19. Quarrel and peace

[Piccolo S/A: CucciolaLely, se non scleri adesso non lo farai mai più XD]

«Buongiorno» fu la prima parola che udii appena fui sveglia la mattina dopo, quando ancora non avevo acquisito in pieno le mie facoltà mentali, quindi mi ci volle un po' per decifrare quel saluto e per realizzare che mi trovavo in auto, sdraiata sui sedili posteriori, con la faccia quasi schiacciata al petto di James.

Sbadigliai contro il suo petto, per poi portarmi su, all'altezza del suo volto, cosa alquanto complicata data la non sottile differenza di statura.

«Buongiorno» gli sussurrai con voce impastata dal sonno, prima di stampargli un bacio sulle labbra, per iniziare al meglio la giornata.

Sorrise, accarezzandomi il braccio, su e giù con un tocco delicato, tanto da causarmi forti brividi.

Sul suo volto apparve un'espressione compiaciuta, quando si accorse dell'effetto che mi provocava, quindi mi tirò a se per baciarmi, stavolta più intensamente, tanto che finì su di me, mentre io ricambiavo accarezzando quelle spalle scolpite e possenti.

Soffocai un gemito, quando passò al mio collo, e lo morse, mentre riuscivo a sentire sulla mia coscia quanto fosse eccitato in quel momento, esattamente come me.
La sua mano passò sotto la maglia, per accarezzarmi un seno, per poi afferrare l'orlo.
Quando fu sul punto di toglierla mi convinsi che quello non era il momento adatto per questo genere di cose. Innanzitutto eravamo in auto, in più eravamo in viaggio diretti verso Los Angeles, a cui ancora mancavano migliaia di miglia. Ma, cosa più importante, eravamo due evasi, e non potevamo permetterci soste prolungate se volevamo evitare di essere catturati e sbattuti al fresco.

«J-jam...» Tentai di chiamarlo tra un bacio e l'altro, ma fallii miseramente, poiché mi impediva di parlare con i suoi baci.

«James» lo chiamai, ma lui continuava a sollevarmi la maglia e a scoprire sempre di più la mia pelle, accaldata più che mai.

«James!» stavolta urlai, e questo diede i suoi frutti, in quanto smise di baciarmi e si alzò da me, mettendosi a cavalcioni. Mi alzai anch'io a sedere, aggiustandomi la maglia e i capelli.

«Che diavolo c'è ora?»
«James, non adesso. É meglio muoverci, siamo stati fermi per fin troppo tempo, quindi ora è meglio che tu ti metta alla guida. Prima partiremo, e prima arriveremo. Non dovevamo andare a Los Angeles?» gli ricordai.

Vidi che lui guardava il basso, per poi sbruffare rumorosamente ed uscire dall'auto per entrare dalla porta anteriore.
Lo stesso feci anch'io, e mi sedetti accanto a lui. Mise a moto l'auto, senza fiatare. Forse si era offeso, o ci era rimasto male.

Buona parte del viaggio trascorse senza dialoghi, come al solito. Era una consuetudine ormai.

«Dove staremo una volta arrivati?» gli chiesi d'un tratto.
Non rispose, ma continuava a fissare la strada.
«James»
«Che cosa vuoi?» rispose arrabbiato.
«Su James, non fare il bambinone. Appena arriveremo a Los Angeles e ci sistemeremo, potremo fare tutto quello che vuoi. Abbi un po' di pazienza!»
Non parlò.
«Allora? Dove abiteremo?»
Sospirò. «Affitteremo una camera in un qualche hotel»
«Che tu non hai idea che prezzi faccia» continuai la sua frase.
«Jodie, non dobbiamo prendere una suite, ci basta una matrimoniale. Sempre che tu non voglia dormire in una camera tutta tua.»
«James, fammi il favore di smetterla.»
Si stava rendendo davvero antipatico, e tutto per avergli detto che non era possibile fare ciò che avrebbe voluto fare.
Preferiva che ci sorprendesse la polizia nel bel mezzo di un rapporto?
Io sinceramente no... "No" come evasa dal carcere, e "no" come persona.

«Tutte uguali...» lo sentii blaterare.
«Come, prego?» gli chiesi.
«Voi donne, siete tutte uguali. Fate di tutto per provocare noi uomini, e alla fine, quando ci siete riuscite, ecco che ci fate restare come dei coglioni»
«E fammi capire, cosa avrei fatto io per provocarti?» risposi ridendo della sua affermazione.
Vidi che non ribatteva, quindi glielo richesi.
«Dimmelo. In che modo ti ho provocato? Cosa ho fatto?»
«Nulla. Assolutamente nulla. Non hai fatto niente.» disse sarcastico.
«Per favore, rimettetemi in cella.» dissi passandomi una mano sulla fronte.
«Ah!» esclamò quasi ironico, il che mi fece irritare parecchio, ma decisi di non infierire ulteriormente, quindi mi limitai a ridurre gli occhi in due fessure, e ad ignorarlo per il resto del viaggio. Stava davvero esagerando.

~~~~~~~~~~~~Molte ore dopo ~~~~~~~~~~~

Era quasi notte ormai, e lui mi teneva ancora il broncio. Ancora non si era stancato! Sembrava quasi mio padre. Anche lui era così. Quando lui e mamma litigavano, stavano giorni senza parlarsi, e mamma il più delle volte veniva a sfogarsi con me, mentre io la ascoltavo con pazienza assecondandola, nonostante avessi la testa sul punto di esplodere a causa dei compiti da fare.
E anche tra me e James, le cose andavano così. Chissà che non fossimo una reincarnazione dei miei genitori...

Avevo fame. Tanta fame. Non mangiavamo da tanto. Solo verso mezzogiorno ci dividemmo una barretta di cioccolato che trovammo nella sua auto. E non osavo immaginare a quale epoca risalesse. E dovevo andare anche in bagno, ma mi trattenni per quello che potetti, poiché le luci in lontananza che spezzavano il buio, mi suggerivano che eravamo arrivati.

«James»
«Mh?»
«Devo andare in bagno.»
«Un attimo di pazienza, siamo quasi arrivati»
«Va bene, ma spingilo quel pedale.»
Sospirò ed accelerò, mentre io stringevo le gambe e lottavo come potevo contro la mia vescica che era sul punto di scoppiare. Come se non bastasse, avevo una tale fame che sarei riuscita a mangiare un vitello intero. E non sto scherzando.

«Passami la cartina» mi chiese freddo.
«Che cartina?»
«La cartina di Los Angeles» rispose senza staccare lo sguardo dalla strada.
Aprii lo sportellino e la tirai fuori, dopo di che, gliela porsi.
Lui frenò, e la aprì sul volante.
Diede varie occhiate su di essa, dopo di che la richiuse e me la porse per rimetterla al suo posto.
Aveva una cartina di Los Angeles in auto? Sicuramente gli avrei chiesto qualche informazione. Avevo avuto sin da subito il sospetto che Los Angeles fosse una meta prestabilita, e questo fatto me ne diede la conferma.

Dopo qualche minuto, vidi un palazzo illuminato, con una scritta che esaltava su di esso: Silver Shell.
Perfetto. Eravamo giunti a destinazione. Quindi potevo andare in bagno, mangiare e bere, nonostante fossero le dieci di sera.

Non gli diedi il tempo di spegnere il motore, che già mi trovavo a dieci metri dall'auto.
Arrivai in hotel e raggiunsi la reception.
La donna dietro al bancone mi sorrise cordialmente, e io risposi al sorriso.
«Buonasera. Vorrei una matrimoniale.»
Lei mi guardò scettica per un momento, ma quando vide arrivare James correndo, affannato, sorrise e mi diede la chiave.
«Camera 206. Terzo piano. Prego signori»
«Grazie» dicemmo in coro mentre afferravo la chiave velocemente e mi allontanavo altrettanto rapidamente.

Premetti il pulsante dell'ascensore, ma quando vidi che si illuminò di rosso, decisi di non perdere tempo, e presi le scale.
Correvo a più non posso e in più sentivo che da un momento all'altro avrei potuto allagare l'intero albergo, mentre James faticava a stare al mio passo.
Feci sei rampe di scale in dieci secondi, e, arrivata al terzo piano, vagai con lo sguardo in cerca di una porta che avesse il numero 206.
Appena la trovai, mi si illuminarono gli occhi.
Infilai la chiave nella serratura e la chiusi alle mie spalle.
Non ebbi il tempo di mettere a fuoco l'intera stanza non appena accesi la luce, che mi ficcai nella prima porta che vidi, che per fortuna era proprio il bagno.
Sia lodato Gesù Cristo!

«Jodie apri!» sentivo insieme ai tonfi battuti alla porta.
«Un momento!» mi affrettai a rimettermi in sesto e a tirare lo scarico, e andai ad aprire la porta a James, rimasto chiuso fuori.
Entrò in stanza col fiatone, tutto scompigliato, con la fronte sudata, e si stese sul letto.

«Mio Dio James, sembra che tu abbia appena corso una maratona.»
«Io vorrei soltanto sapere come hai fatto a salire quelle scale in meno di un nano secondo. Spiegami questo, e mi metterò l'anima in pace»
Sorrisi e mi sdraiai accanto a lui.

Le pareti della camera erano di un violaceo purpureo, colore molto insolito per una camera d'albergo, tappezzate da vari quadri di paesaggi, e da due specchi, uno alto, all'entrata, e uno appena sopra la scrivania di fronte al letto. Su ogni lato del letto, sorgeva un comodino con sopra un'abat-jour. A destra, sulla parete opposta al letto, si ergeva un armadio, e di fronte la porta del bagno tanto bramato da me poco prima. Nella parete alla sinistra del letto, si presentava un balcone abbastanza grande.

«Bella camera, non trovi?» mi chiese.
«Si, carina. Se non fosse per questo colore ma... é bella. Senti James, ho fame, ti prego, dimmi che hai qualche soldo, non ce la faccio più!» chiesi senza tante cerimonie.
«Oh Dio!» esclamò alzandosi dal letto di scatto e uscendo fuori dalla stanza.
«Grazie eh» sussurrai sarcastica quando se ne fu andato.

Tornò poco tempo dopo con due buste in mano, che emanavano un'odore fantastico alle mie narici.
«Ecco qui due hot dog»
«Grazie grazie grazie!!!!» dissi felicissima mentre mi porgeva una busta.
Ci sedemmo sul letto e gustammo i nostri hot dog.
Dopo qualche minuto, li finii entrambi, mentre lui non era arrivato neanche a metà del suo unico hot dog.
«Mmh, buono» dissi ormai con stomaco soddisfatto.
James si voltò a guardarmi, e assunse un'espressione incredula quando degli hot dog vide soltanto la carta.
Mi sdraiai sul letto, massaggiandomi la pancia, mentre lui mi guardava in modo strano.
«Tu non sei normale»
«Avanti James, morivo dalla fame»

Quando finì anche lui il suo pasto, si alzò dal letto e andò in bagno, precisando che andava a farsi una doccia.
«Non si fa la doccia subito dopo mangiato»
«Vado a farmi una doccia!» ripeté stavolta più forte per ribadire che l'avrebbe fatta comunque.
«Va bene» risposi, mentre lo guardavo sparire dietro la porta del bagno.

E intanto io rimasi sdraiata sul letto, con le mani incrociate dietro la nuca a fissare il soffitto, in particolare il lampadario posto al centro di esso.

Dopo qualche minuto sentii la porta del bagno aprirsi, e subito dopo i suoi passi sul pavimento.

Quando mi voltai a guardarlo, rimasi semplicemente di stucco. Mi venne un batticuore assurdo. Lui era lì, davanti la porta del bagno, era completamente bagnato da mille goccioline che danzavano sui suoi pettorali a dir poco perfetti, e aveva soltanto un asciugamano in vita.

Deglutii rumorosamente a quella vista. Era una statua greca o cosa? Era... perfetto. Perfetto in tutto quanto. Così perfetto, che Michelangelo levati!

Mi alzai dal letto, tenendo fisso il mio sguardo su di lui, e mi incamminai lentamente verso la porta del bagno, accompagnata continuamente da quel battito accelerato.

Entrai in bagno e chiusi la porta alle mie spalle. Mi ricomposi, tolsi i vestiti che appoggiai su uno sgabello vicino alla doccia, e mi infilai in quest'ultima, dove restai per un bel po'.

Uscii da essa, mi asciugai e per dormire misi soltanto l'intimo. In quella camera c'erano quasi 30 gradi, senza esagerazioni, e, a dirla proprio tutta, non avevo nessuna intenzione di diventare una cotoletta!
Uscii dal bagno, con i capelli ancora umidi, e prendendo con me la biancheria rimanente.
Adagiai i panni sul letto dove trovai James già girato su un fianco.

Cautamente, per evitare di svegliarlo, mi misi anch'io nel letto, mi ricoprii con il lenzuolo, e mi aggrappai a quelle enormi spalle muscolose, che erano davvero uno spettacolo a vedersi.

«James» gli sussurrai in un orecchio.
Mi sollevai un po' e notai che era sveglio.
«Che c'è?» rispose.
Stetti qualche secondo in silenzio. Perché l'avevo chiamato?
«No, nulla. Volevo solo dirti buonanotte. Tutto qui» dissi, non sapendo cos'altro inventarmi.
«Buonanotte» rispose lui.

«Proprio come allora» dissi d'un tratto. Lui non si mosse, ma sapevo che mi stava ascoltando, quindi mi sollevai nuovamente, e continuai.
«Proprio come quando siamo fuggiti, quando eravamo a casa tua, e tu mi hai medicato la gamba. Quando ti ho chiesto di dormire con me, e tu hai accettato»
Lo vidi aprire gli occhi, e girarsi verso di me, supino, permettendo di adagiare il mio petto sul suo. In quel momento, il tempo sembrava essersi fermato. C'eravamo soltanto noi due. I raggi della luna che filtravano dai vetri della finestra, accarezzavano il suo volto, ora rilassato, e senza quelle solite sopracciglia aggrottate, rendendolo più bello di quanto non lo fosse alla luce del sole.
Era tutto surreale.

Continuò. «Quando ti ho detto di baciarmi. Di agire, anziché stare lì a guardare»
Sorrisi a quel ricordo, e continuai. «Si, è vero. Tu mi hai insegnato ad agire, mi hai insegnato a buttarmi a capofitto, a rischiare» Ammettevo accarezzandolo lievemente.
«Tu rischi fin troppo, Jodie»
«Lo so. Con te é un continuo rischiare. Ma voglio rischiare ancora. Voglio continuare a farlo per sempre. Con te.»
«Per sempre» ripeté.

Prese saldamente il mio busto e lo adagiò pian piano sul letto. Si mise su di me, attento a non farmi sentire il suo peso, e mi baciò, dopo avermi guardata negli occhi.
Un bacio lento, per dimostrarmi quanto mi amasse, e per dimostrargli quanto io lo amassi.

Le sue mani mi cullavano e mi accarezzavano. Tracciava tutto il mio corpo, ora il braccio, ora il fianco, ora la gamba, e poi di nuovo il fianco, mentre invece percorrevo delicatamente le linee delle sue spalle possenti. Di lí a poco i nostri panni furono per terra, così che nulla si potesse frapporre tra i nostri corpi, che poco dopo furono uniti dall'amore e dalla passione.

Non fu come le altre volte. Questa volta fu dolce. Non fu soltanto sesso. Facemmo l'amore, che é tutta un'altra cosa.

E mi addormentai tra le sue braccia, così da sentirmi protetta, protetta da lui, dall'uomo che amavo, con un sorriso stampato sulle labbra, e cullata dal suo respiro sulla mia pelle.

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