34. Last time

È strano come le cose possano variare radicalmente da un momento all'altro.

La sera prima aspettavo con ansia il suo ritorno, per poi sentire il mio cuore compiere una capriola non appena si sdraiò accanto a me e mi circondò con le sue braccia, facendomi sentire protetta e al sicuro, e con la consapevolezza che nulla di male avrebbe mai potuto soltanto sfiorarmi perché a proteggermi dalle malvagità c'era lui.

Invece, adesso, la situazione era nettamente capovolta.

Giacere su uno stesso letto insieme a lui mi incuteva un senso di disagio e di profonda angoscia. Forse la verità, la dura verità, era che l'evento accaduto qualche ora prima aveva diminuito di un numero considerevole di tacche la fiducia, fino a qualche tempo prima illimitata, che provavo nei confronti di James.

Fu anche per questo che non chiusi occhio quella notte, ma trascorsi quelle interminabili ore notturne ascoltando ogni suo singolo respiro, e sussultando ad ogni suo minimo accenno di agitazione che accadeva, di tanto in tanto, nel sonno.
Mi sforzavo in tutti i modi perfino di mantenere la stessa posizione il più a lungo possibile, così da non dovermi muovere, per timore di svegliarlo e ricevere un rimprovero da parte sua.

Questa era proprio l'ultima cosa che volevo.

Cosa mi stava succedendo? Perché tutto ad un tratto mi sentivo quasi in soggezione? Perché non mi fidavo più di James? Perché avevo paura?
Perché sí, la mia era paura.

Un sacco di volte lo avevo guardato negli occhi iniettati di sangue, un sacco di volte lo avevo visto arrabbiato, ma mai aveva osato soltanto sfiorarmi con un dito. Mai.
Era da quando era iniziata la vicenda del Club M che tutto era incominciato ad andare a rotoli, che lui era andato via via incupendosi.

Ed ora, ecco che di conseguenza mi posi quella che credo sia la più universale delle domande: perché?
Cosa c'entrava il Club M? Cos'era successo?
Dovevo andare a fondo in questa storia, dovevo in qualche modo saperne qualcosa in più. Non potevo assolutamente permettere che il muro che faticosamente ero riuscita ad abbattere riaffiorasse di nuovo, rendendo tutti i miei sforzi vani ed inutili. Questo non poteva assolutamente accadere, avevo faticato troppo.

Ecco perché non dormii quella notte, perché la mia mente non me lo permise.

Quando i primi raggi di sole filtrarono dai piccoli fori della tapparella abbassata, lentamente mi posizionai sull'altro fianco, di fronte a James.

Era talmente bello mentre dormiva, sembrava quasi un angelo. Sembrava il mio James, quello che mi aveva tirato fuori dal carcere, quello che si era preso cura di me trattandomi come una bambola di porcellana.
Fissai il suo viso per qualche secondo, mentre la mia mente veniva invasa da mille pensieri, e dopo di che inoltrai lo sguardo che andò a posarsi sull'orologio che segnava le sei del mattino.

Ormai era inutile tentare di dormire, perciò, attenta a non svegliarlo, lentamente scostai le coperte e mi alzai dal letto, per poi dirigermi a passi silenziosi in cucina.

Non mi preoccupai neanche di vestirmi, dato che indossavo soltanto biancheria intima. Volevo solo uscire da quella stanza, volevo solo uscire dal quel letto che tante volte ci aveva accolti abbracciati e uniti.

Feci colazione quasi a stento, in quanto non sentivo una particolare fame a contorcermi lo stomaco.

Poi, quasi meccanicamente, andai a stendermi sul divano in compagnia della televisione, e, pian piano, gli effetti di una notte insonne si manifestarono tutti insieme, portando il mio corpo e la mia mente stanchi ad addormentarsi profondamente.

~ ~ ~ ~

Se tempo prima era stata Jodie, appena fu sveglia, a tastare il posto accanto a lei trovandolo poi vuoto, quella mattina successe il contrario.
Appena James fu sveglio, quasi d'istinto e senza aprire gli occhi, egli portò una mano sul luogo su cui avrebbe dovuto giacere Jodie.
Tastò una, due, tre volte e alla fine aprì gli occhi di scatto, domandandosi perché la ragazza non fosse sul letto a dormire, in quanto l'orologio alle sue spalle segnava a malapena le sette e un quarto.

Si alzò a metà, poggiando le spalle al muro nel mentre che si stiracchiava e passava svogliatamente una mano sul suo viso, nel tentativo di accendere definivamente le sinapsi tra i neuroni che, si sa, in chi si è appena svegliato non funzionano correttamente.

Poggiò i piedi sul freddo pavimento cercando le ciabatte, e appena le trovò, non perse tempo ad abbandonare il letto e uscire dalla stanza.

L'inconscio lo portò a dare una sbirciata all'interno della seconda camera da letto. James, infatti, temeva che per ciò che era successo la sera prima, la ragazza avesse deciso di dormire per i fatti suoi.
Tirò un sospiro di sollievo quando fu certo che le lenzuola non erano state minimamente sfiorate, anche se lui sapeva, in cuor suo, che se lo sarebbe davvero meritato.

Scese perciò di sotto, dove gli si presentò davanti quella che lui classificò come la visione più bella che gli fosse mai capitata, bella in tutta la sua semplicità.

Restò fermo impalato sul posto per un tempo indefinito a bearsi dell'immagine di Jodie, sdraiata sul divano e con i morbidi e chiari boccoli sparsi qua e , disordinatamente, sui cuscini del sofà bianco, il cui colore si incatenava completamente con la candida pelle e il solo intimo nero che ricopriva le membra di Jodie, dormiente, serena, inconscia di ciò che accadeva intorno a lei, e prigioniera di chissà quali sogni e chissà quali incubi.
Il suo volto poi, totalmente rilassato e sereno, era agli occhi di James il volto di un angelo caduto dal cielo. E se si faceva caso, e James ci fece caso, Jodie sembrava accennare un debole sorriso, che conferiva al tutto una nota di delicatezza.

Ecco: fu quell'immagine che rubò un sorriso a James e che, cosa ben più importante, lo portò alla conclusione che il suo comportamento era stato tutt'altro che perdonabile.

Il ragazzo le si avvicinò, per poi inginocchiarsi così da raggiungere la sua stessa altezza.

Per qualche strana ragione il destino decise che per quella mattina tutto dovesse andare al contrario. Infatti, come spesso soleva fare Jodie, anche James allungò una mano sul suo volto, per poi sfiorarlo lievemente e bearsi della morbidezza di quella pelle tanto chiara.

Non seppe mai spiegarne il perché, ma subito dopo il suo viso, quasi come una calamita, si avvicinava lentamente a quello di Jodie, per poi concludere il tutto con una lieve pressione sulle labbra rosee della ragazza. E James mai capì come allora quanto tenesse alla sua donna.

Credo di non aver mai ricevuto un risveglio migliore in vita mia.

Non ci capii molto, sognavo di essere ritornata bambina, una rosea bambina paffutella e spensierata, sdraiata, nel suo vestitino bianco e rosa, sul soffice manto di erba verde e fiori gialli che ricopriva il suolo del luogo che allora definivo "casa mia".
No, non era la mia casa, era una zona di montagna in cui una volta tanto mi recavo insieme alla mia famiglia. Ma per me era era come se lo fosse.
Quello era il luogo dove ritrovavo davvero me stessa, il luogo in cui passavo ore a raccogliere margherite da dividere poi in tanti mazzolini da donare alla mamma, e da posizionare come ornamento alle foto dei nonni defunti.
Una volta, addirittura, mi inoltrai eccessivamente per cogliere i fiori viola che tanto piacevano a mamma, e mi perdetti fra gli alberi di quel luogo vasto.

Non avevo paura. Per qualche strana ragione il bosco incute timore alle persone, a me invece donava soltanto calma e tranquillità. Questo sognai, questo ricordo riaffiorò dopo tanti anni nella mia mente nella forma di un sogno.

Com'erano belle quelle farfalle variopinte che si poggiavano sulla mia mano, e com'era bello stare ad ascoltare il fruscio degli alberi o ancora i canti degli uccelli che svolazzavano qua e là, mettendo in mostra, quasi con orgoglio, le loro belle ali colorate. Era tutto magico.

Poi, quando ormai il sole si avviava a sparire dietro le montagne, udii la voce di mio padre urlare a squarciagola il mio nome. Doveva essersi preso un bello spavento. Probabilmente erano passate ore, che tuttavia mi erano parse minuti.

“Jodie!”

La sua voce andava sempre avvicinandosi, fino a quando anche la sua magra figura spuntò tra le frasche di foglie verdi.

“Jodie, Dio! Ti avevamo detto di non allontanarti!” disse mio padre visibilmente preoccupato e anche un po' arrabbiato.
“Scusami papá” dichiarai abbassando la testa.

Mio padre sospirò, avvicinandosi lentamente verso di me, per poi inginocchiarsi così da portare il suo volto leggermente barbuto sullo stesso livello del mio, piccoletta com'ero all'età di cinque anni.

“Che sei venuta a fare? ” domandò prendendomi entrambe le mani fra le sue.
“Qui c'erano i fiori viola, quelli che piacciono a mamma” dichiarai con la ferma convinzione che questa fosse una giustificazione validissima.
Papà mi sorrise e mi strinse in un abbraccio.

“Non farlo mai più” implorò mio padre prendendo il mio viso paffutello.
“Si papà ” affermai.
Subito dopo mi lasciò un piccolo bacetto sulle labbra come spesso usava fare quando ero piccolina, solo che il bacio lo sentii davvero. Qualcosa stava pressando delicatamente sulle mie labbra.

Aprii quindi gli occhi scoprendo con una nota di stupore che non mi sbagliavo, qualcuno mi stava davvero baciando. Non mio padre, ma James.
E non credo di essere mai stata svegliata con tanta dolcezza.

Ormai cosciente, ripensai a tutto quello che era successo la sera prima, pensai e pensai.
Ma forse è proprio questo l'enorme errore che ci ritroviamo sempre a compiere.
Pensiamo troppo, anche quando dovremmo soltanto ragionare con le emozioni e i sentimenti, che sono ciò che fanno di noi degli esseri umani.

Spensi il cervello una volta per tutte, questa macchina infernale aveva già combinato troppi guai, era a causa sua che non avevo chiuso occhio per l'intera notte.

Richiusi le palpebre e ricambiai pienamente il bacio che divenne tenero e al contempo disperato, attirandolo verso di me con una mano.

Riaprii gli occhi nel momento in cui non sentii alcun contatto, incontrando quelli di James che mi fissavano benevoli, l'esatto contrario del modo in cui mi avevano fissata la sera prima. Era di nuovo lui, il mio James.
Gli mostrai un ampio sorriso, come per dirgli che era tutto a posto, mentre che la sua mano sfiorava delicatamente il mio volto, dalla guancia alle labbra.

Niente parole, niente scuse, niente dichiarazioni.
Servì soltanto un'ultimo bacio per rimettere le cose per com'erano, soltanto il più semplice dei gesti che, tuttavia, nella sua semplicità, cela più significati di quanti se ne possano immaginare.

Ancora una volta si era risolto tutto con l'affetto, ancora una volta.

Ma come un chiodo fisso, un'unico pensiero negativo tuttavia continuava a girare e girare.

Chissà che questa non sia l'ultima volta che si risolva tutto nel modo giusto.

Tutte le cose belle hanno durata breve.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top