38 | La collana

Diana

Adesso basta.

Mi lego i sandali al polso ed entro in scena. Applaudo con tutta la forza che ho nelle mani, mi costringo a cercarla tra le ferite interne che continuano a gocciolare sangue e dolore. Cerco quella forza che a volte mi è mancata, ma che è sempre stata dentro di me.

«Davvero bravi!» il suono delle mie mani si arresta in quel momento, «Il senza palle che incolpa la stronza, questa mi mancava!»

Una risata nervosa mi esce dalla gola, è così forte e audace che non riesco a fermarla. Rido, rido così tanto che gli occhi mi si riempiono di lacrime e i polmoni non riescono ad assorbire ossigeno.

Quando finalmente mi calmo e torno a puntare lo sguardo nella loro direzione, li ritrovo immobili e con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.

Ormai so di essere un disastro. Il trucco sbavato, l'acconciatura sfatta, a piedi nudi e il vestito sporco a causa dello sfregamento contro il suolo. Ma non ha importanza, perché oggi ho dovuto assistere ancora una volta alla perdita di una persona che amo: Kimberly Wood.

Faccio un paio di passi nella loro direzione, ma nemmeno le mie gambe riescono a ristabilire un po' di contegno. Sto tremando così tanto che barcollo ad ogni movimento.

«Mi dispiace» urlo, con tutta la voce che ho in corpo, perché adesso sono io ad avere una crisi di nervi.

«Mi dispiace Leon, se non sono più in grado di amarti come ho sempre pensato che meritassi. Non sono sottostata al tuo ricatto perché non era giusto tenerti bloccato in una situazione che prima o poi ti avrebbe ferito.» il mio sguardo passa alla ragazza accanto a lui, «Mi dispiace Kim, se mi sono innamorata dell'ultima persona sulla faccia della terra per cui dovrei provare qualcosa. Ma lui è stato l'unico a riaccendere il mio cuore, dopo la morte dei miei genitori. Non l'ho chiesto io, non l'ho voluto io. È successo e basta!»

Chiudo gli occhi per un secondo, respiro profondamente e prendo tutto il coraggio per chiudere questa situazione.

«Diana, io...» Leon prova a parlare, ma io lo interrompo subito con un'alzata di mano.

«Non osare rivolgermi la parola mai più» indico entrambi, l'indice continua a fare destra e sinistra come se avessi una specie di tic, «Voi due siete le persone più ripugnanti che io abbia mai incontrato.»

Kim stringe la mandibola e mi rivolge uno sguardo vitreo, privo di emozioni, prima di rivolgermi la parola.

«Senti da che pulpito viene la predica»
Assottiglio gli occhi in due piccole fessure, mentre mi avvicino di qualche passo.
«Sai qual'è la differenza tra me e te, Kim? Io non ho pugnalato nessuno alle spalle con l'intenzione di farlo»

«Ma l'hai fatto comunque!» replica lei, sempre più inviperita.

«Raccontati pure di essere tu la vittima. Raccontati di essere dalla parte della ragione, se questo ti fa sentire meglio. Ma quando ti metterai a letto la sera e sarai da sola con i tuoi pensieri, ricorderai di aver fatto ricattare la tua migliore amica dal suo ex solo per ottenere ciò che volevi»

Mi volto, con tutta l'intenzione di sparire, ma lei utilizza l'unica arma in suo possesso in grado di ferirmi.

«Fai schifo come i tuoi genitori! Siete della stessa pasta!»

Mi blocco. Il mio respiro si blocca. Il mio cuore si blocca. I miei muscoli si bloccano.

La rabbia striscia come una vipera tra i miei organi, li attraversa uno ad uno fino ad avvelenarli tutti. Quel sentimento così negativo incendia il mio viso, ogni cellula di cui è composto il mio corpo.

Come può dirmi una cosa del genere? Lei li ha conosciuti i miei genitori, le volevano bene come se fosse figlia loro. Ha pianto con me il giorno della loro morte, del loro funerale e durante tutte le notti in cui non riuscivo a dormire a causa degli incubi.

Slaccio i sandali come una furia, mi giro verso Kimberly e le lancio entrambi i sandali con il tacco. Sono così furiosa da avere la vista annebbiata, non so se l'ho colpita, ma lo spero con tutta me stessa.

Vorrei che provasse un pizzico del dolore con cui ho imparato a convivere da mesi, ma è troppo viziata per guardare oltre sé stessa.

«Per me non esisti più»

Questa sera è morta una parte importante della mia vita. Perchè prima o poi sarei stata capace di perdonare le sue azioni, ma quelle parole... Dio, quelle parole non riuscirò mai a cancellarle dalla memoria.

«Signorina Diana, tutto bene?» riconosco immediatamente la voce alle mie spalle, è l'autista di famiglia.

Sbatto varie volte le palpebre, riuscendo a mettere a fuoco la vista. Per mia sfortuna non sono riuscita a colpire Kimberly, il cuore mi batte così forte nel petto che ho la sensazione mi possa uscire dal corpo da un momento all'altro.

Trattengo il respiro e conto nella mia mente per cercare di calmarmi, ma non ci riesco.

«Signorina Diana?» questa volta la voce è più vicina, così osservo per l'ultima volta le persone con cui ho condiviso tutta la mia vita, per poi voltarmi verso Scott.

«Portami via, per favore»

Mi allontano da quel piccolo angolo che paragono al mio inferno personale, ma ogni passo che faccio sembra che un peso mi gravi sulla schiena.

Sono tutte le emozioni contrastanti che lottano tra di loro, sono così satura da non riuscire più a sopportare nulla. Vorrei avere il potere di Damon in the vampire diaries di spegnere le emozioni con un semplice schiocco delle dita, ma sono solamente Diana Lewis, una ragazza normale di San Diego che cerca di sopravvivere in questo mondo ipocrita.

Seguo Scott fino alla macchina e salgo sul veicolo senza proferire parola.

Rispondo con un movimento del capo ad ogni sua domanda. Annuisco quando mi chiede se sto bene, annuisco quando mi dice che avrebbe avvisato zio Finn e annuisco ancora quando mi avvisa che mio zio gli ha ordinato di riportarmi a casa. Non sarei voluta andare da nessun'altra parte, tranne...

«Scott, possiamo fermarci dieci minuti in spiaggia?»
«Signorina... suo zio è stato molto chiaro»
Mi ritrovo a sbuffare rumorosamente, mentre mi lascio andare contro lo schienale.

«Mi dispiace»
«Non ha importanza» e invece ne ha.
Solo il rumore delle onde, il profumo della salsedine e la tranquillità della notte sarebbero riusciti a donarmi un pizzico di sollievo.

Tutti i miei dubbi hanno avuto conferma, non posso più rifugiarmi nei "forse" o nei "magari". Ethan aveva ragione, ma sono stata troppo ingenua per credere che la mia migliore amica sapesse tutto dalla festa nel bosco.

Lo aveva ammesso lei stessa nella conversazione che ho origliato: era stata lei a scattare la foto, per poi passarla a Leon e permettergli di ricattarmi.
Anzi, è stata proprio una sua richiesta, quella di ricattarmi intendo.

Come si può perdonare una cosa del genere?
Per quanto io non sia una santa, non ho mai fatto quello che ho fatto con lo scopo di ferirla, non di proposito, almeno.

Cerco di svuotare la mente e perdermi nelle immagini che scorrono dal finestrino, perché se mi fossi soffermata per ancora un minuto su quello che ho scoperto, sarei diventata pazza. Per quanto mi sforzi le parole di Kim mi risuonano nella mente a ripetizione.

"Fai schifo come i tuoi genitori"

Perché utilizzarli per ferirmi?
Di tutte le cose che poteva dirmi ha usato l'arma più meschina.

A questo punto inizio a pensare che i cambi d'umore di Ethan siano a causa sua, deve aver fatto qualcosa per spingerlo ad allontanarsi da me.

Dopo minuti interminabili, pensieri che mi stavano disintegrando, finalmente l'auto si arresta nel piazzale. Scendo velocemente dalla macchina, dimenticandomi di non avere indosso le scarpe.

I sassolini del viale sembrano tanti piccoli spilli a contatto con la pianta dei piedi, ma ormai sono così abituata a vivere di dolore che quello diventa solo un piccolo fastidio.

Cammino a testa alta, perché proprio in quel momento mi perdono per aver scelto me stessa durante le ultime settimane.

Cammino, o forse corro, per arrivare il più velocemente possibile in casa e poter rifugiarmi in una doccia calda.

All'ingresso c'è palla di pelo ad aspettarmi, mi corre incontro felice, scodinzolando come se non mi vedesse da giorni. Lo prendo in braccio e lo stringo contro il mio corpo, il suo amore mi dona tranquillità, lo stesso effetto che riesco ad ottenere dall'oceano.

«Sai, piccoletto... penso di aver appena trovato il nome giusto per te» ci fissiamo per qualche secondo, finché non prende coraggio e si allunga con il collo per leccarmi una guancia, «Ti chiamerai Wave»

L'acqua scorre veloce sul mio corpo, ma non riesce a levarmi di dosso la negatività di questa sera.

Non so di preciso da quanto sia in doccia, il tempo sembra essersi fermato. Chiudo l'acqua con uno scatto, strizzo quella in eccesso dai capelli ed esco dal box doccia.

Sono circondata dal vapore dell'acqua calda, persino lo specchio è appannato. Mentre afferro l'asciugamano per coprirmi il corpo un tonfo mi fa sussultare e, subito dopo, l'abbaio dolce di Wave mi fa capire di non essere da sola.

Mi affretto per uscire dal mio bagno privato, ma riesco a far in tempo a vedere a malapena la tenda muoversi. Wave abbaia contro il letto, questo porta tutta la mia attenzione su di esso.

Mi avvicino incuriosita, c'è solo una persona che entra ed esce dalla finestra della mia camera.

Riconosco subito la scatola sul letto, è la custodia della collana di mia madre. Prima di aprirla per accertarmi del contenuto, leggo il biglietto sulla scatola.

Sono un coglione.
Puoi perdonarmi?
  - E

Il cuore mi batte forte nel petto mentre apro la custodia e trovo la collana che mi appartiene.

È pazzo... gli sarà costata una fortuna!

Devo andare da lui. Subito.
Indosso velocemente una felpa e dei pantaloni, faccio tutto così di fretta da non indossare nemmeno l'intimo.

Quando sono pronta per uscire di casa realizzo una cosa molto importante: non so dove abiti.

«Pensa Diana, pensa» faccio avanti e indietro nella stanza, cercando una soluzione veloce e indolore.

Poi, di punto in bianco, una lampadina si accende nella mia testa. Dovrei ancora avere il numero di Jared, lui è l'unico che può aiutarmi senza che mio fratello lo scopra.

Prendo il cellulare e trovo almeno trenta chiamate perse da parte di Josh, Nathan e Lillie. Le ignoro e vado direttamente ai contatti telefonici, dove scovo il numero.

Brrring - brrring - brrring

«Sì?» la voce maschile che mi aspettavo di trovare mi raggiunge l'orecchio e provo uno stato di sollievo enorme.

«Ciao Jar, sono Diana» mi schiarisco la voce e cerco di formulare una frase con un senso compiuto, «tutto bene?»

«Tutto bene, tu? È successo qualcosa?»

Una risata nervosa mi sfugge dalle labbra, mentre continuo a camminare per la stanza.

«No, no, tutto bene. Ti chiamavo perché ho trovato una cosa che appartiene a Ethan e vorrei ridargliela, puoi dirmi dove abita?»

Silenzio.

Mi pento di aver parlato subito dopo aver pronunciato quella frase stupida. Mi colpisco la fronte con il palmo della mano più volte, maledicendomi.

"Una cosa che appartiene a Ethan"... ma quanto posso essere stupida?

«Non puoi darla a Josh?» certo, magari gli dico anche che sto andando da lui.

«È meglio che lui non sappia niente»
«Ti mando l'indirizzo per messaggio»
«Ti devo un favore»
«Almeno due, piccola Dì»

Mi accovaccio ad accarezzare Wave che mi segue ad ogni passo.
«Torno presto, promesso»

Esco sul balcone e faccio il solito percorso "segreto" che in realtà, ormai, conoscono tutti.
Non vedo l'ora di vederlo. Ho bisogno del suo abbraccio, del suo profumo agrumato che mi tranquillizza.

«Dove stai andando?» sto scendendo l'ultimo gradino dell'albero quando una voce mi coglie di sorpresa.

E adesso che gli dico?

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