21. Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso

In vita sua Remus Lupin non aveva mai aspettato con tanta ansia e trepidazione una notte di luna piena. Guardava il cielo scuro, con le mani affondate nella nelle tasche del mantello del medesimo colore. In quella nottata invernale non si riusciva a scorgere nemmeno la più piccola e tenue stella, ma la luna, costante ricordo della sua condanna, si stagliava feroce contro quel lenzuolo limpido. Mancava ancora una notte alla trasformazione, per cui il suo corpo cominciava già ad apparire smunto e affaticato. Le vene formavano un disegno estremamente visibile sotto la sua pelle pallida, la quale, alla luce del cielo, emanava un bagliore spettrale. Il riflesso che intravedeva sul vetro della finestra, gli confermava quella idea di essere diventato nient'altro che uno spettro. Il viso sottile, un po' per la malattia e un po' per la sua naturale fisionomia, era illuminato da due vispi occhi chiari che brillavano di vita, in netto contrasto con il suo corpo stanco e consumato. E i capelli, dello stesso colore del grano, ricadevano morbidi sulla fronte.
Quando la porta si aprì, Remus ritornò al presente.
-Lunastorta, come ti senti?- domandò James.
Il ragazzo avanzava a grandi passi verso di lui, reggendo tra le braccia un mucchio di libri.
-Sto bene, Ramoso. Che ci fai qui? Non hai gli allenamenti a quest'ora?-. -Non importa, sono già abbastanza bravo-.
-James..-
-Non puoi essere semplicemente felice di vedere un tuo caro vecchio amico?- domandò il moro, facendo cadere i libri su un letto e seguendoli subito dopo.
-Purtroppo ti conosco bene, ormai. Coraggio, dimmi: cosa stai tramando?-
James alzò un braccio dalla trapunta, portando la mano all'altezza del cuore. -Ferisci la mia innata sensibilità, con queste accuse infondate!-
Remus sbuffò, camuffando una risata. Era fuori dal comune, per lui, ridere prima di una Luna Piena. O forse, aggiunse, non lo era più così tanto da tre anni.
Da quando quello stesso ragazzo aveva ammesso di conoscere il suo segreto.
E di non averne paura.
-Tuttavia, temo che tu abbia ragione. Ho una grandissima e bellissima novità!- ammise James, emergendo dal cumulo di libri.
-Non dovresti usare così tanti superlativi in una frase. Inoltre non credo che noi abbiamo lo stesso concetto di divertimento-.
James lo ignorò.
-Ricordi quando Sirius ha accennato alla possibilità di diventare un Animagus?-
-James, non dirmi..-
-Era più serio del previsto. Incredibile, vero?-
-Quanto serio?-
James si portò un dito sul mento, assumendo un'espressione concentrata. -Sono alla Stamberga Strillante. Adesso. E io sono qui per costringerti a raggiungerli!- aggiunse, ammiccando.
Il mondo di Remus precipitò.
-Stai scherzando, vero?-
-Mai stato così serio in vita mia!-
-La vostra idiozia mi ha sempre sorpreso, ma mai quanto oggi. Siete forse impazziti? È una cosa illegale oltre che pericolosa. Potrebbe finire molto male!-
Remus si sentiva ferito, vulnerabile. Non avrebbe mai pensato che i suoi migliori amici potessero ritenere la sua condizione un gioco o un'occasione per violare qualche regola. Evidentemente James riuscì a leggere i suoi pensieri, poiché abbandonò ogni traccia di sarcasmo, diventando il ragazzo serio e attento che fingeva di non essere.
-Quando capirai che non abbiamo intenzione di lasciarti fare questa cosa da solo? Ci proviamo da tre anni, Remus. Se non ce l'avessimo fatta, saremmo venuti con te da umani-.
-E in tal caso sareste morti!-
-Allora è una fortuna esserci riusciti!-
Remus abbassò lo sguardo, sconfitto. -Perché fate tutto questo? Siete pazzi o avete un'irrefrenabile voglia di sfidare la morte?-
James sorrise. -Direi entrambi; ottima combinazione no? E poi- aggiunse -siamo amici. Gli amici fanno così-.
La paura di Remus si trasformò, lentamente, in un caldo e confortante affetto, che lo spinse ad alzare gli occhi e ad avanzare verso James. -Okay, andiamo-.
Il ragazzo, trionfante, si alzò, passando un braccio attorno alle spalle dell'amico e conducendolo fuori dal Dormitorio. La Sala Comune era colma di persone, che li salutarono con sorrisi o sventolii di mani. Un ragazzo con i capelli biondi si avvicinò furtivamente a James, per sussurrargli qualcosa che Remus non riuscì a sentire. Lo sguardo di James volò verso una poltrona accanto al camino, dove un gruppo di ragazze del loro anno stava chiacchierando. Gli occhi di Ramoso si fermarono qualche secondo su Lily Evans, una tipa molto carina dai ricci rossi. Stava ridendo di gusto per qualcosa, con la luce del fuoco riflessa negli occhi verdi. James sembrava rapito, quasi incantato. Ma quando si accorse che Remus lo stava studiando, si voltò e proseguì, indifferente, attraversando il Ritratto della Signora Grassa. Remus preferí non fare domande, consapevole che James avrebbe dato le solite risposte evasive, ma non smise di chiedersi come facesse la Evans a non rendersi conto di nulla. In netto contrasto con la vivacità della Sala, nel Castello regnava il silenzio. Non era un'atmosfera scomoda, ma piacevole, soprattutto se condivisa con un amico. Remus aveva l'impressione che i suoi muscoli stessero per lacerarsi, spinti al limite dalla Luna in arrivo e da quella corsa. Odiava la fragilità, ma ancora di più odiava il fatto che non dipendesse da lui. James rallentò il passo, come se percepisse, ancora una volta, i pensieri dell'amico. Oltrepassarono insieme il Parco, dirigendosi verso il Platano Picchiatore.
-A te l'onore- disse Ramoso, indicando con la mano un ramo qualche metro più in là. Remus estrasse la bacchetta e l'agitò, sussurrando un Incantesimo. Il ramo si alzó a mezz'aria, volando verso l'albero con la stessa grazia di una piuma. Remus inclinò il polso e il ramo si posizionò su un nodo, accanto ad una radice. La violenza del Platano si arrestò, rendendolo una pianta docile. -Sembra quasi carino- osservò James, guardando perplesso lo stesso albero che un attimo prima aveva deliberatamente cercato di mozzargli la testa. Poi alzò le spalle e si trascinò accanto al tronco, scivolando in una fessura. Remus lo seguì. Quando il Parco scomparve dal suo campo visivo, udì i rami che prendevano vita nuovamente, sferzando l'aria. Nel breve tragitto che li portò alla Stamberga Strillante, Remus si domandò cento volte se stesse facendo la cosa giusta: novantanove risposte furono negative, ma una gli disse di si. Portava la firma dei Malandrini e ricordò a Remus che ogni centimetro del suo essere avrebbe messo la propria vita nelle loro mani. Una contro novantanove, ma fu abbastanza. James aprí la porta, richiamando con un colpo di tosse l'attenzione degli amici. Sirius Black emerse dal buio, con i vividi occhi argentei accesi dall'eccitazione. Era un ragazzo bizzarro, inafferrabile come le stelle di cui portava il nome, e altrettanto attraente. Amava l'avventura o forse il pericolo. Mago sveglio e furbo, possedeva una lingua tagliente e un'abilità innata per le parole. Ma dietro quella tenebrosa corazza, si nascondeva un cuore abbastanza nobile per un Grifondoro. -Eccovi, finalmente!- strillò una voce, dal lato opposto della stanza. Peter Minus era seduto a terra, con la schiena contro il muro. I capelli castani erano coperti da un berretto di lana, le gambe incrociate si allungavano sul pavimento. -Ha protestato un po come previsto, ma ho mantenuto la situazione sotto controllo- comunicò pratico James. Sirius osservò l'orologio al polso, con un sopracciglio alzato. -Mancano tre ore esatte alla luna piena, siamo in perfetto orario-.
Remus si passò una mano tra i capelli e attraversò la stanza a grandi falcate. -Non posso permettervi di affrontare un simile pericolo..-
-Remus, siamo qui. Non ce ne andiamo- ammise Peter, serio.
-No! Non potrei sopportare il pensiero di avervi fatto del male! Non riuscite a capirlo?-
James si avvicinò a Sirius, con naturalezza, come se si aspettasse una tale affermazione. -Remus, ricordi quando Sirius ha preso quella strana malattia, due anni fa, che lo ha ricoperto di verruche dello stesso colore dei..-
-Okay, ha capito, non abbiamo tutto il giorno- tagliò corto Sirius.
-..rospi? Gli siamo stati accanto comunque. Tu stesso hai detto che non sarebbero state delle escrescenze verdi a separarci!-
Remus era allibito. -Le verruche di Sirius non erano letali!-
-Ma facevano schifo! E poi, aveva quell'odore..- Peter rabbrividì e Sirius lo spintonò.
-Il punto è che noi non ti abbandoniamo. Che tu abbia le verruche o una maledizione- intervenne di nuovo James, poi sembrò pensarci su e aggiunse -Avrei protetto Sirius anche a costo di finire ad Azkaban. Farei lo stesso per te-.
Remus era commosso da una tale dimostrazione di affetto, ma non era stupito. Conosceva già il grande significato che l'amicizia aveva per i Malandrini. Non avrebbe mai osato mettere in discussione il legame profondo tra James e Sirius. James era Sirius e Sirius era James, nel modo più vero e genuino esistente. Ma sentirsi partecipe di quel legame gli diede una forza mai avuta prima. Una gioia simile a quella di un patronus. Avrebbe potuto affrontare migliaia di dissennatori, circondato dalle figure argentee di James, Sirius e Peter. Si domandò cosa avrebbe osato separarli, un giorno. Forse solo la morte. O magari nemmeno.
Ben presto, un formicolio alle mani lo avvisò dell'imminente trasformazione.
-Ci siamo quasi- disse, osservando la Luna che lentamente raggiungeva la pienezza. Sirius si alzò.
-È davvero un peccato che la nostra bravura debba restare un segreto. Silente dovrebbe darci la Coppa delle Case solo per questo-.
-Sta' zitto e trasformati- si lamentò James.
I tre strinsero la bacchetta, chiudendo gli occhi. Remus non notò niente di particolare, inizialmente. Poi, quando li riaprirono, sussultò. Erano in qualche modo diversi, più vispi, più accesi.
Improvvisamente la luna catturò il suo sguardo: il plenilunio. Cercò disperatamente di rimanere concentrato sulla trasformazione dei suoi amici, ma il buio lo avvolse. Perse ogni pensiero umano, ogni desiderio, ogni paura, ogni sentimento. C'era solo un'unica necessità: la fine di quel dolore. La luna era davanti a lui, dietro di lui, in basso, sulla sua testa. Lui stesso era la luna. Il mondo perse i suoi colori, diventò grigio, freddo. Stava per scagliarsi contro il vetro della finestra, quando un ululato catturò la sua attenzione. Non era un lupo, però. Contemporaneamente all'udito, anche l'olfatto si risvegliò. Si voltò, in cerca dell'usurpatore del suo spazio. Dell'umano.
Ma non lo vide.
C'erano, invece, tre animali.
Un cervo, dal manto castano e dallo sguardo fiero.
Un cane enorme e nero, probabilmente l'artefice dell'ululato.
E un topo.
Non erano umani, non avrebbe dovuto avere alcun interesse per loro. Eppure, qualcosa che il lupo non aveva mai sentito prima, lo spronò a non voltarsi.
Erano delle voci, umane.

Siamo qui. Non ce ne andiamo.

Il punto è che noi non ti abbandoniamo.

Anche a costo di finire ad Azkaban.

Diventerò un Animagus, Remus.

Un lupo è pericoloso solo per gli uomini.

Siamo amici. Gli amici fanno cosí, no?

Lunastorta, come ti senti?

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.

Da oggi chiamami Felpato.

Conosciamo il tuo piccolo problema peloso.

Ciao, sono James. Posso sedermi qui?

E poi delle immagini. Migliaia di immagini in cui tre ragazzi ridevano, scherzavano, crescevano, con lui. Fianco a fianco. L'uomo dentro il lupo si fece strada, trovando la coscienza dell'animale. Ma non era più un lupo, non dentro almeno. Era un ragazzo di quindici anni, di nome Remus.
E quelli erano i suoi fratelli.

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