28. The beginning of the end

Mugolai leggermente appena fui sveglia la mattina seguente, e i raggi dorati che filtravano dalla finestra andavano a poggiarsi delicatamente sulle coperte verdi. Rivolsi lo sguardo alla mia sinistra, notando con sorpresa i numeri verdi a grandi caratteri che spiccavano sullo schermo della sveglia: le 9:15 A.M.
Avevo davvero dormito così tanto?

Presi immediatamente la decisione di alzarmi, ma quando fui sul punto di muovermi, sentii un peso che me lo impediva.
Solo allora mi accorsi che la testa di James era poggiata sulla mia spalla, e il suo braccio mi circondava la vita.

Sorrisi a quella vista: se possibile era ancora più bello mentre dormiva, con le ciglia lunghe distese, il naso perfetto, e il volto d'angelo rilassato e sereno. Notai che i suoi capelli erano cresciuti un bel po' da quando lo avevo conosciuto, donandogli un'aria un po' meno rude e più da ragazzo. In più la sua barba, anche se fastidiosa, lo rendeva incredibilmente affascinante. Non c'erano parole per descrivere quanto fosse bello in quel momento. E per l'ennesima volta mi venne naturale percorrere lievemente il suo volto con la mano libera, in quanto l'altra era sulle sue spalle scolpite.
Perché ogni qual volta che dorme devo sempre accarezzarlo?
Non ne conoscevo io motivo, semplicemente mi veniva istintivo.

Sebbene avessi una voglia incredibile di rimanere lì, insieme a lui, sapevo di dovermi alzare. Lo scansai leggermente, ma in tutta risposta lui strinse la presa con il braccio e poggiò la testa sul mio petto, che solo allora mi accorsi essere in bella vista.

«Già ti alzi... Resta qui» supplicò con voce impastata dal sonno.
«James. James sono le nove e un quarto»

Inspirò profondamente e lentamente si stiracchiò. Pensavo che stesse per alzarsi, lasciando libera anche me di muovermi, tanto che iniziai a scansarmi le coperte da dosso, ma ovviamente James non ci pensava neanche per sogno a lasciarmi libera dalle sue grinfie, e fu così che finii intrappolata tra le sue braccia, mentre lui mi guardava dall'alto del suo capo retto dal braccio.

«Dove pensi di andare? Non mi hai ancora dato il buongiorno»
«Sissignore» risposi prima che, per l'ennesima volta, James si riprendesse le mie labbra.
Questo si che é un buongiorno!

D'un tratto mi resi conto di dovermi scusare con lui, per il comportamento estremamente acido che avevo avuto la sera prima.
«James...»
«Cosa c'è?» rispose ancora pericolosamente vicino, accarezzando lievemente la mia guancia.
«Ecco... io... Mi dispiace per come ti ho trattato ieri. Scusa se non ti ho perdonato subito, sono stata troppo crudele. Mi dispia-»
«Ssh» rispose semplicemente, zittendomi poggiando il pollice sulle mie labbra, che accarezzò.
«Non dire sciocchezze. Io neanche lo meritavo il tuo perdono» mi rassicurò sorridendo, e allora mi convinsi davvero che era tutto a posto.
Gli sorrisi di rimando, e lo attirai a me per un'ultimo bacio prima di alzarmi, anche se in realtà avrei voluto tutt'altro che andare via.

Mi misi a sedere sul letto di scatto.
Ora o mai più mi ripetevo, altrimenti avrei rischiato seriamente di passare la giornata a letto, nelle sue braccia, cosa che non sarebbe stata neanche tanto male in fondo...

«Ma...» tastavo le coperte e guardavo il pavimento per cercare di capire dove fosse l'intimo.
«Dove sono le mie mutande?» chiesi senza tante cerimonie.
«Sono qui» rispose indicando il pavimento vicino alla sua parte di letto. Le raccolse e me le porse.
«Perché ce le hai sempre tu?» domandai ridendo.
Rispose accennando anche lui una risata prima di incrociare le braccia dietro la nuca e osservarmi mentre, dopo averle indossate, mi alzavo e cercavo l'altro capo di biancheria intima, nascondendomi i seni con le mani.
Mi vergonavo? Risposta affermativa.
Per quale motivo? Non lo sapevo neanch'io.
Non aveva senso che mi vergognassi di lui, non dopo tutto ciò che c'era stato e che c'era, eppure era così.

«Posso sapere perché ti nascondi? Sai benissimo che conosco a memoria il tuo delizioso corpo» disse con un'espressione maliziosa in volto, il che non fece altro che alimentare il mio imbarazzo. Forse la mia non era solo vergogna, ma anche la paura di non essere abbastanza bella. Insomma, io ero una ragazza come tante, neanche tanto alta, minuta e con appena una terza di seno. L'unica cosa per cui potevo sentirmi fiera era il sedere. Lui invece era perfetto in tutto e per tutto, aveva un fisico da far paura, era troppo per una come me.

«Hai mai sentito parlare di "pudore"?» ribattei in tutta risposta.

«E dove va a finire tutto questo pudore una volta che ti ho messa sotto?» rispose divertito, al che mi voltai verso di lui fingendomi scioccata, incontrando il suo solito sguardo accompagnato dal solito sopracciglio alzato.

«Idiota...» borbottai avvistando finalmente il reggiseno e raccogliendolo da terra... con una bretella penzolante.

«Ma che...» borbottai guardando meglio l'oggetto in questione. Era andato. La bretelle era scucita.

«Me l'hai rotto!» esclamai mostrandogli l'indumento.
«Non é rotto, si é solo sfilata»
«Idiota, le bretelle sono cucite!»
«E chi ti dice che sia stato io?»
«James, ieri era integro» risposi guardandolo seria anche se in realtà stavo per scoppiare a ridere.
«Andiamo, sei tu che piombi in camera di notte e mi salti addosso. É colpa tua» rispose giocoso con un sorrisetto che la diceva lunga.
«Forse ho un tantino esagerato» continuò gesticolando.
«Un tantino?» gli feci notare meglio le condizioni del povero indumento.

Scossi la testa e andai in quella che avrebbe dovuto essere effettivamente la nostra camera da letto, e presi degli abiti comodi.

«Vado a farmi una doccia!» urlai dal bagno.
«E muovi il culo ad alzarti che sono le nove e mezza!» gli suggerii non proprio nella maniera più garbata. Sentii uno sbuffo e subito dopo lo scriocchiolio del materasso.

Portai il mio corpo nudo dentro la doccia, per lavare via il sudore di una nottata di riconciliazione, pulendo bene anche i capelli, cresciuti di molto. Arrivavano alla schiena ed erano un tantino fastidiosi da domare, e ancora più fastidiosi da asciugare: ogni volta se ne andava esattamente un'ora di phon, cosa non particolarmente entusiasmante data la temperatura non proprio glaciale di 35 gradi all'ombra di fine luglio. Decisi di asciugarli grossolanamente con una tovaglia e di lasciarli liberi ad asciugarsi da soli.

Uscii dal bagno dopo essermi avvolta in una tovaglia abbastanza grande, e mi diressi in cucina per saziare il mio stomaco.

«Che c'è nel frigo?» domandai dopo essere entrata in stanza.
«Quello che abbiamo comprato ieri mattina. Ci sono pacchi di brioche, biscotti, latte e succo di frutta. Vedi di farli bastare per un po'» rispose mentre addentava una brioche di dubbio gusto e dal colore giallastro. Somigliava vagamente ad un plum cake.

Aprii lo sportello del frigo, e quindi optai per un fagottino -fagottone- ripieno di cioccolata, per poi afferrarlo e prendere posto di fronte a lui in quel piccolo tavolo rotondo, che pareva essere fatto su misura per noi due.

«Quindi, ora che faremo?» domandai addentando quella bomba calorica tremendamente squisita.
«Tanto per cominciare...» iniziò guardando il suo plum cake morsicato «Dobbiamo cercarci un lavoro»
Diede un altro morso.
«Siamo partiti con i 2800 dollari che avevo messo da parte. Tra vestiti, albergo, cibo e spese per la casa ne sono rimasti poco meno della metà. Calcolando l'affitto di questo mese, potremo andare avanti per un paio di settimane e poco più»
E in men che non si dica, parlando aveva già finito il suo pancake.
«Dobbiamo quindi darci una mossa»

«Che lavoro vorresti fare?» chiesi.
«Gigolò va più che bene»
Ed ecco che il boccone mi andò di traverso provocando un momentaneo soffocamento, che si risolse con quattro buoni colpi sulla schiena da James, che era intanto scoppiato a ridere divertito. Invece io ero tutt'altro che divertita.

«Ti sembra divertente? Potevo soffocare!» sbottai isterica.
«Ma io non stavo scherzando» aggiunse serio.
Lasciai la brioche a mezz'aria, la poggiai lentamente sul tavolo, mi alzai con un sorriso stampato in volto e mi diressi verso di lui, che tentava in tutti i modi di non riscoppiare a ridere come un perfetto deficente quale era.

Mi misi a braccia conserte dietro di lui, e gli domandai: «Che hai detto?»
«Ho detto che non era uno scherzo» rispose tranquillo sorseggiando del caffè dalla tazza.
«Okay, l'hai voluto tu» gli feci notare poco prima di prenderlo per le orecchie e tirargliele.
«Ahi, ahia ahia»
«Ripeto la domanda: che lavoro vuoi fare tu?» domandai non mollando le sue orecchie.
«Ahia, il postino ahi, il meteorologo. Ahia fa male!»
Mollai le orecchie e mi chinai verso di lui lasciandogli un bacio sulla guancia.
«Bravo, sapevo che eri intelligente» trionfai vittoriosa mentre lui intanto si toccava le orecchie ormai rosse.
E mi allontanai lasciandolo lí, andai a sedermi sul morbido divano e accesi la televisione, nell'attesa che lui si lavasse e vestisse.

Poco dopo ci ritrovammo in auto, vaganti verso chissà quale meta e in cerca di un lavoro che ci permettesse di tirare avanti discretamente, dato che ora gravava tutto sulle nostre spalle.
Fu allora che mi venne un lampo, un'idea.
Fu allora che mi venne in mente di Olivia, e del night di suo marito. Non credo avrebbe rifiutato la proposta di accettare qualcuno fra noi due per lavorare lì.

«Ho trovato!» esclamai d'un tratto, tanto che James sussultò sul sedile dalla sorpresa.
«Porca puttana, stamattina proprio non ti vado a genio. Due attentati alla mia persona, quello di stamattina e l'infarto di adesso»
Risi divertita e poi parlai.
«Ti ricordi quella ragazza che ho incontrato al negozio di abbigliamento?»
Annuí non spostando lo sguardo dalla strada, e io continuai.
«Lei ha un nightclub subito dopo Riverside avenue, la terza strada. Si chiama Club M, ed é di suo marito Kipling»

Frenò improvvisamente tanto che per poco non sbattei la testa sul cruscotto. A cosa servono poi le cinture di sicurezza?
Per un momento lo vidi assente, guardava il nulla. Era come se un'ombra gli fosse passata davanti agli occhi, un'ombra oscura.
Che diavolo gli era preso?

«James, tutto bene?»
Mi guardò per un istante, senza dire alcuna parola. Poi, dopo interminabili secondi, formalmente rispose.
«Si, tutto bene. Non è niente. Soltanto un capogiro» mi rassicurò sorridendo falsamente.
Annuii incerta, e l'auto ripartì. Perché aveva avuto quella reazione appena aveva sentito nominare quel luogo? Non me la bevevo la storia del capogiro. Nel profondo sapevo che c'era qualcosa di più, qualcosa di più inquietante, oscuro e nascosto, una realtà del tutto diversa, e sarei andata a fondo a questa storia.
Pensavo che quello fosse l'inizio di una nuova vita, l'inizio di una vita normale.
E come potevo sapere che non era altro che l'inizio della fine?

Narratore esterno
Quando James udì nominare la proprietà dell'uomo a cui giurò vendetta a costo della sua stessa vita, il tempo parve fermarsi, e assieme ad esso il suo cuore aveva smesso di pulsare. Fu che avvenne tutto, era che era nascosta la verità, era che James aveva intenzione di indagare ogni pista possibile per porre fine ad un lungo mistero che durava da tre anni ormai. Ed era , che un corpo venne privato della sua anima innocente.

Sheryl.

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