Save your heart

Ve lo scrivo qua perché voglio essere sicura lo leggiate ahhaha vi chiedo scusa in tutte le lingue del mondo! Anzi, facciamo in tutte quelle che conosco perché un'attesa del genere mi avrebbe fatto incazzare da lettrice e mi fa incazzare da autrice. Avrei voluto aggiornare secoli fa ma ho avuto un sacco di casini in questo periodo in più, se già tardavo in estate, adesso che è iniziata la scuola mi sono vista in una spirale di impegni che mi ha travolta. Il quinto anno, la vita vera imminente, la patente, lo studio e qualche problemino personale.

Ho fatto davvero di tutto per aggiornare almeno stasera, anche se sono stanca, devo ancora portare in giro il mio cagnolino e domani mi devo alzare alle sei e mezzo ma lo faccio con un piacere enorme quindi va bene hahahaha Voglio pareri belli sinceri su questo capitolo, anche se sono tranquilli e, niente, buona lettura e grazie grazie grazie grazie grazie grazie!

Vi voglio bene, fiorellini miei!


Voleva che la smettesse. Voleva che quelle voci stessero zitte almeno per un attimo. Almeno per un secondo.

La pioggia non l'aveva aiutata e forse era per quello che aveva messo la musica a volume così alto dal telefono che, sicuramente, si stava infradiciando un po' troppo.

Voleva che qualsiasi altro suono fosse più forte di quello dei suoi pensieri.

Voleva che la smettessero. Voleva che la smettessero di farle così male. Di torturarla a tal punto da farle girare la testa. A tal punto da farle sbattere il cervello contro al cranio come se, anche lui come il cuore, stesse cercando il modo per fuggire.

La pioggia le nascondeva le lacrime, le appicciccava i capelli al volto e lei avrebbe voluto sentire freddo. Avrebbe voluto sentire freddo a parte la paura, mentre si avvicinava al Public Garden.

Voleva che la smettesse.

Gridava nella sua testa. Le stringeva i fianchi troppo forte e lui gridava ancora. E la pioggia continuava a battere contro di lei e sull'asfalto. E la musica continuava a suonare nelle sue orecchie ma lui gridava ancora. E gridava così tanto da farle venire i brividi.

Basta.

Basta.

La mano si mosse in uno spasmo e si voltò verso destra per osservare le dita rosse che non sentiva e i fari della macchina che le fecero strizzare le palpebre per il fastidio.

Non fece in tempo a vederla. Né il colore della macchina, né il momento in cui le arrivava addosso, né il conducente che, dietro al volante, chissà cosa stava pensando in quel momento.

Chissà cosa stava provando.

Chissà se, come lei, non riusciva a provare nulla se non confusione e paura.

Poi, due mani forti si strinsero attorno ai suoi fianchi e fu in quel momento che Annabeth smise di pensare, travolta dal terrore. Chiuse gli occhi mentre le cuffiette volavano via dalle orecchie, in tempo per sentire lo stridio delle gomme sull'asfalto bagnato. La presa sui suoi fianchi si fece più forte solo per farla girare, permettendole di cadere, non appena arrivarono a terra, sul corpo del ragazzo che l'aveva appena salvata.

Sul corpo di Percy. Ma -forse- quello l'aveva capito dal momento stesso in cui le sue mani le avevano stretto i fianchi.

La caduta le mozzò il fiato e rimase sdraiata sul petto del ragazzo per qualche secondo, lasciando che la pioggia scrosciante potesse bagnarle ulteriormente il volto. Lasciando che il respiro potesse almeno far finta di regolazzarsi.

Stava per morire.

Stava per morire sul serio perché quella macchina blu (adesso lo vedeva) era troppo vicina e lei troppo distratta e troppo spaventata. E troppo condizionata dal suo passato da rendersi conto di essere stata più vicina dal perder tutto più di quanto si aspettasse.

Quando si sedette, lasciando che il sedere potesse scivolare sull'asfalto, la testa vorticò con prepotenza e le tempie pulsarono insistentemente, facendola gemere.

La pioggia continuava a scrosciare ed il conducente -un tizio di trent'anni con gli occhi spaventati- si era appena sbattuto lo sportello alle spalle e le stava andando incontro, passandosi continuamente le mani tra i capelli. Vide le labbra sottili muoversi e le macchine dietro la sua che si fermavano. Forse, se non avesse piovuto così tanto, i conducenti dietro di lui avrebbero fatti capolino dai finestrini per curiosità, per paura. Per usarla come esempio per i loro figli seduti sul sedile posteriore.

Il ragazzo parlava. Agitava le braccia e la pioggia continuava a scrosciare ma lei non sentiva più nulla al di là del cuore che voleva sfondarle la cassa toracica o della testa che martellava senza pietà.

Non capisco.

Basta.

Il cuore le batteva, la testa le martelleva ed ebbe un tremito. Mosse velocemente il capo a destra e a sinistra, sibilando per il fastidio l'attimo dopo ma solo perché, dopo un momento del genere, era ciò che si aspettavano. Ciò che avrebbe dovuto fare.

Non provava niente.

Era vuota.

Un guscio vuoto e distrutto, e il ragazzo stava ancora parlando, agitandosi con vigore ed il semaforo era diventato verde per la seconda volta e lei non sentiva nulla.

- Annabeth – la voce di Percy le arrivò da lontano, come se le stesse parlando da metri e metri di distanza. – Annabeth.

Perché era così lontano?

E perché quella macchina le era stata così vicino?

Basta.

- Annabeth – la chiamò ancora e quando le sfiorò la spalla con la mano fredda, la sua voce le penetrò fin dentro le ossa, arrivandole forte e chiara. – Annabeth stai bene? – domandò lentamente, tentando di nascondere la tensione nella voce fintamente calma. – Annabeth – la chiamò ancora, senza smettere di toccarla, come se fosse stato consapevole quello fosse l'unico modo per non farla andare via.

- Cazzo, è proprio sbucata dal nulla. Mi dispiace tantissimo. Oh mio Dio – parlò il ragazzo, passandosi le mani tra i capelli ancora una volta, tirandoseli un po'.

Annabeth sollevò lo sguardo su di lui.

Aveva paura, lui.

E lei? Lei ne aveva?

Aveva rischiato di morire. Avrebbe dovuto aver paura anche per quello.

- Annabeth stai bene? – Percy glielo chiese ancora, ignorando il ragazzo che continuava a parlare, a farneticare scuse che Annabeth non riusciva neanche a metabolizzare. – Annabeth stai bene? – e poi, anche Percy smise di fare il forte. Smise di fare l'eroe. – Cazzo, guardami! – esclamò, muovendole il capo di lato ed acchiappandole il mento con la mano destra, avvicinandole il volto al proprio per poterla osservare più intensamente. – Stai bene? Ti prego, parlami. Stai bene?

Aveva paura.

Percy aveva paura.

Ed Annabeth rabbrividì, quella volta per davvero. Perché la testa le girava paurosamente e il cuore la batteva troppo forte e Percy era lì, davanti a lei, che non le dava più l'opportunità di scappare perché aveva visto la possibilità di poterla perdere sul serio.

Perché Percy era lì, davanti a lei, con gli occhi colmi di terrore che la voce aveva tentato di nascondere ed Annabeth smise di tenere la schiena così rigida, tremando ancora, convulsamente, stringendo i pugni sull'asfalto bagnato mentre il cuore batteva più forte.

Era assolutamente, totalmente terrorrizata.

Le spalle furono scosse da un sussulto e lei chiuse gli occhi, chinando il capo mentre la testa vorticava.

Stava precipitando.

Stava per morire.

Si concentrò sulla pioggia che batteva su di lei nel tentativo di potersi aggrappare a qualcosa di concreto. Nel tentativo di potersi aggrappare alla realtà che aveva permesso potesse esserle strappata via.

Aveva bisogno di un'ancora.

Doveva smetterla di muoversi così tanto. Doveva smetterla di farsi sbattere da una parte all'altra, senza ritegno. Doveva smettere di avere paura di affondare.

- Annabeth,guardami.

E poi, trovò la sua ancora.

- Annabeth mi devi parlare. Annabeth. – Il tono di Percy fu più forte, duro, autoritario, ai limiti di un'asprezza che probabilmente non voleva toccare, ma fu abbastanza per farle spalancare gli occhi.

Sbatté le palpebre un paio di volte nel tentativo di superare la coltre di pioggia, scuotendo la testa quando la voce stridula per la paura del conducente le invase nuovamente le orecchie. – Mi porti via? – domandò con voce flebile, cercando le iridi verde mare oltre tutta quell'acqua. Cercando la sua ancora in mezzo a quella tempesta.

E Percy le prese il volto tra le mani, come se fosse riuscita a capirla. Come se avesse appena realizzato che lei, solo poche volte nella sua vita, si era sentita così piccola, vulnerabile e sola.

Le accarezzò gli zigomi con i pollici e poi annuì un paio di volte, continuando a tenerla ferma davanti a lui.

- Sto bene. Sto bene. Voglio andare via – mormorò ancora, senza smettere di immergere le iridi grigie di tempesta in quelle del ragazzo.

- Andiamo, allora – decise, lasciandola andare ed alzandosi solo per poterla aiutare a farlo.

Fece scorrere una mano attorno ai suoi fianchi, tenendola stretta ed assicurandosi che lo fosse prima di muoversi.

- Oh mio Dio, state bene? Stai bene? – domandò il conducente, senza smettere di passarsi le mani tra i capelli scuri. – Mi dispiace tantissimo. Sei sbucata dal nulla – esclamò verso Annabeth che si limitò ad abbassare lo sguardo, osservandosi la punta fradicia delle All Star.

Vide Percy annuire con la coda dell'occhio, sollevando una mano in segno di resa nella sua direzione. – Vai a casa, va bene? È tutto a posto. Stiamo tutti bene. Mi dispiace, bello – si scusò infine, dandogli un colpo al braccio non appena gli passarono accanto.

Strinse Annabeth un po' più forte mentre camminavano verso chissà dove, accarezzandole il fianco di tanto in tanto, stringendola, senza permetterle di allontanarsi neanche un po'. Non era più disposto a lasciarla scappare e -forse e quasi sicuramente- neanche Annabeth era più disposta a correre via.

Non ci misero molto ad arrivare al fuoristrada scuro di Luke che, solo dopo, si rese conto Percy avesse lasciato acceso, probabilmente nella foga di andare a riprenderla.

Era stata una fortuna non l'avessero rubato ma, prima che potesse trovare il tempo di sentirsi in colpa, Percy aveva già aperto lo sportello, mettendola a sedere e richiudendolo contro al suo fianco, prima di allontanarsi.

Annabeth si raggomitolò sul sedile, togliendosi le scarpe bagnate prima di stringersi le ginocchia al petto nel tentativo di smetterla di tremare così tanto per il freddo che sembrava le fosse penetrato fin dentro le ossa. Sfregò le mani sulle gambe gelide, seppellendo il volto nelle ginocchia.

Avrebbe dovuto piangere? Era questo che le persone si aspettavano da lei? Che riuscisse a piangere? Che provasse anche della tristezza assieme al terrore e alla confusione.

Lo sportello si aprì di scatto, facendola sussultare e Percy scivolò sul sedile accanto al proprio, sbattendoselo contro al fianco prima di piegarsi verso i sedili posteriori, acchiappando una coperta rossa che lei non era riuscita a notare fino a quel momento.

- Togliti i vestiti e mettitela attorno. Prometto di non guardare – disse, senza permettere alla voce di poter assumere sfumature che avrebbero potuto farle indovinare il suo vero stato d'animo.

Neanche lui provava niente?

Girò la chiave nel quadrate per poter mettere in moto, abbassando il volume della radio e levandosi la felpa bagnata, gettandola a terra davanti ai sedili posteriori. Azionò l'aria condizionata, mettendola il più calda possibile prima di partire, tenendo stoicamente lo sguardo fisso in avanti, stringendo il volante così forte tra i pugni che le nocche sbiancarono.

Era arrabbiato.

Ed Annabeth era così concentrata a guardarlo che si accorse solo dopo del getto d'aria calda che usciva dalle bocchette ai suoi lati, della musica ora spenta o del fatto che, almeno fino a quel momento, avesse avuto più freddo di quanto si fosse aspettata. Non aspettò troppo tempo prima di levarsi i jeans bagnati attaccati alle gambe, scalciando un po' nel tentativo di poterseli togliere, lasciandoli poi a terra davanti a lei. Si liberò del golfo gelido in meno tempo e poi si avvolse nella coperta rossa, tenendo le gambe contro al petto e godendosi il getto d'aria calda contro di sé.

E Percy era rimasto zitto. Col capo stoicamente puntato in avanti e le mani che -forti- continuavano a stringere il volante e le labbra ridotte in una linea sottile.

Non era arrabbiato. Era ai limiti delle furia.

E lei aveva sbagliato tutto come al solito.

Continuavano a guidare e l'unica cosa alla quale riusciva a pensare era a quanto fosse stata stupida. Aveva commesso l'ennesimo sbaglio. Aveva rischiato di perdere tutto ancora una volta.

Era scappata di nuovo e mai le cose si erano messe così male.

Le persone se ne vanno sempre. Io sono l'unico che è rimasto.

Percy frenò lentamente dietro ad una macchina ed Annabeth si voltò di scatto verso di lui, osservandogli il bel profilo.

Lui c'era ancora.

Percy era lì e non se n'era andato. Era lì, accanto a lei e l'aveva appena salvata. Era proprio lì nonostante l'avesse spinto via da così tante volte da aver perso addirittura il conto. Nonostante gli avesse pregato di lasciarla andare.

Le aveva sempre dato l'opportunità di scappare ed ogni volta, ogni volta che lei, quella stessa opportunità, l'aveva colta a mani aperte, lui era sempre andato a riprenderla.

Il telefono suonò, poggiato nel vano tra i due sedili ed Annabeth sussultò, voltandosi velocemente verso al finestrino bagnato.

- Pronto? Si, si è qui con me – esitò un attimo prima di rispondere, segno che stesse ascoltando l'interlocutore dall'altra parte della linea. – No, sta bene. È tutta intera. Solo un po' infreddolita ma le ho dato una di quelle coperte che ho preso dalla tua stanza. – Annabeth si morse il labbro inferiore, quasi se lo martoriò mentre osservava la strada sotto di lei che riprendeva a correre nel momento stesso in cui il verde scattò e Percy ripartì. – Si, Tals. State tranquilli, va bene? Ci vediamo più tardi. Ciao, ragazzi. – Annabeth lo sentì buttare il telefono nel vano tra i due sedili ed osservò il suo riflesso sul finestrino bagnato dalla pioggia che continuava a scrosciare.

Io sono l'unico che è rimasto.

Pensava che le persone se ne andassero sempre ma non era così. Pensava che lui fosse l'unico ad essere rimasto ma loro c'erano ancora. Percy, Talia e Luke erano ancora lì. Erano proprio lì, accanto a lei e non avevano intenzione di andarsene né di lasciarla andare.

Le avevano impedito di affondare, di crollare, di ridursi in pezzi così tante volte che quella stessa consapevolezza la colpì con la stessa forza di un pugno allo stomaco, facendola trasalire.

Lei aveva chiuso tutti fuori. Lei li aveva respinti. Lei li aveva allontanati perché aveva paura. Perché aveva così tanta paura del suo passato, dei suoi demoni, che quegli stessi erano riusciti ad imprigionarla. A tenerla stretta nelle loro grinfie, impedendole di vedere la realtà.

Non era sola. Non lo era più e probabilmente non lo sarebbe stata mai più.

Come si era permessa?

Stupida.

Stupida.

Continuò a guardare fuori dal finestrino mentre Percy guidava, osservando la strada che scorreva sotto di lei e la pioggia che vi batteva sopra. Non stavano andando al campus. Stavano solo guidando e le andava bene perché, per la prima volta, se ne stava andando senza scappare.

Quando Percy si fermò, svoltando prima sulla destra e camminando fino a che la strada non fu altro che un punto lontano, Annabeth non seppe dove fossero ma, davanti a lei, Boston si apriva per intero, bagnata di pioggia ed oscurata dalle nubi, ed era bellissima.

Il ragazzo abbassò il finestrino, spegnendo poi il motore ed accendendosi la sigaretta l'istante dopo, tenendo una mano poggiata al volante come se avesse paura del danno che avrebbe potuto fare se l'avesse messa da qualche altra parte.

Annabeth gli osservò il bel profilo. Il naso con la punta sollevata e la curva delicata, le labbra morbide e rose che si stringevano attorno al filtro giallastro della sigaretta. La pella chiara, libera di barba che non le sarebbe affatto dispiaciuto vedere.

Era lì. Era bellissimo, era arrabbiato e forse era anche un po' suo.

E lei aveva fatto un casino e non c'erano bisogno di forse per quell'unica magra constatazione.

- Mi dispiace – mormorò, a voce così bassa che, per un secondo, dubitò anche di averlo detto.

Quando Percy non riuscì a trattenere un verso di scherno, si convinse del contrario e si mise più dritta contro al sedile, riducendo le palpebre in due fessure. – Mi dispiace – ripeté, più convinta, più aspra, continuando a fissarlo con insistenza.

- Mi stai chiedendo scusa? – domandò il ragazzo, continuando a fissare stoicamente davanti a sé, come aveva fatto per tutto il tempo da quando erano in macchina. – Non è a me che devi chiedere scusa, Annabeth. Dovresti chiedere scusa a Talia che stava morendo di paura e a Luke che neanche sapeva dove sbattere la testa. Dovresti chiedere scusa a quel poveretto che non si sarebbe mai perdonato l'averti investita. – Aspirò, soffiando poi il fumo verso l'alto che si raccolse contro al tettuccio dell'auto. – E poi dovresti chiedere scusa a te stessa, non a me. Eri tu quella che stava per morire, non io.

Annabeth si spinse un po' di più contro al sedile, stringendosi la coperta rossa attorno. Non aveva freddo. Non ce n'era più ormai, ma le sembrava che in quell'auto la temperatura fosse scesa sotto lo zero. – Io non.. è solo.. – sbuffò, sollevandosi lievemente la coperta che era scesa sotto alla spalla, coprendosela più che poté. – è complicato, Percy. Mi dispiace perché tu sei una brava persona e io..

- E tu no? – domandò Percy a bruciapelo, voltandosi di scatto verso di lei, corrugando la fronte quando Annabeth, per istinto, si schiacciò contro al sedile un po' di più. – Tu non sei una brava persona?

La bionda aprì la bocca, richiudendola l'istante dopo, colta alla sprovvista. – Non è questo, è solo che.. – lei era una brutta persona ma Percy la interruppe prima che potesse parlare.

- Non sei una brutta persona, Annabeth. Tu sei solo una persona spaventata alla quale hanno fatto tanto male – disse, continuando a guardarla, allungando poi un braccio in alto, dietro di sé, per poter eliminare la cenere in eccesso dalla sigaretta, riportandosela subito dopo alle labbra. – Ed è quello stesso dolore che ti condiziona così tanto. Tu non sei una brutta persona. Sei una persona buona che ha sofferto, abbastanza da non riuscire più a lasciarsi il suo passato alle spalle. – Sospirò ed Annabeth allentò lievemente la presa sulla coperta, aggrappandosi alle sue parole con una disperazione che, ancora una volta, le fece paura. – Ti sei tenuta così tanto schifo dentro che adesso ne hai abbastanza. Scappi perché sei troppo spaventata per poter affrontare nuovamente il tuo passato. Perché è quello che hai sempre fatto e, per certi versi, è anche più facile: non dai spiegazioni, fuggi via e basta. – Annabeth osservò la sigaretta che stringeva tra le dita, che si portava periodicamente alla bocca mentre il cuore batteva un po' più forte. – Ma prima o poi, tutto questo schifo ti consumerà, Annabeth. Se non tiri fuori tutta la merda che hai dentro, poi non ce la farai più. – mormorò, dando un pugno al poggiatesta del sedile l'attimo dopo, facendola trasalire. – Cazzo, Annabeth! Stavi per morire! Se non fossi arrivato io, quella macchina ti avrebbe preso in pieno! Ma a te non importa. Hai chiesto scusa a me – esclamò, puntandosi l'indice della mano libera contro al petto. – Ma non a te stessa per quello che stavi per fare. Per quello che, probabilmente, ti fai da anni. Sei umana, Annabeth e prima o poi esploderai! Allontani gli altri perché hai paura di ferirli ma alla fine, l'unica che viene ferita sei tu. L'unica che si fa male qui, sei tu. – Gettò la sigaretta fuori dalla fessura del finestrino ed Annabeth, per pochi istanti, si concentrò sul suono della pioggia, chiudendo gli occhi mentre il cuore continuava a battere troppo forte.

Aveva paura.

Basta. Non parlare più.

- Tu sei una cacasotto, Annabeth. – sibilò il ragazzo, tagliente, conficcandole quella lama dritta nel petto. – Hai così tanta paura di affrontare le persone che ti circondano e te stessa che scappi ogni volta. Fuggi via così in fretta che neanche ti rendi conto della scia di distruzione che lasci dietro di te! – rigirandola con violenza.

Annabeth corrugò la fronte, drizzando la schiena in un attimo, tornando a stringersi la coperta più forte attorno al corpo mentre la rabbia iniziava a consumarla. – Tu non sai niente, Percy! Io non sono..

- Tu non sei una brutta persona – la interruppe, sollevando la voce per farla stare zitta. – Sei solo tanto triste – aggiunse, abbassando il tono. – Sei triste ogni giorno perché ti porti così tanto dolore dentro che ti sta sopprafaccendo. E fingi sempre che vada tutto bene perché è più facile, meno rischioso di dire alle persone come ti senti per davvero. – Il respiro le si bloccò al centro del petto, serrandole la gola in una morsa. La presa sulla coperta si allentò e piegò la schiena sotto al peso di quella verità che non si aspettava qualcuno potesse vedere. – Annabeth – la chiamò piano, quasi avesse paura di vederla sgretolarsi sotto al suo sguardo e alle sue parole. – Annabeth, guardami – continuò, e quando sollevò le iridi grigie di tempesta in quelle verdi mare, maledisse quell'abitacolo troppo stretto che le impediva di arretrare davanti a tutto quel dolore. – Io so come ti senti. So che ti senti triste, sola, distrutta, difettosa. So che hai paura di soffrire ancora e di dover nuovamente ricomporre i pezzi. – Sospirò, passandosi una mano tra i capelli, sollevandone una verso di lei. Quando poi la riabbassò, lasciandola cadere sui jeans, il cuore saltò un battito e sbatté le palpebre un paio di volte nel tentativo di scacciare le lacrime. – Io non ho idea di cosa ti sia successo, Annabeth e non voglio saperlo a meno che non sia tu stessa a decidere di farlo, va bene? – la ragazza annuì un paio di volte, scuotendo la testa quando le lacrime le rigarono le guance, raggiungendole le labbra. Le scacciò velocemente, tirando su col naso. – Ma tu non sei una brutta persona. Sei bellissima, Annabeth. Sei divertente, sei forte, dolce e mi correggi sempre i compiti di letteratura anche se sei stanca e non ne hai davvero voglia. – Riuscì a strapparle una risata e quella stessa scintilla che gli illuminò lo sguardo verde le alleggerì il peso che le schiacciava il petto. – Ma, a volte, va bene smetterla di salvarsi da sola. Va bene smetterla di far finta di essere felici e dire:"no, oggi è stata proprio una giornata di merda e l'unica cosa che voglio fare è piangere". Va bene dire cosa ti rende triste e va bene anche se quella cosa che ti rende triste ti sembra stupida. Va bene essere deboli, qualche volta. Va bene gridare, essere nervosi. Va bene piangere, singhiozzare fino ad essere ridicoli. Ma, Annabeth –la richiamò ancora, spingendola a sollevare nuovamente le iridi sulle proprie. – Va bene anche essere felici. Va bene circondarsi di persone che ti rendono la giornata più bella, che ti strappano dei sorrisi e tenersele strette. Difenderle con le unghie e con i denti per non farle andare via. – Si sporse verso di lei, chiudendole il volto tra le mani calde, asciugandole le lacrime che, ancora e grazie a Dio, continuavano a bagnarle gli zigomi. – Tu non sei una brutta persona, Annabeth. Sei una persona buona che ha sofferto troppo. Sei una persona buona e meriti di essere felice. – Chiuse gli occhi per qualche istante prima di riaprirli, facendola sciogliere sotto alla potenza di quello sguardo. – Tu meriti tutto l'amore del mondo, Annabeth. Meriti di avere persone che ami e che ti amano. Meriti di ridere. Meriti di essere baciata. Meriti di essere salvata. Meriti di amarti e meriti di essere felice.

Ed Annabeth pianse un po' di più sotto alla forza di quelle parole. Pianse un po' di più davanti ad una consapevolezza che non pensava avrebbe mai potuto avere. Pianse perché si sentiva capita. Pianse perché aveva smesso di avere paura. Pianse perché Percy era lì, davanti a lei, che la stringeva e non aveva più intenzione di lasciarla andare. Pianse perché aveva sofferto ed era così stanca, stremata che non ce la faceva più.

Pianse perché era un casino. Perché era rotta, difettosa ma voleva comunque provare ad essere salvata. Voleva provare a farsi salvare, magari solo per una volta. Magari, solo ogni tanto.

- Cristo, Annabeth, va bene essere felici. Va bene ridere troppo forte se questo ti rende felice. Va bene abbracciare Talia, scherzare con Luke. Correre per il campus agitando una bandiera. Bere la cioccolata e raggomitolarsi sotto ad una coperta durante l'inverno. Va bene baciarmi se questo ti rende felice. Va bene essere felici e tu meriti di essere felice.

Lei poteva essere felice.

Lo meritava. Meritava di non soffrire più e di ridere un po' più forte e pianse ancora perché Percy era lì, era bellissimo e non aveva mollato con lei. Era lì, era bellissimo e non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare.

Come si era permessa?

Io sono l'unico che è rimasto.

Sei mia.

Solo in quel momento permise a Percy di guarirla sul serio mentre le parole le penetravano sotto la pelle, colpendola dritta al cuore.

Chiudi quella cazzo di bocca.

Premette le labbra su quelle di Percy senza rifletterci troppo e solo perché voleva. Perché lui era lì, era bellissimo ed era suo e non l'aveva lasciata andare. Perché lei con lui era felice e meritava di esserlo. Perché si meritava Percy e le labbra morbide contro le proprie e le mani che la stringevano e quella stessa bocca che stava baciando e che sorrideva contro alle sue labbra, senza neanche provare a nasconderlo.

Percy era suo e lei era sua.

E -cazzo- le andava benissimo.

Percy fece scorrere le mani attorno ai suoi fianchi mentre la pioggia batteva ritmicamente contro la macchina, attirandosela contro al petto, schiudendole le labbra con la lingua e baciandola un po' più forte mentre sorrideva, come se fosse incapace di smetterla.

Annabeth gli cinse il volto con le mani piccole, senza preoccuparsi della coperta che le era scivolata fino alla vita, perché era felice. Perché Percy, per la prima volta, le aveva parlato e lei si era resa conto che -forse- dalla prima volta, aveva capito tutto.

Infilò le mani tra i capelli scuri mentre continuava a baciarlo, spingendosi contro di lui perché voleva di più, assecondando l'istinto e le pulsazioni al basso ventre che le chiusero lo stomaco in una morsa piacevole.

Percy l'attirò a sé, cadendo contro allo sportello con una risata prima di sistemarsi, sistemandosela sulle ginocchia. Annabeth sorrise contro alle sue labbra prima di sedersi su di lui, baciandolo ancora, mentre la pioggia scrosciava al di fuori della loro bolla.

E Percy l'attirò a sé un po' di più, chiudendole la mani sulla schiena nuda, facendole scorrere piano, come se avesse tutto il tempo del mondo, dal gancetto del reggiseno all'orlo delle mutande.

Annabeth strusciò i fianchi contro ai suoi, tenendo la schiena piegata abbastanza per poter raggiungere meglio la sua bocca, chiudendogli il volto tra i piccoli palmi mentre il basso ventre pulsava e lo stomaco si chiudeva in una morsa.

Lo voleva.

Lo voleva così tanto che faceva anche male e lo voleva proprio lì. Proprio adesso.

Si strusciò ancora contro di lui, sorridendo quando il ragazzo si allontanò, ansimando in cerca di aria, stringendo un po' più forte quella ragazza che -forse- aveva finalmente capito tutto. Spinse i fianchi contro ai suoi e Percy la strinse un po' più forte, avvicinando le dita al sedere e premendogliele delicatamente contro la pelle, sfregando le labbra contro al suo collo non appena lo trovò, bellissimo e scoperto. Annabeth spinse la testa all'indietro, nascondendo le mani tra i capelli scuri mentre continuava a muovere lievemente i fianchi e Percy le sfiorava il collo con una lentezza quasi esasperante, accarezzandole la pelle con dita leggere.

Cercò l'orlo della maglietta nel momento stesso in cui ricongiunse le labbra alle sue, chiudendole quando sentì la lingua di Percy premervi contro, assuefandola completamente al suo volere, eccitandola un po' di più. Strinse i lembi della maglia scura tra i pugni e quando Percy fece nuovamente correre le mani lungo tutta la sua schiena nuda, sfiorando il gancetto del reggiseno con dita leggere, desiderò quasi di potergliela strappare di dosso. La tirò verso l'alto, rifiutandosi di allontanarsi dalle sue labbra per un solo secondo, facendolo a malincuore quando fu Percy a staccarsi da lei, sollevando le braccia mentre la aiutava a sfilare via quel pezzo di tessuto inutile che chissà dove finì.

Un brivido le scosse la schiena, là dove le mani di Percy avevano smesso di toccarla e quando i palmi cadi si aprirono nuovamente contro di lei, non riuscì più a sentire il soffio d'aria che entrava dalla fessura lasciata aperta del finestrino che le baciava dolcemente la pelle.

Ma lei voleva vederlo. Voleva vedere il torace nudo, sfiorarlo con le dita e con le labbra. Voleva accarezzarlo piano, prendersi il suo tempo per studiarlo, per ammirarlo, per bearsi di tutti i dettagli che si era preclusa fino a quel momento e quando provò ad allontanarsi lievemente, avvicinando la schiena al volante, il suono del clacson fece sobbalzare entrambi.

- Cazzo – esclamò Percy prima di scoppiare a ridere assieme a lei, mettendole le mani sulle cosce in quel momento, osservandola quasi famelico. Ed Annabeth sorrise solo quando si rese conto lei stesse facendo lo stesso.

Ed era bellissimo. Col volto accaldato, i capelli scompigliati ed il torace nudo, segnato e snello che si alzava ed abbassava velocemente.

Era bellissimo, era suo e forse era felice tanto quanto lo era lei.

- Voglio più spazio – decise, alzandosi dal ragazzo per potersi gettare tra i due sedili ed arrivare a quelli posteriori, incastrandosi mentre tentava di arrivare all'altro schienale. Cercò di spingersi, puntando le braccia contro ai sedili anteriori, sbuffando e voltandosi nel tentativo di osservare Percy oltre al suo corpo. – Mi daresti una mano? – borbottò, finamente scocciata.

Il ragazzo esitò un attimo prima di risponderle. – A me questa visuale non dispiace affatto – decise poi, dandole un pacca al sedere l'attimo dopo che la fece sussultare in una risata, sgusciando tra i due sedili e cadendo per metà in quelli posteriori.

- Sei un idiota – esclamò, voltandosi in tempo per vederlo scoppiare a ridere prima di passare tra i due sedili con facilità, raggiungendola velocemente mentre si sedeva. Ed era bellissimo. Era così bello ed era lì per lei che non aveva più intenzione di scappare via.

Il cuore batté un po' più forte e prima che potesse chiedergli come avesse fatto a muoversi così facilmente, Percy le costrinse il viso tra i suoi palmi, spingendole la lingua tra le labbra. La spinse contro la spalliera del sedile ed Annabeth non si oppose mentre sorrideva, modellando le mani contro al petto nudo, incredibilmente bollente sotto al suo tocco. Fu un attimo e neanche si accorse della mano sinistra di Percy che aveva abbandonato la presa delicata sulla sua guancia ma, sicuramente, si accorse del sedile sul quale era appoggiata che, con uno scatto, si piegò all'indietro.

Gridò per lo spavento, tentando di aggrapparsi a Percy un secondo prima di sbattere, senza farsi del male, la schiena alla spalliera imbottita, corruciandosi solo quando vide il ragazzo scoppiare a ridere, i palmi puntati accanto al suo viso e gli occhi verdi socchiusi in una risata.

- La le.. la leva – biascicò il ragazzo tra le risate, gemendo piano quando Annabeth, il volto che doveva aver assunto la smorfia più buffa del secolo a giudicare dalla risata di Percy che salì di almeno sei o sette decibel, gli diede un pugno al torace.

- Confermo e sottoscrivo – borbottò, scivolando sul sedile nel tentativo di sedersi mentre Percy continuava a ridere. – Sei un idiota.

Ed il ragazzo rise ancora, la testa piegata all'indietro, inginocchiato sul sedile posteriore che, in quel momento, piegato indietro allo stesso livello del cofano, avevano adibito a materasso. Sollevò poi un dito verso di lei mentre la risata si affievoliva, tappandole involontariamente la bocca proprio quando stava per protestare ancora. Si sporse verso destra tirando la leva che, con uno scatto, abbassò gli ultimi due sedili posteriori.

Annabeth incrociò le braccia sul petto seminudo, ignorando la pelle d'oca che cominciò a costellarle la pelle chiara. – Ho rischiato di avere un infarto, dico sul serio – continuò contrariata, corrugando la fronte. – E tu rid.. – Percy le si gettò sopra prima che potesse finire la frase, tappandole le labbra con le sue, impedendole di gridare nuovamene per la sorpresa.

Aprì una mano sulla schiena nuda, adagiandola piano sul tessuto ruvido del confano, schiudendole le labbra con la lingua delicatamente. E le labbra ridevano ancora ma il corpo e la lingua sembravano dimentichi dell'euforia di qualche secondo prima. Quella lingua che roteava lentamente con la propria e quelle mani che esploravano il suo corpo, delicate, centimetro per centimetro come se l'avessero fatto mille altre volte. Come se fossero state fatte solo per quello. Solo per marchiarla dolcemente, solo per far aumentare la pelle d'oca che inturgidiva la pelle chiara. Solo per farla sorridere un po' di più, solo per farle battere il cuore un po' più forte mentre Percy la coccolava, mentre si prendeva cura di lei lentamente, come se avesse avuto tutto il tempo del mondo. Come se, il mondo, non esistesse al di fuori di loro due che, forse non più tanto timidamente, provavano ad amarsi nel cofano di quell'auto, con la pioggia che -dolce quanto quelle stesse mani- faceva da colonna sonora alle carezze languide ed ai baci profondi.

E c'erano solo loro due e non esisteva nient'altro. E c'erano solo loro due ed Annabeth realizzò, mentre Percy infilava lentamente due dita sotto l'orlo leggero delle mutande, che niente aveva mai contato davvero. Gli strinse i capelli sulla nuca un po' più forte mentre lui si avvicinava piano a lei senza smettere di baciarla neanche per un istante, come se sapesse quello fosse l'unico modo per farle avere meno paura.

La stuzzicò piano con la punta delle dita ed Annabeth ansimò lievemente contro le sue labbra, rafforzando la presa sui suoi capelli un po' di più, serrando gli occhi con più forza e cercando la sua lingua con più insistenza.

- Ehi – la chiamò piano, puntellandosi meglio sul gomito accanto al suo capo. – Apri gli occhi, Annie bella – mormorò, allontanandosi dalle sue labbra solo per poterle baciare la punta del naso.

Annabeth sorrise a quel soprannome, aprendo le palpebre lentamente, allentando la presa sui suoi capelli non appena vide i suoi occhi. Erano lì, a pochi centimetri dai propri, verdi e bellissimi, luminosi, pieni di lei ed il cuore le batté un po' più forte e niente le sembrò più giusto di loro due in quel momento.

Percy le accarezzò il volto con la mano libera, sorridendo prima di baciarle le labbra per qualche istante, posandole poi sulla fronte. – Sei bellissima – sussurrò, sorridendo un po' di più quando Annabeth fece lo stesso, scoprendo i denti, affondando le dita affusolate nei capelli scuri sulla nuca, sporgendosi verso di lui per poterlo baciare ancora.

Gli accarezzò il collo, le spalle forti -tese- che tradivano la tranquillità che le trasmettevano le sue mani e poi gli schiuse le labbra con la lingua per pochi secondi, sorridendo quando lo sentì rilassarsi lentamente.

Aveva paura?

Anhe lui era spaventato quanto lei? Anche lui era insicuro tanto quanto lo era lei?

Percy spinse il dito un po' più a fondo, trovando il suo centro ed Annabeth tremò sotto al suo tocco, irrigidendosi contro di lui.

Era la prima volta.

La prima volta che qualcuno era così delicato. La prima volta che qualcuno si prendeva cura di lei. La prima volta che qualcuno la stringeva in quel modo. La prima volta in cui teneva davvero a quel qualcuno. La prima volta dopo sette anni ed aveva una paura matta.

Percy si fermò contro la sua pelle sensibile ed umida, sotto al tessuto leggero delle mutande scure ed Annabeth chiuse gli occhi prima di riaprirli, affondando nel verde oceano che, per qualche istante, la travolse completamente, lasciandola senza fiato. Il ragazzo aprì la bocca per parlare ma lo precedette. – Io mi fido di te – sussurrò contro le sue labbra, stringendogli piano i capelli sulla nuca, giocando con le ciocche scure dolcemente. – Io mi fido di te – ripeté, a voce un po' più alta forse perché -cavolo- stentava quasi a credere di aver detto quelle parole.

Perché era vero. Perché, dopo anni, si stava nuovamento fidando di qualcuno. Si stava fidando di un giovane uomo che non si era arreso, che era ancora lì, per lei e con lei. Che non l'aveva lasciata andare. Che non aveva mollato. E lei si fidava e quella consapevolezza la colpì con la stessa violenza del tuono che rimbombò nell'aria, facendola sorridere.

Percy la proteggeva. La amava. La faceva sentire amata. Percy la faceva sentire grande, potente ed era il suo presente. E lei si fidava di lui.

- Io mi fido di te – ripeté contro le sue labbra, baciandogliele l'attimo dopo, quasi febbrilmente, come se avesse paura che tutto quello fosse solo un'illusione. – Mi fido di te – ripeté, aggrappandosi al suo volto mentre gli tempestava le labbra di baci, facendolo ridere, costringendolo ad abbracciarle la schiena con entrambe le braccia per poterla sostenere mentre rimaneva semiseduta sul cofano, reggendosi a lui.

Le abbracciò la schiena completamente, facendole aderire il petto al proprio mentre si lasciava baciare e mentre lasciava che il battito del suo cuore, accelerato quanto il proprio, riaggiustasse un altro pezzo di quel giocattolo difettoso, che salvasse il suo cuore ancora un po'.

Percy le tenne il mento con una mano, fermandola per poterle baciare le labbra, la guancia, la mandibola e poi il collo, dove esitò un po' di più, schiudendo le labbra contro la pelle fresca, leccandola e succhiandola lievemente, spingendola a chiudere gli occhi per il piacere.

Annabeth spinse la schiena all'indietro, tornando a sdraiarsi lentamente sul tessuto ruvido del cofano, giocando lentamente con i capelli sulla nuca mentre Percy, le mani ancorate ai fianchi nudi, le torturava dolcemente il collo con le labbra, spingendola ad inclinarlo verso destra per dargli più accesso.

Succhiò, leccò e mordicchiò, spingendola ad inarcare la schiena verso di lui, a sfregare i fianchi contro ai suoi con un'impazienza che non riuscì a mascherare come avrebbe voluto. E Percy sorrise contro la sua pelle, posandole -delicato- le labbra sulla spalla, scostandole lentamente la spallina del reggiseno lungo il braccio, seguendo con la bocca, il percorso che tracciò il tessuto sulla pelle.

Ed Annabeth aprì gli occhi mentre la baciava, mentre tracciava con le labbra un sentiero sul suo corpo, mentre le posava sul seno cercando poi, con le mani calde, il ferretto sulla schiena, esitando nei suoi occhi prima di sganciarlo lentamente.

Fu facile allungare le braccia per aiutarlo mentre glielo sfilava, guardarlo buttarlo via da qualche parte prima che prendesse ad osservarla con quello scintillio nello sguardo che le faceva credere che -forse- ne valeva la pena. Ne valeva la pena aver rischiato di perderlo se, alla fine, lui era sopra di lei, con gli occhi che sorridevano al posto delle labbra e che sembravano osservarla come se avessero avuto paura di vederla svanire da un momento all'altro.

Ma lei -no, cavolo- non aveva intenzione di andare da nessuna parte. Perché era così giusto stare lì con lui, sotto di lui, seminuda, sotto al corpo caldo che la proteggeva, che non poteva neanche immaginare di prendere in considerazione l'idea di andarsene.

Che non poteva neanche immaginare la possibilità di smettere di guardare quegli occhi verdi che le facevano girare la testa per l'intensità con la quale sembravano bearsi di ogni suo dettaglio.

Perché Percy era bellissimo, ed era suo ed Annabeth lo voleva in un modo così totalizzante che quel pensiero, quella consapevolezza, le fece esplodere il cuore nel petto. Annabeth lo voleva così completamente che sorrise perché, no, non aveva affatto paura di annullare sé stessa se quello avrebbe comportato fondersi con Percy in un intreccio che, chissà come e chissà con quali sforzi, sarebbero poi stati in grado di sciogliere.

Percy le baciò piano il ginocchio salendo lentamente verso l'inguine, costellando la coscia di baci, accarezzandola con le mani calde che -ancora- sembravano ben decise a farla soffrire, a farla penare e a farlo desiderare un po' di più. E come poteva anche solo essere possibile volerlo più di così?

Baciò l'interno coscia con una lentezza esasperante, accarezzando col respiro leggero il centro coperto dal tessuto ormai inutile quanto fastidioso delle mutande che Annabeth stava ancora indossando. Passò lentamente un dito su di lei, sfiorandola piano, toccandola come se non fosse stato abituato a fare altro ed Annabeth gemette per la frustrazione mentre il ventre si stringeva in una morsa d'eccitazione nel momento in cui Percy ci passò sopra l'indice.

La ragazza strinse forte i pugni sopra al tessuto ruvido del cofano e sentì Percy sorridere contro la sua pelle prima di sollevarle le mutande dai fianchi, spingendola ad alzarli perché lui potesse sfilarle lentamente lungo le gambe.

Ed Annabeth corrugò la fronte quando, sotto al suo sguardo, non provò niente se non eccitazione, impazienza, amore e desiderio. Quando provò tutto meno che paura. Quando si rese conto che -con ogni probabilità- niente sarebbe potuto essere più perfetto di loro due dentro un cofano, con la pioggia che, fuori dalla loro bolla, diventava la colonna sonora perfetta del momento che continuavano a costruirsi con facilità. E lui era bellissimo sopra di lei, inginocchiato tra le sue gambe che, a torso nudo e con la stessa innocenza di un bambino, l'osservava come se avesse avuto paura di vederla scomparire, come se avesse avuto paura di perderla, e fu in quel momento che Annabeth capì. Fu solo a quel punto che Annabeth si rese conto che non era mai stata lei quella ad avere davvero paura, che non era mai stata lei quella realmente spaventata.

Era Percy. Era sempre stato lui. Era sempre stato lui ad avere paura ma, ogni volta e nonostante tutto, le lasciava comunque la possibilità di scappare, sperando sempre di vederla tornare.

Annabeth si mise a sedere, raggiungendolo, cingendogli il volto caldo con le mani fredde, sorridendo quando il ragazzo le passò le dita sui fianchi nudi, dita tremanti che si fermarono all'altezza del costato, chiudendosi in una presa che non riuscì a nascondere l'incertezza. Ed Annabeth lo baciò perché le parole non erano più necessarie. Perché Percy era lì, era suo, ed era bellissimo e lei non aveva paura. Non l'aveva mentre faceva scorrere i palmi lungo il torace nudo. Non l'aveva mentre raggiungeva il bottone dei jeans, allontanandosi dalle sue labbra solo per poterlo aprire più facilmente. Non l'aveva mentre l'osservava spogliarsi, rimanendo splendidamente nudo davanti a lei, con lo sguardo un po' meno innocente, un po' più luminoso e sempre spaventato.

Non l'aveva mentre, nascondendo le dita affusolate tra i capelli disordinati sulla nuca che avrebbe accarezzato per ore, tornava a baciarlo, a baciarlo con la stessa intensità con la quale lo voleva, sdraiandosi a tirandolo giù con sé.

Percy la strinse un po' più forte, la marchiò con un po' più d'insistenza mentre si sistemava tra le sue gambe, puntellandosi sui gomiti e stringendole le ciocche bionde tra le dita, baciandola più profondamente. Sfregò i fianchi contro ai suoi, ansimando contro alle sue labbra mentre Annabeth irrigidiva le gambe, senza smettere di osservargli il volto quando allungò una mano verso di lui, accarezzandolo.

Le dita si contrassero impercettibilmente e piegò le gambe accanto ai suoi fianchi con uno scatto, fermandosi per un secondo prima di tornare a toccarlo piano. Lo fece per tutta la sua lunghezza, lo fece lentamente e cercò il suo sguardo, cercò quegli stessi occhi verdi che la fecevano sentire più forte, più bella, meno insicura e corrugò la fronte quando Percy serrò le palpebre, seppellendo il volto contro al suo collo.

Annabeth smise di accarezzarlo solo per poterlo stringere a partire dalla base, facendo scorrere la mano fino alla fine, rilassando i muscoli tesi delle gambe quando Percy respirò più profondamente contro la sua pelle, quando la schiena si irrigidì, sciogliendosi solo sotto alla carezza leggera che riuscì a dedicargli mentre continuava a pompare con sempre più sicurezza lungo la sua lunghezza.

E Percy era lì, sopra di lei, forse un po' meno spaventato ed un po' più vulnerabile. Con i muri abbassati e le difese che, no, non erano scoperte, non c'erano proprio. Forse perché, a dire la verità -e finalmente- nessuno dei due ne aveva più bisogno.

Annabeth stava ancora pompando quando Percy sollevò il volto dal suo collo, cingendole il capo con una mano, cercando lo sguardo grigio che soccombette sotto l'intensità di quel mare. – Aspetta – ansimò, spingendola a fermarsi a metà della sua lunghezza mentre le gambe si irrigidirirono ancora.

Aveva sbagliato qualcosa? Stava male?

Era colpa sua?

Il cuore saltò un battito ma gli occhi del ragazzo misero a tacere quel vortice di pensieri prossimo a prendere piede nella sua testa. Erano un po' più sereni, bellissimi e pieni, carichi di lei.

Percy fece scorrere un braccio sotto alla sua schiena, lasciando che i loro petti aderissero completamente prima di fare perno su un gomito, rivoltandosi. Annabeth si aggrappò alle sue spalle mentre si rotolavano, spostandosi di qualche centimetro verso il bordo sinistro, ritrovandosi seduta sul suo bacino.

Tenne il mento poggiato sul suo petto ancora per qualche istante prima di sollevarsi, cercando quelle iridi verde mare nel tentativo di avere una risposta rilassando la schiena quando quella la colpì dolcemente.

Percy le stava dando la possibilità di scappare. Gliela stava dando ancora. Le permetteva di decidere se andare via, se tradire il cuore che le batteva forte per l'emozione, lo stomaco che si contorceva e quegli occhi verdi che, adesso, la osservavano con meno paura.

Il ragazzo le posò le mani calde sulle cosce e fu in quel momento che Annabeth capì sul serio. Percy non le stava dando la possibilità di scappare, non l'aveva mai fatto. Non le aveva mai dato la possibilità di scappare, ma le aveva sempre dato l'opportunità di scegliere. L'opportunità di scegliere se continuare a baciarlo, l'opportunità di scegliere se parlargli. L'opportunità di scegliere se connettersi completamente a lui, se diventare una cosa sola, se fidarsi definitivamente del ragazzo che non aveva mai smesso di farlo con lei.

Le stava ancora dando la possibilità di scegliere se lasciarsi prendere dai suoi demoni oppure smetterla di fare la cosa più facile, guardando al presente.

Ed Annabeth non smise mai di osservarlo mentre, puntando una mano sul suo petto ed issandosi sulle ginocchia, lo sollevava per la base, sedendosi lentamente su di lui, serrando i denti per il dolore quando lo accolse completamente dentro di lei. Accogliendo però, allo stesso tempo, un brivido lungo la schiena che, assieme a quelle stesse mani calde che non avevano smesso di toccarla per un secondo, cancellavano tutta la sofferenza. Non smise mai di osservarlo mentre cercava le dita di Percy per poterle intrecciare alle proprie, chinandosi lievemente su di lui mentre muoveva i fianchi lentamente, schiudendo le labbra assieme a quelle del ragazzo. Non smise mai di osservarlo quando permise a Percy di lasciarle le dita solo per poterle stringere i glutei, aiutandola a trovare un ritmo che prese a farli ansimare un po' più forte mentre, finalmente e completamente, diventavano un unico intreccio perfetto.

Non smise mai osservarlo mentre, nel cofano del fuoristrada di Luke, con la pioggia che faceva da colonna sonora alla bolla di gemiti, mani ed occhi che si cercavano e corpi che non avrebbero mai smesso di volersi, Annabeth Chase faceva l'amore per la prima volta.

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