44. Walking on the truth way

Un crescente senso di ansia opprimente fu ciò che si abbatté su di me nel momento in cui realizzai che la casa era sorprendentemente vuota.
Con occhi dubbiosi squadrai l'intero salotto di fronte a me, volgendo lo sguardo prima al divano, poi alla cucina, poi ancora al tavolo.

Lentamente chiusi la porta alle mie spalle continuando a guardarmi attorno nel frattempo che con gesti lenti mi toglievo il giubbotto di jeans.

Avrei preso in considerazione il fatto che forse James sarebbe potuto essere già al Club M, se non fosse che le lancette dell'orologio segnavano a malapena le nove e tre quarti, quando invece il suo turno iniziava alle 11:00 di sera.
E per quanto riguardava me, ero rientrata in casa solo allora in quanto ebbi un enorme bisogno di passare del tempo da sola, lontano da tutto e da tutti, dopo che Logan si fu congedato. Avevo bisogno di assimilare tutto ciò che mi era stato detto, avevo bisogno di ritrovare me stessa, che avevo perso già da tempo. Avevo bisogno di star da sola, poiché per me la solitudine era sempre stata una buona consigliera.
E se James si fosse arrabbiato poiché non mi aveva vista tornare? E se fosse stato adirato con me? E se da quel momento avesse iniziato ad odiarmi, perciò era andato via senza dire nulla?
Certamente mi stavi facendo un sacco di paranoie, tuttavia avevo paura. Paura che tutto ciò potesse succedere.

Per approfondire la ricerca e per avere la certezza di essere effettivamente sola in casa, passai a perlustrare il piano superiore.

«James» chiamai mentre, una per una, guardavo in ogni stanza.
«James, ci sei?» chiesi ancora.

Quando non ricevetti alcuna risposta mi sembrò una saggia decisione quella di rassegnarmi al fatto che non fosse in casa. Ciò che mi preoccupava, e accresceva in me un forte sentimento d'ansia, era dove potesse essere.

James si era dimostrato un ragazzo dal carattere impetuoso, capace di qualsiasi cosa, perciò pregai con tutta me stessa che non avesse in mente di fare qualche cazzata di cui poi si sarebbe potuto pentire. Non mi sarei mai perdonata se per colpa mia egli si fosse ritrovato nei guai, ancora una volta.
Certo era che non l'aveva presa bene, e chissà dov'era adesso, chissà cosa aveva in mente, chissà se stava bene.
Perché dopo tutto, alla fine, rimaneva sempre colui che mi aveva sottratto alle sbarre di ferro, colui che mi aveva amata più di qualunque altra cosa.

Il mio stato di angoscia crebbe ancor di più quando iniziò dapprima a piovere, poi a lampare, poi ancora a tuonare.

Chissà dov'era.

Entrai in camera da letto, forse spinta da un senso di nostalgia, nostalgia di quelle sere in cui mi tenevo stretta fra le sue braccia in modo da non soffrire il freddo. Il freddo di sentirmi sola.

Velocemente posai lo sguardo sul primo dettaglio che mi saltò all'occhio, qualcosa che seppur piccolo, non avevo mai notato prima.

Poggiata dentro un cassetto semiaperto del comodino di James, una borsa nera di dubbia provenienza aveva catturato la mia attenzione.

Presa dalla curiosità e dalla fame di verità mi avvicinai al cassetto che tirai del tutto, il quale rivelò una borsa in pelle nera che non mi apparteneva. In realtà non avevo mai visto quell'oggetto prima di allora, perciò non persi tempo prima di svuotare il contenuto sul letto.
Come ci era finita in casa mia? E, soprattutto, perché? A chi apparteneva?

La borsa conteneva oggetti che normalmente una donna porta con sè, quali uno specchio, un rossetto, un portafogli e diverse carte vecchie e ingiallite, per lo più scontrini.
Pensai che magari nel portafogli potesse esserci qualche indizio che mi facesse risalire al proprietario, perciò lo aprii e afferrai quella che mi pareva fosse una tessera d'identità.

Non mi sbagliavo.

Nome: Sheryl.
Cognome: Maslow
Data di nascita: 14/04/1993
Cittadinanza: Americana
Residenza: Bronx, Roosevelt evenue 22
Stato civile: nubile
Professione: libero professionista

«Che cosa?» sbottai incredula lasciandomi cadere la tessera dalle mani. E mai come allora fui così sicura che James non fosse tutto quello che dava a vedere. Tanto per cominciare, come l'aveva avuta?
Per quanto ne sapevo avrebbe potuto benissimo ricorrere ad infiltrarsi in qualche giro poco raccomandabile per arrivare a quell'oggetto.
Ma soprattutto, perché gli effetti personali di Sheryl non erano stati sequestrati dalla polizia?

E quando ormai credevo di sapere tutto sulla faccenda, ecco che nuovi interrogativi si affacciavano a confutare ogni mia convinzione.

Tra gli oggetti sparsi sul letto, notai però che non era presente un cellulare. Che fosse stato sequestrato solo quello dalla polizia? Che l'avesse preso James? Che fosse in possesso del tizio che aveva ceduto la borsa a James per ricattarlo ulteriormente?

Abbandonai per un attimo le mille domande che si affollavano nella mia testa e ritornai a rovistare tra la roba sparsa sulle coperte.
Tanto James non sarebbe tornato tanto presto, ne ero sicura, perciò avevo tutto il tempo per esaminare ogni cosa con calma.

Dentro il portafogli erano presenti tessere di ogni tipo, carte di credito, il che era strano per una ragazza senza lavoro, senza dimora, e appena trasferitasi in una grande città come Los Angeles.

Come potevo ben immaginare, non c'era l'ombra di un centesimo, ma ciò era più che scontato.

Un biglietto in particolare, fra le tante carte presenti, suscitò la mia attenzione. Mi ritrovai a sfilarlo pian piano, scoprendo che altro non era che un biglietto da visita.

Un semplice biglietto, pensai.
Che enorme pensiero errato. Perché quello che mi trovavo davanti era sì un biglietto da visita, ma non uno come tutti gli altri. Quel biglietto non apparteneva a una persona qualunque.

Fu allora che persi un battito.
Una potente sensazione di ghiaccio si impossessò del mio petto, e ciò mi costrinse ad indietreggiare in modo brusco fino a sbattere con le spalle al muro mentre lasciavo che il biglietto cadesse sul pavimento.

Scivolai con le spalle fino a toccare il freddo pavimento e mi presi il viso tra le mani, intrecciando le dita nei capelli.

Sgranai gli occhi e guardai quasi con terrore quel semplice pezzo di carta ora giacente sul pavimento, quel semplice pezzo di carta che aveva incise sopra le lettere "Michael Cooper".

E di certo, la potente pioggia e i lampi e tuoni che ricordavano la presenza di un temporale in atto, non miglioravano la situazione. Ad ogni tuono sussultavo, sola più che mai, e la luce dei lampi filtrante dalla finestra che illuminava per brevi istanti il nome e il numero di mio padre stampati su quel biglietto, accresceva il mio stato di inquietudine.

Quando iniziai a sentire gli occhi pizzicare, avvicinai le ginocchia al petto e sprofondai il capo fra di esse.
Era tutto così confuso, così privo di ogni logica. Era tutto così orribile. Era orribile avere la mente affollata di domanda di cui sapevo di non essere in grado di darmi delle risposte. Almeno per il momento.
Era frustrante convivere con la convinzione che tutto d'un tratto, il mondo come lo ricordavo non esisteva più, non era mai esistito. Perché era sempre stato solo un mucchio di bugie.
Perfino mio padre. Perfino mio padre adesso si ritrovava implicato in quella faccenda enormemente contorta.
E non sapevo se effettivamente fosse un bene che fosse tutto collegato.

Poi, d'un tratto, un'illuminazione.

Alzai di scatto il capo.

Mio padre nell'ultimo periodo della sua vita si era spostato a Los Angeles insieme a Skully per indagare su un caso di cui non seppi mai nulla.

Sheryl, durante il suo periodo di permanenza a Los Angeles, stando a quanto raccontava James, era diventata distaccata, strana, assente.

Qualche tempo dopo, Sheryl morì, tre anni prima.

Il 6 luglio 2014 Michael Cooper, stimato poliziotto e amato marito e padre, morì. Tre anni prima.

Tre anni prima, erano morti entrambi.

Tre anni prima, si trovavano entrambi a Los Angeles.

Tre anni prima, mio padre indagava su un caso.
Tre anni prima, Sheryl teneva un grande mistero dentro di sé.

Tre anni prima, mio padre e Sheryl, si erano incontrati.

Tre anni prima, le loro strade si erano incrociate, divenendo un unico dramma.

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