Catch I'm falling
Il loro tavolo era troppo affollato.
Annabeth stava parlando con una cheerleader dai capelli neri, Percy stava facendo vedere un paio di mosse di wrestling e Luke, quel povero idiota biondo, stava parlando con una ragazza dai capelli platino e gli occhi così schifosamente azzurri che, per un solo secondo, Talia si era anche chiesta se fosse umanamente possibile averli così luminosi.
C'era troppa confusione in mensa. Le luci le sembravano troppi forti, le pareti troppo chiare e il cibo talmente tanto schifoso che aveva pensato di vomitarlo da quando si era portata alle labbra la prima porzione di pasta scotta.
Le lezioni erano state più noiose del previsto e quella notte aveva dormito talmente tanto poco che neanche sapeva come riuscisse a non lasciar cadere la testa nel piatto e farsi una bella dormita sugli spaghetti al sugo.
La ragazza bionda sorrise, spostandosi sistematicamente i capelli sulle spalle e scoprendo il decolleté che -ovviamente- Luke si prese qualche secondo per osservare.
Incrociò le braccia sul petto, scuotendo la testa e chiedendosi se qualcuno, seduto al tavolo con loro, invece di ignorarla le avesse rivolto la parola. Ma forse, essere ignorata non contava poi così tanto. Ci conviveva da quando era bambina, figurarsi se, a distanza di così tanti anni, le potesse dare fastidio.
Certo che le dava fastidio. E anche più fastidio le dava consapevolezza che, si, la stavano ignorando tutti perché era lei stessa ad essersi estraniata,lasciando che il passato potesse avvolgerla con una prepotenza inaudita, stringendole il petto in una morsa fredda.
Ovviamente ci pensava ancora.
Ovviamente faceva ancora male e il polso sinistro, nell'istante stesso in cui lei strinse forte la forchetta di plastica nel pugno, prese a pulsare fastidiosamente.
"Devi studiare,Talia! Non devi perdere tempo dietro a futilità come tua madre!"gridò Zeus mentre la ragazza induriva lo sguardo.
Era finito il tempo della piccola indifesa.
"Magari fossi rimasta con mamma!" gridò, "magari fossi stata con lei piuttosto che con te" strinse i pugni rabbiosa mentre un sorriso sarcastico le compariva in volto. "Vuoi tanto ma non ci sei mai, che diavolo pretendi da me?! Che sia felice di stare qui? È due anni che sopporto tutta questa merda, che sopporto le cameriere e le tue pretese!" gesticolò forte, scacciando le lacrime dagli occhi blu elettrico così diversi da quelli grigio tempesta del padre. "Se studio è solo per andare il prima possibile via da qui!" e urlò,troppo per quei sedici anni che il padre le aveva fatto buttare al vento. Gridò, buttando fuori un po' di tutta la merda che si teneva dentro, certa che intanto, quell'idiota menefreghista che avevadavanti si sarebbe dimenticato il giorno dopo dell'accaduto.
Era sempre così, erasempre stata messa in secondo piano a qualsiasi cosa da quando eracon il padre. Certo, aveva un attico, aveva una stanza enorme, ma nonaveva niente.
Era decisa ad andarein camera prima che la mano, così sproporzionatamente granderispetto alla sua, del padre, le arrivasse sulla guancia con unaforza mai vista. L'impatto le fece voltare la testa di scatto e, perun secondo, non riuscì a provare nulla. Per un secondo, si cullònel vuoto che, paradossalmente, la riempì completamente, riportandopoi lo sguardo blu elelttrico in quello grigio del padre.
Si portò una manoalla guancia, sbattendo le palpebre per evitare che le lacrimepotessero rigarle le guance e sorrise, "Vaffanculo" dissetranquilla e poi uscì da quell'inferno, sbattendosi la porta allespalle.
Venne ricatapultata violentemente nel presente mentre il rumore di chiacchiere e posatele inondava le orecchie, facendole corrugare la fronte per la sorpresa. Si toccò le guance, felice che fossero asciutte e non bagnate da quei ricordi che erano peggio di lame.
Osservò Luke e la mano di quella bionda tinta sulla sua coscia, puntò il suo sguardo elettrico sulla ragazza e poi rise, attirando l'attenzione del tavolo e portando Luke a sbarrare gli occhi azzurri e levare velocemente la mano della ragazza dalla sua coscia. – Dio, quanto sei puttana –e poi si alzò, uscendo impettita fuori dalla mensa.
***
Talia corse lungo i corridoi, le lacrime che ormai le rigavano le guance senza che lei lo potesse impedire. Corse veloce, lasciando che i suoi passi risuonassero nella moquette, schiava di ricordi e consapevole che non avrebbe potuto fare nulla per dimenticarli o semplicemente smettere di pensarci.
Si odiava per essere così debole, si odiava per riuscire a cadere così facilmente, si odiava per essere così schifosamente piccola.
Spalancò la porta della camera con una spallata, singhiozzando forte e trattenendo un urlo di frustrazione che le stringeva la gola.
Appena fu certa di essere totalmente sola e chiusa nella stanza, si lanciò nel suo comodino,frugando tra i cassetti, togliendo fuori il caricatore del telefono,assorbenti e un altro mucchio di cose inutili mentre cercava quella fottuta scatolina di latta.
"Tua madre è morta,fattene una ragione. Ha deciso di mettersi alla guida quando era completamente ubriaca e ha fatto un frontale contro un camion"lanciò un'occhiata alla figlia, gli occhi blu elettrico colmi di lacrime seppur cercasse di trattenerle, i pugni stretti lungo i fianchi, la treccia un po' disfatta. "Non piangere razza di ragazzina, hai sedici anni"
Un singhiozzo fuoriuscì dalla gola di Talia senza che riuscisse a soffocarlo e si asciugò le lacrime appena trovò quella benedetta scatolina. Si inginocchiò sul pavimento mentre tra le teneva tra le mani tremanti e se la rigirò un paio di volte tra le dita osservandola attenta, pensando se,quello che aveva intenzione di fare, fosse la cose giusta, ma poi si alzò, andando verso il bagno.
Non era la cosa giusta.
Era la cosa migliore.
***
Annabeth osservò laporta dalla quale Talia era sparita, per istanti interminabili.L'osservò sbattere contro lo stipite un paio di volte, prima di sbarrare gli occhi alla consapevolezza di quello che stava per succedere.
- Ma che diavolo le è preso? – domandò la ragazza bionda seduta accanto a Luke che forse si era anche presentata ma alla quale lei non aveva prestato la minima attenzione.
Annabeth osservò gli occhi azzurri indignati, i capelli biondi portati sulla schiena che volevano solo ostentare il seno generoso e sorrise, scuotendo la testa.
Le faceva proprio pena e, se fosse stato nel suo stile e non in quello di Talia, glielo avrebbe anche detto senza pensarci due volte.
Luke aprì la bocca un paio di volte, guardandosi attorno come se una risposta al comportamento di Talia potesse piombarle giù dal cielo ed Annabeth scosse la testa ancora una volta, perché l'aveva capita.
Perché aveva capito che era arrivato tutto troppo velocemente e tutto assieme.
Perché aveva capito che Talia volesse stare da sola e, proprio per quel motivo, non glielo avrebbe mai permesso.
Si voltò verso Percy per un solo istante, annuendo un paio di volte non appena vide le mani del ragazzo ben aperte sul tavolo, pronte a sopportare tutto il peso del corpo del ragazzo non appena lui avesse deciso di alzarsi.
Sarebbe andata lei e non solo perché l'aveva capita, ma anche perché aveva una splendida copia della chiave della loro stanza.
- Poi mi fai sapere? – domandò Percy, osservando Annabeth scavalcare la panca ed iniziare a camminare all'indietro verso la porta.
- Certo – promise, spostando poi gli occhi grigi in quelli ancora spaesati di Luke, sorridendo davanti all'espressione e al panico che le ricordavano tanto un bambino. – In caso te lo stessi chiedendo, non è colpa tua.
Si voltò prima di poter studiare una possibile reazione, correndo verso la porta, spalancandola per poter uscire nella Hall, lasciando che potesse sbattere un paio di volte alle sue spalle.
Corse lungo i corridoio di Harvard mentre i suoi passi venivano attuti dalla moquette. Corse veloce e arrivò nella sua camera in qualche minuto. Ringraziò il buon Dio che le aveva consigliato di portarsi dietro anche la sua copia delle chiavi e la infilò piano nella toppa, girando lentamente per far sì che Talia non la sentisse entrare. Non seppe neanche lei per quale motivo decise di fare così, ma forse, aveva il timore che Talia stesse facendo qualche cavolata e coglierla sul fatto un po', e dico -un po'- l'avrebbe aiutata in un modo a lei ancora sconosciuto.
Si chiuse il più delicatamente possibile la porta alle spalle e poi gettò un'occhiata tutt'attorno alla stanza notando la porta del bagno chiusa e la luce che filtrava da sotto.
Si passò una mano tra i capelli biondi e sciolti e prese un profondo respiro, certa di quello che stava facendo Talia, ma incapace di muovere sul serio un solo passo per paura di avere assolutamente e totalmente ragione.
Andiamo, razza di stupida!
E mosse il primo e silenzioso passo. Strinse le mani lungo i fianchi e dopo altri tre passi, arrivò alla porta bianca del bagno. Chiuse il pugno sulla maniglia d'ottone e fece un altro respiro, aprendo lentamente la porta ed entrando.
Non era esattamente quello che si aspettava ma, come al solito -e in quel caso, purtroppo- aveva ragione.
Talia era dall'altra parte del lavandino, le guance ancora rigate dalle lacrime seppur non stesse più piangendo, la mano sinistra che tremava leggermente mentre si legava la fascia nera attorno al polso e una lametta, bagnata e pulita, vicino a lei.
Annabeth si chiuse la porta alle spalle e inchiodò i suoi occhi grigio tempesta in quelli blu elettrico dell'amica, un groppo in gola talmente forte da non riuscire neanche a pronunciare mezza sillaba, e che lei non riuscisse a parlare, era davvero davvero grave.
Talia la guardò con un po' di sufficienza, mista a tranquillità e a quel dolore che quegli occhi non avrebbero mai potuto nascondere davvero mentre continuava a fasciare come se nulla fosse, come se si fosse tolta la benda solo per lavarsi le mani.
La bionda la guardò ancora, anche quando la ragazza che aveva difronte abbassò lo sguardo per controllare la fasciatura, prima di andare verso di lei e prenderle le mani tra le sue, senza parlare, senza riuscirci.
- Che c'è? – domandò Talia tranquilla, tirando su col naso, un po' rosso e gli occhi ancora leggermente acquosi.
Annabeth la guardò ancora e la sua mano andò all'inizio della fasciatura. Talia ritrasse il braccio sinistro di scatto, una nuova espressione che le caratterizzava il volto: determinazione.
- Bionda – sorrise Talia, – sto bene, te lo giuro – ed Annabeth ebbe un tuffo al cuore davanti a quel sorriso finto e ben fatto, Annabeth ebbe un tuffo al cuore davanti all'ennesimo tentativo di Talia nel nascondere come stava davvero e in quel momento, capì che la più forte tra le due doveva essere lei. Non più la tosta con le lentiggini e gli scarponi ma lei, la ragazza a prima vista un po' timida che amava i golfi enormi e i capelli sciolti anche se li legava quasi sempre in una treccia.
Prese un altro respiro e guardò Talia fissa negli occhi per -forse- troppi secondi prima che potesse prenderle il braccio sinistro. Trattenne un sorriso appena la sua amica non lo ritrasse, e tenne il polso in una mano mentre levava delicatamente la fascia con la destra.
Solo in quel momento si accorse di quanto realmente lunga era e vide i piccoli muscoli di Talia contrarsi appena i giri stavano per finire. Tolse del tutto la fascia e la appallottolò nella mano, guardando il polso di Talia, quel polso candido ricoperto di tagli e cicatrici fino a metà braccio.
Quel polso candido ricoperto di troppe ferite di guerra che Talia, di certo, non si meritava.
Quel polso candido vittima della paura e del dolore di una ragazza logorata dal passato.
Quel polso candido segno della forza di Talia, una forza quasi esagerata per una diciannovenne.
Osservò i segni rossi e netti, freschi, precisi e un po' troppo profondi.
Non guardò Talia negli occhi, non fece domande, certa che, se avesse voluto, sarebbe stata lei a parlare. Continuò a tenerle delicatamente il polso nella mano sinistra mentre con la destra apriva il mobiletto bianco accanto allo specchio e toglieva fuori il disinfettante e il cotone. Lo aprì con una mano, quasi timorosa a lasciare il polso di quella che era, ne era certa, la sua prima migliore amica in diciannove anni di vita. Svuotò un po' quel liquido verde nel batuffolo e poi lo premette con delicatezza sul polso di Talia, immobile quasi quanto una statua di marmo.
Annabeth medicò piano, come se Talia si potesse spezzare da un momento all'altro. Quando fu certa di aver fatto un buon lavoro, nel più totale silenzio, avvolse piano la banda scura attorno al polso stretto di Talia esattamente come faceva l'amica e quando bloccò la fine della fascia sotto il resto del tessuto, una lacrima le cadde sul dorso della mano e a quel punto, alzò lo sguardo.
Talia era lì, difronte a lei, priva, per la prima volta da quando la conosceva, della sua armatura da battaglia, della sua armatura da guerriera che la contraddistingueva ogni volta. Non era più Talia Grace, la ragazza che avrebbe potuto fare il culo a chiunque, la ragazza che era andata a letto con un ragazzo diverso ogni sera, la ragazza menefreghista e incredibilmente forte. Era solo Talia. Talia la diciannovenne con un brutto passato alle spalle.
Talia, con gli occhi blu elettrico gonfi di pianto, il naso rosso e la possibilità di crollare da un momento all'altro, anzi, forse stava già crollando.
Talia, la ragazza che non aveva mai avuto un'amica.
Talia, la ragazza che aveva un paura matta a stare sola perché, da sola, c'era stata per troppo tempo.
Talia, la ragazza con un disperato bisogno di qualcuno perché per anni, troppi, se l'era sempre dovuta cavare da sola.
In quel momento, Talia era solo e semplicemente Talia, con un bisogno disperato di un abbraccio, ed Annabeth, be', Annabeth c'era e ci sarebbe sempre stata.
La mano della bionda, incredibilmente fredda, andò ad asciugarle la guancia e si guardarono negli occhi per secondi che sembrarono interminabili.
Solo a quel punto, Annabeth si alzò la manica del golfo chiaro, mostrando il polso sinistro costellato di cicatrici biancastre.
Talia corrugò la fronte, osservando la pelle candida dell'amica brutalmente marchiata, tanto quando la sua. I tagli erano irregolari, verticali, diagonali ed orizzontali come se, per ogni volta che affondava la lametta nella pelle, fosse stata talmente arrabbiata e disperata da non riuscire neanche a dare un senso.
- Sono stata male anche io – rivelò, sollevando gli occhi grigi in quelli azzurro elettrico dell'amica che, passandosi una mano sulla guance ancora una volta, le rivolse la sua completa e totale attenzione. – Ho iniziato a nove anni e ho continuato fino a quando ne avevo dodici.
Talia passò un dito sulle cicatrici, rapita, completamente catturata da quei marchi che non sarebbero più andati via. – E come mai hai smesso?
Annabeth sorrise, abbassandosi la manica del golfo. – Ho iniziato a scrivermi proprio qui, sul polso – disse, picchiettando sulla pelle chiara con l'indice della mano destra, – "I will be rising". Invece di prendere in mano la lametta, ho iniziato a scrivermi "Io risorgerò" sulla pelle, con una bic blu – fece sorridendo, strappando una piccola risata anche a Talia. – Ed incredibilmente ha funzionato. Vedere quella scritta sulla mia pelle ha portato più risultati del vedere i tagli, ed è a quel punto che ho smesso.
Talia la guardò penetrante, affondando gli occhi blu in quelli grigi della bionda davanti a sé. La superò, uscendo dal bagno senza dirle nulla ed Annabeth corrugò la fronte, voltandosi, pronta a seguirla. Ma quando stava per mettere un piede fuori in camera, Talia ritornò da lei, stringendo in mano una bic blu che aveva probabilmente preso dal proprio zaino.
Annabeth rise, corrugando la fronte quando Talia gliela porse, stringendola delicatamente tra le dita smaltate di nero.
- Scrivi qualcosa sul mio polso.
La bionda la prese, stappandola con una lentezza estenuante, prima di chiudere tra le dita il braccio di Talia.
Pochi istanti dopo, la pelle chiara di Talia fu marchiata dalla mano di Annabeth con la sua penna. Fu marchiata dall'inchiosto della bic blu che riportava fieramente la scritta:"You will be rising".
***
- Talia? – domandò Percy, i capelli scuri un po' scompigliati mentre correva nel corridoio del dormitorio delle ragazze per intercettare Annabeth.
La bionda sorrise mentre si affiancava a lui e camminavano vicini, le dita che si sfioravano continuamente e le farfalle negli stomaci di entrambi che non ne volevano sapere di stare tranquille. – Sta bene, Testa d'Alghe, tranquillo.
Percy si passò una mano tra i capelli con un sospiro di sollievo, continuando a camminare senza una meta ben precisa, ma forse, inconsapevolmente, stavano andando entrambi nel bar di Harvard.
- Annabeth.. – si bloccò di colpo, posizionandosi di fronte a lei, bloccandole i polsi con le mani e passandoci un pollice sopra, – Talia..
Annabeth corrugò la fronte per un istante, osservando per qualche secondo le dita che, delicate, si muovevano sui suoi polsi, domandosi perché quel tocco le facesse piacere invece di farla sclerare. Poi riportò lo sguardo grigio su Percy, scuotendo la testa ed annuendo una sola volta, certa che avrebbe capito.
Percy sospirò, lasciando un polso di Annabeth per potersi passare una mano tra i capelli.
- Vorrei prendermela con Luke. Ma so che non è colpa sua.
Annabeth sorrise, flettendo le dita un paio di volte, domandandosi se fosse stata la cosa giusta accarezzargli il petto solo per vedere se quei muscoli contratti sotto la felpa si sarebbero stesi al suo tocco. – Talia starà bene. È tosta e voleva stare da sola. – Piegò la testa di lato, sorridendo. – Per questo sto andando in caffetteria a prendere una cioccolata per me, una per lei e anche un muffin al limone.
Percy rise, sbattendo le palpebre un paio di volte, spostando le iridi da quelle di Annabeth e lasciandole il polso quell'istante, affiancandola. – Io ho tanta voglia di un caffé. O di un frappé, devo ancora decidere.
Ed Annabeth rise, buttando la testa all'indietro mentre iniziavano a camminare lungo il corridoio lasciando che le dita della mani potessero sfiorarsi ancora.
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