Ventinovesimo capitolo
Vi ricordo che questa storia non è mia, ma di Seele su Efp!
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"Jay, sono in ritardo per la cena" osservò Mark, controllando l'orologio al polso. Phoebe e Daisy erano sedute composte al tavolo, chiaramente desiderose di giocare invece di stare in quel modo, mentre Félicité si tratteneva dal messaggiare al cellulare di nascosto e Charlotte ricacciava indietro l'istinto di alzare gli occhi al cielo.
"Stanno arrivando" assicurò Jay, e in quel momento Harry e Louis entrarono nel salotto.
"Buonasera" fece il più piccolo, visibilmente confuso da tutto quell'ordine in una normale cena di famiglia. "Sono Harry" continuò, prendendo posto a tavola, scoprendo che lui e Louis non erano nemmeno seduti vicini; Louis era capotavola, mentre lui gli era seduto accanto ma sul lato del tavolo. Era come se i due uomini della famiglia Tomlinson stessero ognuno a capotavola proprio per scontrarsi, per guardarsi negli occhi e litigare per forza.
"Non mi sembra di avertelo chiesto, Harry" Harry si bloccò nello spostare la sedia, intimidito e improvvisamente insicuro di potersi sedere a tavola o meno.
"Scherzo, Harry, siedi pure" fece l'uomo, ridendo appena, ma ad Harry non sembrò sincero. Ostentò un sorriso poco convinto, abbassando gli occhi un attimo e sedendosi.
"Allora, Harry" al ragazzo sembrò che ripetesse sempre il suo nome per dispetto, visto che lo aveva detto per primo, "quanti anni hai? Quattordici?"
"Sedici" replicò, cercando di non mostrarsi infastidito.
"Oh, in effetti li dimostri, fisicamente" cos'era, un'accusa al suo carattere timido? Harry continuò a fare buon viso a cattivo gioco, annuendo vagamente.
"Harry frequenta la stessa scuola di Louis" per fortuna Jay si intromise, con un sorriso paziente rivolto ad Harry. Sembrava essere consapevole dell'effetto che suo marito aveva sugli altri.
"Capisco" replicò l'uomo, "sei di qui, Harry?"
"Del Chesire, veramente" rispose il ragazzo, "abitavo a Holmes Chapel."
"Ed i tuoi, Harry, sono separati?"
Harry si irrigidì, non capendo proprio cosa gli interessasse. "Sì" rispose piano.
"Me lo aspettavo" annuì Mark. Harry iniziò a sentirsi a disagio, chiedendosi il perché di quell'affermazione.
"Tu stai con Louis, o sbaglio?" domandò ancora. Harry fece cautamente sì con la testa, e la conversazione sembrò finire lì. Jay cambiò repentinamente argomento, parlarono d'altro mentre mangiavano il primo e il secondo, poi Mark riprese l'interrogatorio. Prima gli pose una serie di interrogativi sulla sua famiglia, sul lavoro che avrebbe voluto svolgere una volta divenuto adulto, domande che sembravano essere poste proprio per intimidirlo e capire se la sua famiglia fosse all'altezza della propria.
"Sai" riprese, mentre Jay iniziava a portare i piatti vuoti in cucina e annunciava che avrebbe portato il dolce, "di solito un matrimonio fallito ha conseguenze anche sui figli."
Louis respirò nervosamente, frenando la propria voglia di rispondergli a tono per difendere Harry.
"Non...non capisco proprio a cosa si riferisce" mormorò il ragazzo.
"Un cambiamento di gusti, per esempio?" suggerì Mark, un sorriso quasi crudele sulle labbra. Harry rimase in silenzio, comprendendo in fretta quale fosse il punto; il padre di Louis era, chiaramente, omofobo.
"Ti ho fatto una domanda, Harry" lo richiamò l'uomo poco dopo, insistente.
"Non credo che la separazione dei miei genitori abbia avuto ripercussioni di questo tipo su di me" rispose Harry, mostrandosi più sicuro di quanto realmente fosse.
"Ti faccio capire" commentò Mark, come se stesse parlando con qualcuno di inferiore, "guarda le mie figlie, a loro piacciono i maschi, com'è giusto che sia", spiegò, "e vengono tutte da un matrimonio che funziona."
Charlotte e Félicité si lanciarono un'occhiata veloce, sicuramente certe del contrario.
"Invece-"
Louis sollevò gli occhi e li puntò dritti in quelli del padre. "Credo che tu abbia finito con le domande, papà" lo interruppe.
"Ti sei sentito chiamato in esempio, Louis?" replicò l'uomo. Era chiaro che si riferisse al fatto che il vero padre di Louis lo avesse abbandonato, e il matrimonio fra lui e Jay fosse finito miseramente.
"Mi sarei aspettato almeno qualcuno in grado di rispondermi decentemente, qualcuno di più forte" continuò, facendo inumidire gli occhi di Harry, "e invece...Louis, se volevi portare a casa qualcuno, avrei preferito che fosse biologicamente una ragazza."
Harry, quasi a conferma delle sue parole, rimase in silenzio. Si mordeva le labbra per non lasciarsi scappare nemmeno una lacrima, e se avesse aperto bocca di certo non ce l'avrebbe più fatta.
Louis si alzò dalla sedia. "Andiamo, Haz" lo chiamò, guardando astioso suo padre. Harry sapeva che sarebbe scoppiato a sentire un'altra di quelle battute, perciò non se lo fece ripetere due volte.
"No, Louis, Harry, per favore non-" provò a fermarli Jay, quasi supplice e dispiaciuta, ma Mark le fece segno di star zitta.
"Se Louis vuole scappare, come sempre" replicò, "lascialo fare."
Louis soffocò un'imprecazione, avvicinò Harry a sé e camminò in fretta verso l'uscita del salotto.
****
"Sono felice che non ci sia niente di rotto" sospirò Zayn, entrando nell'auto di Liam che lo aveva accompagnato in ospedale. "Devo solo stare qualche giorno a riposo."
"A riposo, con le tue sorelle in casa?" rise Liam. "Sono sicuro che ti faranno impazzire!"
"Probabile" rise Zayn con lui. Poi lo guardò dolcemente. "Ehi, Lee...grazie per avermi accompagnato" fece, quasi timido.
"Scherzi?" replicò Liam. "Prendere la moto ti sarebbe costato uno sforzo enorme."
Zayn annuì lentamente. Sembrava nervoso, ma Liam pensò che fosse solo una sua impressione.
"Ho paura che lui torni a casa..." mormorò lui stesso, poco dopo, "mentre non sono in grado di fare molto."
Liam quasi frenò la macchina all'improvviso: non ci aveva pensato. Rimase in silenzio per qualche secondo, intento a pensare.
"Resterò a dormire da te" decise, infine. Stavolta fu il turno di Zayn di trasalire.
"Liam" chiamò incerto, "non credo che io sia in condizione di..."
Il ragazzo lo fissò confuso per qualche istante, poi sgranò gli occhi. "No, Zayn! Non intendevo per..." arrossì, "quello" concluse, "non puoi pensare davvero che io voglia farlo mentre tu non-"
"Va bene, va bene" lo interruppe Zayn, ridacchiando. "Per un attimo mi sei sembrato Harry, oddio."
Liam sbuffò. "Tu scherzi" commentò, imbronciato, "io voglio davvero che tu stia bene."
Fece per riaccendere il motore, ancora borbottando tra sé e sé per uscire da quella strada poco frequentata in cui si era fermato per spegnere l'auto, quando invece Zayn si allungò verso di lui e con una mossa veloce si mise seduto sulle sue cosce, bloccandogli la mano che andava a girare la chiave per l'accensione.
Liam lo guardò interdetto. Zayn sorrise, intenerito dalle sue attenzioni, e abbassò il viso per incontrare il suo, posando le labbra sulle sue e baciandolo con dolcezza. Le mani si avvicinarono alle sue guance, prendendogli il volto, alzandogli il mento e continuando a baciarlo.
"Cos'è che si intende con 'coccolarsi'?" chiese poco dopo, fermando i loro baci, con ancora il suo viso tra le mani. Sembrava sinceramente incuriosito, e anche se Liam iniziava a sentirsi accaldato a causa dei loro bacini così vicini, si sforzò di rispondere.
"No, non è questo" spiegò, "questo è...questo è l'esatto contrario, direi" ridacchiò. L'espressione di Zayn si fece delusa, come se avesse sbagliato.
"Ma, ti faccio vedere a casa!" sorrise allora Liam, per farlo sorridere a sua volta. "Oh, sì, ti riempirò di coccole!" e, per dare un primo esempio, gli accarezzò con affetto i fianchi.
"Ora, però, torna lì" continuò, indicando con un cenno della testa il sedile accanto al proprio, "sono sicuro che ti stai facendo male così."
Zayn sorrise, quasi commosso da tutto quell'amore così naturale, semplice, e che eppure lui non aveva mai conosciuto.
Annuì, gli schioccò un ultimo bacio veloce sulle labbra, e poi tornò al suo posto.
*****
Se questo era ciò che 'coccolarsi' significava, a Zayn piaceva tantissimo.
Lui e Liam erano stesi sul suo letto da almeno un'ora e mezza, a fare fondamentalmente nulla; i volti vicini, il braccio di Liam intorno alla sua vita, l'altra mano dietro la sua nuca ad accarezzargli con lenta tenerezza i capelli.
"In pratica poltriamo, chiacchieriamo, stiamo vicini e ci baciamo?" chiese Zayn, con una risata. Liam annuì, convinto tanto da sembrare serio.
"Mh, mi piace" commentò Zayn, divertito. Si avvicinò un po' di più, ma il suo corpo protestò e si immobilizzò.
Mugugnò piano di dolore, sperando che Liam non l'avesse sentito, per non preoccuparlo. Ma a Liam, ovviamente, quel piccolo lamento attutito non sfuggì.
"Ti ho fatto male?" chiese, temendo di avergli dato fastidio senza essersene accorto.
"No, giuro" assicurò Zayn, con un sorriso. "Mi sono solo mosso troppo velocemente."
"Allora non ti muovere" sorrise Liam. Poi si puntellò su un gomito, per sollevare il viso e abbassarlo nuovamente di poco ad incontrare le sue labbra. Zayn sorrise nel bacio, ricambiandolo, felice di avere un ragazzo che si prendesse cura di lui come se fosse il suo primo dovere.
Liam portò le mani sul suo petto, ad accarezzarlo con dolcezza. Zayn mosse lentamente una delle sue dietro la sua nuca, ad intrecciare le dita ai suoi capelli, e a spingere leggermente il suo volto contro il suo per chiedergli di accedere alla sua bocca.
Liam non se lo fece ripetere due volte, accolse l'invito e lasciò scivolare la lingua prima sulle sue labbra, poi nella sua bocca a giocare con la sua. Zayn si lasciò scappare un mugolio, stavolta di tutt'altro che dolore.
"Questo non è più coccolarsi" ridacchiò Liam, tirandosi di poco indietro dal suo corpo per mettere un po' di distanza. In realtà lui avrebbe continuato volentieri, ma sapeva bene che non era ancora il momento giusto.
"Lo immaginavo" rise Zayn. Spostò la mano dai suoi capelli alla sua spalla, lasciandogli una carezza sul retro del collo e lungo la mandibola.
"Torna qui accanto a me" gli chiese, e Liam realizzò subito la sua richiesta. Gli si stese nuovamente accanto, schioccandogli subito un bacio innocente sulla bocca.
In quel momento Safaa entrò nella stanza, salì sul letto e si mise seduta davanti a loro; i due la guardarono curiosi.
"Wali sta parlando al telefono con un ragazzo" disse sottovoce, con tono confidenziale. "Credo che le piaccia, perché lo chiama con nomi teneri."
Alzò gli occhi grandi e innocenti su di loro. "Voi vi piacete?" domandò.
"Direi proprio di sì" ridacchiò Zayn. Safaa sbatté le palpebre, stupita.
"E allora perché non vi chiamate come Wali chiama quel ragazzo?" insistette, confusa.
"Lo facciamo, tranquilla" rise Liam, divertito. "Vero, Zaynie?"
"Sicuro, Leeyum" Safaa non aveva mai visto un sorriso così dolce sulle labbra di suo fratello.
"Oh" commentò, sorridendo a sua volta, "sono bei nomi!"
Si alzò dal letto, tornò verso la porta. "Vado a spiarla" spiegò, assolutamente seria e sottovoce, facendoli ridere.
Zayn aveva già dimenticato il dolore.
*****
L'aria era fredda, ma a Louis era sempre piaciuto quel clima che portava pioggia. Harry non sembrava essere dello stesso avviso, aveva le guance arrossate dal gelo, perciò si levò la giacca e gliela fece indossare con dolcezza.
"Mi dispiace" disse subito dopo, mentre ancora gli chiudeva la giacca addosso. Gli rimase il colletto tra le mani, mentre abbassava pensieroso lo sguardo. "Mi dispiace" ripeté con un sospiro, e Harry fu colto da un flashback; si mosse quindi d'istinto ad incontrare la sua bocca, pressandoci sopra un bacio romantico e consolatorio. "A me no" ribatté con un piccolo sorriso, "mi piace la tua famiglia. Mi piace questo posto. E mi piace che siamo insieme, che non abbiamo da studiare né da fare faccende di casa, e che tutto sommato siamo liberi di andare dove vogliamo".
Si guardò intorno, osservando il gigantesco giardino che circondava l'abitazione e in cui si erano diretti dopo il litigio a cena. "Mi piace che tu mi abbia portato qui" concluse, abbassando appena la voce, "perché ho capito cosa significa per te stare con la tua famiglia."
Louis sembrò non aver udito una parola di ciò che Harry aveva detto, perché cambiò subito argomento. "Non sei una ragazza" sbottò, tirandolo verso di sé per i lembi della giacca, catturando le sue labbra in un bacio pieno di foga a cui Harry non si tirò, seppure timidamente, indietro. "Non mi piacciono le ragazze" aggiunse Louis, quasi infastidito dal pensiero, "mi piaci tu."
Harry doveva ancora abituarsi a quel tipo di commenti, e arrossì sorridendo. "A me non importa quello che pensa" confessò, sincero. "Mi sentivo attaccato, in quel momento, e mi veniva da piangere perché non sapevo come difendermi" mormorò, ripensando alla cena e al litigio con Mark. "Però..." le mani si intrecciarono, a cercare la presenza costante dell'altro, "se ci rifletto ora, mi rendo conto che non è colpa mia, no? Non ce l'ha con me perché sono chi sono, ma perché ho dei gusti diversi dai suoi" spiegò pensieroso. Poi alzò gli occhi nei suoi; e Louis sapeva già, solo affogando in quelle pozze verdi di liquido amore, che anche stavolta Harry lo avrebbe salvato.
Harry lo salvava sempre. Con un sorriso, con una lacrima, con una parola. E questa volta non sarebbe stata diversa.
"Non c'è niente che non va in te, Lou" disse, quasi in un sussurro. "C'è davvero tanto che non va in lui."
Louis se lo tirò addosso, le mani ovunque a toccarlo, lungo la schiena, sul petto, suoi fianchi, a cercare le sue, trovando nel frattempo il libero accesso alla sua bocca e ancora assaporare la sua essenza, sentire a pieni polmoni il suo odore di casa, di amore, di sicurezza, il suo respiro già incerto e danzante contro le sue labbra ad ogni schiocco di baci. A vedere se fosse davvero lì, se esistesse sul serio qualcuno così capace di leggere nell'anima delle persone, di capire chi poteva essere salvato e chi no; e, così come era successo per Louis, lo stesso succedeva ora per suo padre.
"Tu pensi che possa cambiare?" gli chiese piano, le parole mozzate dal fiato mancante, perso nella foga. "Mark, intendo" specificò, non riuscendo a chiamarlo come padre nell'intimità dei suoi pensieri.
"Sì" sospirò Harry, tra un bacio e un altro. "Sì, credo di sì" accertò, prendendogli un attimo le mani per fermarle dal correre al suo viso, a rubargli ancora di più l'aria. Le intrecciò invece con le proprie; rialzò gli occhi nei suoi.
"Dagli tempo" propose, "prometto che cambierà."
"Lo farò" annuì Louis, fidandosi ciecamente. La rabbia era scomparsa, Harry aveva riempito ogni angolo dei suoi pensieri e ogni frammento delle sue emozioni.
"Voglio fare l'amore con te" soffiò Louis, con voce talmente adorante da suonare supplice, "voglio fare l'amore con te tutta la notte" ripeté, prendendogli finalmente il viso ed entrando di nuovo nella sua bocca con la lingua, cercando la sua, stringendo il suo corpo al proprio e deliziandosi degli schiocchi spontanei delle loro labbra.
"Ma i tuoi sono ancora svegli, in salotto..." protestò debolmente Harry.
"So dove portarti" replicò Louis, "è un posto che tengo per me da tutta la vita. Aspettavo solo te per farci entrare qualcuno."
Harry si sentì onorato, sorrise e si lasciò guidare in casa, entrando dalla porta di dietro e aggirando il salone, salendo tre rampe di scale fra un bacio e un altro.
Louis lo condusse fino in mansarda, rivelando la stanza più lontana e riservata delle altre. Ma Harry non fece in tempo a guardarsi intorno che si ritrovò steso su un materasso morbido e accogliente, e quando alzò gli occhi al soffitto scoprì sorpreso a guardarlo le stelle.
Bellissime, splendenti e silenziose, proprio come il sorriso di Louis in quel momento, mentre osservava la sua espressione stupita. Harry lo guardò felice ed emozionato, scoprendolo intento a disfare la coroncina di fiori creata quel pomeriggio, per prendere i fiori uno ad uno e posarli sul materasso, accanto al suo corpo steso. Le guance di Harry erano arrossate dal freddo e dalla gioia tanto quanto lo erano le rose vicino a sé, insieme agli altri fiori posti disordinatamente sul materasso e che, eppure, creavano un perfetto ordine.
Nelle mani di Louis rimase un solo fiore; lo posò sul petto di Harry, a metà della cassa toracica, sovrastandolo poi per baciarlo ancora e ancora, prima di levargli con foga i vestiti e posare quell'ultimo fiore accanto alla sua testa, sui cuscini.
Fu incredibile volgere lo sguardo in alto mentre Louis lo baciava, vedere il cielo stellato attraverso il lucernario sul soffitto. Avere le stelle a far l'amore con loro.
Sospirò mentre Louis baciava ogni centimetro del suo corpo, si lasciò andare ad un sorriso ogni volta che le loro mani si intrecciavano; e si tese come una corda di violino ad ogni sua spinta, offrendosi per intero, disposto al piacere suo e al proprio.
Si sentì incredibilmente fortunato: aveva Louis, aveva l'amore.
E aveva perfino le stelle.
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