11- Kat

Sentii suonare la campanella e il mio cuore saltò un battito. E adesso?

Quel giorno non avevamo detenzione perché la professoressa che di solito ci controllava non c'era e non avevano trovato nessun sostituto.

«Ti va di venire da me?» Annie era in piedi davanti a me e stava aspettando che ritirassi le mie cose. Spostai lo sguardo alle sue spalle e vidi Hunter lanciarmi un'occhiata furtiva mentre rideva con il suo compagno di banco.

«Ehm...»

«Dai, viene anche Lowe... E forse più tardi ci raggiungono gli altri e andiamo a bere qualcosa al covo.»

Non sapevo come dirle di no senza alzare troppi sospetti, mi serviva una buona scusa.

Iniziai a sudare freddo. Annie mi guardava fisso senza battere ciglio, io continuavo a guardarmi in giro, in cerca di un aiuto dal cielo o da un calcio divino verso la direzione giusta.

Hunter e i suoi amici ci passarono accanto ridendo e andarono a sbattere contro Annie, facendole cadere i libri a terra.

«Siete delle teste di cazzo!» urlò ai tre e poi si piegò a raccogliere le cose, questo diversivo sebbene decisamente scortese, fu miracoloso per farmi guadagnare tempo.

Mi accucciai a terra per aiutare la mia amica quando sentii il cellulare vibrarmi nella tasca.

Guardai il display: Hunter.

Ma perché mi chiamava in questo momento?!

Feci scorrere il dito sullo schermo «Pronto?»

«Fai finta che io sia tuo padre.» Hunter sibilò nel mio orecchio tramite l'apparecchio «Dì che ti voglio a casa ora

«Sì mamma! Veramente Annie mi ha chiesto-» guardai la mia amica

«Ti ho detto padre!» sentii un riso soffocato «Ok, ti aspetto nel parcheggio dietro la palestra...»

«No mamma. Hai ragione, te lo avevo promesso...»

«Muoviti

«Ok, glielo dico... A tra poco.» riattaccai

«Allora? Cosa dice mamma Rolland di così tremendo?»

«Che non posso venire... Forse riesco a convincerla per raggiungervi al covo dopo, ma ora devo andare a casa.»

«Oh andiamo Kat!» si lamentò Annie precedendomi fuori dalla classe «Saresti stata la prima a disobbedire a tua madre anni fa! Non puoi fare finta di nulla?»

«No, perché non voglio che mi rimandi in Inghilterra dalle suore.» rabbrividii al solo pensiero.

«Mi prometti che proverai a venire al covo allora?»

«Parola di Scorpion.» ghignai pensando da chi avevo copiato quella frase. Salutai Annie e mi diressi verso il parcheggio degli autobus, per poi cambiare strada all'ultimo momento e dirigermi verso la palestra.

Prima di uscire guardai che non ci fosse nessuno dei miei e poi aprii la porta che conduceva all'esterno.

La macchina di Hunter non c'era.

Mi guardai in giro per un attimo, possibile che non mi avesse davvero aspettato? Tirai fuori il cellulare dalla tasca della giacca e schiacciai sul suo contatto.

Uno squillo, due squilli.

Sentii una musichetta provenire da dietro di me, mi voltai e vidi all'ombra di uno degli alberi un ragazzo con il casco accanto ad una moto, alzò una mano in segno di saluto. Doveva essere lui.

Mi avvicinai «Hunter?» chiesi con titubanza

«No, sono tua madre.» disse e poi scoppiò a ridere alzando la visiera che gli copriva gli occhi.

«Aspetta. Da quando hai una moto?»

«Da sempre.» prese un secondo casco in mano e me lo mise in testa, poi me lo allacciò sotto il mento e si fermò a guardarmi.

«Cosa?» dissi con voce bassa e attutita.

«Niente... Di solito le ragazze fanno mille storie per salire su una moto.» disse scrollando le spalle.

«Tu vivi di cliché con noi ragazze.» aspettai che salisse in moto e poi mi arrampicai dietro di lui. Lui alzò la sua giacca di pelle per farmi aggrappare al suo torso, ma io invece mi strinsi alle maniglie che c'erano ai lati del mio posto.

«Non è la prima volta che salgo su una moto.» vidi una scintilla di divertimento illuminargli gli occhi e subito scomparire.

«Tieni la testa bassa mentre passiamo nel parcheggio principale...» mi avvertì e poi mise in moto e tolse il cavalletto.

Iniziò ad attraversare il parcheggio, fino ad arrivare a quello principale. Pregai che nessuno ci riconoscesse, perché altrimenti sarebbero stati guai.

Hunter frenò di colpo per far passare alcuni ragazzi e io per poco non mi ammazzai cadendo giù dal sellino.

Se disse qualcosa non lo udii per via del casco, ma decisi che forse aggrapparsi a lui non era una cattiva idea dopotutto. Strinsi le mie braccia attorno a lui e appoggiai la testa sulla sua schiena.

Ripartimmo e vidi Annie e Lowe passarci accanto, stavano ridendo e non prestarono attenzione a noi che passavamo con la moto. Mi sentii uno schifo di amica. Avrei voluto raccontarle tutto, ma non potevo. Non dopo che avevo capito quanto detestasse i Riots e in particolare gli Stark.

Come avevo fatto a ficcarmi in una situazione del genere? Lo so, dovevo sembrare altamente ripetitiva, perché mi ero fatta e rifatta quella domanda almeno un miliardo di volte. Ma continuavo a non riuscire a venirne a capo.

I minuti passavano e la città continuava a sfrecciare davanti a me: macchine, persone, edifici... Sembravano tutti uguali a quella velocità.

Quando finalmente ci fermammo mi sembrò di essere stata a cavallo di quella moto per un'eternità.

Hunter si tolse il casco «Il traffico a quest'ora è infernale.»

Mi tolsi il mio e mi passai una mano nei capelli «Così sarai già abituato per quando all'inferno ci andrai veramente.»

«Se ci vado, ti trascinerò con me.» mi sorrise sfacciato, mi prese la mano e iniziò a camminare in direzione dell'Empire.

In tutta la mia vita da newyorkese dovevo ammettere che non ci ero mai salita. Non so, mi sembrava tanto un'attrazione da turisti e niente di più, alla fine era un grattacielo come un altro... Con la differenza che ci avevano girato dozzine e dozzine di film lì sopra.

Entrammo nell'edificio, Hunter mi trascinò dietro di sé, saltando tutta la coda e infilandosi nell'ascensore prima che le porte si chiudessero.

«Ei ragazzi!» qualcuno si lamentò, ma Hunter in tutta risposta scrollò le spalle guardando con uno sguardo glaciale, che avrebbe spaventato chiunque. Inutile dire che le lamentele smisero subito lì.

«Non avremmo dovuto pagare il biglietto?» sussurrai

«No, per noi è gratuito.»

«Ma la guardia?» ci avrebbe sicuramente acciuffato una volta ritornati giù

«Non puoi nemmeno immaginare quanto sia potente il cognome Stark.» mi sorrise. Si stava davvero vantando del suo cognome e di come riuscisse ad ottenere cose grazie alla paura? Sfilai la mano dalla sua ed incrociai le braccia al petto.

Le porte si aprirono e lui fu il primo ad uscire e a dirigersi verso il parapetto. Io rimasi indietro, osservai il modo in cui sporse il busto oltre il bordo per guardare giù. Guardai il modo in cui il vento gli scompigliava i capelli, e di come il sole basso gli illuminava le guance. Hunter appoggiò i gomiti sulla balaustra e il suo sguardo si perse nell'orizzonte.

Mi avvicinai a lui e cercai di campire il punto che stava fissando.

«Mi ricorda i giorni felici questo posto.» disse dopo minuti di silenzio «Quando la mia famiglia era ancora tutta intera.»

Sentii una fitta al cuore udendo il tono malinconico della sua voce «Mi dispiace.»

«Non è colpa tua.» disse, ma vidi le sue nocche diventare bianche per il troppo stringere la sbarra di ferro davanti a lui.

«Colpa di mio fratello però.» dissi abbassando gli occhi e stupendomi di riuscire a parlarne davanti a lui. Quando riportai lo sguardo su di lui vidi che la sua mascella era serrata e i suoi occhi privi di alcuna emozione.

«Scusa.»

Lui si girò verso di me e serrò le labbra, cercando di trattenersi «Mio fratello mi portava sempre quassù.»

«Mi hai detto che non avevi fratelli...» gli feci notare. Per un secondo vidi il panico nei suoi occhi, ma poi aggiunse «Scusa... Io e Aaron eravamo molto vicini. Lo considero come un fratello.» si voltò di nuovo verso l'orizzonte «O meglio, lo consideravo.»

Capii che non dovevo più entrare nell'argomento. Così cercai qualcos'altro da dire.

«Cosa hai fatto al labbro?»

Lui si voltò di nuovo verso di me «Una rissa.»

«Con chi?»

«Non so se vuoi saperlo.» fece un passo avanti

«Se te lo chiedo è perché voglio saperlo, non credi?» sussurrai senza muovermi di un millimetro.

Sorrise sfacciato «Il tuo prezioso Alex Lodge.» si passò la lingua sul labbro inferiore «Dovesti vedere come è messo lui.»

«Perché?» dissi sospirando «Siete troppo orgogliosi e l'orgoglio non porta mai niente di buono.»

«Pensi che l'abbia fatto per orgoglio?!» rise secco e scosse la testa.

«E allora perché?»

Lui allungò la mano e mi sfiorò il collo, ormai i segni erano praticamente invisibili, ma qualche volta mi sembrava di poter ancora sentire la stretta che mi mozzava il fiato.

«Credevi davvero di potermi nascondere la verità?» disse calmo avvicinando il viso al mio «Penso che abbia capito che se tocca i miei amici io lo ammazzo.» con il pollice mi accarezzò la guancia, scendendo fino alle labbra. Il mio cuore batteva all'impazzata e ero sicura che mi sarebbe uscito dal petto da un momento all'altro.

Il suo profumo mi circondò, facendomi tornare alla notte di quasi un mese fa, quando l'avevo incontrato per la prima volta e non sapevo ancora chi fosse e quanti problemi potesse portarmi.

Mi prese il viso tra le mani e mi attirò a sé, sfiorando le sue labbra con le mie.

Chiusi gli occhi e aspettai il bacio, che non arrivò però. Riaprii gli occhi e lo guardai, non riuscii a definire ciò l'emozione che gli stava passando sul viso. Decisi che se volevo quel bacio avrei dovuto prendere io l'iniziativa, con una mano afferrai la sua felpa e lo attirai a me.

Lui rispose immediatamente, circondandomi con un braccio la vita e facendomi indietreggiare finché la mia schiena non si scontrò con il metallo freddo della balaustra.

Portò una mano sul mio collo, mi morse leggermente il labbro inferiore e poi approfondì ancora di più il bacio. Gli poggiai le mani sul petto e mi aggrappai alla sua maglietta, mi sentivo le gambe molli e la testa girare.

Quando ci staccammo eravamo entrambi senza fiato, gli sorrisi e lui ricambiò, poi si portò alle mie spalle e mi indicò un punto in lontananza «Laggiù è dove cala sempre il sole... Oggi è troppo presto per vederlo, ma se vieni quassù a vedere il tramonto vedi l'intera New York dipingersi di arancione.» abbassò il braccio e poi sussurrò «Aaron mi diceva sempre che New York si copriva di marmellata d'arancia...» mi immaginai il suo sorriso al ricordo e gli occhi pieni di malinconia «Che stupido.»

Mi voltai e gli presi il viso tra le mani «Non c'è niente di stupido.» gli sfiorai di nuovo le labbra con le mie «Mi dispiace per tuo cugino, davvero Hunter.» alle mie parole qualcosa scattò in lui, perché si liberò dalla mia presa e fece un passo indietro. Occhi di nuovo impassibili e faccia senza alcuna emozione.

«Forza, ti porto a casa Katharine.»

Lo fissai per alcuni secondi «Kat.» dissi semplicemente

«Cosa?»

«Puoi chiamarmi Kat, è così che mi chiamano le persone a cui tengo di più.»

Mi guardò intensamente, un sorriso gli si dipinse sul volto e allungò la mano verso di me. Io gliela strinsi e lui intrecciò le dita con le mie.

«Vieni Kat, ti porto a casa.»


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Eccovi la seconda parte del capitolo di ieri! O meglio, è come se fosse un capitolo a sé alla fine hahaha

Buon weekend ragazzi! Aggiornerò di nuovo la prossima settimana!

Grazie ancora per tutto il supporto che date <3 <3

Raumalainen

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