9 | Le emozioni sono le gabbie più dolci

Diana

L'allucinazione è un fenomeno psichico che ci fa percepire come reale ciò che è solo immaginario. Ed io di allucinazioni ne avevo avute parecchie la sera della festa di Kim, quando sono stata male.

Non ricordo di aver mai avuto una febbre così alta da rendermi confusa, senza il pieno potere delle mie azioni. Non ho mai provato droghe, ma probabilmente è così che ci si sente quando si fa uso di sostanze stupefacenti: stordita, confusa, distrutta, la mente altrove e il corpo pesante.

Ricordo tutto della festa, ma è il dopo a crearmi un sacco di punti di domanda. Ora, mi restano solo dei piccoli frammenti confusi, da quando l'oscurità mi aveva circondata con i suoi artigli feroci.

Non riesco a distinguere le allucinazioni dalla realtà. Ciò che è successo e ciò che non è successo. Cosa è reale e cosa è stato creato dalla mia testa sofferente.

L'unica cosa di cui sono certa è che Ethan mi ha riportato a casa. È stata Kim a darmi conferma, perché io il tragitto non me lo ricordo per niente. Il giorno dopo mi sono ritrovata direttamente nel letto, ancora vestita.

Almeno ha avuto la decenza di non toccarmi!

Nei due giorni a seguire la febbre mi ha completamente messa al tappeto. Facevo fatica persino ad alzarmi dal letto per andare in bagno, i muscoli erano indolenziti e muovermi era uno sforzo troppo arduo. Per non parlare del mal di testa, faticavo a tenere gli occhi aperti. In parte era un bene, perché potevo permettermi di non pensare.

Comunque, l'assenza di Adalia si fa sentire in tutta la casa, soprattutto per Dorothy che in questi due giorni ha dovuto portarmi persino i pasti in camera. Avevo provato a dirle di non preoccuparsi, sarei scesa piano piano al piano di sotto, ma il suo no categorico mi aveva zittita.

Adalia, per motivi personali, si è dovuta trattenere una settimana in più in Germania. Ed il lavoro di Dorothy, che nell'ultimo mese si era già moltiplicato, con la mia influenza è aumentato ulteriormente.

Oltre alla villa enorme e noi tre intrusi a cui pensare, ha dovuto prendersi cura di me come avrebbe fatto Adalia. Per fortuna un paio di volte a settimana un'altra ragazza viene a darle una mano per il lavoro più pesante, questo le permette di ricucirsi del tempo per sé stessa.

Prima della tragedia era abituata alle abitudini di zio Finn. La maggior parte delle volte pranza fuori casa per via della poca pausa che riesce a procurarsi e, soprattutto, rientra nella sua tana solo per cenare e dormire. La casa era sempre impeccabile, prima del nostro arrivo.

A Nathan non si può dire proprio nulla, l'ordine e la pulizia fanno parte di lui, detesta vedere il caos o le cose fuori posto. A differenza di me e Josh che la parola "ordine" non sappiamo nemmeno dove si trovi sul vocabolario. Di conseguenza, ci subiamo ogni due per tre le sue ramanzine, nemmeno fosse lui a pulire la casa da cima a fondo!

La giornata di oggi, esattamente tre giorni dopo la festa di Kim, è stata più tranquilla rispetto a quelle precedenti. È stato il primo giorno in cui mi sono alzata in piedi, senza aver paura di cadere da un momento all'altro. L'emicrania così come è arrivata, se ne è andata. Sì, resta qualche dolore muscolare e articolare, ma niente che mi impedisca di comportarmi come una persona normale. E ne sono contenta, principalmente per Dorothy che si è sacrificata molto per me.

La cosa positiva dell'influenza è che sono riuscita ad evitare le feste a cui partecipano Kim e Lillie, senza nemmeno mentire. Sollevo il lenzuolo e mi ci immergo dentro, anche se è piena estate ho il bisogno di sentire il tessuto fresco e morbido della seta sul corpo, come se mi facesse sentire protetta. Quando mi sveglio, però, lo trovo sempre accartocciato ai miei piedi.

Affondo la testa sul cuscino soffice e chiudo gli occhi, pronta a rilassare la mia mente per abbandonarmi tra le braccia di Morfeo. Un piccolo flash della notte in cui sono stata male mi attraversa tra le palpebre chiuse e mi fa dimenticare di respirare.

Due profondi, terribili, stravolgenti, occhi blu cobalto investono il mio autocontrollo, posso vedere il fuoco di ghiaccio che arde nelle sue iridi. Le labbra carnose sono ad un soffio dal mio viso, sento il suo respiro solleticarmi la pelle. Le sue mani stringono in una presa dolce i miei polsi, sopra la mia testa, impedendomi di fare qualsiasi minuscolo movimento.

Il cuore inizia a martellarmi così forte nel petto che penso davvero possa scoppiarmi da un momento all'altro. Sento la pelle delle guance accaldarsi ed un formicolio formarsi nel basso ventre, come se lui si trovasse davvero lì. Un desiderio stravolgente che mi scombussola l'anima, il corpo e la mente.

È successo davvero o è un'allucinazione?

Sbarro gli occhi e mi sollevo di scatto col busto, per poi prendere un grosso respiro a bocca aperta, in modo da racimolare più ossigeno possibile. Mi sento come se fino a quel momento fossi stata in una dolce apnea mortale, pronta a lasciarmi soffocare da un desiderio che non posso permettermi di avere.

Ethan.
Non può farmi questo effetto.
Non posso provare queste cose per lui.

Quando finalmente la mia mente capisce che Ethan non si trova qui con me, il mio corpo sembra rilassarsi ed io riesco a respirare normalmente. Il cellulare, che si trova sotto carica sul comodino accanto a me, inizia a vibrare senza sosta, scuotendomi maggiormente da quell'allucinazione che sembrava reale.

Strofino le mani sul lenzuolo di seta, intenta a liberarmi di quella sensazione sudaticcia che mi ricopre i palmi. Poi, afferro il cellulare, già sapendo di chi si tratti a quell'ora. Può essere solo una persona. Infatti non mi sbaglio: sullo schermo c'è la foto di Kim mentre mi fa una linguaccia e i suoi occhi marroni sono spalancati in una smorfia buffa.

Accetto la video chiamata, mentre mi posiziono meglio e mi appoggio con la schiena alla testiera del letto. Nell'istante in cui la sua foto sparisce per lasciar posto al video, una musica assordante mi colpisce in pieno, facendomi quasi sussultare.

«Kim, ma dove sei?» borbotto contrariata, ma in realtà sono contenta e sollevata che mi abbia distratto dai miei pensieri.

«Siamo ad una festa!» urla Lillie, sbucando all'improvviso accanto a Kim che sembra leggermente alticcia ed io mi ritrovo costretta ad abbassare il volume per non svegliare l'intera villa.

«Le feste non sono più le stesse senza di te!» continua la mia amica con la chioma rossa e un rossetto dello stesso colore, ma più intenso.
«Magari la prossima volta» replico divertita, perché vedere Lillie così leggera e spensierata mi mette di buon umore.

«Aspetta un attimo...» dice ad un tratto Kim, assottigliando gli occhi, pieni di glitter argento, in due piccole fessure. Avvicina il cellulare al viso per scrutarmi meglio, «Hai ancora la febbre o sei eccitata?»

Eccola lì, Kimberly Wood, che già normalmente non ha peli sulla lingua, ma quando beve diventa davvero esagerata.
«Kimberly!» squillo, mentre mi tocco le guance per tastare il calore della mia pelle, che è aumentato dopo quella frase senza ritegno.

«È per il ragazzo della felpa, vero? Stavi pensando a lui!» cinguetta Kim, annuendo sempre più convinta del film mentale che si è fatta.

Se solo sapessi..

«Se non la smetti, riattacco!» Maledetta me che parlo troppo!
Il giorno dopo la festa Kim e Lillie mi hanno chiamata per sapere come stessi e alla domanda se avessi visto Leon, mi sono lasciata sfuggire un piccolo dettaglio: il ragazzo dagli occhi neri come la pece e la sua felpa salvatrice.

«Dai, Kim, lasciala stare!» mi difende Lillie, scoppiando a ridere con gusto, in seguito.
«Si, tanto domani pomeriggio passiamo a trovarti!» Continua la mia amica dal caschetto scuro.

«Certo, mi fa piacere!» le sorrido dolcemente e poi le mando un bacio attraverso il cellulare, «Divertitevi!»

Abbandono il cellulare accanto al letto, subito dopo aver riattaccato la videochiamata. Mi sdraio nuovamente nel letto, ma è inutile dire che quei due occhi profondi non si levano dalla mia mente e mi agitano le membra. Provo a cambiare posizione, poi un'altra e un'altra ancora. Alla fine non so come, ma crollo tra le braccia di Morfeo.

* * *

Sono circondata dal buio. Nonostante le pupille siano dilatate, a tal punto da ricoprire quasi completamente le mie iridi cristalline, non riesco a vedere ciò che mi circonda. Non una porta, non una finestra, neanche una via di fuga. Ho la sensazione di essere in una stanza senza via di uscita. Come quelle che si vedono nei film horror; in cui la ragazza viene rapita e rinchiusa in uno spazio talmente piccolo da far uscire qualsiasi tipo di claustrofobia. Il mondo intorno a me inizia ad oscillare e l'oscurità da cui sono circondata non mi aiuta a trovare un punto fisso su cui concentrarmi per restare in equilibrio. Barcollo all'indietro, finché non vengo bloccata da una parete umida e fredda che si scontra con il palmo delle mie mani, per poi staccarle e portarle tra i capelli. Chiudo gli occhi e mi appoggio con tutto il corpo al muro, provo a concentrarmi sul mio respiro agitato, ormai in iperventilazione. Il cuore non molla la presa, posso sentirne il rumore.
Bum, bum, bum, bum.
Il ritmo costante del mio muscolo involontario mi penetra nei timpani e, invece di calmarmi, aumenta la sensazione di angoscia che mi avvolge.

Come sono finita in questo posto?
Cosa ci faccio qui?

Sono madida di sudore, alcune goccioline mi attraversano la spina dorsale e altre percorrono la fronte, scivolano fino a riempirne le ciglia folte. Apro lentamente le palpebre ed in un'attimo mi infilo in una seconda trappola da sola. Il sudore mi attraversa l'orlo delle palpebre ed un bruciore intenso mi offusca la vista.
Non è il calore, perché ho freddo. Sono scossa dai brividi che non mi lasciano tregua.

Sono in trappola.

Questo pensiero peggiora la mia situazione, in breve tempo mi sembra che qualcuno stia premendo sulla gola per non permettermi di respirare. D'istinto, porto le mani sul collo, come se questo potesse liberarmi da quella presa soffocante. Non riesco nemmeno ad urlare, la fiamma della mia voce sembra essersi spenta, senza più possibilità di ritorno.

Sono spacciata.

Poi, ad un tratto, sento la sua voce. Quella inconfondibile voce che avrei riconosciuto tra mille, anche ora che sono mesi che non la sento.
«Mamma!» provo ad urlare, ma dalle mie labbra esce solamente un verso incomprensibile.
Le lacrime si mischiano alle gocce di sudore e mi riempiono gli occhi, fino a sgorgare come un fiume in piena.
«Mamma!» provo ancora, questa volta riesco a far uscire un filo di voce spezzato dalle mie labbra.
Mi costringo ad allontanarmi, appoggio i palmi sudati sulla parete dietro di me e provo a farmi leva su di essa. Le gambe mi tremano e ho paura di non riuscire a fare nemmeno un passo, ma il bisogno di trovarla è più forte. La devo abbracciare un'ultima volta, come non sono più riuscita a fare.
«Ti prego..» tossisco, provando ad espellere l'aria compressa che mi si è formata in gola e mi ostruisce le vie respiratorie. Sento la gola graffiarsi con quel semplice gesto, quasi fino a sentire il sapore metallico del sangue.
«Shh, piccola Dì» la sua voce dolce sussurra il soprannome che mi ha donato lei, «vedrai che andrà tutto bene»

Mi sveglio di soprassalto, senza respiro e con il cuore in gola. Sono ancora scossa dai brividi e, quando porto le mani sul viso, sento chiaramente il sudore da cui ero avvolta anche nell'incubo. Deglutisco il groppo di saliva che si è formato in gola e mi libero dalle ciocche di capelli che si sono impiastrate sulle guance e tra le labbra.

Sbatto varie volte le palpebre, mi accorgo di una luce lieve e delicata che entra dalle finestre della mia camera, la riempie e mi sfiora le gambe in una stretta calorosa.

Era solo un incubo, Diana. Stai calma..

Eppure, la sua voce sembrava così reale, quasi solida da poterla toccare. Da quando l'ho persa in quell'incidente ho vissuto con il terrore di dimenticare il suo viso dolce, la voce melodiosa e rassicurante. Avrei pagato qualsiasi cifra del mondo per poterla riascoltare ancora una volta, una soltanto. Ed ora che l'ho sentita, anche solo in un incubo, non mi sento affatto meglio.

Sono ancora avvolta dalla bolla di quell'incubo che mi protegge e al tempo stesso mi scuote con intensità. Più mi guardo intorno e più torno nel mio incubo peggiore: la realtà.

Solo quando riprendo la sensibilità dei miei cinque sensi mi accorgo della musica assordante, sbatte con violenza contro le pareti e potrei giurare di sentire il letto vibrare.

La rabbia mi monta nel petto come se fosse panna, posso sentire la sua consistenza densa scorrere nelle vene ed impossessarsi di ogni mia cellula.

Non so dire con precisione se mi abbia innervosito l'incubo o la musica che rimbomba in tutta la casa, ma se dovessi guardare il mio riflesso nello specchio sono quasi sicura di essere diventata viola.

Quando mi alzo dal letto ho ancora i muscoli intorpiditi, ma non sto più ragionando. È come se mi trovassi fuori dal mio corpo e potessi vedere le mie azioni, come una spettatrice di un film, senza poter fare nulla per fermarmi.

Apro di scatto la portafinestra che conduce al mio balcone, proprio sopra la piscina. Con quel piccolo gesto mi rendo conto che la musica è molto più forte di quanto pensassi, sto stringendo così forte la mandibola da sentire male ai denti.

Non penso minimamente a come sono ridotta: una maglia larga mi scivola sul corpo, coprendomi a malapena il fondoschiena, uno chignon scompigliato dalla notte e il viso livido di rabbia. Nathan, Josh e Jared se ne stanno lì, in giardino, a godersi il sole mattutino, ancora ignari della mia furia accecante.

Le mie braccia soni rigide lungo i fianchi e le mani strette in due pugni.
«Ma vi siete bruciati il cervello?!» urlo, ormai fuori di me.
I loro sguardi si sollevano all'unisono nella mia direzione e mi fissano imbambolati, tre pesci lessi.

«Te l'avevo detto che si sarebbe incazzata» dice il mio gemello all'altro idiota del mio fratello maggiore, ignorandomi completamente.
Probabilmente non voleva farsi sentire, ma la musica troppo alta lo costringe ad urlare.

Idiota.

Anche se sono lontana, posso scorgere la risata sotto i baffi che Josh fa fatica a trattenere. Questa percezione chiude definitivamente le vene nel mio cervello e mi porta a sbattere i piedi per terra, come una bambina viziata.

«Siete degli idioti!» strillo ancora una volta con le corde vocali in fiamme, come tutto il resto del mio corpo, dopotutto.
Questa volta scoppiano tutti e tre a ridere, una risata forte e sguaiata che, quasi, sovrasta la musica.

Certo, il mio atteggiamento deve essere buffo visto da fuori, per non parlare di come mi sono presentata, ma arrivare a ridermi in faccia in questo modo è davvero troppo.
«Dai Dì, smettila di fare l'acida e vieni qui con noi» Acida a me?!

Lancio uno sguardo di fuoco a Nathan, dopo aver osato pronunciare quelle parole di sfida. Se avessi avuto qualsiasi potere soprannaturale, sicuramente il mio sarebbe stato quello di incenerire le persone con un battito di ciglia. Lui si azzittisce all'istante, mordendosi la parte interna delle guance per non ridere ancora.

D'istinto, afferro l'infradito che ho lasciato sul balcone la sera prima e assottiglio gli occhi per prendere la mira, con tutta la precisione che possiedo.
«Va' al diavolo!» sbotto, accompagnando la mia frase con il lancio della ciabatta di gomma.

È così leggera che basta una piccola folata di vento per farle cambiare direzione, o forse, sono solamente io che non ho un'ottima mira. Infatti, l'infradito, invece di andare nella direzione desiderata, si scaglia contro la testa di Ethan che ha appena fatto il suo ingresso in giardino. La sorpresa di vederlo in casa mia per la prima volta mi coglie in pieno, facendomi traballare.

Indossa un costume a pantaloncino verde smeraldo e le infradito ai piedi, mentre la parte superiore è scoperta da qualsiasi indumento ed i tatuaggi sono l'unica cosa che ricopre la sua pelle. Ha appoggiato sulla spalla una maglietta bianca che regge con una mano. Anche vestito in quel modo ha una bellezza illegale.

Alza lentamente lo sguardo verso di me, i suoi occhi blu mi penetrano come una lama al centro del petto e sento le gambe farsi molli. In meno di mezzo secondo sono diventata paonazza e, questa volta, non per la rabbia.

«Ehi!» si massaggia il punto in cui è stato colpito, «che caratterino!»
«Va' al diavolo pure tu!» dico, dimostrando meno fermezza di quanto avrei voluto.
Entro in camera e sbatto la portafinestra alle mie spalle, senza voltarmi.

Nei minuti che passo a gironzolare per la mia camera, la rabbia svanisce e lascia spazio a emozioni contrastanti che mi hanno provocato quell'incubo. Vorrei poter decifrare tutti i codici che sono presenti in ogni minuscola emozione, ma poi, una volta fatto, cosa ne sarebbe rimasto?

Cerco di allontanare qualsiasi pensiero in modo da avere la mente leggera, come è giusto che sia per qualsiasi ragazza della mia età. Io, però, non sono una ragazza qualsiasi. Sono Diana Lewis. Un'attimo prima stavo parlando con i miei genitori al telefono e l'attimo dopo mi sono stati strappati via con crudeltà, senza rimorso, da una persona probabilmente ubriaca al volante.

Che diritto aveva di farlo?
Si sarà pentito, dopo essere fuggito senza nemmeno soccorrerli?
Riuscirà a dormire la notte?

Ci sono attimi che ci possono cambiare la vita, sia a noi che agli altri. Basta una piccola azione, anche insignificante, e tutto si polverizza, si sgretola davanti ai nostri occhi. Quando a sedici anni ti succede una tragedia simile, i tuoi anni si moltiplicano e il peso del dolore sulle tue spalle ti fa diventare una persona nuova. A me è successo proprio questo. Ho imparato ad accettarlo, a conviverci, ma so con fermezza che nulla sarà più come prima.

Indosso il primo costume che mi capita tra le mani, perché la voglia di scendere in giardino mi fa velocizzare in un modo disumano. Non mi importano i dettagli, il desiderio di rivederlo da vicino mi sovrasta. Non lo posso toccare, probabilmente è meglio se non ci parlo, ma almeno posso guardarlo da lontano, anche se so che è sbagliato.


•Angolo Hopeless•

In questo capitolo ho percepito le stesse emozioni di Diana, sopratutto per quanto riguarda l'incubo..
spero di essere riuscita a trasmetterle anche a voi!

Cosa ne pensate di questo capitolo?
Chi ha già letto la versione precedente di You fix me, sa già cosa succederà dopo, o almeno, una piccola parte.

Come sempre, grazie per essere arrivato fin qui🫶🏻

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