Find me in the shadow so that the cold never bother me any way

** vi avviso già adesso, prima che pubblichi il capitolo, c'è una parte bella pesante verso la fine che segnalerò con quei due asterischi (sia l'inizio che la sua fine) nel caso qualcuno non se la sentisse di leggerla


C'era Percy a dormire accanto a lei. A stringerla. A baciarla sulla tempia, scaldandola un po' di più senza farle domande ma lei non riusciva comunque a dormire e, si, ci aveva provato sul serio e in svariati modi. Aveva provato a mangiare un po' meno per cena, aveva provato a prendersi del thé ed il giorno dopo, quando non aveva funzionato, una camomilla, ma non era comunque servito a nulla. Non dopo che, quel fulmine a ciel sereno, quell'ombra così fitta ed oscura era tornata ad avvolgerle il petto con rinnovata violenza.

Ma era il 31 dicembre. Era mattina ed erano solo poche ore che la separavano dal suo nuovo anno. Poteva simbolicamente ricominciare ed era ben decisa a farlo a tuttti i costi.

Lanciò uno sguardo a Percy, alla sue spalle, mentre si infilava una maglietta pescata dal suo cassetto sopra ai leggins, uscendo piano dalla loro stanza, scendendo le scale con ancora più delicatezza nella speranza di non svegliare nessuno.

Sorrise quando sentì il suono di una musica familiare proviente dalla cucina, accelerando istintivamente il passo al fine di avvicinarsi il prima possibile. Vide, dal piccolo pezzo di pavimento che la separava dalla cucina, la televisione accesa, senza volume e sorrise un po' di più quando sentì Luke canticchiare. – Se cercate un fatto, io ve lo darò. Gli Unni han vita corta, chi vivrà vedrà – lo sentì, assieme allo scrosciare leggero dell'acqua del rubinetto. – E anche se voi siete deboli, lavoreremo ancor di più. E si vedrà, l'uomo che non sei tuuu – disse allungando l'ultima vocale, facendo sì che la voce prendesse una sfumatura un po' più cupa di quanto avrebbe dovuto.

Si affacciò allo stipite, sorridendo quando lo vide davanti al lavandino, a lavare i piatti che erano troppo stanchi per fare la sera prima, agitando il capo ed i fianchi a ritmo della canzone mentre insaponava le superfici di ceramica, sistemandole poi, ancora bagnate, accanto a sé.

- La foresta è calma, ma nasconde in sé.. yaa – fece, seguendo perfettamente le battute del film ed Annabeth scoppiò a ridere, facendo saltare la sua copertura.

Il ragazzo si voltò di scatto, colto in flagrante, gli occhi sbarrati, colmi di una paura che sparì tanto velocemente quanto era arrivata non appena la mise a fuoco. – Buongiorno, bionda – la salutò con un sorriso, riprendendo a canticchiare. – ..degli eroi, come me, anche voi.

Annabeth gli andò incontro, chinandosi poi verso la maniglia del forno per poter recuperare lo straccio posato lì sopra. – Non ti facevo un tipo da Disney.

Luke fece spallucce mentre Yao dichiarava, con voce grezza, che ci avrebbe lasciato le penne. – Non lo sono, infatti. Ma sono tipo da Mulan. Chiunque è tipo da Mulan.

Annabeth sorrise, prendendo il primo piatto ed asciugandolo velocemente, sistemandolo poi sulla credenza sopra la sua testa. – Non fa una piega...spero che non se ne accorga! – cantò, con voce acuta.

- Di nuotare non sarò capace mai! – continuò Luke prima di voltarsi di scatto verso di lei con un sorriso ad illuminargli i begli occhi azzurri. – E sarai veloce come è veloce il vento – cominciarono assieme, in sincronia con le voci dei soldati cinesi. – E sarai un uomo vero senza timore e sarai potente come un vulcano attivo! – Annabeth si portò lo stracciò alla bocca a mo' di microfono prima di riprendere ad asciugare i piatt,i muovendo un po' più intensamente lo straccio, al ritmo incalzante della canzone. – Quell'uomo sarai che adesso non sei tuuu – allungarono la "u" fino a che non sparì la voce ad entrambi, facendoli scoppiare a ridere.

La bionda si sorprese ancora di più nel rendersi conto che Luke sapeva a memoria la canzone tanto bene quanto lei che, tra le altre cose, rubava il dvd di Mulan dalla videoteca di uno dei suoi collegi al fine di poterselo guardare di nascosto. Era sempre stata la sua eroina senza macchia e senza paura, che sfidava le convenzioni, la società, facendo valere sé stessa. Sapere che Luke l'apprezzava tanto quanto lei, le fece scaldare il cuore più di quanto si sarebbe potuta aspettare.

- Sopravviverete spero ma non so. Io combatterò ma senza voi quindi va! – esclamò Luke, facendo scattare una mano, col dito puntato, verso destra, schizzando Annabeth in volto. La ragazza sputò la schiuma dei piatti via dalla bocca, colpendolo Luke al braccio senza smettere di cantare.

- Ed adesso darà una bella lezione a tutti recuperando la freccia!.. L'uomo che cerco io non sei tu! E sarai veloce come è veloce il vento – cantò, a voce troppo alta ma col cuore troppo pieno perché potesse preoccuparsene davvero mentre Luke, al suo fianco, agitava le mani a ritmo della canzone, schizzando lei ed il muro sopra le voci dei soldati dell'imperatore. – E sarai un uomo vero senza timore e sarai potente come un vulcano attivo! Quell'uomo sarai che adessoooooooooo sei tu!

- YA! – gridarono forte entrambi, un attimo prima che la canzone potesse finire, lasciando il posto ad un'altra nella playlist di Luke.

- Quel cazzo di calcio volante – esordì il biondo, abbandonando la schiuma sul lavandino libero di stoviglie sporche. – Voglio imparare quel cazzo di calcio volante.

Annabeth asciugò velocemente gli ultimi bicchieri, lasciandoli sul lavello ed abbandonando l'asciugamano lì vicino. – Ma quale? Quello che fanno alla fine con i bastoni?

Luke annuì con veemenza. – Proprio quello. Vuoi del caffé?

La ragazza annuì. – Si. Dovresti impararlo e poi insegnarcelo in palestra. Quanto può essere difficile?

L'amico fece un paio di passi all'indietro, abbastanza perché la schiena potesse quasi aderire contro la porta finestra sul fondo della cucina. – Non troppo, immagino.

Annabeth sbarrò gli occhi, avvicinandosi alla porta di spalle. – Non vorrai provare a farlo adesso, spero – borbottò, terrorrizata, osservando con le palpebre spalancate l'espressione determinata di Luke, davanti a lei.

Ovviamente voleva provarlo in quel momento. Ma un attimo prima che potesse completare quello stesso slancio che aveva iniziato a prendere, la voce di Talia invase la cucina. – Latte ai fiori di loto per tutti! – esclamò, spingendo Annabeth a voltarsi verso di lei solo per notare Percy che, alla sue spalle, aveva gli occhi gonfi di sonno ed i capelli scuri ancora meravigliosamente scompigliati. – Mi avete svegliato. Voi e la vostra Mulan del cazzo.

- Ehi! – esclamò Luke prima che potesse farlo Annabeth, puntando un dito in direzione della mora, avanzando verso di lei. – Mulan non è del cazzo. Ha salvato la Cina! – continuò con veemenza, talmente tanta che Talia, per qualche istante, non seppe che rispondere.

Lo stridore della sedia che veniva spostata sul pavimento ruppe i ragazzi da quell'assurda dimenzione nel quale erano piombati, spingendoli a voltarsi verso Percy col capo posato sul pugno e gli occhi chiusi. – Mi fate del caffé, per favore?

***

Luke si passò una mano sulla fronte, osservando Talia per tutto il tempo mentre lo superava in soggiorno, recuperando il cappotto dall'attaccapanni. – Sarà una lunga serata – borbottò, infilandosi velocemente il suo, recuperando poi le chiavi dal mobile sotto allo specchio davanti a lui.

Percy sbarrò gli occhi verdi così tanto che, per un solo secondo, Annabeth ebbe paura potessero uscirgli fuori dalle orbite. – Lo dici a me? – esclamò, gesticolando verso alla scollatura del vestito che le risaltava il seno.

Istintivamente, Annabeth si coprì col cappotto pesante, sorridendo verso il pavimento, osservando la punta tonda delle scarpe alte un attimo prima che un braccio potesse avvolgerle i fianchi. Quando sollevò lo sguardo, sorrise un po' di più davanti agli occhi verdi di Percy, chiudendo i propri quando si chinò su di lei, baciandole la tempia. – Sei bellissima. – mormorò, – E mia – aggiunse, mordendole il lobo dell'occhio delicatamente, stando attento perché quel gesto passasse inosservato agli occhi di Talia e Luke.

Annabeth strinse un po' di più il lembo della giacca del ragazzo tra le dita, accostandosi a lui con più intensità, quasi volesse entrargli direttamente nelle costole. Ne respirò il profumo buono che era un misto di lui, della boccetta costosa di Luke e Talia e di lei e sorrise senza la necessità di alzarsi sulle punte, agevolata dai tacchi, per potergli baciare l'incavo tra il collo e la mascella.

- Siete pronti? – domandò Talia, una mano pallida già a stringere la maniglia della porta in legno ed i due ragazzi annuirono con un sorriso, stringendosi un po' più forte quando la aprì, lasciando che il freddo, un po' canadese ed un po' statunitense potesse invadere il salotto prima così caldo.

Fu Luke a guidare verso al pub con Talia che, molto più serenamente a dispetto della prima volta che erano saliti in macchina assieme, lo guidava verso un pub sotto agli stessi portici del Pull&Bear.

Annabeth si strinse nel cappotto, affondando un po' di più i pugni nelle tasche mentre osservava la via troppo affollata e troppo illuminata dalle luci di Natale che, si, era proprio ora di togliere. Natale era già passato da sei giorni. Qual era la necessità delle persone di continuare a mantere quel clima.

Era una cosa così stupida. Così contro producente. Il disperato tentativo di aggrapparsi a qualcosa di così falsamente bello al fine di dimenticare gli orrori che vivevano quotidianamente.

- Il primo shot lo fai con me! – esclamò Talia, prendendola a braccetto e facendola sussultare, liberandola da quei pensieri così autodistruttivi.

La bionda deglutì, stringendo un po' più forte il pugno dentro la tasca del cappotto. – è carino questo pub? – domandò mentre vi si avvicinavano e lei iniziava a vedere sempre più chiaramente l'insegna esterna.

- Non lo so – rispose la mora al suo fianco, sollevando le spalle strette nel cappotto scuro. – Trip Advisor diceva di sì. Io mi sono fidata delle recensioni.

La bionda scoppiò a ridere, ignorando la morsa che, prepotente, le stringeva gelida lo stomaco, senza lasciarla andare.

Voleva andarsene da lì ma io suoi amici volevano festeggiare il capodanno e lei doveva lavorare su questo suo essere così schifosamente stramba la maggior parte delle volte.

La musica arrivava attutita dalla porta a vetro bordata di legno del pub e sorrise nell'osservare che le persone, al suo interno, sorridevano, sorseggiando drink e muovendosi al ritmo della musica. Fu Luke a spingere la porta prima che potesse farlo lei, lasciando che un dolce torpore che sapeva di birra e sudore le invadesse le narici. E la musica, molto più forte di quanto si sarebbe aspettata, le avvolse le orecchie assieme alle risate delle persone che, felici, aspettavano solo la loro mezzanotte. Ed Annabeth sorrise perché anche se lo stomaco era sempre chiuso in una morsa, i suoi amici accanto a lei erano felici e le persone, in quel pub, erano ugualmente felici e perché lei non avrebbe dovuto provare ad esserlo?

- Non volevi uno shot? – esclamò, intrecciando le dita a quelle della mano di Talia che gridò, ebbra di felicità quando la tirò verso il bancone il legno.

Scoprirono che c'era una promozione. Cinque dollari, cinque shot. Tre drink, tre dollari. Ed avevano anche scoperto che quel pub era grande abbastanza perché potessero ballare assieme a persone che avevano appena conosciuto. E perché lei stessa potesse girarvi cosi piacevolmente, muovendosi a ritmo della musica e ballando contro alle pareti, scontrandosi tra le persone e le decorazioni natalizie che non le davano più fastidio.

Si erano tolte i tacchi mentre ballavano, abbandonati, assieme ai loro cappotti, sui divanetti che avevano miracolosamente trovato liberi in un angolo della sala. E le ginocchia avevano ceduto un paio di volte mentre si muovevano, circondati da sconosciuti che sorridevano e ballavano con loro senza mai dargli fastidio. Si erano presentate ad un paio di ragazze, ballato con loro prima che Percy e Luke potessero raggiungerle, attaccando i fianchi ai propri e muovendosi assieme a loro per qualche canzone.

Era bello stare in quel pub ed Annabeth, quello, l'aveva capito persino prima di avere abbastanza alcool in corpo da farle girare splendidamente la testa, facendole credere che le gambe fossero molto più molli del normale. La musica era orecchiabile e lei e Talia erano in grado di ballare ogni singolo verso di ogni singola canzone che veniva sparata dalle casse, agitando le braccia ed i fianchi, con i sorrisi a stendere le labbra che non riuscivano a sentirsi.

Talia le prese la mano, facendola girare sotto al suo braccio ed Annabeth barcollò in una risata, attaccandosi a lei, abbracciandola prima che potessero ricominciare a muoversi a ritmo di musica, assieme a due ragazze che avevano conosciuto qualche minuto prima. Avevano perso Percy e Luke ma, sicuramente, non dovevano essere andati troppo lontani, o al bancone o seduti al tavolo e, tra le altre cose avevano troppo alcool in circolo per potersene preoccupare davvero.

Annabeth era certa avrebbe potuto spiccare il volo. Proprio lì. Proprio dentro a quel pub, poggiando i piedi contro ai muri, dandosi la spinta per poi ripartire, le braccia aperte a fendere l'aria e le gambe chiuse perché, altrimenti, avrebbero tutti visto sotto al vestito ed in quel punto poteva andarci solo Percy.

Assolutamente.

Annuì, decisa, al pensiero, allargando un po' le gambe per poter scendere sui talloni, all'altezza del pavimento, assieme a Talia che le teneva i fianchi e che non era troppo preoccupata del tessuto del vestito che si alzava sulle sue cosce.

Era bellissima, Talia. Con le guance rosse per il caldo, il bel vestito a segnarle le forme ed i capelli scurissimi, sciolti sulle spalle. Ed era la sua migliore amica. Le prima che Annabeth avesse mai avuto ed era la persona più fortunata al mondo perché, di Talia Grace ce n'era solo una ed era proprio lì, a ballare davanti a lei. Ubriaca tanto quanto lei. A sostenerla tanto quanto avrebbe sempre fatto lei.

- Se non fossi la mia migliore amica e non stessi con Percy, penso proprio ti bacerei – dichiarò, infilandole una mano tra i capelli sulla nuca, gridandole all'orecchio nella speranza di farsi sentire oltre al volume alto della musica.

- Anche io! – rispose Talia il secondo dopo, allontanandosi solo perché potessero scoppiare a ridere assieme, gettando il capo all'indietro. – Devo andare in bagno! – annunciò, avvicinandosi a lei ancora una volta ed Annabeth la prese per mano, lasciandosi guidare verso le porte in fondo alla sala, dalla parte opposta al bancone dove, in un'occhiata veloce, Annabeth riuscì ad individuare le teste di Percy e Luke.

Quando arrivarono al bagno, controllando con più attenzione del necessario che non avessero sbagliato, scoprirono ci fosse una porta scorrevole e Talia vi si buttò sopra, giusto per essere certa di aprisse correttamente. Barcollò violentemente contro allo stipite della porta, crollando poi in avanti, verso le piastrelle chiare del bagno, evitando il gabinetto accanto a lei per puro miracolo.

Annabeth scoppiò a ridere, seguendola ed intrecciando troppo le gambe mentre entrava in bagno, crollando a sedere a terra, tentando, inutilmente, di acchiappare la maniglia della porta scorrevole per poterla chiudere.

Talia soffiò una risata tra le labbra, alzandosi il vestito sopra al sedere prima di barcollare ancora, sbattendosi contro lo zainetto del gabinetto.

- Aspetta! – esclamò Annabeth, senza riuscire a smettere di ridere, issandosi difficilmente su un ginocchio e gettandosi contro la maniglia della porta mentre Talia aveva già iniziato ad abbassarsi le calze e le mutande. Rischiò di cadere fuori dal bagno ma chiuse la maniglia di plastica tra le dita prima, dandole uno strattone per poterla chiudere con un brutto tonfo.

Talia rise ancora, cadendo pesantemente sul gabinetto prima di poter riuscire a fare pipì, spostandosi non appena ebbe finito, per poter lasciare il posto ad Annabeth.

Quando fu il momento di tirarsi su le calze, entrambe le ragazze scoprirono fosse molto più difficile quello di tirarle giù e furono necessarie qualche spallata ai muri freddi del bagno prima che potessero uscire con i vestiti tirati lungo le gambe alla bell'e meglio.

Annabeth cadde contro al lavandino, ridendo quando Talia tentò di acchiapparla prima che potesse sbattere la schiena al muro, senza però riuscirvi. Si abbracciarono, tenendosi poi ben strette tra braccia attorno alle spalle ed ai fianchi mentre uscivano nella sala principale del pub. Vennero avvolte da un ormai familiare odore di birra e sudore e sorrisero entrambe, barcollando tra la folla a piedi nudi.

- Ma è già passata la mezzanotte? – domandò Annabeth, fermandosi al centro della sala e trascinando Talia con sé che barcollò pericolosamente all'indietro prima di riuscire a fermarsi.

Sollevò le spalle magre, avvolte dal braccio della bionda e poi scoppiò a ridere, trascinandola facilmente. – E che ne so, io. Intanto mi diverto.

Annabeth ci pensò per un secondo prima di realizzare non le importasse realmente, sollevando le spalle e gettando uno sguardo al bancone. Vide Percy tra la folla, bellissimo mentre sorrideva, con gli occhi verdi luminosi come al solito e decise di avere voglia di un altro drink.

- Ho voglia di un altro drink.

Talia non ci pensò troppo, la seguì a ruota, camminando più velocemente non appena vide Luke. Era seduto accanto a Percy che, però, non parlava con lui.

Ed Annabeth non si preoccupò di individuarlo perché il suo ragazzo era così bello, con le guance un po' arrossate per il caldo e l'alcool e lei così euforica, eccitata e fuori controllo, che lasciò andare Talia non appena si proteste verso il biondo, gettandosi tra le braccia di Percy senza troppi ripensamenti.

- Ehi! – esclamò il ragazzo in una risata, avvolgendole i fianchi con le braccia, aprendole le mani sulla schiena prima che lei potesse cingergli il volto con le proprie, baciandolo. Si sistemò meglio tra le sue gambe, strusciandosi contro di lui, celando, con le dita, le bocche aperte, le lingue che, ormai sapienti, si esploravano lentamente, languidamente, facendole correre un brivido lungo la schiena a stringerle il basso ventre. Percy rafforzò la presa sul suo vestito, stringendolo tra i pugni ed Annabeth chinò il capo di lato per poter avere un accesso maggiore alla sua bocca, protendendosi ulteriormente contro al ragazzo, facendo aderire i loro petti.

Se la testa già le girava prima, in quel momento perse qualsiasi altra capacità di intendere e volere che non fosse strettamente correlata a Percy ed il sesso con lui.

Quando si allontanarono l'uno dall'altra e ad Annabeth piacque davvero pensare che il suo volto fosse eccitato e bellissimo quanto quello di Percy, gli occhi del ragazzo saettarono oltre la sua spalla e le labbra si stesero in un sorriso di scuse.

- Non ci vedevamo da almeno dieci minuti – scherzò ed Annabeth corrugò la fronte, chiedendosi il perché fosse necessario, in quel momento, prestare attenzione a chiunque altro non fosse lei. – Annabeth, lui è Daniel. Daniel, lei è Annabeth, la mia ragazza.

La bionda si voltò, consapevole che con tutto l'alcool che aveva in corpo non sarebbe riuscita a mettergli a fuoco neanche il naso, un secondo prima che, davanti ai suoi occhi grigi, improvvisamente lucidi, si parassero due iridi color ghiaccio. Erano affilati quegli occhi, penetranti, spaventosi e terribili ed il cuore saltò un battito perché lei, quegli occhi, li conosceva benissimo.

Le gambe cedettero e lei ringraziò di essere tra quelle di Percy che le impedirono di ruzzolare a terra mentre, la nebbia che aveva in voltò si schiarì, lasciando spazio alla paura più cieca.

Perché, col cuore che batteva all'impazzata ed il respiro che si rifiutava di uscire dalle sue narici o dalla sua bocca, lo riconobbe. E sembrava non essere invecchiato di neanche un giorno.

Erano passati quasi dieci anni e lui era sempre identico. Terribile, orrendo, spaventoso, minaccioso, potente e lei smise di sentire qualsiasi cosa perché Mr. Morrison era lì, davanti a lei, a parlare col suo ragazzo e non esisteva nient'altro se non la sua paura cieca.

Tentò invano di parlare ma non ci riuscì perché era lì e perché aveva ragione, lui era rimasto e lei era talmente terrorrizzata da non riuscire a muovere un muscolo.

Poteva dirlo a Percy. Poteva gridarlo. Mi ha violentata. Mi ha violentata quando era solo un bambina, abbastanza forte perché potesse sentirlo anche Luke, abbastanza forte perché potesse sentirlo il mondo intero. Ma non riusciva a fare niente.

Vide solo di sfuggita la sua mano enorme, così più schifosamente grande della propria, allungarsi verso di lei e si chiese come facesse a fingere così bene. A far finta che non fosse mai successo nulla.

Sei solo mia.

Ed era vero. Perché le gambe di Percy attorno ai suoi fianchi non le sentiva più. Il suo petto contro la sua schiena non lo sentiva più. Le sue mani sul suo corpo non le sentiva più. Il suo calore confortante, il suo respiro contro la sua pelle, non li sentiva più.

Sentiva solo gli occhi di Mr. Morrison, fissi nei suoi, il sorriso, gelido quanto il suo sguardo, malizioso, perverso che non scopriva i denti.

Ed il cuore smise di battere alla consapevolezza che fosse ancora, inesorabilmente, terribilmente, orribilmente sua.

Non riusciva più a respirare. Doveva prendere aria. Era come se una mano congelata le stesse stringendo la gola e lei sapeva perfettamente a chi appartenesse.

La testa vorticò con talmente tanta violenza che neanche un'intera bottiglia di tequila bevuta da sola le avrebbe fatto quello stesso effetto e si spostò di lato, sgusciando via dalle gambe di Percy, sfiorando accidentalmente il ginocchio di Mr. Morrison della gamba poggiata allo sgabello sul quale era seduto. Non riuscì a trattenere un conato di vomito che le contrasse i muscoli e spinse le persone che la separavano dall'uscita, togliendole il fiato.

Era lì.

Era il suo incubo peggiore ed era lì. Non l'aveva lasciata andare. Era e sarebbe sempre stato parte di lei e non poteva fare nulla per cambiarlo. Mr. Morrison era lì, a controllarla, a stringerle la gola e lei voleva soltanto che la smettesse. Che smettesse la testa di girarle così tanto, che smettesse il cuore di batterle così forte, impedendole di respirare. E quando riuscì ad arrivare alla porta, spalancandola, non riuscì a sentire il freddo. Non riuscì a sentire assolutamente nulla.

Si portò le mani tra i capelli, barcollando in avanti e realizzando, solo in quel momento, di essere scalza. Tentò di aggrapparsi a quel dettaglio, tentò di aggrapparsi a quello scorcio di umanità per far smettere alla testa di girare senza riuscirci, buttando il capo all'indietro nella speranza di poter respirare più facilmente.

Una mano le si poggiò sulla spalla e lei cacciò un grido, saltando in avanti, voltandosi di scatto solo per poter vedere gli occhi feriti, confusi e non più luminosi di Percy. C'era una tristezza profonda nel suo sguardo ed il suo cuore vacillò prima che potesse vedere i suoi occhi, gelidi, dietro alle vetrate.

Sei mia.

- No! lasciami stare! – urlò, proprio nel momento in cui Percy provò ad allungare nuovamente una mano verso di lei, lasciandola sospesa a mezz'aria tra loro due.

La guardò e quella tristezza la colpì dritta al petto, facendole riempire gli occhi di lacrime. Basta.

Sei mia.

Io sono l'unico che è rimasto.

Non è vero.

- Annabeth, cosa ti sta succedendo? – mormorò ed Annabeth scosse la testa. Come avrebbe potuto dirglielo quando lui era lì? Come avrebbe potuto crederle? Come avrebbe potuto continuare ancora a stare con lei? Non appena avrebbe scoperto quanto difettosa fosse, non ce l'avrebbe fatta a stare con lei. Non ci sarebbe più riuscito e l'avrebbe abbandonata, come avevano fatto tutti.

Io sono l'unico che è rimasto.

Ringhiò, Annabeth, stringendosi forte i capelli tra le dita senza riuscire a trattenere le lacrime che le solcarono le guance, raggiungendole le labbra.

- Ti prego – la implorò il ragazzo, senza osare fare un passo verso di lei. – Ti prego – fece, voltando la mano, facendo si che il palmo fosse proteso verso l'alto, verso di lei. – Vieni con me. Chiamiamo Talia e Luke e torniamo a casa. Ti prego, Annabeth – la voce rotta, la paura e la confusione che avevano preso il sopravvento anche su di lui. – Ti prego, vieni con me.

Ma lui la fissava ancora oltre le vetrate. Lo sguardo gelido, divertito perché sapeva di aver vinto ancora e lei non aveva i mezzi per potersi opporre.

Sei mia.

Io sono l'unico che è rimasto.

- No! – urlò. – Lasciami! – ed il fiato le mancò ancora. Annaspò alla ricerca d'aria e Percy barcollò indietro di un paio di passi, come se l'avessero pugnalato dritto al petto, con una violenza inaudita.

- Abbiamo bevuto – tentò di razionalizzare il ragazzo. – Torniamo a casa, Annabeth e ne parliamo domani mattina a mente lucida. Posso dormire sul divano, se vuoi, va bene? Tu stai sul letto, così non devo starti vicino e domani parliamo – La guardò ancora, gli occhi enormi svuotati di qualsiasi forza, la mano che tremava sotto alle luci delle lanterne dei portici.

E quella mano era come un'isola dopo giorni di mare, era come la luce infondo al tunnel, era come un appiglio mentre cadevi dritto in un burrone.

Ed Annabeth pianse ancora di più, con le lacrime che si infilavano tra le labbra e gli occhi, quegli occhi così gelidi a penetrarle la testa che le impedivavano di pensare a nient'altro se non all'evidenza che non si meritasse niente. Che non si meritasse un ragazzo come Percy, disposto a darle tutto senza pretendere niente. Disposto ad aspettarla, a salvarla, a lasciarla andare via con la speranza che sarebbe tornata. Fiducioso nel poter sconfiggere quelle stesse ombre che la avvolgevano e che, in quel momento, si chiudevano attorno a lei in spire gelide, fredde quanto lo sguardo che, ancora, la penetrava con insistenza dietro al vetro del pub.

E fu per quello che Annabeth se ne andò, voltando le spalle al ragazzo che amava. Ai suoi occhi tristi, alla mano tremante che, ancora una volta, avrebbero aspettato il suo ritorno, senza seguirla. Perché Percy era così, si fidava di lei abbastanza e la amava a tal punto da lasciarla andare perché, in fondo, sapeva sarebbe sempre tornata. Ma quando Annabeth se ne andò, correndo lontano sotto ai portici, con le lacrime che le offuscavano la vista e le bagnavano le guance, non pensava sarebbe riuscita a tornare.

Come avrebbe potuto dopo che aveva rovinato Percy ancora una volta. Dopo che l'aveva distrutto, senza riuscire a combattere i suoi demoni. Dopo che si era resa conto di non poter meritare un'anima come la sua. E fu per quello che, quando si sentì chiamare, da quella voce aspra, canzonatoria, che sapeva già di aver vinto, si fermò, voltandosi verso Mr. Morrison.

Si abbracciò il corpo con le braccia, il freddo che mai era stato più letale di quel momento e tremò ad ogni passo che l'uomo faceva verso di lei, lento, calcolato, come se avesse tutto il tempo del mondo e lei non stesse morendo ogni istante di più.

Non poteva opporsi, Annabeth. Come mai ci sarebbe potuta riuscire? Quando era lui ad averla plasmata. Lui ad averla creata.

Si era solo illusa di poter ricominciare. Solo illusa di essere riuscita a sconfiggere lui, i suoi fantasmi e le sue tenebre senza rendersi conto che Mr. Morrison e la sua oscurità non erano mai stati più reali e concreti di quel momento.

**Le dita fredde, così orribilmente lunghe, si chiusero contro alle sue braccia, più gelide di quanto Annabeth si sarebbe potuta aspettare e la trascinarono dietro al muro, celandola alle luci, avvolgendola tra le tenebre.

La strada era deserta. Erano tutti dentro qualche locale a festeggiare il capodanno ma Annabeth non riusciva a sentire niente. La paura. L'orrore. Aveva solo freddo ed a quello non poteva opporsi.

Aveva vinto lui. Mr. Morrison l'aveva vinta ancora una volta e lei non riuscì ad odiarsi perché era già morta, inghiottita dalle ombre che avevano sempre aleggiato attorno al suo cuore, pronte a colpirla nel momento in cui sarebbe stata più debole.

- Sei ancora più bella, adesso – sibilò l'uomo ed Annabeth, nonostante il buio, sentì il suo sguardo freddo sul suo corpo. Le strinse un seno con la mano, forte, nel tentativo di marchiarla ancora, lasciare il segno sulla sua pelle e lei non riuscì ad opporsi. Era persa, lontana e neanche lui e la sua pervesione sarebbero riusciti a raggiungerla, quella volta. – E sei mia – incalzò, plasmandole una mano contro al suo centro, sotto al vestito. – Perché io – continuò, cercando il suo punto più sensibile con le dita, oltre le calze e le mutande, affondando il volto verso al collo. – Sono l'unico che è rimasto. E tu meriti solo me.

Le morsicò le pelle ed Annabeth rovesciò la testa all'indietro, sbarrando le palpebre. Avrebbe dovuto sentire qualcosa ma non ci riuscì. Sentiva solo freddo e le ombre che la avvolgevano sempre più stretta.

Aveva ragione.

Era l'unico che era rimasto.

Era ancora a lì, a distanza di quasi dieci anni. Non l'aveva abbandonata. Era rimasto e lei si meritava solo quello. Le mani che, frenetiche, le tiravano su il vestito, abbassandole le mutande e le calze in un solo colpo. Le dita più fredde di quelle ombre a stringerle le cosce prima di penetrarla velocemente ed Annabeth non sentì nulla perché era morta.

Morta dal primo istante in cui lui le aveva aperto le sue gambe da bambina, entrando in lei da prima che potesse avere il menarca. Dal primo istante in cui, tenendosi alla testiera del suo letto decorato con gli adesivi delle Winx, le aveva chiesto di gemere, perché a lui piaceva così.

E ci aveva provato, Annabeth. Ci aveva provato davvero e Mr. Morrison aveva vinto ancora. L'aveva sempre fatto.

Le chiese di toccarglielo e lei lo fece, stringendolo forte perché si ricordava gli piacesse. Gli chiese poi di accarezzarglielo, di fare un po' più piano e lei lo fece mentre lui passava a toccarle il seno da sopra al vestito, protetto dalle sue ombre. E poi gli chiese di aprigli i pantaloni. "Mi sei mancata" le disse ed Annabeth non riuscì a sentire niente. Disgusto, orrore, paura. Sentì solo freddo e per quello, raggiunse la fibbia della cintura con dita tremanti mentre lui fremava davanti a lei, ansimando con gli occhi che, sempre gelidi, adesso erano anche eccitati.

Continuò a farle complimenti. A dirle quando fosse sexy. Quanto fose cresciuta bene e quanto, quel ragazzo, fosse molto meno di lei. E solo quando parlò di lui, Annabeth corrugò la fronte. Era il suo Percy, quello di cui parlava.

Perché non chiudeva la bocca?

Esitò mentre toglieva la cintura dai passanti, troppo a lungò perché Mr.Morrison si spazientì, incalzandola con le sue mani perché facesse più in fretta. L'eccitazione che non riusciva più ad essere contenuta dentro ai suoi pantaloni e fu quando le spinse le mani che metallo si sbatté ad altro metallo, attirando la sua attenzione.

** Era l'anello di Percy, quello. Quello che le aveva regalato a Natale e che, al suo interno, portava inciso "Save".

Per giorni si era chiesta cosa volesse dire. Se volesse dire salvare qualcuno, salvarsi, essere salvata ed in un film, come se fosse stata in una pellicola anni cinquanta, si ricordò di quella notte di Natale, quando Percy glielo aveva messo al dito la prima volta. Si ricordò di quanto fossero felici, seduti sul loro letto e si ricordò del calore che l'aveva avvolta quando, la notte, sveglia accanto a lui, beatamente addormentato, aveva osservato l'anello ancora una volta, al chiarore della luna. Mosse la mano, abbastanza perché, un raggio timido potesse colpire il metallo del suo anello persino in quel momento.

Erano bellissimi ed erano suoi.

Erano difettosi, distrutti, tristi, spaventati ma, forse, quando era assieme, riuscivano ad esserlo un po' meno.

Talia era un po' meno arrabbiata, Luke era un po' meno solo e Percy era un po' meno spaesato e lei, era un po' meno la Annabeth terrorrizzata che era scappata di casa con la speranza di non affezionarsi mai a nessuno.

Ci aveva rinunciato, alla fine. Era convinta di aver perso contro ai suoi sentimenti nel momento in cui si era legata a Percy, a Talia ed a Luke, prima di realizzare che non avesse mai perso ma fosse, in realtà, riuscita a vincere.

Ecco che cosa voleva dire quel "Save". Voleva dire salva qualcuno, voleva dire salvali, salvalo, salvala, salvatevi. E voleva dire, salvati da sola, senza mai smettere, con la consapevolezza che, mai più, lo sarebbe mai stata.

Perché, anche se si fosse salvata da sola per l'ennesima volta, avrebbe avuto qualcuno a cui raccontarlo. Avrebbe avuto qualcuno che l'avrebbe accolta a braccia aperte e che l'amava troppo anche solo per pensare di giudicarla. Qualcuno che l'avrebbe portata in macchina, con la musica alta ed i finestrini abbassati, il vento piacevolmente freddo contro il braccio sporto verso l'esterno e la gola che faceva male per il troppo cantare.

Qualcuno che le avrebbe sempre tenuto un posto a tavola e del caffé al caldo. Qualcuno che avrebbe gioito con lei dei suoi successi e pianto per i suoi insuccessi, guardandola rialzarsi, vegliando su di lei nel caso di fosse dimenticata di essere forte abbastanza per potercela fare da sola.

E lei ce l'avrebbe fatta da sola semplicemente perché, paradossalmente, non lo era più. Era Annabeth Chase con Talia che la faceva ridere, che si svegliava sempre tardi e che l'aveva abbracciata, ascoltata, permettendole di piangere sulla sua spalla senza battere ciglio. Con Luke che aveva creduto in lei dal primo giorno, che le aveva insegnato a difendersi, facendole capire quanto potesse essere forte. Con Percy che l'aveva amata nonostate lei avesse cercato di respingerlo. Che l'aveva guarita, che aveva fatto breccia nel suo cuore scrivendovi il suo nome. Che, anche in quel momento, ferma al buio ed avvolta dalle ombre, le ricordava fosse forte abbastanza da potersi salvare.

- Ti darò quello che ti meriti – ansimò l'uomo, stringendole forte i polsi tra le mani. – Forza! – la incalzò e la rabbia montò bollente del petto di Annabeth, impedendole di sentire il freddo. Il cuore prese a battere velocemente, gli occhi si assottigliarono e strinse forte i pugni fino a che l'anello, all'anulare destro, non le fece male.

- Tu non mi meriti – ringhiò. – Ed io non merito tutto questo – sollevò un ginocchio, colpendogli il membro eccitato forte abbastanza da farlo piegare in due, in un gemito sofferto. Non lo ascoltò quando tentò di insultarla, calciandolo alla spalla, facendolo sbattere allo sportello di una macchina dietro di lui in un'imprecazione di dolore.

Salvarsi ed essere salvata era sempre dipeso da lei. Ogni volta. Non era stato il destino, il caso fortuito a permetterle di arrivare dov'era arrivata, a permetterle di essere chi era. Era sempre stata lei che si era opposta quando le cose non le andavano più bene, che aveva accolto Percy, Talia e Luke nella sua vita, imponendosi di avere paura. E dipendeva da lei anche in quel momento chiudere col suo passato una volta per tutte.

Perché aveva deciso di smetterla di fuggire e di salvarsi.

Riuscì a vedere solo all'ultimo l'uomo che si scagliava contro di lei in un grugnito ma si spostò abbastanza in fretta da potergli rifilare una gomitata non appena fu al suo fianco. E lo fece con tutta la rabbia che le montava in corpo, la stessa che aveva sempre sfogato su altre persone, che aveva sempre sfogato su un sacco in palestra, che aveva sempre sfogato persino su Percy.

E lo voltò velocemente, attaccandolo al muro e colpendolo al volto con un pugno, carico della sua paura e del suo terrore. Lo acchiappò per le spalle, chianandolo verso di lei, colpendolo al naso con un ginocchio, riempito della sua confusione, del terrore di una bambina che voleva solo qualcuno che la amasse, della furia di una giovane donna che era stanca che qualcuno potesse ancora impedirglielo.

E lo colpì ancora, ed ancora, ed ancora con tutto quello che aveva. Con i pugni, con i calci fino a che, in un ultimo gesto di rabbia, con lo spinse lateralmente a terra, in un tonfo scomposto.

Si inchinò, cercando a testoni il suo volto, schiacciandolo contro al marciapiede con una mano non appena riuscì a trovarlo. – Io – disse, piegandosi abbastanza perché fosse alla sua stessa altezza. – Merito – sibilò. – Di essere felice.

E quando lo lasciò andare, abbassandosi il vestito e spostandosi i capelli biondi sulle spalle, sentì le persone che facevano il conto alla rovescia a gran voce, il freddo invernale ma un calore che si propagava dal petto, meravigliosamente potente.

Ed adesso, lo sapeva, il freddo non le avrebbe più dato fastidio. E cominciò a correre, svoltando l'angolo ed attraversando i portici a grandi falcate nel tentativo di arrivare al pub il prima possibile.

In fondo, aveva una festa di Capodanno alla quale tornare.


Angolo Autrice:

Tornata! ed il prossimo sarà proprio l'epilogo. Annabeth non aveva mai chiuso col suo passato e questo momento, il momento in cui punta realmente i piedi, sfogandosi con chi di dovere e smettendola di tenersi tutto dentro, era necessario perché potesse terminare di svilupparsi ed essere finalmente felice. Non ho mai subito uno stupro né l'ha subito qualcuno vicino a me ma ho cercato comunque ti rappresentare il modo in cui potesse sentirsi una ragazza ed il momento in cui, dopo comunque molti anni, mette sè stessa prima del suo passato.

Non ho mai subito uno stupro ma ho sofferto, abbastanza da pensare di farla finita, convinta che non valessi niente ma è solo quando ho aperto gli occhi, realizzando quanto, le persone che mi circondavano mi volessero bene, mi sono risollevata. Ho pulito i miei jeans e adesso sono qui, con dei diciotto anni che mi stanno benissimo, una maturità che non mi fa paura e delle persone che sono disposte ad ascoltarmi anche se, per questo, mi ci è voluto un po' a capirlo.

è questo il messaggio che spero sia passato con l'esperienza di Annabeth. Nessuno si salva da solo e nessuno è mai realmente solo anche se, le circostanza, potrebbero farci pensare il contrario. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo ed io spero davvero sarete ancora qui con me.

Vi voglio bene, fiorellini e grazie mille per tutto!:**

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