Quarantesimo capitolo

Vi ricordo che questa storia non è mia, ma di Seele su Efp!

*****

Quando il padre di Harry rincasò, Louis si sentì il cuore balzare in gola.

È vero, teneva più in conto l'opinione di sua madre che quella di suo padre, ma di certo non la riteneva priva di importanza; anzi, doveva dimostrare di essere alla pari dell'uomo che comandava in famiglia. O qualcosa del genere.

"Russel?" domandò velocemente mentre la porta si apriva, voltandosi immediatamente verso Harry.

"Robin, Lou" alzò gli occhi al cielo Harry, mentre l'uomo entrava in casa.

"Ah, il mio ragazzo!" commentò Robin affettuosamente, andando subito incontro al figlio per abbracciarlo. Si voltò verso di lui: "oh, e qui il suo ragazzo" ridacchiò, prima di stringergli la mano. Aveva una stretta forte e decisa, Louis pensò che gli stava già simpatico.

"Piacere di conoscerti, Robin" Harry rifiatò, liberandosi da un enorme peso.

"Tu devi essere Louis, eh?" osservò Robin, lasciandogli la mano per togliersi il cappotto ed appenderlo all'ingresso.

"In persona" sorrise Louis, cercando di non apparire troppo sfrontato come al suo solito.

Robin parve divertito e gli sorrise. "Ci sediamo a tavola?" propose un attimo dopo. "Ho avuta una giornata pesantissima e sto morendo di fame."

Anne, dal salotto, li chiamò a cena; Gemma saltò inaspettatamente sulla schiena di Harry, facendosi portare in salotto usandolo come cavallo, ignorando sia le sue lamentele che le risate forti e incontenibili di Louis.

A tavola, parlarono del più e del meno; Robin gli chiese di Doncaster, dei suoi genitori -per la prima volta, Louis rispose a quella domanda col cuore leggero-, della scuola e dei suoi interessi.

Harry riusciva a leggere negli occhi dei suoi genitori che Louis piaceva loro; era sicuro che ad Anne sembrasse un po' troppo vivace e che suo padre lo ritenesse piuttosto chiassoso, ma andava a genio a Gemma e sembrava essere simpatico a tutti. Dovette mordersi il labbro inferiore tutto il tempo, per cercare di smettere di sorridere almeno ogni tanto.

Il tempo trascorse in modo più semplice e veloce di quanto entrambi avessero sperato. E poi, la fatidica domanda, poco prima del dessert.

"Allora, Louis" Robin prese parola, schiarendosi la voce, "davvero tu e Harry vivete insieme?"

Louis annuì, sperando che il discorso non andasse a finire in terreni poco sicuri. "Sì, esatto."

"Come mai?" indagò, più curioso che preoccupato. Gemma, seduta alla sinistra di Louis, gli diede una gomitata.

"Se hai problemi economici potevi andare a fare lo spogliarellista, invece" gli fece l'occhiolino Gemma, al che Harry si affogò con l'acqua che stava bevendo.

"In realtà è l'esatto contrario" disse di getto, salvando Louis dal proclamarsi schifosamente ricco, "il padre di Louis è un uomo molto importante."

Tossicchiò un altro paio di volte, per poi "e comunque paghiamo tutto a metà" aggiungere.

Gemma guardò di storto suo fratello. "Che aspetti a sposarlo?" domandò con tono d'accusa, incrociando addirittura le braccia al petto.

Anne alzò gli occhi al cielo, ma Louis tornò al punto. "Non...uhm, non vado molto d'accordo con i miei genitori, per cui abbiamo pensato di poter essere coinquilini."

Harry pensò che sì, era meglio saltare il discorso di come Louis si era stabilito illegalmente a casa sua, decisamente.

"E Louis dorme sul divano" commentò Gemma con tono scettico, che fortunatamente Anne non colse.

"Naturalmente" cinguettò la donna, alzandosi da tavola, comprendendo che non era il caso di continuare il discorso della situazione familiare di Louis. "Vado a prendere il dolce! Louis, spero che la mia specialità ti piaccia, è una torta di cui io stessa ho inventato la ricetta."

Si fermò a metà strada mentre si dirigeva in cucina, tornando a voltarsi verso il tavolo: "modestamente, Harry ha preso da me il suo talento culinario!" si vantò scherzosamente, oltrepassando la soglia del salotto.

"Non avevo dubbi al riguardo, Anne" rise Louis, alzando la voce per farsi sentire.

Ascoltò Harry ridacchiare accanto a sé, incapace di smettere di sorridere.

E si sorprese nel rendersi conto che si sentiva a casa.

*****

"Guarda lì!"

Niall si voltò repentinamente, seguendo l'indice di Nick che puntava a chissà cosa, ma che dalla sua espressione doveva essere qualcosa di incredibile. "Io non vedo nien-" e non fece in tempo a finire la frase, perché Nick gli tirò uno schiaffetto sulla nuca ed esplose a ridere.

Si girò di nuovo verso l'amico, furioso. "Nick, o la smetti con questi scherzi da deficiente, o giuro che..."

"Giuri che?" lo incitò il ragazzo, con un sorrisetto perfido sul volto. Niall emise uno sbuffo frustrato e poi cercò di tirargli un pugno, ma Nick fu più veloce e gli afferrò il polso.

"Ehi, babe, calmo" rise, fermandogli anche l'altra mano, "avanti, smettila di essere così suscettibile."

"Non sono suscettibile" replicò Niall, isterico, tentando di liberarsi dalla sua presa, "sei tu che mi fai perdere la pazienza."

"Forse perché tu parti prevenuto nei miei confronti" commentò Nick, stranamente serio, "ce l'hai con me senza nessun motivo preciso."

"Ce l'ho con te perché cerci di adescarmi" lo corresse Niall, arrendendosi e lasciando che Nick tenesse ancora le mani sui suoi polsi.

"Ma non mi sembra di averti fatto niente di male, veramente" gli fece notare il maggiore, alzando un sopracciglio.

L'altro rimase senza parole. Corrugò leggermente le sopracciglia, abbassando lo sguardo e rendendosi conto che Nick aveva ragione.

"Ehi" il ragazzo iniziò a preoccuparsi, percependo la sua tensione. "Niall? Che succede?"

Gli lasciò i polsi, e Niall lasciò cadere le braccia lungo i fianchi senza preoccuparsene. "Niall?" lo chiamò ancora Nick. Il più giovane alzò gli occhi solo per un secondo, prima di "niente" affermare, pianissimo.

"Credo di dover andare" aggiunse, facendo già per allontanarsi. Nick gli prese una spalla, fermandolo.

"Niall" lo richiamò serio, "siamo appena usciti, abbiamo preso la mia moto e casa tua è lontanissima. Sicuro di stare bene?"

Il ragazzo sembrò destarsi in quell'esatto secondo; "è solo colpa tua!" esclamò, dal nulla. "È solo colpa tua, Nick!" disse, a voce più alta, liberandosi dalla sua presa. "Se tu non avessi insistito così tanto, tutto questo non sarebbe successo!"

"Tutto questo cosa?" si accigliò l'altro, interdetto da quella reazione improvvisa.

"Lo sai benissimo che cosa!" urlò Niall, gli occhi che tendevano pericolosamente ad inumidirsi. "Era questo quello che volevi, no? Avrei dovuto pensarci" abbassò drasticamente il tono di voce, prima di tornare ad alzarlo, "non sono il tuo giocattolo, Nick!"

"Ma- Niall, si può sapere di che stai parlando?" ribatté il maggiore, confuso.

"Scommetto che fai così con tutti" continuò ad accusarlo Niall, "e stavolta sono stato io a cadere nella tua trappola. Ma il tuo piano non si avvererà per intero, non riuscirai ad ottenere altro da me!"

Nick vedeva i suoi occhi lucidi e troppo orgogliosi per lasciar cadere le lacrime, e questo non faceva che preoccuparlo. "Niall" lo chiamò, tentando un tono morbido, "ma cosa stai dicendo? Cos'è che ho già ottenuto da te?"

Niall strinse i denti e le sue iridi divennero blu come il mare in tempesta. "Il mio cuore" sussurrò pianissimo, in un singhiozzo, prima di allontanarsi.

A quel punto stava già piangendo.

*****

Harry cercò di scollarsi sua sorella di dosso con pochi risultati; Gemma continuava a stargli addosso a mo' di cavalluccio, tirandogli i ricci a seconda della direzione in cui voleva andare.

"Facciamo questo gioco da quando Harry è diventato più alto di me" spiegò la ragazza ad un Louis sempre più divertito, ignorando tutte le proteste del più giovane.

"Non è un gioco, Gem, è una tortura" piagnucolò questi; poi ebbe un lampo di genio e, non appena sentì le mani della sorella lasciare i suoi ricci, allentò del tutto la presa sulle sue cosce e la fece cadere all'indietro. Lui e Louis scoppiarono a ridere all'unisono, non appena sentirono il tonfo che la ragazza fece atterrando sul pavimento.

"Harry, ti ammazzo!" lo minacciò lei, ma stava ridendo con loro. Tentò di inseguirlo, però Anne apparve nel corridoio e tutti e tre cercarono di darsi un contegno.

"Tu sei sicura che fra una settimana ti sposi, sì?" fece la donna, ridacchiando, rivolgendosi alla figlia che fingeva naturalezza. "Posso giustificare loro" continuò con voce scherzosa, guardando Harry e Louis, "ma tu sei ancora troppo infantile."

"Mamma, ti prego" sbuffò lei, con aria scocciata, "chi è che sistema ancora le bambole in soffitta? Non io. Almeno regalale, no? Non serve a niente che continui a lavarle ogni mese per non farle sporcare!"

Anne parve assolutamente ferita. "Stai scherzando? Sono come altre figlie, per me!" commentò indignata, tornando in salotto a guardare la televisione. Gemma alzò gli occhi al cielo, Louis soffocò una risata sul nascere e Harry annuì, dando ragione alla madre.

"E poi quelle bambole sono bellissime" commentò, serio, anche se Anne non si trovava più nel corridoio. Gemma si portò una mano sul viso, scuotendo la testa: "e adesso hai capito da chi ha preso Harry, immagino" fece, rivolta a Louis, "purtroppo sono due gocce d'acqua."

S'incamminò verso la stanza in cui il ragazzo avrebbe dormito. "Io invece sono simile a nostro padre, e non intendo Robin, mi riferisco a Des. Ero più grande di Harry quando i nostri genitori si sono separati, per cui chiamo entrambi 'papà', ci sono abituata."

Louis annuì pensierosamente, intrecciando quasi senza accorgersene le proprie dita a quelle di Harry. "E tu? Anche i tuoi sono separati, no?"

"Già" affermò Louis, "ma non ho notizie del mio vero padre da più di quattordici anni. Non mi ricordo quasi nulla di lui, un giorno se n'è andato e dopo qualche tempo mia madre ha conosciuto Mark, si sono sposati, hanno messo su famiglia e adesso ho quattro sorellastre. Tutto qui."

Durante la cena aveva accennato a quel discorso, ma non era entrato nei particolari. Gemma sembrò incuriosita.

"Non andavano d'accordo?" insistette. Harry le lanciò un'occhiataccia.

"Gem, basta" la ammonì, con tono burbero, "non è semplice come pensi."

Gemma sospirò teatralmente. "Scusa tanto, Louis" commentò, sorridendo innocentemente, "sono solo pettegola. Comprendimi."

"Ti comprendo" scherzò Louis, ridacchiando. Aprì la porta della vecchia stanza di Harry, dove quella notte -e quelle a seguire- avrebbe dormito.

Era piuttosto piccola, ma bella; le pareti erano d'un semplice bianco, ma tappezzate di poster, fogli con scritte e foto. Le mensole sui muri ospitavano libri e fumetti, sulla scrivania c'era ancora una pila di vecchi quaderni e il letto si trovava a pochi metri dalla finestra, che dava sulla strada.

Louis l'aveva già vista, dopo il viaggio aveva sistemato i suoi vestiti dentro l'armadio e aveva osservato ogni più piccolo dettaglio di quella camera. Gemma finse indifferenza e si stiracchiò, sbadigliando.

"Allora vi lascio salutarvi" disse con tono vago, ma con una chiara punta di malizia nella voce, "ti aspetto in camera, Haz, non metterci troppo."

Si chiuse la porta alle spalle e Louis ringraziò qualsiasi dio per quella benedizione.

"Non aspettavo altro" rise, raggiungendo il suo ragazzo con poche falcate, intrecciando le dita ai suoi capelli per spingere il suo viso contro il proprio e fare incontrare le loro labbra.

Senza esitare fece scendere le mani lungo la sua schiena, per posarle poi sul suo fondo schiena e stringere leggermente. Harry emise un mormorio di protesta, ma Louis non se ne curò; anzi, si fece spazio con la lingua nella sua bocca.

"Indovina a chi penseremo, io e la mia mano destra, prima di addormentarci?" rise contro le sue labbra, senza mettere ancora nessuna distanza tra i loro corpi. Harry alzò gli occhi al cielo, e "scemo" borbottò, arrossendo lievemente.

Era come se Harry fosse tornato ad essere timido e imbarazzato; Louis non poté fare a meno di baciarlo ancora e ancora -dopotutto, era di quell'Harry che si era innamorato per primo.

"Mi mancherai" disse, sincero. "Mi piace abbracciarti, mentre dormiamo. È una cosa che adoro."

"Sono solo un paio di notti" sbuffò Harry. Abbassò gli occhi, li rialzò subito dopo e si mordicchiò il labbro inferiore con aria colpevole.

"Però mi presteresti una tua felpa, magari quella che hai addosso ora? Perché fa freddo stasera, sai..."

*****

Liam uscì dalla doccia in quell'esatto momento; dalla cucina proveniva già un buonissimo odore di latte e caffè, e lì si diresse non appena finì di asciugarsi i capelli. Non si accorse di Walihya seduta al tavolo, e ancora a torso nudo abbracciò Zayn voltato verso i fornelli, posandogli un bacio delicato sul retro del collo e dandogli il buongiorno.

Walihya tossicchiò, dispettosa; Liam si voltò verso di lei, e la ragazzina scoppiò a ridere.

"Oh, sei già sveglia?" domandò, mentre Zayn ridacchiava e chiudeva il gas, spostando la caffettiera dai fornelli.

Walihya annuì. "Anche Doniya, è fuori sul balcone, sta fumando" lo informò. Liam si chiese come diavolo facesse a resistere al freddo, ma non ci pensò più di tanto.

"E Safaa?" chiese, guardandosi intorno e notando la sua assenza. "Vai a svegliarla tu, Leeyum" lo incitò Zayn, porgendogli la sua tazzina di caffè, "ti adora."

"Mai quanto suo fratello" commentò Walihya con un sorrisetto. "Zee, non sfruttare Liam e vacci tu. Non farti incantare, Lee" raccomandò ridacchiando, "Safaa appena sveglia è insopportabile: fa un sacco di lagne e dice cose che una bambina non dovrebbe nemmeno pensare."

Liam scoppiò a ridere. "Fa niente, mi sacrificherò ugualmente" affermò, uscendo dalla cucina per dirigersi prima in camera sua, a mettere una maglietta addosso, e poi in quella di Safaa, per svegliarla.

"E tu non stare lì impalato con quello sguardo languido" sentì dire da Walihya, rivolta a Zayn "che aspetti a prendere le decorazioni natalizie?"

*****

Più tardi, poco dopo pranzo, l'albero di Natale era quasi pronto. Doniya stava finendo di appendere le ultime decorazioni che Walihya le passava dopo averle raccolte dalla grande scatola sul tappeto, Zayn era andato in camera per prendere la macchina fotografica, e mancava solo qualche angioletto di ceramica da sistemare sui rami più alti.

Safaa aveva un'aria imbronciata, Liam se ne accorse e si accovacciò davanti a lei. "Vuoi mettere quelli?" le chiese, indicando gli angioletti che fissava da qualche secondo. La bambina sgranò gli occhi e annuì.

"Sali sulle mie spalle" la incitò il ragazzo, ridacchiando. Safaa non se lo fece ripetere due volte, si sedette sulle sue spalle mentre Liam le stringeva le caviglie e poi si alzava, facendola sentire altissima.

"Wali, sei piccola!" esclamò fissando la sorella, divertita, lanciando qualche urletto di felicità. Si ricordò però della fragilità degli angioletti che teneva in mano, e divenendo seria tutt'a un tratto si impegnò per sistemarli sull'albero.

In realtà loro, essendo musulmani, non festeggiavano mai il Natale come festa vera e propria; ma Patricia aveva sempre adorato le decorazioni natalizie, perciò aveva preso l'abitudine di fare l'albero con i figli, in qualità di semplice simbolo di allegria.
Inizialmente Liam si era sorpreso, non vedendo il presepe nelle scatole, ma poi tutto era diventato chiaro: Zayn gli aveva spiegato che il Natale, per loro, si chiamava Maoled ed era la festa in onore di Maometto.

Proprio Zayn giunse in salotto in quel momento, mentre Safaa tornava a terra e gli schioccava un bacio su una guancia come ringraziamento. Walihya richiuse le scatole, ormai vuote, e Doniya già si mise in posa.

"Foto!" strillò Safaa, emozionata. Si tuffò tra le braccia della sorella maggiore, accanto a cui si sedette Walihya, e Liam prese la fotocamera dalle mani di Zayn per scattare la fotografia.

"Che stai facendo?" sbuffò Walihya, come se avesse davanti a sé un completo idiota. "Vieni anche tu!"

"Ma è una foto di famiglia" protestò Liam, accigliandosi.

"Tu fai parte della famiglia, Lee" commentò Safaa, genuinamente.

E Liam pensò che non importava che fosse cristiano, musulmano, ortodosso o ebraico; il Natale sarebbe stato, per sempre, la sua festa preferita.

Stavolta anche un po' di più.

*****

Niall lasciò vagare lo sguardo davanti a sé; il campo da calcio era vuoto, quel giorno, coperto di neve e privo di qualsiasi giocatore.

Il ragazzo era seduto nello stesso posto in cui si era seduto con Nick, qualche tempo prima; e si trovava nello stesso luogo in cui lui lo aveva portato. Sospirò, osservando la nuvoletta di fiato condensato che il gelo di quel pomeriggio veniva a creare.

Si era lasciato ingannare; si era innamorato, innamorato, di Nick Grimshaw. Non era mai stato in grado di accettarli, ma aveva sempre avuto piccoli dubbi sulla propria sessualità; gli piaceva stare con le ragazze, baciarle, essere in intimità con loro...ma certi ragazzi gli toglievano veramente il fiato, in un modo che non avrebbe saputo spiegare né descrivere, che riteneva sbagliato. Non aveva mai avuto nulla contro le persone omosessuali, anzi, molti dei suoi amici lo erano, ma pensarsi in quei termini lo faceva rabbrividire. Voleva soltanto, disperatamente, essere normale.

Si stava rendendo conto, lentamente, che in realtà le ragazze non gli piacevano per davvero; era solo un'abitudine, quella di fidanzarsi con loro, e un preconcetto che si era sempre imposto come regola. Ma Nick...Nick era il primo ragazzo di cui si innamorava. Così in fretta, così tanto.

Era talmente perso nei suoi pensieri che non si accorse dei passi di qualcuno verso di lui; percepì poi qualcosa di freddo contro la guancia, trasalì e si voltò a vedere cosa fosse successo.

Nick era lì, accanto a lui, con una lattina di Coca Cola in mano; evidentemente era quella che aveva posato contro la sua guancia. Non appena lo vide, Niall saltò in piedi e fece già per andarsene.

"Non voglio più vederti" sibilò, voltandogli le spalle, ma Nick fu più veloce e lo fermò in tempo.

"Niall" disse, serio, "penso di doverti parlare."

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