Feel something so right doing the wrong thing
Non poteva parlarne con Talia. Avrebbe potuto parlarne con chiunque altro, ma sicuramente non con la migliore amica del ragazzo che aveva baciato in un cavolo di salotto che puzzava d'alcool.
Talia l'avrebbe uccisa. E poi l'avrebbe spinta tra le sue braccia e-si- sarebbe stata anche la dannata cosa giusta da fare.
Ma lei non voleva. Non voleva sentirsi dire che con Percy sarebbe stata bene. Non voleva sentirsi dire che con Percy sarebbe stata amata. Non voleva sentirsi dire che -forse- anche Percy sarebbe stato disposto a bilanciare i pesi del loro passato assieme.
Non voleva perché non poteva. Perché l'avrebbe rovinato. Perché aveva troppo schifo sulle spalle perché potesse rischiare di spostarlo anche su Percy. Non poteva farlo a lui o a sé stessa. Perché non se lo meritava. Lei non si meritava Percy. Non l'avrebbe mai fatto.
Perché lui era bellissimo. E lui l'avrebbe amata tanto e come avrebbe voluto lei. Ma Annabeth l'avrebbe rovinato, perché era così che faceva. E, anche se non l'avesse rovinato, poi si sarebbe stancato. Perché nessuno la voleva davvero. Perché neanche il padre la voleva. Perché neanche la sua mamma l'aveva voluta. Perché neanche la sua matrigna la voleva o i suoi fratelli che, chissà come stavano adesso.
No, non poteva parlarne con Talia.
La domenica prima era riuscita ad rientrare in camera senza che Talia si accorgesse le avesse preso la macchina in prestito per due intere ore. Era già sveglia quando era rientrata ma Annabeth era stata previdente, abbastanza da passare nella caffetteria, prendendo due caffé lunghi senza zucchero per entrambe:"per il post-sbornia" si era giustificata, liberandosi delle calze bagnate non appena Talia si era voltata per guardare il telefono, posando poi -senza il minimo rumore- le chiavi sulla scrivania, accanto al libro di letteratura vicino al quale le aveva trovate.
Aveva pianto, seduta per terra, contro al copertone dell'auto, davanti al vomito che non le dava abbastanza fastidio da spingerla a spostarsi. Aveva una bella vista dalla piazzola nella quale si era fermata ma non era riuscita a godersela a pieno mentre singhiozzava, stringendosi il busto, incapace di mettersi in piedi per il terrore che le gambe molli non la reggessero.
Si era ficcata sotto la doccia senza troppi complimenti e Talia non aveva avuto niente da ridire. Le aveva sorriso, le aveva chiesto se avesse baciato il ragazzo castano, guardandola con più intesità, nella speranza che Annabeth capisse dove volesse arrivare:"ti ha fatto del male?".
"No, abbiamo solo ballato. E sono stata bene."
Non si era accorta di lei e Percy ed andava ben così, perché non avrebbe affatto saputo come giustificarglielo.
- Tutto bene? – domandò la mora, sollevando lo sguardo dallo scarpone che, posato ai piedi del letto, si stava allacciando attorno alla caviglia magra.
Annabeth annuì un paio di volte, deglutendo, ficcando il piede nell'All Star bianca e sporca, sforzandosi di sorridere.
No che non sto bene. Ho letteratura in meno di dieci minuti.
- Hai una faccia – borbottò Talia, osservandola con occhio critico, sistemando il fiocco ai lacci scuri prima di mettersi propriamente in piedi. – Comunque, nessuno ci farà caso. Ci saranno persone che ancora tenteranno di smaltire il cazzo di post-sbornia.
Annabeth rise, nervosa, stringendosi le ginocchia con le mani prima di sollevarsi, appiattendosi il golfo bianco sullo stomaco con dita tremanti. – Già. – Si umettò le labbra solo per realizzare quanto la lingua fosse secca. Si passò una mano tra i capelli e poi sorrise ancora.
Quanto ancora avrebbe potuto continuare, prima che Talia si accorgesse? E come avrebbe dovuto comportarsi?
- Andiamo? Siamo ancora in tempo per la colazione. Magari Percy e Luke ci hanno salvato qualche muffin – esclamò la mora, camminando verso la porta.
Annabeth sussultò al suono del suo nome, fermandosi per un istante davanti al suo letto, osservandolo. Forse poteva rimanersene sotto le coperte, fingersi malata. Ma Percy sarebbe comunque andato a trovarla. Sarebbe andato a cercarla. A chiedere cosa ci fosse di sbagliato.
Lui faceva così. Si preoccupava per lei. Sopratutto quando lei fuggiva e -cavolo- quello di scappare via era un'azione ricorrente nella sua vita.
Talia si fermò davanti alla porta, stringendo la maniglia d'ottone in un pugno talmente forte che le nocche sbiancarono. – Va bene – esclamò, voltandosi di scatto verso Annabeth, assottigliando lo sguardo quando la vide sussultare. – Ho fatto finta di non aver notato le chiavi della mia macchina che mancavano quando mi sono svegliata dopo che tu sei uscita ieri mattina. Ho fatto finta di non notare le calze bagnate, gli occhi lucidi di pianto. Ho anche detto a Luke e Percy di starsene per i cazzi loro perché ancora speravo tu potessi smetterla di trattarmi da stupida. – Sospirò, sorridendo amaramente ed il cuore di Annabeth ebbe un tuffo nel petto. – Ma no. Continui a trattarmi come se fossi una rincoglionita. Pensi che non mi sia accorta ti sia successo qualcosa? – Annabeth indietreggiò di un solo passo davanti a quelle parole, lasciando che le mani tremassero lungo i fianchi. Distolse gli occhi grigi da quelli elettrici di Talia come se, così facendo, sarebbe stata in grado di sfuggire alla loro inquisizione. Lo sguardo della mora si addolcì, le spalle si rilassarono e staccò la mano dalla maniglia d'ottone, flettendo le dita addormentate un paio di volte. – Non voglio obbligarti a parlarne, va bene? Non sarebbe neanche giusto. Ma almeno non trattarmi come se fossi una stupida, d'accordo? Io sono qui per te e non cercare di far finta di nulla perché si vede lontano un chilometro che qualcosa ti ha scosso.
Annabeth annuì ancora, fissandosi la punta sporca delle scarpe come se la risposta ai pensieri e ai dubbi che le vorticavano nella testa fosse proprio lì.
- Adesso andiamo a fare colazione?
Pensò che fosse quello il momento più adatto per lanciare la bomba.
- Io e Percy ci siamo baciati.
Talia si sbatté la porta alle spalle l'istante dopo averla aperta.
Si sedettero sul letto di Annabeth e -forse- stettero lì su per ore. Ed Annabeth gli raccontò tutto. Di quando l'aveva visto baciarsi con Kayla. Dell'alcool per dimenticare. Del ragazzo con i capelli castani che aveva mollato in tronco non appena aveva rivisto Percy non troppo lontano da lei.
Le raccontò della gelosia. Di quando aveva spinto via Kayla senza pensarci troppo, sistemandosi tra le sue braccia, contro al suo petto caldo. Le raccontò di quanto stesse bene proprio lì, così vicino a lui e poi le raccontò di quando era stata lei a baciarlo, del cuore che batteva all'impazzata, della testa che vorticava per ragioni che andavano ben oltre l'alcool. Le raccontò delle sue paure. Le raccontò del vomito e del pianto del giorno prima. Le raccontò dell'ansia. Del non sapere come comportarsi. E poi trattenne le lacrime con una risata perché -si- tutto quello le faceva paura eppure stava così bene. Era tutto nuovo e bellissimo però lei non se lo meritava.
E Talia l'aveva ascoltata, aprendo la finestra per potersi accendere una sigaretta direttamente lì, seduta sul letto della sua amica. L'aveva ascoltata sbarrando gli occhi se era necessario, senza mostrare nessuna emozione quando era Annabeth che ne esplicitava troppe.
- Per me sei una cogliona. – Solo alla fine del suo monologo, la bionda aveva appurato Talia fosse stata in silenzio per troppo tempo. – Percy è il ragazzo migliore del mondo..
- Sapevo l'avresti detto.
- Stai zitta.
- Scusa.
- E ti fa stare bene. L'hai ammesso anche tu. Non mi spiego tutta questa paura, chiaro? È assurda e stupida. Perché lui ti tratterebbe meglio di quanto non abbia mai fatto nessun altro e di quanto non farà mai nessun altro. E tu rischi di fartelo scappare via.
Sapevo l'avresti detto.
Ma Talia non capiva. Forse nessuno lo faceva. Forse nessuno sarebbe mai riuscito a capire il terrore che le attanagliava la gola. Nessuno sarebbe mai riuscito a capire la sua paura logorante, dolorosa, che le faceva battere il cuore troppo velocemente nel petto, minacciando di farglielo scoppiare.
Annabeth non aveva mai avuto garanzie nella sua vita. Nessuna garanzia che Mr.Morrison avrebbe smesso. Nessuna garanzia che il papà sarebbe tornato a voglierle bene. Nessuna garanzia che anche la sua mamma l'avrebbe accolta nella famiglia che aveva deciso di formare. Nessuna garanzia neanche quando era scappata via, saltando di orfanotrofio in orfanotrofio. Lasciandosi alle spalle una piccola parte della sua vita nel tentativo di crearsene una nuova.
Annabeth non aveva nessuna garanzia con Percy e non aveva nessun controllo su ciò che provava, su ciò che era successo con lui. Non aveva nessuna garanzia su come lui l'avrebbe trattata. Non aveva nessuna garanzia su come lei stessa si sarebbe comportata.
Percy avrebbe potuto farle del male.
Lei avrebbe potuto fargli del male.
Come faceva a dargli il tipo di relazione che si meritava se non conosceva altre forme d'amore diverse da quelle di Mr.Morrison o da quelle del suo papà? Come avrebbe potuto renderlo felice quando era così irrimediabilmente distrutta?
Lei scappava.
Annabeth scappava sempre. C'era così abituata che, ormai, correre via era diventato il suo perenne piano B.
Talia non avrebbe mai potuto capire.
Nessuno avrebbe mai potuto capire che avrebbe sempre avuto troppa paura per fare qualsiasi cosa. E Percy le faceva così paura che il petto si chiudeva in una morsa e smetteva di respirare.
Percy avrebbe potuto renderla così felice che la sola prospettiva le faceva venir voglia di rannichiarsi in un angolo a piangere.
Percy avrebbe potuto renderla abbastanza felice da farla tornare ad essere la stessa bambina terrorizzata che era una volta. Percy avrebbe potuto abbattere quei muri che aveva impiegato anni ad erigere attorno a lei. Quegli stessi muri e quella stessa armatura di cui lei andava incredibilmente fiera.
Percy l'avrebbe resa felice ed incredibilmente debole.
Percy era sbagliato ma questo, Talia, non l'avrebbe mai capito.
Infilò le dita tremanti tra i capelli, stringendo i pugni forte, fino a che la cute non iniziò a farle male. – Cosa faccio appena lo vedo? Lo saluto? Faccio finta di niente? – risollevò la schiena, perdendo gli occhi grigi in quelli elettrici di Talia come se, solo in quelle iridi, sarebbe stata in grado di trovare le risposte che cercava. – Io non so cosa fare – gemette, spostando lo sguardo ancora una volta, osservando il duvet chiaro sotto di lei. – Non so cosa fare.
- Ok, ok. Guardami, Annabeth – ordinò perentoria la mora, stringendole i polsi tra le dita affusolate, costringendola a sollevare lo sguardo su di lei ancora una volta. – Guardami – ripeté con più forza, annuendo quando -finalmente- la bionda ricominciò a fissarla. – è solo Percy, d'accordo? Le persone baciano altre persone alle feste tutti i giorni, chiaro? Finchè non sai che fare allora cerca di comportarti normalmente. Percy non ti metterà a disagio, né farà battute scomode. – Le assicurò, annuendo, costringendola a fare lo stesso mentre la fissava negli occhi terrorrizzati. – Sarà il solito Percy che stai cercando di conoscere. Sicuramente non si tramuterà in coglione solo perché l'hai lasciato a bocca asciutta, va bene? – annuì ancora ma Annabeth tenne la testa ferma, senza smettere di guardarla. Neanche sbatteva le palpebre. – Annabeth, mi stai facendo impressione, cazzo. Fai qualcosa! Annuisci, batti le palpebre, non lo so! – esclamò stridula, riuscendo a strapparle un sorriso che riuscì ad addolcire anche il suo sguardo. – La lezione inizia.. – si sporse verso il suo telefono poggiato sul comodino, illuminando lo schermo prima di tornare seduta normalmente. – Tra un paio di minuti quindi tu vai in classe, lo saluti, ti comporti come hai sempre fatto. – Le lasciò i polsi solo per poterle prendere il viso tra i palmi, avvicinandosi a lei così tanto che Annabeth fu certa di poter descrivere, senza errori, tutte le più piccole sfumature di quelle iridi elettriche. – Respira Annabeth – poi sorrise. – Adoro il fatto che sia la prima volta che ti ritrovi a fare la ragazzaccia e stia sclerando così tanto. – La lasciò andare, spingendola lievemente indietro, sorridendo più ampiamente quando vide la smorfia che le corruciava le labbra piene. – è una tale soddisfazione. Dico sul serio.
Annabeth si alzò dal letto, colpendola al braccio mentre camminava verso la porta, strappandole una risata di gusto.
- Le cose sono due, o Percy bacia male o sei davvero molto più ingenua di quanto pensassi.
La bionda spalancò la porta, trattendendo un sorriso. – Senti, vai a fanculo?
Talia scoppiò a ridere, superandola. – La mia piccolina sta crescendo – disse, fintamente melodrammatica, portandosi le mani al petto mentre Annabeth si chiudeva la porta alle spalla, infilandosi la chiave nella tasca posteriore dei jeans chiari. Si asciugò una finta lacrima. – Se ne vanno così in fretta – singhiozzò, ridendo ancora quando la bionda la colpì per la seconda volta, incamminandosi prima di lei lungo il corridoio.
- Ti hanno mai detto quanto tu sia irritante? Non ti sopporto. – borbottò, alzando il dito medio oltre la spalla.
Talia batté le mani, inseguendola lungo il corridoio. – Ed è la seconda parolaccia che dici nel giro di qualche minuto! – esclamò, avvolgendole le spalle con un braccio. – Sono così fiera di te!
Annabeth rise senza scrollarsela di dosso. – Sei la peggiore, cazzo.
- Terza!
***
Percy estrasse lievemente il cellulare dalla tasca. Annabeth era in ritardo di dieci minuti. Era la prima volta e lui era così ridicolmente preoccupato che si diede dell'idiota da solo, chinandosi sul banco e poggiando il mento sul pugno.
La professoressa stava spiegando ancora chissà quale sonetto e la sedia accanto a lui era così tristemente vuota che -cavolo- quell'ennesimo pensiero lo fece sentire ancora più stupido.
Le persone se ne vanno sempre ed, in quel momento, Annabeth non solo se n'era andata, ma non era neanche arrivata.
Non aveva idea di come si sarebbe dovuto comportare. Forse perché era la prima volta dopo di lei che baciava qualcuno che gli piaceva davvero. E si era ripromesso che più nessuno avrebbe dovuto lasciarlo. Forse, era sempre per quel motivo che si era premurato di non affezionarsi più a nessuno, attaccando prima di essere attaccato.
Poi aveva incontrato con Annabeth e, si, vaffanculo, Annabeth.
Lanciò un'occhiata all'avvoltoio dietro alla cattadra e sbuffò, passandosi una mano tra i capelli già scompigliati prima di poggiarsi nuovamente al pugno della mano destra.
Annabeth era così sbagliata che, ovviamente, questo la rendeva giusta a priori.
Forse, in quel momento, era undici minuti in ritardo, o dodici e la lezione era così noiosa che avrebbe preferito cento volte lanciarsi dalla finestra pur di scappare via. E le mancava così tanto che quando il giorno prima Luke l'aveva portato via pur di non farlo andare nella loro stanza, il fiato gli si era mozzato.
Le persone se ne vanno sempre.
Anche Annabeth.
La porta si spalancò l'istante dopo e la professoressa gridò, dietro alla cattedra, voltandosi di scatto. – Chase! – esclamò e il cuore di Percy mancò di un battito.
Era bellissima.
Bellisima con le guance rosse per la corsa. Bellissima con i capelli gettati sulla schiena. Bellissima col golfo bianco che celava le forme che, invece, il vestito di qualche giorno prima metteva in risalto eccome. Bellissima con i jeans che le fasciavano le gambe sode. Bellissima con le All Star che -forse- erano anche la sua firma. Bellissima con gli occhi grigi che osservarono l'avvoltoio per qualche istante prima di cercare i suoi e chissà se l'aveva fatto di proposito o se era stato solo un caso che quelle iridi si spostassero alla ricerca delle sue.
L'aveva baciato.
L'aveva baciata.
Si erano baciati e gli era piaciuto così tanto che lo stomaco si contrasse al solo pensiero, facendolo gemere lievemente.
Lei era lì che lo fissava senza lasciar trapelare alcuna emozione ma poi, solo dopo qualche secondo, sorrise. Ed il cuore di Percy saltò un altro battito. Perché era piccolo, fuggevole, ed era durato solo un secondo ma era un sorriso, ed era per lui.
Solo per lui.
- Ti sembra ora di entrare in classe, Chase? E con tutto questo trambusto.
- Mi dispiace – mormorò, torturandosi le mani davanti ai fianchi. – Posso sedermi? – tagliò corto, facendo un cenno con la testa verso al suo posto accanto a quello di Percy.
La donna la guardò arcigna, squadrandola, aggiustandosi gli occhi sul naso aquilino prima di riportare la sua attenzione verso l'aula. – Arriva in ritardo ancora una volta e ti espello dal corso, chiaro?
Annabeth annuì un paio di volte prima di chiudere la porta alle spalle, zizagando tra i banchi per raggiungere il suo e quello di Percy.
Il suo stomaco si contrasse in una morsa mentre lei scivolava sulla sedia accanto alla sua, spostandosi i capelli biondi sulla schiena. Il profumo di shampoo al limone gli arrivò alle narici e sorrise lievemente, osservandola di sottecchi.
Era bella, Annabeth. Quasi si era dimenticato quanto lo fosse.
La guardò mentre estraeva un quaderno ed una penna dalla borsa per poter prendere appunti; la guardò mentre raddrizzava la schiena, mordicchiando il cappuccio blu della penna.
- Ha detto qualcosa di estremamente importante? – disse, voltandosi di scatto, in un sussurro, portandosi un pugno alla guancia per poter nascondere le labbra che si muovevano.
Quando Percy spostò lo sguardo su di lei, Annabeth fu veloce ad abbassarlo sul banco, nascondendosi dietro ad un sorriso leggero. – Secondo te stavo ascoltando? – chiese retorico, osservandole le labbra rosee che aveva baciato, morsicato.
Le labbra rosee che erano state sue.
Sue e basta.
Annabeth scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca per evitare di fare troppo rumore. Fu solo in quel momento che riuscì a guardarlo, ad immergere le iridi grigie di tempesta, che sembrava lo stessero costantemente studiando, nelle sue, verdi. – Scusa, avrei dovuto pensarci prima – rispose a bassa voce senza smettere di sorridere e di continuare a guardarlo negli occhi, quasi fosse stata rapita. Rapita tanto quanto lo era Percy nel momento stesso in cui tornò a perdersi dentro ai suoi occhi, precipitando nel ricordo di quegli stessi occhi annebbiati dall'alcool ma così luminosi che gli mozzavano il fiato. Nel ricordo delle mani che -piccole- lo toccavano avide. Nel ricordo delle labbra che l'avevano cercato, trovato e poi non l'avevano più lasciato andare.
- Jackson, Chase! – tuonò l'avvoltoio da dietro la cattedra, scuotendo la testa con così tanta veemenza che gli occhiali minacciarono di volarle via dal naso. – Copulate o seguite la lezione?
Copuliamo.
- Gli stavo solo chiedendo se aveste detto qualcosa di importante prima che io arrivassi. Mi scusi – rispose Annabeth pacatamente, sostenendo lo sguardo inquisitorio della donna, abbassando le spalle solo quando fu lei a cedere per prima.
Si passò una mano tra i capelli biondi, scuotendoli lievemente lungo la schiena senza redersi conto di Percy che li osservava rapito. Aveva passato le mani anche lì. Li aveva stretti forte mentre la baciava, lasciandoli andare solo perché, per quanta paura avesse, le aveva comunque dato l'opportunità di scappare.
Forse avrebbe dovuto continuare a trattenerli, invece.
***
Annabeth continuò a rimanere china sugli appunti incompleti di letteratura, legandosi i capelli ancora una volta sulla schiena. Non voleva neanche pensare in che condizioni fossero, visto e considerato che ci aveva passato le mani così tante volte da aver anche perso il conto.
Aveva pranzato velocemente e poi era corsa in camera a studiare. Ci sarebbe stato un test la prossima volta e lei doveva essere assolutamente pronta.
Era contenta che il suo unico problema fosse lo studio. Per due giorni era stato Percy e la paura che lui potesse comportarsi male o trattarla diversamente, ma Talia aveva avuto ragione: era lo stesso Percy che aveva sempre conosciuto.
Era lei carneficie e vittima delle sue stesse scelte.
Le lettere dell'Otello fluttuarono davanti ai suoi occhi come se avessero improvvisamente deciso di mettersi a fare skateboard sulla pagina ed Annabeth sbuffò, passandosi le mani tra i capelli scompigliati ancora una volta.
Sussultò quando qualcuno bussò alla porta un paio di volte, spingendola a voltarsi ed osservare il legno bianco per qualche secondo, sussultando ancora quando quel qualcuno bussò per la seconda volta. Si alzò, sistemandosi i pantaloni della tuta sui fianchi, arrotolandoli per evitare cadessero e strinse la maniglia fredda nel palmo della mano, girandola e tirando la porta verso di sé.
- Biscotti e caffé. Ho davvero bisogno di una mano con Shakespeare.
Ed era bellissimo con i capelli neri sparati in tutte le direzioni, gli occhi verde mare che scintillavano e le labbra che, stese in un sorriso, scoprivano i denti bianchi. Percy era bellissimo e le aveva portato i biscotti al cioccolato ed il caffé il che, si, lo rendeva ancora più bello, almeno ai suoi occhi stanchi e allo stomaco che aveva incominciato a brontolare per la fame.
- Come potrei rifiutare? – domandò retorica, sorridendo, scostandosi per permettere a Percy di entrare nella sua stanza, chiudendosi poi la porta alle spalle con un tonfo leggero.
- Hai già iniziato. Lo sai che il test è fra sei giorni, vero? – chiese, osservandola da sopra la spalla, continuando a stringere tra le mani il caffé caldo ed i biscotti.
Annabeth lo smorfiò, agitando la testa, ridendo mentre gli andava incontro, prendendogli il cibo dalla mano destra e camminando verso al letto. Spostò i fogli che aveva schiacciato col ginocchio ed incrociò le gambe sistemando i biscotti tra esse, aprendoli di scatto. – Dio, che fame – mormorò, sollevando lo sguardo su Percy che, curioso ed ancora in piedi al centro della sua stanza, continuava a guardarla. – Ti puoi sedere se vuoi – gli rivelò titubante, scostandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio prima che potesse finirle davanti agli occhi. Sorrise quando il ragazzo sussultò, cominciando a camminare verso di lei. – O puoi sempre rimanere lì, in piedi, a guardarmi mentre mangio i tuoi biscotti. – Ne pescò uno, portandoselo alle labbra e dandogli un morso con gusto, gemendo per il cioccolato e la pastafrolla che le si sciolsero in bocca. – Credo proprio che potrei comunque sopravvivere.
Il moro rise, sedendosi davanti a lei e porgendole il caffé che Annabeth decise di poggiare sul comodino.
- Othello non è difficile – assicurò, pescando un altro biscotto dalla confezione prima di sistemarli tra loro due, in modo che anche Percy potesse raggiungerli. – Lui muore di gelosia perché è insicuro e, anche se non si direbbe a primo impatto, è Iago il vero protagonista. È un'opera tremendamente psicologica che gira attorno alla sua abilità di usare le parole per manipolare gli altri, in particolar modo Oth..
- Annabeth, tu ricordi? – domandò Percy tutto d'un fiato, spingendola a sollevare lo sguardo grigio dai fogli che teneva sparsi sul letto. Il cuore saltò un battito.
Non glielo stava chiedendo davvero. Come poteva farlo? – Perché ti comporti come se niente fosse accaduto. Non mi lanci segnali.. – rise amaramente, passandosi una mano tra i capelli scuri, buttando fuori più aria di quanta Annabeth si sarebbe mai aspettata. – Io non so più cosa fare, come comportarmi. Oh mio Dio – mormorò, distogliendo lo sguardo da lei per un solo istante prima di tuffare nuovamente le iridi verdi nelle sue. Ed Annabeth si sentì annegare in quella bomba verde mare, quasi annaspò davanti alla profondità di quello sguardo. Quasi annegò davanti alla purezza che quegli occhi le mostrarono, davanti alla paura più pura che non riuscirono a celarle.
Percy era lì, davanti a lei, spaventato e bellissimo forte tanto quanto lo era stata lei stessa negli ultimi due giorni. Era lì che la guardava come se avesse tra le mani affusolate tutte le risposte che cercava e quello stesso sguardo la rese così forte ed ugualmente così debole da mozzarle il fiato.
La testa vorticò ad una velocità tale da farla impazzire ed i battiti del suo cuore le rieccheggiarono nelle orecchie. Quello stesso cuore che -ancora- minacciava di esploderle proprio lì davanti a Percy.
- Io non so più che fare, Annabeth. – Sbuffò, passandosi le mani tra i capelli ancora una volta. Bellissimo e spaventato. – Sto abbassando tutte le mie cazzo di difese in questo momento – ringhiò, assottigliando lo sguardo verde, trafiggendole il proprio come se, così facendo, sarebbe stato in grado di entrarle nella testa, decifrarla. – Almeno dì qualcosa. Ricordi?
Percy era lì, bellissimo, spaventato ed arrabbiato.
E lei era lì, bellissima, spaventata e stanca.
Abbassò lo sguardo sulle mani che le tremavano nel grembo.
Come diavolo si permetteva?
Stai zitto, cazzo.
Si sporse verso di lui, scostando i biscotti con la mano che rovinarono a terra ma non si diede il tempo di preoccuparsene. Modellò le mani attorno al collo di Percy, premendo le labbra sulle sue prima che potesse pensarci troppo.
E fu esattamente com'era successo alla festa. L'aveva spiazzato, l'aveva colto di sorpresa ma, almeno in quel momento, gli fu necessario qualche istante per realizzare che lei lo stesse baciando ancora. Le posò le mani sui fianchi, sollevandole leggermente la maglietta mentre le faceva correre sulla schiena, schiudendole le labbra per trovarle la lingua.
Annabeth piegò lievemente le dita contro alla pelle del suo collo, gemendo quando Percy le sistemò le gambe attorno ai suoi fianchi, aprendole le mani sulla schiena solo per potersela premere un po' di più contro al petto.
Annabeth si aspettava che la spingesse contro alla testiera del letto, che si sdraiasse su di lei, ma lui rimase lì, seduto, con le mani semplicemente aperte su di lei.
Ancora una volta le dava l'opportunità di scappare.
Annabeth gli cercò i capelli sulla nuca, stringendoglieli in pugni leggeri, piegando leggermente il capo per potergli lasciare un accesso maggiore alla bocca. Permettendo alla sua lingua un'esplorazione più languida e più ampia. Ed era bellissimo perché il cuore le batteva all'impazzata nel petto, all'unisono con quello di Percy. Ed era bellissimo perché lo stomaco era contratto in una morsa d'emozione e perché le labbra del ragazzo erano ancora sulle sue, perché la lingua del ragazzo roteava ancora assieme alla propria, accarezzandola piano, facendola rabbrividere.
Dio, quanto le piaceva.
Percy cercò la pelle calda della sua schiena, stringendole lievemente i fianchi prima di superare il tessuto leggero della maglietta chiara che indossava, tirandosela più vicino ancora una volta mentre le faceva correre le mani lungo la spina dorsale. Seguì con le dita le vertebre, lentamente, inseguendole la bocca quando Annabeth inarcò la schiena all'indietro, ansimando per i brividi e le pulsazioni al basso ventre e l'intimità calda contro quella dura di Percy.
Mosse piano i fianchi contro di lui, sistemando le ginocchia sul letto per potersi muovere più agevolemente, stringendogli i capelli sulla nuca, staccandosi dalle sue labbra solo per poterci ansimare contro.
Percy strinse i pugni sotto la sua maglietta, accarezzandole la schiena per intero ancora una volta, marchiandola prima di arrivare alle cosce, stringendole tra le mani grandi, bollenti, che sembrava fossero state fatte a posta per toccarla.
Annabeth gli piegò la testa all'indietro strusciando i fianchi contro i suoi ancora una volta prima di attaccare nuovamente le sue labbra, schiudendo le proprie per poter trovare la sua lingua. Ansimò mentre lo baciava, rispondendo alle mani di Percy che le accarezzavano le cosce, salendo verso al sedere, palpandolo lentamente, insicure, lasciandole -ancora una volta- l'oppotunità di cambiare idea, di andare via. Ma Annabeth rimase lì, sulle sue gambe, a baciarlo come se non avesse potuto fare altro nella sua vita, a stringerlo e a farsi stringere come se non potesse farne a meno.
Forse, a dire la verità, neanche era capace di farne a meno.
Perché Percy era lì, sotto di lei, contro di lei, che le dava l'opportunità di scappare e che, allo stesso tempo, le dava altri mille motivo per restare. Perché Percy era lì, era suo, ed era bellissimo e non più spaventato. Era forte contro di lei, era forte per lei e questo le piaceva più di quanto si sarebbe mai aspettata. Perché le mani la palpavano con impeto, la accarezzavano come se avessero paura di vederla scomparire da un momento all'altro ma le labbra erano leggere contro le proprie, morbide, lente, gentili perché, paradossalmente, a loro il tempo sembrava di averlo.
Ed Annabeth era lì, sopra di lui, contro di lui, forte e bellissima mentre faceva la cosa sbagliata che se -e solo se- aveva il sapore e le mani di Percy allora sembrava così maledettamente giusta da toglierle il respiro.
Percy modellò le mani contro al suo sedere spingendola verso di sé, ansimando contro alla sua bocca, cercandola ancora mentre Annabeth si sedeva nuovamente su di lui, affondandogli le mani tra i capelli morbidi, reclamando la sua lingua. Gli accarezzò le spalle sotto al golfo pesante chiedendosi, per un solo istante, per quale motivo lo stesse indossando ancora.
Era inutile.
Voleva che lo togliesse.
Le mani di Percy scivolarono verso la sua schiena, forti e gentili, sollevandole la maglietta leggera, reclamando la sua pelle ancora una volta. – Sei mia – ansimò contro la sua bocca, sporgendosi verso di lei, cercandola ancora.
"Sei mia" ansimò, spingendosi contro di lei, dentro di lei con forza, facendo sbattere la testiera del letto contro al muro, strappandole un gemito di dolore. "Sei solo mia" soffiò contro il suo volto, stringendole i capelli sparsi sul cuscino, tremando sopra al suo corpo.
Basta.
"Tu meriti solo me. Meriti solo quello che io posso darti" spinse dentro di lei ancora una volta ed Annabeth gemette di dolore, lasciando che le lacrime, amare, potessero correrle sulle guance.
Voleva che la smettesse. Le stava facendo male.
Perché era dentro di lei?
Perché lei?
Basta. Ti prego, basta
"Perché piangi, piccolina?" ansimò lui, sorridendo sopra di lei. "Tutti se ne vanno. Io sono l'unico che è rimasto".
Oh mio Dio.
Annabeth pianse ancora. Gemette quando Mr.Morrison spinse in lei per l'ennesima volta, mozzandole il fiato per il dolore.
Basta.
Basta.
Smettila.
Ma lui spingeva ancora, con più forza. Lui era ancora dentro di lei e non voleva saperne di uscire.
Basta. Mi fai male.
Basta.
Ed era ancora lì, con i suoi capelli chiusi tra i pugni, dentro di lei.
Era dentro di lei e continuava a spingere, ad ansimare contro al suo volto ed Annabeth voleva solo che uscisse. Voleva solo che finisse tutto.
Basta.
Basta.
Smettila.
Basta.
- Basta! – urlò, staccandosi da Percy di scatto, cadendo sui fogli con un crepitio fastidioso. – Oh mio Dio – mormorò, cadendo tra i due letti con un tonfo, sollevandosi velocemente in piedi.
Come si era permessa?
Come poteva fargli questo?
Come poteva rovinare Percy?
Mi dispiace.
Infilò le mani tremanti tra i capelli, stringendoli tra i pugni. Il corpo, a dire la verità, tremava per intero, senza sosta, senza smettere. I battiti del cuore le risuonavano nelle orecchie, impedendole di sentire come avrebbe voluto. E Percy, davanti a lei, si muoveva troppo, quasi fluttuava.
- Annabeth – la chiamò, gli occhi spalancati per una paura tutta nuova, alzandosi dal letto ed andandole lentamente incontro. Il cuore saltò uno dei battiti frenetici quando, indietreggiando, gli occhi di Percy si riempirono di tristezza. – Annabeth che sta succedendo? Parlami. Sono qui.
Forse mormorava. Forse stava parlando anche lentamente per assicurarsi che sentisse tutto ma lei captava parole ovattate e captava la sua paura.
Sei mia.
Io sono l'unico che è rimasto.
. Tutti se ne vanno – sussurrò, continuando a stringersi i capelli tra le dita.
Percy sbarrò gli occhi, cercando disperatamente i propri. – Annabeth che diavolo dici? Io sono qui. Annabeth ti preg..
- Vai via! – gridò, crollando sulle ginocchia, continuando a stringersi i capelli così forte che, per un solo secondo, ebbe anche paura che potesse strapparseli via. – Vai via! – urlò senza riuscire ad impedire alle lacrime di correrle sulle guance, bagnandole le labbra e le ginocchia coperte dai pantaloni di tuta.
- No che non me ne vado! – esclamò Percy di rimando avvicinandosi a lei ancora, quella volta più velocemente. – Sei matta se pensi che ti lascerò andare così.
Annabeth ringhiò, tenendosi i capelli tra le mani. Stava per scoppiare. La testa, il cuore. Stavano per esplodere in mille pezzi. Forse sarebbe stato anche meglio. Sussultò prima di singhiozzare ancora, chinandosi sulle ginocchia, tremando convulsamente.
Era debole.
Ancora.
Percy l'aveva resa debole, vulnerabile, tanto quanto lo era stata quando aveva dodici anni e Mr.Morrison le faceva del male.
Doveva andarsene.
Percy doveva andarsene via.
L'avrebbe rovinata.
L'avrebbe rovinato.
- Vai via – singhiozzò, continuando a tenere le dita strette tra i capelli. – Oh mio Dio – mormorò, passandosi convulsamente le mani sulla testa, tenendo gli occhi ben serrati. – Ti prego, vai via.
Percy si inginocchiò davanti a lei. Annabeth vide l'ombra dal pavimento accanto a sé e ringraziò il cielo quando non la toccò. Era una bomba pronta ad esplodere. Non voleva che esplodesse proprio su di lui. – Non posso.
- Devi! – esclamò, sollevando di scatto il capo seppelito tra le ginocchia, piangendo un po' di più quando lo vide sussultare. Sorpresa, terrore. Non poteva importarle in quel momento. – Devi andare via. Non ci riesco – balbettò grattandosi forte la testa. – Non posso fare questo con te – mormorò.
Sei mia.
Io sono l'unico che è rimasto.
- Oh mio Dio – spalancò la bocca ma non ne uscì alcun suono. – Ti prego, Percy devi..
La porta si spalancò l'istante dopo e la risata di Talia si sentì per un solo secondo prima che potesse interrompersi bruscamente. – Fuori! – esclamò, posando le mani sulle spalle di Luke. Non lo spinse, continuò a tenerlo stretto, camminando contro di lui in modo da farlo indietreggiare.
Gli occhi spaesati di Luke guardarono oltre la sua spalla, incontrando la figura di Annabeth rannichiata contro al letto e bastò un attimo prima che si riempissero di terrore. – Annabeth ma che.. Percy! – disse, non appena notò anche lui.
- No, Luke – fece Talia perentoria, continuando a fissarlo negli occhi azzurri mentre lo portava in corridoio. – Fuori. Via di qui. – Si voltò di scatto, camminando velocemente verso Percy, acchiappandolo per una spalla e sollevandolo di peso. – Via anche tu.
Percy si scrollò dalla sua presa, fulminandola per un solo secondo prima di voltarsi ancora verso Annabeth.
Vai via.
Sono l'unico che è rimasto.
Sei mia.
Il singhiozzò che eruppe dalle sue labbra fu ancora più forte dei precedenti e fu solo una coincidenza che avvenne nel momento stesso in cui Percy stava per inchinarsi nuovamente davanti a lei.
Gli occhi, stanchi, si riempirono di una tristezza che non gli aveva mai visto prima di allora e le sembrò che il cuore le si fermasse nel petto mentre lo guardava voltarsi, colpendo Talia con la spalla ed andando via.
Ferito. Orgoglioso. Spaventato.
Lei se n'era andata ancora una volta.
Lei se n'era andata come sempre.
Talia si assicurò che la porta fosse chiusa prima di cadere sulle ginocchia accanto a lei, prendendole il volto tra le mani quando cominciò a piangere più forte.
- Sono sua – balbettò, gli occhi grigi sbarrati, lontani, persi. – E lui è l'unico che è rimasto. Mr.Morrison è l'unico che è rimasto. Se ne sono andati tutti. Papà, mamma, Janette. – Aprì la bocca per dire altro ma uscì solo un suono strozzato che le chiuse la gola in una morsa, mozzandole il fiato. – Sono debole. Non me lo merito. Lo distruggerò. Io lo distruggerò. Non posso permettermi di farlo. Lo distruggerò. – Spostò lo sguardo su di Talia in un attimo, gli occhi rossi che ancora piangevano, stravolti, le spalle piegate per un peso troppo grande che non riuscivano a sostenere. Non ce la facevano più. – Talia, io lo distruggerò. Non posso fargli questo. Distruggerò Percy. L'ho già fatto alla festa. L'ho fatto anche adesso. Sono debole. Lo distruggerò. Non posso farlo. – Scosse la testa ripetutamente, gli occhi fissi in quelli di Talia che sconvolti, continuavano a fissarla. – Non posso farlo. Oh mio Dio. Lo sto distruggendo. – E scosse la testa ancora, lasciando che le lacrime potessero bagnarle le guance ancora una volta. – Come posso fargli questo? – singhiozzò forte, il corpo esile scosso dai sussulti, il fiato corto per la paura, per il terrore logorante. – Come posso farlo? – domandò, seppellendo la testa tra le ginocchia mentre il pianto le scuoteva con vigore le spalle, mentre il passato e la paura la sopraffacevano ancora una volta.
Fu in quel momento che Talia la circondò con le braccia, tirandosela contro al petto. Barcollò all'indietro, sbattendo la schiena al suo letto ma non smise di abbracciarla. Non la lasciò andare neanche per un secondo.
- Ci sono io – mormorò, baciandole la testa per qualche istante. – Ci sono io.
E a quella consapevolezza la paura si dissipò lievemente, facendola piangere un po' più forte.
Angolo Autrice:
Macciaaaao fiorellini! Come ho fatto per la maggior parte dei capitoli in questa storia, anche questo è stato riletto, cancellato e poi riscritto completamente e, si, non vedevo l'ora di pubblicarlo per chissà quale motivo.
Adesso, la mia paura più grande è che qualcuno possa odiare Annabeth per un qualsiasi motivo: perché respinge Percy, perché non gliel'ha data, perché è in continua lotta interiore, lui è un bravo ragazzo. Adesso, questo lo so io e lo sapete voi che leggete i suoi punti di vista ma, come dice Annabeth, lei non ha mai avuto garanzie nella sua vita. Ho cercato di tirar fuori i sentimenti di Annabeth il più possibile in modo che sia più facile immedesimarsi in lei, nei suoi sentimenti e nel suo passato. è una ragazza fortemente traumatizzata che deve fare i conti con qualcosa di molto più grande di lei.
Detto questo, ringrazio tutti tutti tutti tutti perché siete dolcissimi e siete i miei fiorellini belli e vi voglio tanto tanto tanto bene:**
Alla prossima, patatiniii<3<3
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