33. Liam
Alla fine il buon James si era fatto convincere a lasciarmi andare insieme a lui al Club M quella stessa sera, a forza di perseveranza e grazie all'uso di quell'arte di abbindolare la gente che soltanto le donne posseggono.
Appena disse di sí, seppur con aria scocciata e indifferente, gli saltai letteralmente addosso dalla felicità, tanto che saremmo caduti per terra entrambi, se non fosse stato per il divano alle nostre spalle che sostenne i nostri corpi.
«Grazie James! Grazie!» continuavo a ripetergli attaccata al suo corpo come un koala.
«Si si, va bene. Ma ora va' a vestirti prima che cambi idea» rispose bruscamente.
Mollai la presa dal suo collo rimanendo così a cavalcioni su di lui.
«Agli ordini» affermai mimando un saluto militare, per poi alzarmi dalle sue gambe e dirigendomi in camera da letto a cambiarmi.
Quella dove stavo andando era una discoteca, perciò le larghe felpe e i leggins che solitamente indossavo, non erano esattamente i capi più adatti.
Selezionai quindi una canotta blu elettrico, il mio colore preferito, decorata da una scritta argentata: "STRONG", nella speranza che non fosse troppo sgualcita, data la mia intramontabile abitudine di accartocciare la roba e gettarla a caso nell'armadio; afferrai dal fondo dell'armadio un jeans azzurro chiaro, e ai piedi misi un paio di adidas che James mi obbligò a comprare qualche giorno prima, in quanto non avevo che un solo paio di scarpe. Osservai con occhio critico il mio riflesso allo specchio, e arrivai alla conclusione che ero guardabile.
Andai quindi in bagno, una volta vestita, per applicare quel poco di trucco che mi aggradava per rendere presentabile il mio volto pallido.
Iniziai a frugare nell'astuccio nel quale riposi tutti i cosmetici che comprai, ossia un fard, un mascara, una matita, un eyeliner, un correttore, una minuscola trousse di ombretti, un rossetto di cui sbagliai anche il colore e un lucidalabbra rosa che non avrei mai messo in vita mia.
«Jodie»
«Sono in bagno, un momento!» risposi mentre frettolosamente applicavo il correttore per coprire quel viola accentuato sotto i miei occhi.
«Va bene. Ma non farti troppo bella»
Questa frase mi portò a sorridere involontariamente.
L'ultima volta che mi scrutai allo specchio in questo modo fu la sera dell'omicidio. Ricordo che nel riflesso dei miei occhi non scorsi nessuna emozione, erano come spenti, senza vita. Adesso però erano ben diversi. Anche se le occhiaie erano rimaste invariate nel tempo, adesso riuscivo a scorgere un'anima dietro gli occhi, riuscivo a vedere un'emozione, riuscivo a vedere della vita in quegli occhi. E tutto grazie ad una persona soltanto.
Proseguii velocemente applicando una linea di matita nera sotto gli occhi, e qualche briciola di fard per camuffare l'eterno pallore del mio viso.
Afferrai al volo un giubotto di jeans che avevo precedentemente poggiato sul letto e raggiunsi velocemente James, stravaccato sul divano.
Appena entrai si alzò in piedi di scatto, cambiando bruscamente espressione sul volto, e mi fissò con un'aria talmente meravigliata che mi fece sorgere il dubbio se stesse guardando proprio me. Mi voltai ma non vidi niente dietro di me che potesse catturare la sua attenzione.
Mi sentii afferrare le spalle e mi voltai verso di lui, il quale sospirò quasi affranto.
«Ti avevo detto di non farti troppo bella, ma non mi hai dato ascolto»
«Che scemo» mi lasciai sfuggire timidamente.
Quando qualcuno mi lodava, mi vantava, diceva che ero bella, intelligente e cose così, mi sentivo sempre in imbarazzo. In un certo senso non sopportavo che la gente mi facesse dei complimenti, perché diventavo subito timida e impacciata.
«Sei bellissima» disse semplicemente per poi stamparmi un tenero bacio sulle labbra.
«Eddai, per un po' di trucco... »
«No no no, non è il trucco a renderti bella. Tu lo sei già. Tu, sei bellissima» affermò marcando il "tu".
Sorrisi debolmente per poi chinare il capo, ma non potei farlo, perché mi alzò il mento, obbligandomi ad incrociare i suoi occhi.
«Non abbassare mai lo sguardo, mostra a tutti i tuoi bellissimi occhi, e fagli provare invidia» dichiarò con voce bassa.
Annuii timidamente, per poi afferrare il braccio che mi offrì con la cortesia di altri tempi.
Un quarto d'ora dopo ci trovammo presso il Club M, e non appena misi piede in quel posto, l'odore di alcol e di altre sostanze mi pervasero, esattamente come i ricordi delle serate simili, fino al ricordo di quella terribile sera in cui spezzai la vita di un uomo.
Istintivamente afferrai la mano di James, per assicurarmi della sua presenza, e pian piano passammo attraverso la folla.
Alzai il capo, avendo come la sensazione di essere osservata, e trovai la conferma di ciò. Incrociai con lo sguardo Olivia che sventolava una mano in segno di saluto, accanto a Kipling, il quale non traspariva alcuna emozione. Ricambiai il saluto, e poi lei mi fece cenno di salire.
Feci per staccare la mano ma James mi tirò a se.
«Dove vai?» chiese in tono brusco.
«Da Olivia» e indicai la ragazza con il dito.
«Va bene. Vado anch'io»
Iniziai ad incamminarmi ma la voce di James mi fermò nuovamente.
«Aspetta!»
«Cosa c'è?» domandai alquanto scocciata.
Lentamente si avvicinò, portò una mano sul mio volto e mi salutò con un bacio.
Senza dire nulla si allontanò da me, lanciandomi un'ultima occhiata da lontano, e anch'io mi allontanai prendendo la direzione opposta.
Trovai le scale per arrivare sul piano superiore, ma il caso volle che mi imbattessi in Kipling. Anche se non mi aveva fatto nulla di spiacevole, anzi, aveva assunto James, quell'uomo mi dava i brividi, ma il fatto era che non ne conoscevo il motivo. Semplicemente qualcosa mi diceva che era meglio non fidarsi di lui, perché aveva qualcosa di cattivo.
«Oh, s-salve» balbettai imbarazzata di fronte alla sua imponente figura, in confronto alla quale io sembravo una nullità.
«Salve Jodie. So che è venuta per passare del tempo con mia moglie. Tolgo il disturbo e vi lascio da sole. Con permesso» e si allontanò senza aggiungere altro, facendo un cenno di saluto con il capo.
Mi ricomposi con una leggera scrollata di testa, e continuai a salire i vari gradini fin quando non arrivai al piano superiore.
«Ehi Jodie!» Dio che voce squillante che aveva!
«Ciao Olivia, tutto bene?» chiesi avanzando verso di lei.
«Bene, benissimo. Ah, finalmente possiamo passare del tempo insieme a chiacchierare!» dichiarò tutta esaltata compiendo anche dei saltelli. Quanto era eccentrica!
«Ma ti prego, siediti!» disse indicandomi un divano in pelle nera.
Obbedii e lasciai andare il mio corpo sul morbido divano, trovandomi subito dopo a fianco a lei.
«Allora, dimmi tutto. Avete trovato poi una casa?» domandò voltandosi verso di me.
«Si, ma non è stato facile» risposi mimando un'espressione frustrata, per poi raccontarle tutta la tormentata vicenda, scatenando in lei, ovviamente, frequenti attacchi di risa. Perché sí... la sfortuna che avevamo avuto era a dir poco esilarante.
«Mamma mia! Beh, l'importante è che alla fine è andato tutto bene » mi rassicurò Olivia mentre versava del whisky in un bicchiere.
«Ne vuoi un po'?» chiese porgendomi il bicchiere.
«Oh, no. Ti ringrazio» rifiutai gesticolando vivamente. Non era affatto una buona idea bere in quel locale, a quell'ora. Per non parlare della ramanzina che avrei sicuramente ricevuto da James.
Olivia alzò le spalle e bevve il contenuto del bicchiere in un sorso, provocando in me una reazione di sconcerto. Doveva essere abituata a mandare giù roba del genere.
Passarono tre ore buone tra chiacchiericci vari, risate, pettegolezzi e via dicendo. Al primo impatto poteva sembrare una di quelle ragazze snob, ma alla fine si rivelò una persona molto alla mano, molto socievole e simpatica. Ovviamente non dissi molto sul mio conto, anche perché era sempre lei a parlare. In un certo senso, appena cominciava non si sapeva mai quando finisse, ma mi andava bene così: non potevo permettermi di farmi sfuggire molto sul mio conto, o su quello di James.
Non appena rivolsi lo sguardo all'orologio appeso alla parete, per poco non andai in iperventilazione.
Tra un discorso e l'altro, si erano fatte le due e mezzo del mattino.
Oh no! E se James avesse già finito da un bel pezzo? Si sarebbe sicuramente infuriato non vedendomi nei paraggi.
«Mi dispiace Olivia, si è fatto veramente tardi, devo andare altrimenti mi ammazza!» dichiarai alzandomi di scatto dal divano.
«Va bene, vai pure. Salutamelo!» rispose con un sorriso.
«Senz'altro» risposi avvicinandomi alle scale, mentre lei sventolava una mano in segno di saluto, e io ricambiavo sorridendo.
Con il cuore in gola, un po' per la musica e un po' per l'ansia, scesi ogni gradino di quella scalinata, e a mano a mano che i gradini andavano diminuendo, e il pavimento andava avvicinandosi, l'ansia e i battiti aumentavano sempre di più, fino a quando nel mio petto non ci fu un vero e proprio martellamento.
Ma rimasi alquanto sorpresa non vedendolo nella sala. Mi guardai attorno più e più volte, scrutando ogni singolo volto, ma di James non c'era affatto traccia. La cosa mi suonava strana.
Mi avvicinai alla piattaforma dei ballerini, ma non lo vidi neanche lí. Iniziai a preoccuparmi sul serio. Non poteva essersene andato, non poteva avermi lasciata sola in quel locale dopo tutte le raccomandazioni che mi aveva fatto, neanche fossi stata una bambina.
Sussultai non appena qualcuno toccò il mio braccio, e mi girai di scatto, trovandomi davanti un ragazzo moro dalla mascella leggermente pronunciata, con occhi scuri, alto piú di me e con un paio di cuffie sul collo.
La sua bocca emise qualcosa di inudibile per via della musica a tutto volume che riempiva la sala, ma che tuttavia cercai di interpretare dal labiale, senza risultati.
«Cosa?» urlai avvicinandomi a quel ragazzo.
«Cerchi qualcuno?» urlò a sua volta.
«Si» risposi guardandomi attorno.
«Sto cercando James, lo conosci?» chiesi.
Il ragazzo annuí e mi fece cenno di seguirlo, e per essere sicuro che non mi perdessi in mezzo a tutta quella gente mi afferrò la mano. Avevo il cuore in gola. Speravo soltanto che James non mi vedesse proprio in quel momento.
Arrivammo in un angolo della sala in cui il rumore della musica non sovrastava quello delle parole.
«Uff, qui possiamo parlare in pace» disse il ragazzo.
«Sto cercando James, ero venuta insieme a lui ma ora non riesco a trovarlo» iniziai disperata.
«Ehi, sta calma. James è andato un attimo ad aiutare la ragazza del bar con alcuni scatoloni troppo pesanti, ma ha detto che tornava subito»
«E questo quando l'ha detto?» chiesi aggrottando le sopracciglia.
Il moro di fronte a me sollevò il polso e diede uno sguardo al suo orologio.
«Ehm... più o meno un quarto d'ora fa» rispose insicuro, quasi balbettando.
Okay. Io mi fidavo di James, ma nonostante questo, le parole: "la ragazza del bar", "torno subito" e "un quarto d'ora fa" danzavano nella mia mente assillandomi incessantemente, continuando a dirmi che c'era qualcosa che non andava.
Sebbene mi ripetessi che non era successo nulla, che probabilmente la ragazza aveva difficoltà e James forse era andato davvero ad aiutarla, una parte della mia mente, la più razionale, mi suggeriva di sospettare qualcosa.
«Tutto bene?»
Scossi leggermente la testa e ritornai con i piedi per terra.
«Si, si tutto bene» rassicurai il ragazzo di fronte a me, il quale mi sorrise.
«Piacere, Liam» disse e mi porse una mano che, insicura, strinsi.
«Jodie» risposi a mia volta.
«Vuoi qualcosa da bere?» chiese il ragazzo dopo vari secondi di "silenzio".
«No, grazie. Sono a posto» risposi con un sorriso.
«Lavori qui?» domandai con non so quale coraggio. Era un ragazzo che conoscevo appena, e non sapevo quali erano le sue intenzioni, sebbene non mi avesse fatto una cattiva impressione.
«Si, da ormai quattro anni. Sono il DJ» disse mostrandomi le cuffie poggiate sulle spalle.
«James e tu siete... fidanzati?» domandò d'un tratto titubante, quasi timoroso.
Per un attimo lo guardai poichè mi aveva colto di sorpresa, non mi aspettavo una domanda simile.
«Oh, scusa, non sono affari miei » Liam si affrettò a scusarsi, evidentemente aveva interpretato male la mia reazione.
«Cosa? No» risposi scoppiando quasi involontariamente a ridere.
«Non é nulla di segreto, tranquillo. Comunque si, stiamo insieme» risposi sorridendo ampiamente.
«Ah, pensavo di avere fatto una domanda un po' troppo personale, a giudicare dal modo in cui mi hai guardato» affermò con un sospiro di sollievo.
«Ma l'avevo immaginato, sai?» continuò.
«Come mai?» chiesi con aria curiosa.
«Perchè appena ti ho detto dove era James hai assunto un'espressione degna del miglior serial killer. Quindi ho automaticamente dedotto» spiegò gesticolando.
Sollevai le sopracciglia, guardandolo scettica.
«Davvero ho assunto un'espressione truce?» domandai incredula, e Liam in tutta risposta annuí lentamente e in un modo così buffo da farmi scoppiare a ridere.
«Jodie»
La risata morì all'istante, mentre lentamente mi voltai in direzione della voce che, con un pizzico di rabbia, mi aveva nominata.
«James, hai finito con la ragazza del bar?» domandai ironica infilandomi con forza il giubbotto di jeans che avevo portato con me.
«Ciao Liam, e grazie» dissi prima di incamminarmi a grandi passo verso l'uscita del locale. Avevo un tale fuoco dentro di me, che avevo paura di quello che sarei riuscita a fare, e tutto per quello schifo di carattere impulsivo che mi ritrovavo, e che stavo tentando di migliorare in tutti i modi.
Spingendo la gente che si poneva sulla mia strada, uscii dal locale con gli occhi da un momento avrebbero potuto sprigionare lacrime. Ma non lacrime di tristezza o malinconia, quelle erano lacrime di rabbia.
Perché la gente compie sempre lo stesso errore: associa il pianto alla tristezza, mentre non tutti sanno che anche la rabbia, o i nervi, possono provocare un pianto liberatorio, e questo io lo sapevo bene.
«Cazzo Jodie, fermati!» sentii James urlare arrabbiato, mentre tentava di avvicinarsi a me di corsa.
Il mio braccio venne stretto dalla sua mano che mi obbligò a fermarmi e a girarmi con uno scatto verso di lui, facendo si che i miei capelli si andassero a sparpagliare sul mio volto.
«E ora che diavolo vuoi? Prima mi fai le raccomandazioni, fai il geloso, mi dici di stare lontano dai ragazzi neanche se fossi una puttana, e poi tu che fai? Te ne vai chissà dove insieme ad una ragazza mentre la sottoscritta...» dissi indicandomi con il dito «...ti aspetta come una deficente, sola, in mezzo a duecento persone ubriache e totalmente fatte!»
Ero consapevole di urlare in mezzo alla strada, ma in quel momento non me ne poteva importare di meno. E detto ciò, cercai di liberarmi dalla sua presa, che dopo le mie parole, era ancora più stretta e provocava anche un po' di dolore.
Ma i miei tentativi furono vani, la sua mano non ne voleva sapere di ammorbidirsi e, anzi, fece l'esatto contrario.
«La sottoscritta... » iniziò James indicandomi e fissandomi con un'espressione cupa dipinta in volto «...non ha esitato un solo secondo a farsi confortare dal primo coglione a disposizione, e poi vieni a fare la moralina a me? Se proprio vuoi saperlo, IO sono andato ad aiutare una ragazza in difficoltà, TU invece te la ridevi insieme quell'idiota del DJ» controbbattè con tono alto, indicando prima se stesso e poi me.
Peccato che James mentisse e non fosse andato soltanto per aiutare Emma, ma anche per compiere la sua indagine personale, servendosi di lei come principale testimone.
Alternai lo sguardo tra il suo volto e la sua mano che cominciava a stringere troppo, faceva male.
«J-James, lasciami » balbettai entrando nel panico. Ma lui non ne voleva sapere di muoversi, era come ipnotizzato, e continuava a stringere.
«James, lasciami! Mi fai male!» urlai stavolta attirando l'attenzione di alcuni passanti.
Finalmente liberò la presa, e io indietreggiai di qualche passo accarezzando il punto in cui aveva stretto, scossa e anche leggermente impaurita. Speravo soltanto che non ci fosse nessun livido.
«Qualche problema?» due uomini si avvicinarono a noi, probabilmente a causa dell'urlo lanciato da me poco prima.
«Fatti i cazzi tuoi » rispose James in tono brusco, iniziando a incamminarsi verso l'auto.
«Che hai detto? Fanculo pezzo di merda» rispose in tono altrettanto brusco.
Potei vedere il modo in cui James strinse i pugni, e gli occhi diventare due pozze nere dalla rabbia. Temevo che sarebbe successo qualcosa. Qualcosa di spiacevole.
James si voltò lentamente verso l'uomo da cui era provenuto l'insulto, e cautamente iniziò ad avvicinarsi a lui.
Io ero come paralizzata dal panico che ogni secondo in più divampava in me.
«Che cazzo hai detto?» domandò James scandendo ogni singola parola.
«Ma questo è matto» disse il secondo uomo guardando l'amico accanto a lui.
«Ho chiesto cosa hai detto» ripeté James, stavolta più risoluto.
"Ti prego, no!" pregavo tra me e me.
«Vaffanculo idiota» rispose l'altro.
Fu un attimo, e poi udii il destro di James colpire la guancia dell'uomo di fronte a lui.
«No!» urlai correndo incontro a James che intanto cercava di scrollarsi di dosso l'altro.
«James, ti prego!» supplicai con le lacrime agli occhi. Non volevo che finisse di nuovo in carcere. Non potevo permetterlo.
Ma non c'era verso di farlo ragionare. Loro tre si picchiavano mentre io guardavo intorno a me in cerca di qualcuno che potesse aiutarmi. Ma, come sempre, quando c'è bisogno non c'è mai nessuno, perciò decisi di agire a modo mio.
Mi fiondai anch'io nella mischia nel tentativo di dividerli. Non mi importava se ricevevo anch'io dei colpi, l'importante era non permettere a James di rovinarsi un'altra volta. Non poteva, non in quel modo.
Dopo aver ricevuto nella confusione un paio di sberle e un calcio nello stomaco, riuscii a strattonare via James, afferrandolo dalla camicia.
«James, ti prego smettila!» supplicai con gli occhi inondati di lacrime e il corpo leggermente dolorante.
Quei due si allontanarono e finalmente James parve calmarsi. Quando fui sicura che la situazione fosse tornata normale, mi diressi in auto e mi ci infilai dentro, sfogandomi quindi in un pianto disperato.
Non so se per il fatto che mi aveva messo le mani addosso per la prima volta, per ciò che mi disse Liam riguardo la ragazza del bar, o per lo spavento che potesse compiere un passo falso che gli sarebbe costato caro.
O forse per qualcos'altro, forse per il comun denominatore che univa tutti e tre gli eventi e che annunciava una verità che, seppur dolorosa, dovevo iniziare ad accettare.
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