Ottavo capitolo
Vi ricordo che questa storia non è mia, ma di Seele su Efp!
*****
Louis conosceva bene la casa di Zayn; avrebbe potuto percorrere le scale a occhi chiusi, camminare nei corridoi senza sbattere, entrare nelle stanze senza inciampare. Eppure, ogni volta che entrava dalla porta sul retro di casa Malik, teneva sempre gli occhi bene aperti, ad assicurarsi dell'assenza di una persona di cui aveva sentito, e visto, solo cose brutte.
Salì le scale con cautela, prima di spalancare la porta della stanza del suo migliore amico e entrare, salutando lui e Josh.
"Arrivi tardi, Tommo", sorrise Zayn, seduto sul tappeto, "abbiamo già organizzato tutto."
Louis si sedette accanto a Josh, che teneva le gambe incrociate e che si rivolse a lui. "Abbiamo tutto quello che ci serve; Grimshaw non si accorgerà di niente."
"Non sono sicuro di potermi fidare di voi" commentò Louis, "quello è un tipo sveglio."
Scrollò le spalle. "Se ci sgama, non sarà colpa mia."
"Non succederà, Lou", assicurò l'amico, "io e Josh ci abbiamo pensato bene. La droga arriverà alla festa in modo assolutamente semplice...e nessuno incolperà noi, se succede qualcosa."
"Intendete che arriverà tramite un'altra persona?", indagò Louis. Josh annuì.
"Ho chiesto a mio fratello, se ne occupa lui."
Louis comprese che Harry l'avrebbe saputo, sarebbe venuto a conoscenza del piano e sicuramente gli avrebbe fatto mille domande. Sbuffò, già spazientito.
"Lou, perché non chiedi anche al frocetto?", la voce di Zayn lo riscosse. "Se è amico di Ben, potrebbe darci una mano. Figurati se qualcuno sospetterebbe di lui!"
"Harry non parteciperà al piano", replicò, quasi ringhiando.
"Ma, Lou-"
"Ho detto che non dev'essere coinvolto", esclamò ancora, "lasciate Harry in pace."
Zayn lo guardò, ridacchiò e poi, portandosi le braccia dietro la testa, si rivolse a Josh. "Mi dispiace, ma Boobear ha un debole per il ricciolino", spiegò tranquillo.
"Beh, Styles è cotto di te", commentò Josh rivolto a Louis, leggermente stupito, "state insieme?"
"No!", esclamò Louis, come se l'avessero appena offeso a morte. "Certo che no! Harry ha solo un bel culo e ho intenzione di spaccarglielo!"
"O magari lui spaccherà il tuo", Zayn aveva evidentemente deciso di morire quel giorno, tant'è che Louis si alzò in piedi con tutta l'apparenza di voler fare a botte.
"Ragazzi, calmatevi", li riprese Josh, "Louis, non ho ancora finito di spiegarti il piano. Invece di uccidere Zayn, potresti ascoltare?"
Louis lanciò un ultimo sguardo truce a Zayn che invece ridacchiava, e tornò a sedersi.
"Non ho bisogno di sapere i dettagli", sbottò, "conosco certe cose mille volte meglio di voi."
Zayn gli circondò le spalle con un braccio, ridendo. "Non te la prendere, Tommo", disse, prima che l'amico si liberasse dalla sua presa.
"Sentite, fate quello che volete, io ho di meglio da fare adesso." Storse il naso quando sentì sussurrare da Zayn a Josh il nome di Harry.
"E smettetela di dire cazzate sul conto di Styles", sbraitò, prima di uscire dalla stanza e dirigersi al piano di sotto, incontrando la più piccola delle Malik e lanciandole un'occhiata truce. Ma Safaa lo afferrò per la felpa, costringendolo a fermarsi.
"Non essere cattivo con Zay", disse debolmente. Louis, allarmato, le chiese subito maggiori dettagli.
"Papà e lui oggi hanno litigato", raccontò la bambina, "ci è andata di mezzo anche Walihya."
Louis la guardò sconvolto. "No, aspetta. Spiegami. Che è successo a tua sorella?"
La bambina cominciò a piangere. "Zay non vuole che te lo dica", disse sottovoce.
"Non piangere...giuro che non gli dico niente", tentò di rassicurarla.
Lei alzò su di lui gli occhi blu e pieni di lacrime. "Prometti?"
Louis annuì, e la bambina prese un respiro profondo. "Wali è tornata a casa con un ragazzo, oggi. Voleva presentarlo a papà...ma a lui non è piaciuto, si è arrabbiato, ha iniziato a urlare, è arrivato Zayn..."
Il ragazzo sospirò. "Ho capito. E adesso dov'è tuo padre?"
"Non lo so", singhiozzò la piccola, asciugandosi le guance bagnate. Louis le accarezzò la nuca con una tenerezza che non ricordava di possedere, sorridendole tristemente.
"Mi dispiace", sospirò, "tieni duro."
La bambina tirò su col naso e annuì, poi agitò la mano mentre Louis la salutava e le dava le spalle, diretto fuori da casa Malik.
Louis aveva spesso desiderato che suo padre lo picchiasse, lo maledicesse, gli desse in qualche modo qualche attenzione, ma in quei momenti più che mai si rendeva conto che era uno stupido a desiderare certe cose. Meglio l'indifferenza che la violenza, dopotutto.
Mise in moto la sua auto, ma prima scrisse un messaggio a Zayn: mi dispiace. Quando Zayn lo lesse, comprese che sapeva tutto; e, ancora una volta, affogò il dolore in una risata con Josh.
*****
Louis entrò in casa con un'aria quasi triste, e Harry se ne accorse subito quando uscì dalla sua stanza per controllare chi fosse entrato.
"Sono io, Harry, torna a fare quello che stavi facendo", disse Louis astioso, ma con un tono irrimediabilmente amareggiato. Harry scosse la testa, avvicinandosi a lui di poco.
"Cos'è successo?", chiese, preoccupato.
"Non sono affari tuoi", sbraitò Louis, e fu quasi infastidito nel vedere come Harry effettivamente gli avesse dato ascolto, dirigendosi in cucina senza ribattere.
"Maledizione", mormorò fra i denti. Quella giornata era iniziata così bene, perché doveva finire in quel modo?
Era ora di cena, non voleva mangiare nulla, si sedette solo sul divano e sospirò alzando il viso. Chiuse gli occhi, tentando di riordinare i pensieri; probabilmente per troppo tempo, visto che quando li riaprì lo fece solo perché sentiva un profumo familiare.
Osservò perplesso Harry che gli porgeva una tazza di the, aggrottando le sopracciglia.
"Hai detto che ti rilassa", spiegò Harry, sorridendo in modo davvero troppo dolce. Louis distolse lo sguardo e assunse un'espressione infastidita, ma non rifiutò la tazza che il ragazzo gli porgeva.
Harry si sedette sul tappeto, alzò il viso per guardarlo mentre stringeva tra le mani fredde la sua tazza calda, beandosi del calore che essa emanava. Louis incontrò i suoi occhi, le sopracciglia ancora corrugate, ma l'aria appena più tranquilla.
"Non hai proprio intenzione di parlarne?", domandò Harry, avvicinando poi la tazza alle labbra. Louis scosse la testa, prima di bere anche lui un sorso.
Il ragazzino abbassò lo sguardo. "Ho parlato con Ben."
"Sì? Beh, non mi interessa", replicò Louis freddo.
"Nick Grimshaw se ne accorgerà", proseguì Harry, ignorando le sue parole. "Non è la prima volta che succede una cosa di queste...e le prenderete."
"Che palle", sospirò l'altro, "non stressarmi."
Harry si morse un labbro, in effetti non era molto d'aiuto. Provò a cambiare argomento. "Qual è il tuo piatto preferito, Louis?"
"Che te ne importa?", sbottò il ragazzo, ma rispose subito dopo. "Pasta, pizza...cose così."
"Vuoi che ti prepari un dolce?", domandò ancora Harry, un tono di voce così dolce che quasi gli sembrava sua madre -se non fosse che sua madre non gli rivolgeva mai la parola.
"Senti, Harry, sul serio", sbottò Louis, "stai solo perdendo tempo."
Harry sospirò. "Come vuoi..."
"Non intendo per quello di cui stiamo parlando", riprese Louis, "intendo con me."
Il ragazzino alzò su di lui gli occhi verdi che aveva abbassato, un'espressione sorpresa sul viso.
"So di piacerti", continuò Louis, "beh, tu non piaci a me."
Crack. Harry lo sentì, il suo cuore che si spezzava. Sentì anche Louis che si alzava, che posava la tazza ancora piena a metà sul tavolo, che si dirigeva nella sua stanza e apriva l'armadio. Non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo quando Louis indossò la giacca e aprì la porta, il suo borsone in mano, e quello era di certo un addio.
"Scusa", mormorò Louis, "mi dispiace."
E si chiuse la porta alle spalle.
******
Quando Liam udì il suo cellulare squillare, e sentì dall'altra parte della cornetta il suo migliore amico in lacrime, si allarmò immediatamente.
"Va tutto male" singhiozzò lui, a mo' di saluto. Liam sgranò gli occhi.
"Haz", tentò di calmarlo, "che succede? Sta' calmo!"
"L-Louis..."
Liam sbarrò gli occhi ancora di più. "Cosa, Harold? Louis cosa?"
"L-lui no-non...l-lui ha p-preso le s-sue cose e-e..."
Liam comprese che in quel modo non sarebbero arrivati da nessuna parte. "Harold, respira", lo interruppe, "così non capisco niente. Respira."
Harry provò a seguire il consiglio, ispirò lentamente e buttò fuori, respirò a fondo ed espirò, ricominciò di nuovo.
"Non troppo, Haz", ridacchiò Liam per tranquillizzarlo, anche se in realtà era preoccupatissimo, "altrimenti svieni."
Harry tentò di calmarsi. "Liam", esordì infine, la voce che ancora tremava, "Louis..."
"Louis cosa? Ha preso le sue cose, ok, e poi?", lo incitò Liam.
Harry inspirò ancora profondamente, chiudendo gli occhi. "...se n'è andato", concluse espirando.
Liam, dall'altro lato della cornetta, tacque per alcuni secondi. Poi rispose, quasi sottovoce. "Perché?"
"Non lo so", le lacrime continuavano a scorrere sulle guance del più piccolo. "Ha detto che non gli piaccio", aggiunse, con un singhiozzo.
"Avanti Hazza, non fare così", lo rassicurò Liam, con il tono più dolce che potesse usare, "sono sicuro che non lo pensa seriamente. Ma...è successo qualcosa?"
Harry comprese subito a cosa si riferiva, scosse vigorosamente la testa prima di ricordarsi che non poteva vederlo. "No."
Liam sospirò di sollievo, temeva davvero che Louis volesse solo usare Harry a suo piacimento. "Non ti preoccupare, d'accordo? Vuoi che venga da te?"
"No...", mormorò il piccolo, "voglio stare un po' da solo."
Si lasciò scivolare più in basso sul divano, fino a stendersi, e al pensiero che Louis aveva dormito lì si lasciò scappare un singhiozzo.
"So che hai bisogno di parlare, Haz. Non vengo, d'accordo...ma sfogati, ti sentirai meglio dopo", disse piano, quasi avesse paura che qualsiasi parola avrebbe potuto ferirlo.
Harry riprese fiato tentando di riordinare le idee ancora una volta, prima di parlare.
"Non me l'aspettavo", esordì infine, con voce bassa, "sapevo che se ne sarebbe andato, ma...non pensavo l'avrebbe fatto così presto. Forse speravo che non se ne andasse mai", sorrise debolmente.
"Haz, sai...è un bene che se ne sia andato", si azzardò a dire il migliore amico.
"Non è come pensi", borbottò l'altro per poi sorridere lievemente di nuovo, "è una persona diversa da quello che sembra. È...si comportava in modo buffo! Pensa, stamattina ha lanciato la mia sveglia dalla finestra!"
Liam strabuzzò gli occhi. "Ha lanciato la tua sveglia dalla finestra?!", esclamò, interrompendolo.
Harry si morse un labbro, forse sarebbe stato meglio sorvolare... "ehm, sì. Sai, erano...erano le sei."
"Va' avanti", sospirò l'amico, ormai rassegnato.
"Non c'è molto altro da dire, si è comportato in un modo particolare, non...non sembrava lui, abbiamo parlato, mi ha detto qualcosa di lui e ha fatto mille domande su di me, io..."
Si morse un labbro per non singhiozzare, "...io credevo che avremmo potuto almeno essere amici..."
L'unica risposta che arrivò da Liam fu un sospiro triste, e Harry lo conosceva così bene che era sicuro avesse abbassato il viso, avesse immerso una mano nei suoi capelli, e li avesse scompigliati per qualche secondo prima di pensare a qualcosa di confortante da dire. "Non so perché ha agito così, ma non posso negare di esserne contento, Hazza."
Sapeva che quelle parole l'avrebbero ferito ancora di più; ma sperava che le ascoltasse. "Sai meglio di me che quella di Louis non è una buona compagnia, e...mi sento sollevato, al pensiero che non ti starà più così vicino. Spero solo che abbia la decenza, dopo quello che ti ha fatto, di smettere almeno di fare il bullo con te."
Harry sospirò; sapeva che aveva ragione, ma purtroppo i colpi di fulmine non se ne vanno facilmente, e lui era la persona che ne era più consapevole sulla Terra.
"Già" si sforzò di dire infine, solo per non restare troppo tempo in silenzio.
Liam chiuse gli occhi, poi li riaprì e li alzò al cielo. "Ho capito, Haz, non vuoi proprio parlare. Se ne hai bisogno sono qui, lo sai, vero?"
Harry sospirò, Liam era davvero troppo gentile e lui non se lo meritava affatto. "Grazie, Li."
"Figurati", sorrise l'altro, nonostante l'amico non potesse vederlo, "cerca di riprenderti."
Harry annuì per poi assentire, Liam interruppe la telefonata e Buffy miagolò preoccupata.
*****
Casa Tomlinson era grande, a tre piani, troppe stanze per troppi figli: la camera di Lottie, dalle pareti "orrendamente fucsia", come aveva detto Louis; la stanza di Felicitè, con un gigantesco balcone la cui vista dava sul mare; quella delle gemelle Phoebe e Daisy, le pareti rosa e i mobili viola, in un'accoppiata che esprimeva tutto ciò che pensavano e che erano -o almeno così, incomprensibilmente, avevano dichiarato. La stanza dei loro genitori, indubbiamente bellissima, ma che Lottie riteneva decisamente troppo grande per due sole persone; lo studio del signor Tomlinson; la stanza del decoupage delle gemelle; la soffitta di Lottie; il giardino di Felicitè; e così via, fino alla stanza di Louis.
In quella camera il celeste, il blu e il bianco dominavano. Un letto a due piazze si trovava vicino alla finestra, coperta da una tenda blu scura per la troppa luce che entrava nella stanza, mentre un'enorme scrivania affiancava la parete così bianca da brillare -perché Louis, quando studiava, non voleva distrazioni nemmeno a causa dei colori.
In quel momento, in piedi davanti alla sua gigantesca libreria, davvero troppo grande e fornita per appartenere a un ragazzo si doli diciotto anni, c'era sua sorella. Quando Louis la trovò lì, storse subito il naso in una smorfia irritata.
"Cosa vuoi, Lottie?", domandò, oltrepassandola senza degnarla di uno sguardo e posando la sua borsa sul letto.
"Sei sparito per quasi tre giorni, Lou", rispose la ragazzina, con tono di rimprovero, "e vieni a chiedere a me che cosa voglio?"
"Senti, non rompere le palle, ok? Non sono fatti tuoi."
Sua sorella lo fissò a lungo mentre toglieva i vestiti dal borsone, li piegava e sistemava da un lato tutti i pantaloni, da un altro tutte le magliette, e così via.
"Non so se si è capito, dovresti andartene" la informò Louis, infastidito.
"Sai..." la ragazzina non gli diede ascolto, "mamma è stata in pensiero."
"Per quanti secondi?", rise amaramente lui, chiudendo con eccessiva forza la cerniera del borsone.
"Sono seria, Lou", ribadì lei, "si è preoccupata. Tutti ci siamo preoccupati."
Louis, che si stava dirigendo verso il suo armadio, si fermò davanti a lei e si chinò appena per raggiungere la sua altezza, fino a guardarla negli occhi e sollevare le sopracciglia per ingrandire il suo sguardo.
"Anche papà?", chiese ironico, quasi sottovoce, dando maggiore enfasi alle sue parole.
A Lottie non servirono parole; abbassò gli occhi, si morse il labbro inferiore e Louis comprese la risposta.
Lanciò con rabbia il borsone nell'armadio, senza curarsi di sistemarlo. Perché si sentiva così...no, non infuriato, ferito? Ormai avrebbe dovuto averci fatto l'abitudine. Qualsiasi persona intelligente avrebbe capito che Louis per suo padre non contava nulla, e chiunque si sarebbe messo l'anima in pace dopo anni trascorsi fra odio, frustrazione e violenza. Ma non Louis, evidentemente. Louis che aveva due padri, ma che entrambi lo odiavano o, più semplicemente, ignoravano la sua esistenza.
Il suo vero padre, da bambino, gli aveva detto esplicitamente che non lo considerava suo figlio perché, di figli, lui non voleva averne; il secondo, il compagno di sua madre, all'inizio gli era simpatico. Poi erano nate Lottie, Felicitè, Phoebe e Daisy...e lui, figlio non suo, era passato in ovvio secondo piano. Poi in terzo, in quarto, in quinto. Il primogenito, l'unico maschio, figlio non suo, figlio di nessuno.
Allora, Louis Tomlinson non esiste.
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Il giardino di casa Grimshaw era già stato abbondantemente innaffiato da quintali di vomito, mentre sui divani erano stesi disordinatamente una marea di ragazzi e ragazze ubriache fino all'osso; eppure, il punch avrebbe dovuto essere analcolico. Eppure, non ci sarebbe dovuta essere droga al party.
"Gran bel lavoro, Devine", sorrise Louis a Josh e a Ben, porgendo a entrambi i palmi delle mani perché ci battessero i loro sopra, "datemi il dieci."
I gemelli ridacchiarono e, ovviamente in perfetta sintonia, diedero i loro rispettivi cinque al ragazzo. Zayn, che se ne stava in disparte a fumare una sigaretta, trovandosi con loro in un angolo appartato e miracolosamente pulito del giardino, li guardò e ridacchiò della battuta di Louis.
"Il dieci", alzò gli occhi al cielo, divertito. "Devo decidere se è una battuta fredda o no."
"Ho bevuto un po', Malik", sogghignò Louis, "le mie battute stasera non sono certamente delle migliori. Sai...spargere droga ovunque e evitare di essere sorpresi da Grimshaw è piuttosto difficile!"
"Lo so, ti sei dimenticato che ero con voi?", gli rispose con una mezza risata, prima che Nick spuntasse davanti a loro.
"Stronzi", ringhiò, "mi avete rovinato la serata."
Louis fece scrocchiare le dita. "Cerchi rogna, Grimshaw? Non abbiamo fatto niente di male, volevamo solo allietare un po' la festa. Dovresti esserci grato, adesso tutti si stanno divertendo un mondo."
"Se non fosse che rischio di andare in prigione perché all'interno di casa mia ci sono sostanze stupefacenti e ragazzi drogati", replicò Nick, stringendo i pugni.
Nick era famoso per battersi, sempre. E, ancora più famosi, erano i suoi ganci destri e i suoi spietati calci nei gioielli di famiglia.
Zayn sospirò, fece per gettare la sigaretta preparandosi a una rissa ma Louis lo fermò; "non ho voglia di batterci quattro contro uno", sbadigliò, fingendo noia, "non sarebbe la prima volta e adesso non c'è più gusto."
Avanzò verso Nick, guardandolo con sfida. "Io e te, vediamocela fra noi e tagliamo corto, ok?"
Per tutta risposta, Nick si lanciò su di lui insultandolo; e furono subito calci e pugni.
In quel preciso istante, un ragazzo dai capelli ricci e gli occhi verdi arrivò nel giardino.
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