando il dolore alle nocche e solo quando la rabbia smise di annebbiargli la testa, sentì le urla della mamma.
"No! Percy! Oh mio Dio, Gabe!" urlò, precipitandosi accanto a lui. "Percy" mormorò, sollevando il volto verso il figlio, mesta, così triste che il cuore di Percy sembrò accartocciarsi su sé stesso, facendogli tremare le ginocchia. "Percy" disse, così piano che il ragazzino fece fatica a sentirla.
"Mamma " sussurrò, allungando una mano verso di lei. "Mamma, andiamo via. Ti prego." sbatté le palpebre nel tentativo di trattenere le lacrime che gli pungevano gli occhi. "Mamma" la pregò stringendo i pugni, ficcandosi le unghie nei palmi nel tentativo di canalizzare il dolore verso qualcos'altro. "Mamma.."
"Stupido ragazzino!" tuonò l'uomo, spingendo la donna per la spalla, facendola cadere a terra con un tonfo ed un gemito.
"Mamma!" esclamò Percy, assottigliando gli occhi per la rabbia che tornava a montargli nel petto.
"Vai via!" urlò lei. "Vattene via di qui! Vai via, Percy!" gridò, tentando di rimettersi in piedi il più velocemente possibile, stringendo la maglietta di Gabe tra le dita. "VAI!"
Le dita di Percy tremarono impercettibilmente e lui indietreggiò sotto al peso di quelle parole, sotto al peso di quello sguardo che non riusciva a sostenere.
Lo stava cacciando via? Stava preferendo Gabe a lui?
E fu in quell'istante che il cuore gli si ruppe in mille pezzi. Non lo stava mandando via.
Stava cercando di salvarlo, come aveva sempre tentato di fare da tutta la vita.
Ancora una volta, si stava sacrificando per lui ed incassò quella consapevolezza che aveva la portata di un pugno. Si trattenne dal portarsi una mano alla gola osservando la mamma, bellissima, distrutta, inginocchiata accanto ad uomo che non l'avrebbe mai meritata abbastanza.
Si voltò, osservando la maniglia con lo sguardo offuscato dalle lacrime. Non poteva andarsene così.
Cosa ne sarebbe stato della sua mamma? Come poteva lasciarla lì, tra le grinfie di quella feccia?
"NO!" l'urlo che uscì dalle labbra della madre fu talmente straziante da gelargli il sangue nelle vene. "VAI VIA, PERCY! SCAPPA!" ed il ragazzino non fece in tempo a fare nulla. Né a voltarsi né ad aprire la porta prima che un dolore lancinante, gelido, che lo colpì alla base della schiena, lo facesse crollare a terra.
Percy si alzò di scatto dal letto, puntellandosi sulle mani prima di inginocchiarsi, stringendosi lievemente i capelli.
I ricordi erano confusi dopo e, probabilmente, era stata quella stessa confusione a farlo svegliare. Si ricordava di Jake, però, che l'aveva portato dai ragazzi tenendolo tra le braccia, che era andato a prenderlo perché aveva voglia di offrirgli delle patatine al McDonald.
E gli sembrò di essere tornato lì, tra i palazzi grigiastri del Bronx, su un letto scomodo e con la schiena che gli faceva ancora male e poi si voltò e vide Annabeth.
Era bellissima ed era sveglia, inginocchiata accanto a lui, con i capelli biondi buttati sulle spalle che le scoprivano il seno e la coperta arrotolata contro alle ginocchia. La guardò per istanti che gli parvero interminabili e prima che potesse dire o fare qualcosa, lei gli sorrise, allungandosi verso di lui per potergli passare una mano tra i capelli scuri. Gli accarezzò il volto, esitando sulla sua guancia e Percy vi si poggiò contro, chiudendo gli occhi.
Si avvicinò a lui senza smettere di toccargli il volto, prendendo il duvet tra le dita della mano libera e tirandolo sui loro corpi nudi.
- Vieni qui – mormorò, avvicinando il volto al suo, sfregando il naso contro al suo. – Vieni qui – ripeté con la stessa dolcezza ma con un po' più di decisione, tirandolo giù con sé fino a che non furono entrambi coperti e sdraiati sullo stesso cuscino. Gli chiuse il volto tra le mani, passandogli poi una mano tra i capelli scuri, sorridendo ancora quando il ragazzo serrò delicatamente le palpebre davanti al suo tocco delicato. Poi gli baciò la punta del naso, la fronte, quelle stesse palpebre che aveva appena chiuso, accarezzandogli piano il volto, avvicinandosi a lui fino a che i corpi non furono in diretto contatto.
- È la Vigilia di Natale – disse, muovendo delicatamente le dita sulla guancia un po' ispida di barba, spingendolo ad aprire gli occhi verdi ed inchiodarli su di lei.
- Cosa? – domandò Percy scuotendo la testa, come se si fosse appena svegliato un trans.
Annabeth gli baciò la punta del naso ancora una volta, passandogli le dita tra i capelli. – è la vigilia di Natale, oggi. Io e Talia dobbiamo iniziare a preparare tutto per il pranzo di domani e credo che stanotte andremo a cena fuori. In qualche bel posto. A mangiare bistecca ed uno splendido dessert.
Percy sorrise, accarezzandole il collo, facendo poi scorrere la mano lungo al corpo, sfiorandole il seno ed il fianco nudo. – Ho voglia di una bistecca – confessò, facendo correre le dita lungo la curva del sedere, stringendoglielo poi con un po' più di forza, avvicinandola a sé.
Annabeth lo baciò sulle labbra, allontanandovisi l'istante dopo, baciandogli poi lo zigomo, il naso, gli occhi ancora una volta, facendolo ridere. – Solo di una bistecca? – domandò con più malizia di quanto avrebbe voluto, sollevando impercettibilmente le spalle quando se ne rese conto, tirandogli i capelli all'indietro ancora una volta, prendendo poi ad accarezzarli piano.
Fece scorrere una gamba oltre ai suoi fianchi, spingendolo ad appoggiare la schiena sul materasso per farla sedere sul bacino.
- Ciao – sorrise Percy, intrecciando le mani sulla sua schiena, osservandola dal basso.
Annabeth gli accarezzò il viso ancora una volta, baciandogli il mento prima di muovere delicatamente le dita dietro alle orecchie, beandosi di ogni dettaglio che la luce della luna riusciva a regalarle. – Ciao – rispose, trattenendo un fremito quando le mani di Percy presero a muoversi lentamente contro ai suoi fianchi, percorrendole la schiena, metà della spina dorsale prima di scendere nuovamente verso il sedere. – Cosa dicevamo? Hai voglia solo di una bistecca?
In tutta risposta, Percy passò ad accarezzarle il corpo con più ardore, percorrendole i fianchi per intero, arrivando vicino ai seni senza, però, sfiorarli mai. Li stuzzicava per secondi interminabili e poi tornava indietro osservando Annabeth sopra di sé con un sorriso malandrino. – Non lo so. Forse. E tu?
Annabeth sbuffò, muovendo lievemente i fianchi contro al suo corpo in un gesto incontrollato non appena Percy arrivò a sfiorarla molto più vicina al seno con le dita. – Sei fortunato ad essere così carino – borbottò, chiudendogli il mento tra le dita e baciandolo l'istante dopo, schiudendogli le labbra con la lingua quasi con prepotenza.
Percy le strinse i glutei più forte tra le mani ed Annabeth rispose con un gemito, sollevando i fianchi, affondando le mani tra i suoi capelli e spingendosi contro di lui ancora di più. Il ragazzo lasciò che le mani potessero correre lungo al suo corpo prima di raggiungere i seni, torturandoli sapientemente, strappandole l'ennesimo gemito contro la sua bocca.
Ed Annabeth gli baciò le labbra, la guancia, il mento, il collo, andando via dall'attenzione delle sue mani per potergli baciare il petto, lo stomaco, lentamente, prima di scendere su di lui, prendendolo tra le labbra.
Annabeth strinse il cuscino un po' più forte, soffocando l'orgasmo contro la fodera chiara, crollando sul materasso un attimo prima che Percy potesse seguirla, venendo dentro di lei. Chiuse gli occhi nel vano tentativo di recuperare fiato più velocemente, sorridendo quando il ragazzo cercò le sue mani, intrecciando le dita con le proprie, ancora sdraiato su di lei.
Non era la prima volta che lo facevano così, che lui la prendeva da dietro ma, chissà perché, era la prima volta che l'era piaciuta così tanto. Era stato così soddisfacente che quando il piacere l'aveva colta, esplodendole nel ventre e costringendola a trattenere un grido, ne era stata quasi dispiaciuta. Forse perché erano andati più lentamente. Perché il ragazzo aveva continuando a cercarle il seno, a chinarsi su di lei per baciarle la schiena mentre gli ansiti si perdevano nella stanza, all'unisono.
Ed, in quel momento, aveva davvero tanta voglia di baciarlo ma non se la sentiva davvero di chiedergli di spostarsi da sopra di lei, di smetterla di farle caldo col suo corpo, di uscire da lei.
Percy le scostò i capelli, baciandole il collo e la guancia, strappandole un sorriso e baciandogliene un angolo. – Ho sognato l'ultima volta che ho visto mia madre – confessò, ed Annabeth si fece più attenta sotto al suo corpo, desiderosa più che mai di voltarsi per poterlo guardare negli occhi. Mosse le spalle e Percy le lasciò le dita, uscendo da lei lentamente e puntellandosi sulle mani, per permetterle di girarsi, spostando i capelli biondi sul cuscino. Il ragazzo si calò nuovamente su di lei, tra le sue gambe, sistemandosi sui gomiti a pochi centimetri dal suo volto mentre Annabeth gli accarezzava delicatamente il torso con le dita.
- Mi hai corrotto col sesso nel tentativo di non parlarne? – domandò, passando alla schiena, accarezzandola per intero, infilando i piedi tra le gambe del ragazzo prima di distendere le proprie.
Percy rise, baciandole il naso. – Veramente sei tu che hai corrotto me. Vuoi solo la bistecca? – la smorfiò, ed Annabeth gli diede un colpo al fianco sorridendo prima di riprendere ad accarezzarlo. – Avevo compiuto da poco quattordici anni – disse, spostando lo sguardo di lato, sul collo della ragazza. – E fu la prima volta che decisi di fare veramente due più due con i lividi di mia madre e le sbronze del compagno. – Ed Annabeth irrigidì lo sguardo ma non le carezze sulla schiena dura di Percy, stando attenta a passare attorno alla cicatrice senza mai sfiorarla.
- Avevo provato a chiederle di andare via – continuò con la voce più dura, più sostenuta, stringendo i pugni accanto al volto di Annabeth. – Ma non mi ha dato retta. Era tutto "non abbiamo soldi" e "che faremo?" e "non possiamo". – fece, parlando sempre più veloce, la voce ridotta ad un sussurro arrabbiato che fece rabbrividire Annabeth d'orrore. – Io ho litigato col suo compagno e poi sono andato via. Non l'ho più rivista o sentita. – Confessò, bagnandosi le labbra secche con la lingua.
Annabeth gli accarezzò il volto, scostandogli i capelli all'indietro.
Era il suo guerriero. Ed era vulnerabile. Ed era bellissimo.
- Non hai pensato a cercarla in tutti questi anni? – domandò, osservandogli i tratti del volto il più possibile nonostante la luce tenue della luna.
Percy mosse lievemente il capo di lato, poggiandosi alla sua mano quando Annabeth gli accarezzò la guancia. – Si. Una volta ho anche trovato il suo numero ma non ho mai chiamato. Non ho idea del perché – mormorò abbassando lo sguardo, irrigidendosi così lievemente sotto alle sue carezze che, un tocco meno attento di quello di Annabeth non si sarebbe accorto di nulla. Fu per quello che non fece domande.
- Io credo che lei adorerebbe vederti ancora. È tua madre. E ti ama. – sorrise, accarezzandogli le spalle. – So che le famiglie fanno schifo. Sono disfunzionali, incasinate e la maggior parte delle volte, se ne hai la possibilità, è meglio lasciarsele alle spalle, ma – aggiunse, passandogli una mano tra i capelli, sistemandogliela poi sulla nuca. – Se c'è anche una minuscola speranza di potervi fare pace, non dovresti mai abbandonare la famiglia. Anche se quella minuscola speranza vuole essere l'opportunità per potergli definitivamente dire addio.
Percy calò il volto su di lei, baciandole il naso e strappandole un sorriso. – Un giorno.
- Quanto ti serve – aggiunse Annabeth, accarezzandogli il viso ancora una volta, sporgendosi verso di lui, cercandogli le labbra. Sorrise quando le trovò, schiudendole e lasciando che la sua lingua e quella di Percy potessero nuovamente entrare in contatto.
Era bellissimo. Ed era suo e quando aprì un po' di più le gambe, accogliendo la sua bocca un po' più profondamente, si disse che niente sarebbe mai potuto andare storto.
***
-Mi spieghi come diavolo fai a far fare quattro giri al tuo pancake?! – strillò Talia davanti all'ennesima espressione gongolante di Annabeth che aveva fatto volteggiare il pancake in aria quattro volte prima di recuperarlo in padella.
- È un talento naturale – si vantò, posando la padella sul fornello acceso, prima di voltarsi nuovamente verso l'amica.
Talia alzò il dito medio nella sua direzione, alzandosi dalla sua sedia ed andando verso la padella a grandi passi, afferrandola per il manico con decisione.
- Di questo passo, io non avrò mai i miei pancake – mormorò Luke mesto, portandosi la tazza di thé alle labbra con la stessa espressione con cui, chiunque altro, sarebbe andato ad un funerale.
Percy rise, aprendo la porta finestra quanto bastava perché il fumo della sigaretta che si era appena acceso non appestasse troppo la cucina. – E neanche il pranzo di Natale. Sono le sei del pomeriggio e fanno la gara del pancake da almeno mezz'ora. Vuoi? – chiese poi, tenendo la sigaretta per l'orlo del filtro, porgendola all'amico che spostò la sedia un po più vicina alla sua, afferrandola. Aspirò, soffiando la copiosa boccata di fumo fuori dalla finestra.
- Sarà il Natale peggiore della mia vita. Il peggior Natale della mia vita – constastò il biondo, la voce che prese una sfumatura troppo simile a quella del pianto, aspirando così intensamente dalla sigaretta che Percy, per un solo secondo, si chiese come avesse fatto a trattenere il fiato così a lungo. – Voglio morire. Perché non ho avuto una vita normale come tutti gli altri?
Talia imprecò, scuotendo la padella stretta nella mano destra. – Erano tre giri e mezzo!
Annabeth scoppiò a ridere, piegandosi in due e tenendosi lo stomaco tra le braccia. – Erano tre giri! Rassegnati! – la canzonò, agitandosi davanti a lei, dispettosa e Talia rifletté intensamente sulla possibilità di sbatterle la padella calda in testa.
- Vaffanculo. Chi vuole questo pancake? Lo voglio io – decise, ignorando la mano di Luke in procinto di alzarsi. Lo tolse dalla padella direttamente con le dita, portandoselo alle labbra prima che qualcuno potesse dire qualcosa.
Il sorriso del biondo si spense sulle sue labbra e Percy scoppiò a ridere, così forte da sovrastare il volume della televisione accesa. – La mia vita fa schifo. Io odio la mia vita – biascicò mentre il moro gli dava un paio di pacche sulla spalla senza riuscire a smettere di ridere.
Annabeth versò altro impasto nella padella non appena Talia la rimise sui fornelli, controllandolo per un istante prima di voltarsi verso i ragazzi, poggiando i fianchi contro al marmo della cucina. – è la cena della vigilia, stasera.
- Come se non l'avessi già ripetuto una decina di volte nell'ultimo minuto.
- Non riversare la tua amarezza per la sconfitta su di me – esclamò, puntando un dito contro Talia.
- Ma se ho perso per colpa tua!
Annabeth rise, guardando l'impasto del pancake ancora una volta da sopra la spalla prima di riportare l'attenzione su Luke e Percy. – Dove volete andare?
I ragazzi ci pensarono un secondo prima di rispondere. – Un posto carino. Dove non si spenda troppo – decise il moro, osservando Luke che annuì in assenso. – E voi, quando vi deciderete a cucinare? – domandò, facendo saettare il dito da Talia a Annabeth, l'una accanto all'altra difronte alla cucina.
- Noi? – esclamarono all'unisono prima che Annabeth si girasse, infilando la spatola sotto al pancake per girarlo, facendolo cuocere anche dall'altra parte.
- Ci deve essere un'equa divisione dei compiti, belli miei – bacchettò Talia, agitando un dito verso i ragazzi, seduti al capo del tavolo. – Noi facciamo il pollo e le verdure, voi dovete inventarvi un dolce decente e che non ci avvelini il secondo dopo che lo mangiamo. Gli accordi erano questi.
Luke e Percy si guardarono, scioccati. – Non avevamo patuito niente del genere. – disse il biondo, deciso, passando la sigaretta all'amico seduto accanto a lui che rincarò la dose con energici movimenti della testa.
- Annabeth, tu che ti ricordi? – domandò Talia, voltandosi verso la ragazza.
La bionda si girò, tenendo la padella stretta per il manico ed osservò per un secondo il pancake che vi sfrigolava all'interno prima di dare un colpo secco col polso, facendolo volare per aria. Lo riacchiappò al volo, voltandosi di scatto verso Talia. – Erano ancora quattro giri! – esclamò trionfante.
- Vaffanculo.
Annabeth scoppiò a ridere ancora una volta.
***
Luke e Percy non avevamo rivelato niente del locale nel quale avrebbero festeggiato la loro viligia. Per non parlare del "mistico dolce di Natale" che avevano fatto in gran segreto, spingendo le ragazze fuori dalla cucina e chiudendo la porta.
Avevano detto che sarebbe stato il caso di vestirsi eleganti ed Annabeth e Talia non avevano avuto niente da obbiettare quando, scendendo in salotto con dei vestiti ed i tacchi, i due ragazzi indossavano un paio di jeans semplici e dei golfi. Era stato tutto più chiaro quando, invece di varcare la soglia di chissà quale ristorante extra lusso, avevano varcato la soglia di un pub.
- Siete due stronzi – borbottò Talia, osservandosi le scarpe col tacco come se volesse vederle sparire.
Si guardò attorno, osservando le coppie, le famigliole che, sedute davanti ai tavoli di legno, indossavano jeans e scarpe da tennis ed osservò i suoi stivaletti col tacco ancora una volta prima di togliersi il giubbotto, sbattendolo contro al petto di Luke, che rise.
- Avevate detto eleganti. Pensavo saremmo stati in un ristorante – piagnucolò Annabeth, cercando un modo per potersi abbassare sulle scarpe alte.
Percy le passò un braccio attorno ai fianchi, avvicinandola a sé. – Guarda che state benissimo.
Talia sbuffò, tirandosi il vestito in maglia un po' più giu lungo le cosce. – Mi sento un pesce lanciato nello spazio. Neanche fuor d'acqua, proprio lanciato nell'universo, tra i pianeti e Sandra Bullock.
Luke scoppiò a ridere ancora una volta, intrecciando le dita alle sue prima di camminare verso un tavolo che faceva ad angolo con la parete in fondo del locale. – Vi piace quello?
- Abbiamo scelta? – rispose la mora, seguendolo tra i tavoli, guardandosi attorno.
Era un bel pub, comunque. Con le pareti in legno e le decorazioni tutte intorno. C'erano le lucine di Natale ad illuminare le pareti per non parlare del vischio sulla soglia della porta principale o dei camerieri che indossavano un berretto rosso e bianco.
- Avrei almeno messo delle scarpe basse – rise Annabeth seguendo Percy, scivolando poi accanto a lui sulla sedia non appena Luke e Talia si sistemarono sui divanetti verdognoli.
La ragazza afferrò un menù, aprendoselo davanti agli occhi elettrici. – Allora, chi ha voglia di un bel panino?
Ed i panini che mangiarono erano unticci, ricchi abbastanza di condimento al loro interno perché fosse particolarmente difficile mangiarlo, e non solo per la sproposita ampiezza d'apertura che la bocca doveva raggiungere, ma anche per evitare che tutto strabordasse sul piatto.
In sintesi, erano buonissimi e mangiarono tutto, fino a che non sembrò quasi di scoppiare dentro ai vestiti.
C'erano anche le patatine come contorno ed avevano mangiato anche quelle, chiacchierando e senza rendersi realmente conto di quanta roba stessero mettendo nello stomaco.
L'atmosfera era tiepida e le chiacchiere leggere non impedivano di sentire la musica in sottofondo, natalizia tanto quanto le decorazioni dentro al pub.
Il personale aveva poi offerto uno shot a tutti. Era un Bloody Mary con la panna montata sopra, nel tentativo di ricreare lo stesso berretto di Babbo Natale che loro portavano sul capo. Ed era buono. O, forse, era solo bella l'atmosfera, il locale, la compagnia, abbastanza perché tutto sembrasse un po' migliore agli occhi e al palato.
Annabeth ci pensò spesso mentre, davanti alla finestra della loro stanza, con la coperta che celava solo un poco le ginocchia al buio, osservava la neve che cadeva, placida, sulla strada e sugli alberi.
Aveva lo stomaco ancora un po' gonfio per quanto aveva mangiato, per il dolce che avevano tanto insistito per prendere anche se non ce la facevano più, ed il cuore ancora pieno. Di risate, di parole, di baci, di regali.
Era stato nel salotto, con le fiamme del camino che si affievolivano lentamente, che si erano scambiati i regali. Luke e Talia le avevano regalato un vestito ma questo già lo sapeva. Era rosso ed era bellissimo, con le spalline sottili e la scollatura che le abbracciava dolcemente il seno. L'orlo le sfiorava delicatamente le cosce ed era decorato con degli strass leggeri, di un rosso più scuro che seguivano quella che le pareva una fantasia quasi floreale.
Percy era stato sicuramente più felice di quanto non lo fosse stato Luke con quello che aveva scelto per Talia, così profondamente scollato ed aderente ma l'amica l'aveva adorato e quello le era bastato per farla sorridere un po' di più.
Percy aveva ricevuto un profumo di marca importante. Annabeth neanche voleva pensare quanto, quella boccetta piccola fosse costata ai suoi amici, ma lui era contento e Luke e Talia erano contenti per cui, non doveva davvero importare nient'altro.
Lei aveva ricevuto il suo regalo soltanto quando erano soli, quando non c'era più nesusno attorno a loro ed il ragazzo avrebbe potuto gelosamente osservare la sua reazione non appena avrebbe aperto la scatolina in velluto scuro. Annabeth l'aveva aperta seduta sul bordo del letto con le mani che tremavano un po' per il terrore, per il nervosismo che le percorreva velocemente le vene e che scemò non appena, davanti agli occhi grigi, non ebbe un anello.
Era uno semplice, senza fronzoli, in quello che, a primo impatto, le era sembrato acciaio. Era un po' largo, ma non abbastanza perché potesse stonare contro le dita affusolate.
- Percy – mormorò, togliendolo dal fodero, stringendolo delicatamente tra due dita, senza perderlo di vista neanche per un istante. E prima che potesse aggiungere altro, vi aveva guardato dentro. Diceva, inciso in un bel corsivo, "save".
Se lo tolse dall'anulare destro anche in quel momento, distogliendo l'attenzione dalla neve che aveva continuato ad osservare fino a quell'istante. Lo mosse delicatamente, girandolo tra le dita e poi lasciò che la luce della luna potesse colpire l'incisione.
- Save – sussurrò, leggendola ancora una volta. Non capiva ancora chi, non capiva ancora cosa ma il corpo le si riempì di brividi ancora una volta.
Era bellissimo, quell'anello, semplice come non lo era mai stata la sua vita e forse era quello che le piaceva così tanto. Che fosse semplice, tanto quanto la scritta che vi era incisa al suo interno.
Percy non le aveva spiegato niente, le aveva tolto la scatolina dalle mani e poi, quell'anello, l'aveva fatto scorrere lungo l'anulare destro prima di baciarla, sdraiandosi su di lei, cercandole i fianchi sotto al vestito di maglia. Ma a lei andava bene comunque. Avrebbe dovuto capirlo da sola, si era detta e confidava nella possibilità di non metterci tanto.
Sapeva che, però, quell'anello era semplice, spesso quanto la corazza che si era costruita attorno al cuore, non abbastanza però, perché nessuno potesse farci breccia.
Quello l'aveva capito e quello le piaceva più di quanto sarebbe mai stata disposta ad ammettere persino a sé stessa.
Se lo infilò nuovamente al dito, sfiorandolo delicatamente con le dita, come se avesse paura di romperlo, pur essendo consapevole che, no, quello non sarebbe mai, mai potuto succedere. Si voltò, osservando Percy da oltre la spalla mentre dormiva abbracciando il suo cuscino, con la bocca un po' aperta ed il viso rilassato. Ed era bellissimo ed era suo.
Si girò un po' di più, puntellandosi su una mano per evitare di cadere, osservando il vestito rosso posato sulla cassettiera ed il profumo lì affianco, sorridendo un po' di più.
Erano bellissimi ed erano suoi.
Erano difettosi, distrutti, tristi, spaventati ma, forse, quando era assieme, riuscivano ad esserlo un po' meno.
Talia era un po' meno arrabbiata, Luke era un po' meno solo e Percy era un po' meno spaesato e lei, era un po' meno la Annabeth terrorrizzata che era scappata di casa con la speranza di non affezionarsi mai a nessuno.
Kant, un filosofo, diceva che la parte più nascosta in noi, ciò che sta sullo sfondo dell'apparenza, la realtà, fosse inconoscibile, addirittura impensabile. Era il suo noumeno, quello. La "cosa in sé", una rappresentazione della mente umana che, però, andava oltre le sue capacità. Andava aldilà della comprensione umana e, per questo, era irrangiungibile. Ma poi, era arrivato Schopenhauer che, invece, ammetteva la possibilità di conoscere il noumeno, di toccarlo, di averlo, e questo, solo attraverso la rottura del velo Maya, delle stesse apparenze che celavano la realtà oltre la superficialità. Ed Annabeth lo sapeva che era lui ad avere ragione. Annabeth lo sapeva che, il suo, nella forma più pura, nella forma più concreta ed in quella più sincera, era il noumeno. La sua volontà di vivere, perpetua, immutabile, eterna, cieca, oltre le apparenze, oltre gli inganni. E loro tre, erano la sua verità. La verità ricca di dolori, pianti, disprezzo, paura, solitudine ma, comunque, la sua verità. Unica, eterna, immutabile, bellissima e sua.
Erano la sua famiglia. La cosa, almeno, più vicina alla famiglia lei avesse mai avuto. E se la prendeva tutta. Con la paura, con il disprezzo, con il dolore e con le risate. Con i panini troppo pieni, le cioccolate bruciate e l'alcool in eccesso nel cocktail. Se la prendeva con i sorrisi, le corse in macchina e la baita in montagna al confine col Canada, con la neve candida e la luce della luna che illuminava la schiena di Percy ed il suo volto rilassato.
Con la luce della luna che illuminava il volto del ragazzo che amava e si, quella consapevolezza le fece più paura di qualsiasi volontà di vivere e di qualsiasi noumeno i filosofi avessero mai vociferato.
- Io lo amo – si disse, senza smettere di guardarlo, piegando la testa da un lato mentre lo mormorava a voce talmente bassa da riuscire a malapena a sentirsi. – Io lo amo – ripeté e, si, le faceva ancora paura ma riuscì a sorridere comunque, soffocando una risata tra le labbra che sapevano ancora di lui. – Ti amo – mormorò, come se avesse avuto paura di dimenticarselo, portandosi le mani al volto, affondandole poi tra i capelli, anche se le faceva paura. E anche se, nonostante la paura, il cuore le batteva all'impazzata contro la cassa toracica, minacciando di esploderle.
Perché aveva paura ma non riusciva a ricordarsi un periodo prima di Percy, Luke e Talia in cui era riuscita ad essere così sinceramente, completamente, meravigliosamente felice.
Tu non ti meriti niente.
E quello le fece più paura persino più di tutti i "ti amo" del mondo.
Angolo Autrice:
La morta è viva (cit.)! ebbene si! non sono stata uccisa dalla pesta bubbonica (per quanto, al momento, abbia un'influenza terrificante che mi sta tenendo bloccato a letto) o dalla maturità imminente, ero a terribile corto d'ispirazione. Pensavo che sarebbe stato facile tenendo conto del fatto che stavo semplicemente revisionando una storia che avevo già scritto ma non avevo messo in conto che, anche per una cosa del genere, ci sarebbe stata tanta fatica ed ispirazione per cui, eccomi qui, ad aggiornare dopo quasi due mesi con un capitolo del cazzo. il capitolo è del cazzo semplicemente perché era ancora di passaggio e non avevo niente di entusiasmante da metterci, se non la cena di Natale che era necessaria per il completamento della trama. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo prima dell'epilogo e, come già vi avevo anticipato, la tempesta in arrivo (un po' come l'inverno degli Stark).
spero davvero di riuscire ad aggiornare più in fretta di quanto non abbia fatto con questo capitolo o, comunque, fino ad adesso e vi lascio con un bacione enormissimo! ah, a proposito, a marzo sono andata a Firenze con la mia classe e, anche se c'ero già stata altre tre volte, è stato questo viaggio a farmene innamorare perdutamente. inoltre, Prison Break mi ha rapito il cuore per non parlare di 13 reasons way (prodotto dall'amore della mia vita) che sta diventando una vera e propria droga. Se siete a corto di serie, loro sono quelle giuste senza ombra di dubbio ahahah
Vi voglio bene, fiorellini miei! Alla prossima<3<3
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