20. I see my father in your eyes
Venni svegliata da qualcosa che mi colpiva in continuazione, qualcosa che si muoveva e faceva tremare l'intero letto.
Aprii gli occhi, e mi accorsi che James si stava muovendo furiosamente, colpendo ripetutamente anche me, e strillava come se lo stessero accoltellando. Grondava di sudore, ma aveva gli occhi chiusi. Stava avendo un incubo.
Mi alzai a sedere, coprendo il mio corpo con il lenzuolo, e indietreggiai leggermente.
«No! Sheryl, Sheryl» continuava a urlare mentre si contorceva sotto le coperte.
Mi avvicinai cautamente a lui, e lo accarezzai, cercando di calmarlo.
Lo capivo. Sapevo cosa voleva dire avere un incubo. Era orribile, e non c'era niente di più bello che svegliarsi e scoprire che era soltanto un brutto sogno.
«James» lo scossi cercando di svegliarlo per mettere fine a quell'agonia.
«James!» ripetei, ma non si svegliava, e continuava ad agitarsi sempre di più, mentre in me cresceva e divampava maggiormente il panico.
Mi guardai attorno, in cerca di qualche brillante idea che potesse aiutarmi nel sedare il suo sonno burrascoso.
«Sheryl. SHERYL NO!»
Urlò come non lo sentii mai fare, prima di alzarsi di scatto a sedere.
Non mi resi conto di ciò che successe, un millisecondo dopo mi sentivo soffocare, e tutto diventava sempre più nero attorno a me, mentre i riflessi si appannavano.
Riuscivo a sentire soltanto la sua mano stringere saldamente la mia gola, impedendomi qualsiasi gesto, persino il respiro.
Dopo alcuni secondi, che però mi parvero una vita, riacquistò il senno, e liberò la presa. Portai istintivamente le mie mani sul punto in cui aveva stretto, tossendo più volte e cercando di respirare il più possibile per ripristinare l'ossigeno nel mio corpo.
«O mio Dio! Jodie. M-mi dispiace. I-io non volevo!» ripeteva mortificato e preoccupato allo stesso tempo.
«Non preoccuparti. Sto bene» dissi ancora leggermente scossa per l'accaduto.
«Tu piuttosto» continuai «urlavi talmente tanto... Mi hai fatto quasi paura.» e mi avvicinai a lui stringendomi al suo petto bagnato di sudore, cosa che in quel momento poco m'importava.
Lui rispose infilando una mano tra i miei capelli, mentre gli accarezzavo le spalle, nel tentativo di ripristinare il ritmo del suo respiro, che adesso era velocizzato di molto.
«Fatto un brutto sogno?»
Annuì, e io risposi.
«Ne vuoi parlare?»
Stette un po' in silenzio, mentre notavo con piacere che il suo petto iniziava a muoversi regolarmente, segno che si era calmato, rasserenato.
«È lo stesso che mi perseguita da anni.»
Strizzò gli occhi come per immaginare la scena.
«Ci sono io, mentre cammino per strada, in un vicolo buio, e l'oscurità é padrona dell'ambiente circostante. Finché, attorno a me si spandono mille luci confuse, ad interrompere la monotonia del buio, insieme ad orme indefinite e sagome deformi. Non capisco nulla di ciò che è attorno a me. D'un tratto sento delle urla, di una voce a me familiare. Alzo il capo, e la vedo. Sheryl.»
«Tua sorella, vero?» gli sussurrai sul petto.
Lui annuì, e continuò a parlare mentre intanto mi stringeva a lui.
«Lei viene verso di me, correndo. Io la chiamo, e corro anch'io per riabbracciarla. Mentre sta per gettarsi tra le mie braccia, si ode uno sparo. Un attimo dopo mia sorella é stesa per terra in un lago di sangue, morta, una millesima volta, e senza che io abbia fatto nulla per impedirlo!»
Queste ultime parole, le disse con voce spezzata da un pianto triste e malinconico, al che mi alzai in ginocchio sul letto, coprendomi con il lenzuolo, e incrociai le braccia dietro la sua nuca, mettendo la sua testa nell'incavo del mio collo, così che potesse piangere sulla mia spalla.
Cercai di tranquillizzarlo accarezzandogli i capelli, sussurrandogli parole dolci, mentre le sue braccia cingevano la mia schiena nuda.
«Sssh, é tutto a posto, tutto a posto. Era soltanto un sogno, un terribile incubo, ma adesso tu sei qui con me, e non c'è niente per cui piangere. Tu non hai colpe. Quello che é successo, non é colpa tua.»
Si staccò da me, permettendomi di guardarlo in viso.
Mi fece tenerezza vederlo in quello stato. Fu la prima volta che lo vidi piangere, che lo vidi debole. Anche lui aveva visto piangere me, e aveva fatto in modo di calmarmi e di tirarmi su, e io volevo farlo per lui.
Gli scacciai le lacrime con le mani, e gli asciugai anche la fronte madida di sudore, ripetendogli che andava tutto bene.
«Tua sorella è morta, lo so. Anche i miei genitori sono morti. Ma non è colpa nostra e tu lo sai. Tu sai che non c'entri niente con la sua morte...» mi bloccai.
Effettivente io non sapevo nulla della morte di Sheryl. Non sapevo come fosse morta. Ma nonostante tutto, ero fermamente convinta che lui non c'entrasse niente. Amava troppo sua sorella, e poi, lui era un uomo buono. Non avrebbe mai potuto fare del male ad una persona a cui voleva bene.
Gli asciugai le nuove lacrime venutesi a creare, e gli diedi un bacio, come per dirgli "io sono qui, non ti lascio solo".
«Adesso dormiamo. D'accordo?»
«D'accordo» annuì, e ci stendemmo entrambi sul morbido materasso, ricoprendoci con un lenzuolo.
Ci mettemmo entrambi su un fianco, così da stare uno di fronte all'altra, e ci addormentammo abbracciati, con la mia testa sul suo petto, esattamente in corrispondenza del suo cuore. E questa azione apparentemente banale, aveva più significato di ciò che dimostrava. Significava che io facevo parte del suo cuore, e che ormai ero una parte indispensabile di lui. Ero l'essenziale. Come il cuore.
* * *
Quando aprii gli occhi, non credetti a quello che avevo davanti a me, o meglio, ero talmente assonnata che non capivo nulla.
Ero ancora in dormiveglia quando chiamai «Papà» quell'uomo davanti a me, girato di spalle, che teneva stretta la mia mano nella sua, e il mio braccio incastrato sotto al suo.
In quell'attimo, quel bellissimo attimo, mio padre fu vivo. Davanti a me, vedevo l'uomo che mi aveva cresciuta, e che mi aveva lasciato troppo presto, intento a stringere la mano alla sua piccola, durante uno dei tanti riposini pomeridiani.
Rividi me da piccola, con le guance paffute e la gioia di vivere, rividi mio padre davanti a me, di spalle, che mi stringeva la mano e si addormentava così, e guai a toglierla! Si offendeva, diceva che non gli volevo bene, quando invece lo consideravo l'uomo perfetto.
In quell'attimo ho rivisto l'uomo perfetto, nonostante i mille difetti che avesse, ho rivisto l'uomo da sposare, rividi l'uomo da avere accanto e con cui condividere la propria vita.
In quell'attimo, io rividi mio padre.
«Papà» chiamai ancora.
L'uomo davanti a me si girò, e mi accorsi con un pizzico di delusione, che colui a tenere la mia minuscola mano nella sua enorme, non era mio padre.
«Oh, scusa. Mi dispiace di averti svegliato»
«Non preoccuparti, ero già sveglio»
Mi vergognai un po' per l'assurdità che avevo appena pensato. Mio padre era morto, e dovevo accettare la dura realtà, anche se, più passava il tempo, e più mi accorgevo che mio padre riviveva attraverso James. Sembra strano, lo so, ma molte cose di lui mi rimandavano a mio padre, e questo mi faceva stare bene. E forse era anche per questo che amavo James.
Egli si accorse della mia espressione triste, quindi alzò il mio viso, prendendolo tra le mani, permettendogli così di guardarmi negli occhi, e capire ciò che mi attanagliava.
«Cosa c'è che non va? Jodie, a me puoi dirlo. Hai fatto un sogno?»
«No no. Nessun sogno»
«E allora cos'hai? Perché tutto d'un botto hai chiamato tuo padre?» Mi chiese dolcemente, accarezzandomi piano il braccio, su e giù, come spesso soleva fare.
Espirai, chiudendo gli occhi. Alzai lo sguardo su di lui, che mi guardava tenero, quasi preoccupato.
«É solo che... prima, quando tu mi tenevi la mano...» lo guardai, e lui annuì, come per dire che aveva capito.
«Quello, lo faceva sempre mio padre, quando ero piccola. Quando dormivamo tutti e tre nel lettone, lui prendeva la mia manina nella sua, si girava e teneva ben saldo il mio braccio sotto il suo. E...» mi presi una pausa per respirare «...Ci addormentavamo così, perché non potevo ritirarla, altrimenti si offendeva, e metteva il muso come un bambino.»
Mentre pronunciavo quelle parole, e rievocavo quel bellissimo ricordo, torturavo continuamente le mie labbra, e deglutivo ripetutamente per scacciare il nodo che si ostinava ad intrappolare la mia gola. Guardavo in alto per impedire alle lacrime di formarsi, e facevo di tutto per non scoppiare a piangere, anche se non c'era assolutamente nulla di male, poiché la notte prima, anch'io avevo visto piangere James.
Lui lo capì, e penso che fu per questo motivo che mi abbracciò teneramente.
«Mi dispiace Jodie, non sai quanto» dichiarò accarezzandomi i capelli.
Mi staccai dall'abbraccio, con gli occhi lucidi. Non doveva dispiacersi, anzi, il fatto che mi ricordasse mio padre, era una cosa positiva. Io amavo mio padre.
«No James, non devi dispiacerti. Tu mi ricordi mio padre, é vero. Molti tuoi gesti e modi di fare mi riportano a lui. Il tuo carattere, a volte dolce, a volte nervoso; gli somigli molto. E soltanto per questo, io non potrei che volerti solo bene.»
Sorrise, evidentemente gli faceva piacere sentirmi dire che amavo lui quanto mio padre.
«Posso farti una domanda?» chiese con tono serio, al che mi preoccupai leggermente.
«Certo» risposi insicura.
«Mi sono accorto che parli solo di tuo padre, quando invece entrambi i tuoi genitori...» lasciò la frase in sospeso.
Capii dove voleva arrivare. Veramente non lo sapevo neanche io perché avessi questa specie di preferenza verso mio padre. Anche se, si sa, il complesso di Edipo si può manifestare in molti modi. É risaputo che le figlie femmine abbiano un ascendente verso il genitore maschile, mentre i figli maschi, al contrario, preferiscono avere rapporti più stretti con la madre.
«Non eri in buoni rapporti con tua madre?»
«No! Avevamo un ottimo rapporto. Io volevo... voglio bene ad entrambi. Mi hanno cresciuta entrambi, ed entrambi mi volevano bene allo stesso modo, credo. Però, ammetto di aver avuto sempre un debole per mio padre, per quanto possa risultare brutto nei confronti di mia madre»
«E lui per te» aggiunse lui.
Sorrisi. Era vero anche questo.
«Eri la sua unica figlia, quindi non poteva che essere così. E poi, quale padre non andrebbe fiero di una figlia come te?»
Feci un sorriso amaro. «Un'omicida?»
Parve spiazzato da questa risposta.
«N-no, non intendevo... Io dicevo davvero. Una donna forte, sicura, intelligente. Una figlia amorevole come te, una donna incantevole. Tuo padre non poteva che essere orgoglioso di te, anche se avesse avuto altri dieci figli, tu saresti rimasta sempre la sua piccola. Solo tu.»
Quelle parole, dette da lui, mi avevano commosso, erano state davvero confortanti, parole che qualsiasi donna vorrebbe sentirsi dire dalla persona che si ama.
«Grazie» non disse niente, ma mi avvicinò al suo corpo e mi baciò.
«Come si chiamavano?» mi chiese.
«Michael, e Lorraine.»
E poi gli feci una domanda, che Dio solo sa quanto non vorrei avergliela posta.
«E i tuoi genitori?»
La sua espressione si rabbuiò, si rattristò.
Fece un verso amaro, a cui seguì la risposta alla mia domanda.
«Mio padre non ho idea di che faccia abbia, nè tantomeno il nome. Mia madre, per portare avanti la famiglia, si prostituiva, e come spesso accade, ci vuole poco a passare dal giro di prostituzione a quello della droga. Morì di overdose quando io e Sher eravamo adolescenti, e ci arrangiammo a vivere per strada, in una tenda. Spacciando» sorrise amaramente. «Questa è stata la mia infanzia» disse sarcastico, e in quel momento mi pentii con tutto il mio cuore di non aver taciuto una volta tanto nella mia inutile vita.
Rimasi mortificata.
«Scusami. Non volevo...»
«Non scusarti.» disse ciò prima di alzarsi dal letto e vestirsi.
Scostai lentamente le lenzuola, presi anch'io l'intimo e me lo misi.
Era di spalle, seduto sull'altra sponda del letto, e decisi di scusarmi davvero.
Lo abbracciai da dietro, e gli baciai la spalla.
«Mi dispiace tanto» riuscii a dire. Io mi lamentavo del destino che avevano subito i miei genitori, quando invece c'era chi stava messo peggio di me. Il destino era stato molto più crudele con lui, invece che con me.
Lo stringevo da dietro, e gli baciavo il volto, mentre finalmente ero riuscita a strappargli un sorriso.
«Ne é passata di acqua sotto i ponti, e prima o poi te ne avrei parlato» Disse una volta giratosi.
«Sei sicuro?»
Mi mostrò un sorriso sincero, il che mi fece star serena.
Si avvicinò a me, e fece coincidere le nostre labbra in un bacio casto, per farmi capire che era tutto a posto.
Si staccò da me, dopo qualche secondo, e, sorridendo, mi tolse ogni dubbio.
«Vestiti, andiamo a fare colazione» e si alzò dal letto per finire di vestirsi, dopo avermi stampato un bacio in fronte.
Stai serena Jodie, lui é come tuo padre. Ti ama.
Pensavo...
Piccolo spazio autrice
Non so se sia una cosa normale, ma quando ho scritto la parte in cui Jodie rievocava il ricordo in cui il padre le teneva la mano, mi è scappata qualche lacrimuccia (che vergogna per una che è cresciuta con Rambo e Rocky!) perchè effettivamente questo lo faceva mio padre con me, è un ricordo vero; perciò mi sono calata un attimo nei panni di Jodie e ho pianto anch'io al pensiero che i miei genitori potessero andarsene d'un tratto. So che è una cosa strana e, e che non c'entra niente con la storia, ma mi andava di dirlo, nella speranza di riuscire ad esser capita da qualcuno. Detto ciò, mi dileguo.
Adios amigos...
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