You Will, Someday
Breve guida ai Character x Reader:
Y/N: your name (il tuo nome);
Y/L/N: your last name (il tuo cognome);
Y/H/C: your hair color (il tuo colore di capelli);
Y/E/C: your eyes color (il tuo colore degli occhi).
☾
Si svegliò lentamente, quella mattina. La stanza era silenziosa, o così sembrava, a primo impatto.
Man mano che gli occhi gli si aprivano, e intercettavano, mettevano a fuoco e, infine, catturavano i dettagli principali della stanza, la sua mente gli comunicò, quasi dolcemente, che si trovava in Infermeria.
Il perché si trovasse in quel luogo gli venne suggerito con altrettanta velocità, quasi fosse un pensiero talmente persistente nel suo subconscio da venir concepito quasi spontaneamente.
Un'altra Luna Piena era passata. Poteva sbarrarla sul calendario, e aspettare la successiva. Come sempre.
Non guardò nemmeno le nuove fasciature sul suo corpo. Le avvertiva – sul braccio destro, sul piede sinistro e sulla tempia –, e questo era già abbastanza duro da sopportare senza che si soffermasse a osservarle.
Piuttosto, si sentiva la gola terribilmente secca. Immediatamente, provò a ingoiare un po' di saliva, nel vano tentativo di migliorare la situazione.
Subito dopo, iniziò piano a girarsi nel lettino sul quale sdraiato, verso il lato destro, dove sapeva esserci il comodino e, ci sperò, un bicchiere d'acqua.
Le sue aspettative vennero esaudite, perché sul comodino vi era acqua in abbondanza, in una coppa – insieme ad uno splendido vasetto di iris.
Remus allungò – con un po' di fatica – la mano verso l'acqua, si sollevò quanto bastò per sorseggiarne un po', senza staccare gli occhi da quei fiori, domandandosi chi li avessi mai messi lì e perché.
In verità, il chi venne rimpiazzato presto da un nome, ma Remus cercò per vari minuti di eliminare dalla mente quell'idea che, ne era convinto, avrebbe finito solo per illuderlo.
Certo, Y/N Y/L/N sembrava proprio quel tipo di persona che avrebbe posato un po' di fiori al fianco dei pazienti.
Remus, che raramente si sbagliava sul conto di qualcuno, era convinto che lei, con quella sua genuina gentilezza, avrebbe fatto di tutto pur di sollevare l'umore di qualcuno.
Tuttavia, spinto da una sorta di, quasi impropriamente, "protezione personale", tentò con tutte le sue forze di convincersi che, al posto suo, fosse stata Madam Pomfrey a posare quelle iris sul comodino della brandina.
Se avesse considerato, anche per un solo istante, la possibilità che Y/N, nonostante tutto, ci tenesse a lui quel poco che bastava per compiere un gesto tanto nobile – semplice, al contempo – sarebbe caduto, ancor più profondamente, in quella dolce tortura che era vederla quasi ogni giorno, esserle amico, starle accanto, consapevole del fatto che i suoi sentimenti non sarebbero mai potuti esser ricambiati.
In fondo, lui era solo un povero ragazzo, smilzo, pallido, con tante ferite sul corpo quante nello sguardo.
«Sembri pensieroso, oggi, Remus» proruppe una voce, improvvisamente, che lo scosse da quel flusso di pensieri interminabile e sconnesso.
Il diretto interessato, che riconobbe la voce immediatamente, come le note iniziali di una canzone impressa nella mente, si voltò verso di lei, e intercettando il suo sguardo, arrossì lievemente.
«Madam Pomfrey mi ha detto di darti questi. Sono antidolorifici. Le ho detto che quegli altri sono abbastanza disgustosi, sai, e sono riuscita persino a convincerla ad addolcirli un po' con della cannella» continuò lei, sedendosi delicatamente al bordo del suo letto, ben attenta a non urtargli la gamba ferita.
Remus sorrise, «La cara Poppy sarà fiera della sua assistente.»
Lei rise lievemente: non perché facesse ridere, piuttosto perché lui le aveva parlato con tanta amabilità che l'aveva messa piacevolmente in imbarazzo.
«I tuoi amici sono venuti questa mattina presto, a proposito. Ti hanno lasciato queste» e indicò le scatole di Cioccorana che Remus non aveva notato, sul comodino.
Avendo spostato nuovamente lo sguardo in quella direzione, il ragazzo si soffermò ancora una volta, come spinto da una qualche forza intereriore, sul vasetto di fiori.
«Ti piacciono?» chiese Y/N, seguendo il suo sguardo.
«Molto» rispose lui.
«Speravo dicessi sì» commentò lei, «Le ho colte proprio questa mattina. Erano ancora coperte di rugiada.»
Remus si voltò verso di lei con una tale velocità che Y/N quasi si allarmò, consapevole del fatto che il ragazzo di fronte a lei necessitava immobilità e riposo, e che movimenti improvvisi erano assolutamente sconsigliati, nella sua condizione.
«Li hai messi tu, questi?» chiese lui, senza nemmeno darle il tempo di preoccuparsi completamente del suo stato.
«Sì... certo.»
Rimasero in silenzio per un po' e, dopo che ebbe preso delicatamente una delle iris dal vaso ed essersela rigirata tra le dita, Remus alzò lo sguardo su di lei e riuscì a dire solo: «Grazie.»
Eppure, in quel momento, non sapeva perché quel gesto l'avesse colpito tanto.
«Non devi ringraziarmi» Y/N scosse il capo con fare deciso, «Quando le ho viste, mi sono sentita come invasa da una qualche energia positiva. Non so se hai presente. Come quando, in quei giorni un po' bui, quando tutto sembra andare storto, un dettaglio, anche se piccolo, riesce a rallegrarti la giornata. E ho pensato a te.»
Remus, che l'ascoltava rapito, sentì perdere un battito, «A me?»
«Sì, a te. Sai, alle volte, quando sei qui, e io aiuto Madam Pomfrey nel preparare qualche pozione, ti lancio qualche sguardo furtivo. Hai sempre un'aria così triste. Ma sai, ci sono cose» e così dicendo guardò attentamente le iris sul comodino, «Che a volte quasi ti impediscono di essere tristi. C'è così tanta bellezza nel mondo, a cominciare da quella semplice – come quella dei fiori – che è così immensa che, a confronto, tu e i tuoi problemi siete... minuscoli» aggrottò le sopracciglia, riflettendo, «Forse non capisci cosa intendo dire. Ma lo farai, un giorno.»
Remus, ormai prigioniero delle sue parole, dei suoi pensieri, di lei, non fu in grado di risponderle nulla. Poteva solo guardare quella ragazza davanti a sé, che gli aveva parlato con il cuore in mano e che gli aveva dato una delle lezioni di vita più importanti che avesse mai ricevuto.
«Y/N!» si sentì chiamare, e la diretta interessata si voltò verso Madam Pomfrey più in fretta che poté.
«Devo andare» disse e, alzandosi velocemente, si allontanò.
Remus, ancora con il piccolo stelo delle iris tra le mani, si lasciò cadere inerte sul cuscino, il cuore a mille.
*
Aveva cominciato a piovere improvvisamente, quel pomeriggio.
Se lo avesse saputo prima, avrebbe avuto l'accortezza di prendersi l'ombrello.
Ma il cielo non aveva preannunciato nient'altro che sole per tutto il giorno, tant'è che Remus aveva pensato bene di andare a studiare un po' ai limiti della Foresta Proibita, in tranquillità.
In quel momento camminava velocemente, diretto al castello, col cappuccio in testa e con i libri ben stretti sotto il mantello.
Si affrettava a camminare e la pioggia, sempre più fitta, gli impediva di vedere bene.
A un certo punto, scorse tra le erbe del prato qualcosa di blu, che spiccava in modo particolare.
Era sciocco fermarsi proprio in quel momento, con quel temporale in corso, ma Remus non poté farne a meno: riconobbe immediatamente quel blu e lo collegò spontaneamente alle iris.
Ormai fermo sulle sue decisioni, si chinò e ne colse un po'.
Quel giorno pioveva. Faceva freddo. Remus aveva ancora un dolore allucinante alla gamba, e presto si sarebbe dovuto preparare ad un'altra Luna Piena. Dormiva poco, e si sentiva sempre terribilmente stanco. La Guerra procedeva, le strade si dividevano, nulla era sicuro.
Eppure, in quel momento, non poté fare a meno che sorridere. Perché sebbene ci fosse così tanto per cui disperarsi, il mondo restava sempre un posto pieno di meraviglie.
Allora, davanti alla purezza della natura, era difficile rimanere tristi o arrabbiati.
Quasi senza accorgersene, prese a correre per il castello, sempre più velocemente, nonostante il dolore alla gamba.
A distanza di mesi, il giorno era arrivato.
Entrò nel castello, superò porte, corridoi, diretto verso un unico luogo.
Aprì la porta dell'Infermeria, e fu felicissimo di constatare che, nonostante non ci fosse nessun altro, Y/N era lì, a studiare delle erbe.
Lei sembrò molto sorpresa di vederlo lì, con il fiatone, bagnato fradicio.
«Remus –» fece per dire.
Lui le si avvicinò velocemente, «Ho capito cosa intendevi dire» disse ansimando, «Sulla bellezza del mondo. Avevi detto che un giorno l'avrei capito. Ed eccomi qui.»
Le mostrò le iris, quasi le stesse mostrando un trofeo appena vinto.
Lei sorrise.
Lui, davanti a quel sorriso, capì che non erano i fiori in sé a rappresentare tanta bellezza, ma lei, che gli aveva aperto gli occhi ed era stata in grado, con poche parole e pochi gesti, a cambiare la sua visione, molto spesso pessimistica, delle cose.
E, con le iris ancora tra le mani, posò delicatamente le labbra su quelle di lei.
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☽ Angolo Moony:
Ciao! Grazie per essere qui. Spero che la One-Shot ti sia piaciuta.
Dedico questo spazio ad un paio di chiarimenti.
La storia è stata ispirata ad un passo del film America Beauty che mi ha affascinata particolarmente.
"I guess I could be pretty pissed off about what happened to me... but it's hard to stay mad, when there's so much beauty in the world. Sometimes I feel like I'm seeing it all at once, and it's too much, and my heart fills up like a balloon that's about to burst... And then I remember to relax, and stop trying to hold on to it, and then it flows through me like me like rain and I can't feel anything but gratitude for every single moment of my stupid little life... You have no idea what I'm talking about, I'm sure. But don't worry... you will, someday."
Scrivendo, ho pensato anche a falcone_mia perché non ho risposto in modo diretto alla sua ultima email, ma l'ho fatto così: era questo quello che più credo sia importante, in American Beauty.
Ancora una volta, spero che non sia stata una lettura spiacevole.
Un abbraccio,
Fatto il misfatto
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