3 | La festa in spiaggia
Diana
Se dire a Kim che non posso andare alla festa è difficile, affrontare zio Finn per la seconda volta durante la giornata lo è ancora di più. Nel gazebo non vola una mosca, tutti si fingono interessati al cibo, ma la verità è che la tensione si può tagliare con una lama.
Adalia, la nostra domestica, non è qui. È di origini tedesche e si è dovuta assentare per un mese. Non vedeva la sua famiglia da tre anni, quindi zio Finn non ci aveva impiegato molto a suggerirle di prendersi tutto il tempo che le serviva.
Lei è tutto ciò che ho più vicino ad una madre. È entrata nelle nostre vite quando eravamo solo dei bambini e si è presa cura di noi in molte circostanze.
Quando i nostri genitori partivano per dei viaggi di lavoro, era lei che ci preparava un pasto caldo e ci rimboccava le coperte. Per non parlare di tutte le volte che ci ha coperti quando tornavamo a casa tardi, o quando combinavamo dei guai in casa.
Sicuramente lei avrebbe trovato le parole giuste per tranquillizzare lo zio, prima di rimproverarmi segretamente. Ma Adalia non è qui, quindi devo imparare a cavarmela da sola.
Sposto con la forchetta un pezzetto di pollo, mentre sento gli occhi di Nathan addosso. Sicuramente la prima cosa che farà quando ne avrà l'occasione, sarà dirmi: "io te l'avevo detto".
«Zio Finn» dico con decisione.
Le persone presenti, ovvero: Nathan, Josh e zio Finn, smettono di muovere le posate e puntano i loro sguardi su di me.
«Lo so che ti ho deluso molto e mi dispiace per questo, sono pronta a prendere le conseguenze delle mie azioni» zio Finn si posiziona meglio sulla sedia, osservandomi con uno sguardo serio che non mi ha mai riservato.
«però, oserei aggiungere, che il corpo è il mio e voglio ricordare il mio dolore in questo modo»
Nathan solleva le sopracciglia e strabuzza gli occhi, sconcertato. Al suo fianco, Josh mi rivolge un sorriso complice e conclude facendomi l'occhiolino. Zio Finn, che è seduto a capotavola, in primo momento si irrigidisce nel sentire le mie parole, poi si schiarisce la voce.
«Diana,» mi osserva con attenzione «hai solo sedici anni..»
«Quasi diciassette» lo interrompo, prendendomi un'occhiataccia come rimprovero.
«Stavo dicendo» marca con intensità le due parole, «che hai quasi diciassette anni, probabilmente tra qualche anno ti pentirai di averlo fatto»
«No» replico subito, «questo mi permetterà di non dimenticarmi di loro»
«Non ti dimenticherai mai dei tuoi genitori, perché loro vivono proprio qui, dentro di te» dice zio Finn, dandosi due pacche sul cuore.
«Lo so, ma è una decisione che spetta a me» rispondo con fare nervoso.
«Non finché io sarò il tuo tutore legale!» sbotta lui, facendomi congelare sul posto.
Giro il viso dalla parte opposta e mi mordo il labbro per calmare la mia rabbia. In estate abbiamo deciso di cenare in giardino, il sole tramonta tardi e la possibilità di godersi gli ultimi raggi di sole piace a tutti.
La parte esterna della casa ha molti metri quadri di giardino, non so dire con certezza quanti, ma molti di più di quel che si può immaginare. Al centro si trova la piscina con le varie sdraio e ombrelloni, mentre vicino alla portafinestra che conduce alla cucina, c'è il gazebo in legno con il tavolo e le sedie, proprio dove ci troviamo noi ora.
«Voglio il nome del tatuatore che ha fatto un tatuaggio ad una ragazzina minorenne, senza il consenso di un adulto» ribadisce mio zio.
«Non lo ricordo» dico di getto, sollevando in contemporanea le spalle.
«Bene» dice alzandosi dalla sedia e lanciando il tovagliolo sul tavolo, «finché non avrò il nome, non potrai uscire con le tue amiche»
Stringo i denti con forza, finché non sento male alla mandibola.
Una volta che restiamo da soli, allontano il piatto e appoggio il tovagliolo accanto ad esso.
«Io te l'avevo detto» afferma subito Nathan, come se non vedesse l'ora di dirlo.
Assottiglio gli occhi in due piccole fessure e questo basta a farlo tacere.
«Dagli tempo, piccola Dì» dice Josh con tono dolce, «è normale che sia arrabbiato»
Annuisco lentamente, per poi sorridergli in segno di riconoscimento.
Mi alzo dalla sedia per andare in camera mia, dove trovo il mio cellulare con almeno venti messaggi, tutti di Kimberly. Evidentemente, quando le ho scritto che non sarei potuta andare alla festa, è impazzita.
Io ti passo a prendere
alle 10:30.
Questo è il suo ultimo messaggio. Non è una ragazza che si arrende tanto facilmente. Ed in parte io ho bisogno di passare un po' di tempo con le mie amiche.
Il balcone della mia camera si affaccia sopra la piscina, ovviamente non posso calarmi da lì, rischierei di farmi male. Se riuscissi ad andare in camera di Nathan, invece, riuscirei a scappare. Dalla sua parte si trova un albero robusto, se sono in grado di arrampicarmi sul ramo iniziale, poi ci sono dei sostegni per poter scendere senza difficoltà.
Li avevamo impostati io e Nate appena eravamo arrivati nella casa di zio Finn, perché nella nostra vera casa avevamo un albero molto simile. Josh aveva applicato di nascosto delle tavole sul tronco, per farle funzionare come dei piccoli scalini.
Quando lui aveva la nostra età era ribelle e spesso i nostri genitori erano costretti a metterlo in punizione. In questo modo, sgattaiolava da casa e rientrava senza farsi scoprire.
Nell'ultimo anno anche io e Nathan usavamo questo trucchetto, soprattutto quando mamma e papà non ci permettevano di andare alle feste della squadra di basket.
Guardo l'ora sul cellulare, segna le 9:30 p.m. Rispondo velocemente a Kim che va bene, ma di farsi trovare infondo alla via.
Lancio il cellulare sul letto a baldacchino e mi dirigo verso il mio armadio. La mia camera ha le pareti bianche, tranne quella di fronte al letto che è azzurra e tempestata di brillantini.
Quando ci siamo trasferiti qui, ho provato a copiare la mia vecchia camera, in modo da non sentirmi troppo lontana da casa. Il letto è a baldacchino, ma in stile moderno con le parti in ferro nere, da lì cadono dolcemente dei teli sull'azzurro tenue.
Nella mia vecchia casa possedevo una cabina armadio, avevo insistito così tanto per ottenerla.. qui non c'è spazio per averla. Nonostante la villa sia enorme, zio Finn non pensava di certo che avrebbe dovuto ospitare i suoi tre nipoti.
Di restare nella vecchia casa non se ne parlava proprio, era troppo da sopportare, per tutti. Non è molto distante, volendo potrei arrivarci a piedi, ma non ci ho mai più messo piede dopo aver rinchiuso il mio skateboard lì dentro.
Così, mi devo accontentare di un armadio in ferro nero che si abbina alla perfezione con il resto dell'arredamento. Di fronte al letto, dove si trova la parete azzurra, c'è uno specchio sottile e lungo che utilizzo per truccarmi.
Nel restante delle pareti, invece, ci sono dei piccoli quadri che ritraggono i momenti più belli della mia vita, con le persone a cui voglio bene.
Scelgo un costume nero e semplice, aggiungendo una gonna di jeans e, dopo averli indossati, mi guardo un attimo allo specchio. Creo la mia solita linea sottile di eye-liner e metto un po' di mascara per completare la mia opera d'arte.
Una volta pronta, guardo di sfuggita l'orario e mi rendo conto che è arrivato il momento di agire. Prima di uscire sul balcone prendo gli occhiali da sole. Scavalco la recinzione per arrivare sul balcone di Nathan, sono così vicini che riesco senza troppe difficoltà.
Le tende coprono la visuale ed è un bene, Nathan non mi può vedere se si trova in camera. Il cuore mi batte all'impazzata nel petto, agire di nascosto mi agita e in questo momento è l'adrenalina a fare da sovrana.
Guardo il ramo dell'albero su cui mi devo arrampicare e mi rendo conto che non è così semplice come avevo immaginato. Le motivazioni che mi spingono, però, sono più forti della paura.
Scavalco la ringhiera e mi aggrappo con le mani ad essa, prima di posizionarne una sul ramo più vicino che sembra essere fragile. Appoggio un piede sul ramo che è più spesso e forte, e mi dò la spinta per ritrovarmi in piedi su di esso. Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, cercando di calmare il cuore che sembra volermi uscire dal petto.
«Ok, ce la posso fare» mi dico a voce bassa, in modo da donarmi il coraggio che inizia a vacillare.
Mi sposto a piccoli passi per raggiungere la parte centrare, intorno a me si sente solamente il fruscio delle foglie che si muovono a causa delle mie mani.
Arrivata nella parte centrale, dove si trova il tronco, appoggio il piede su una tavola di legno per iniziare a scendere sulle scale improvvisate da mio fratello. Al secondo movimento che faccio, il mio corpo scivola e mi graffio il ginocchio contro la corteccia spessa.
«Cazzo» impreco, mordendomi successivamente la lingua.
Mi salvo grazie ai riflessi che ho acquisito facendo skateboarding e resto aggrappata a penzoloni ad un ramo. Non mi faccio prendere dal panico e appoggio nuovamente il piede alla "scala" finché, piano piano, non tocco il suolo.
Mi guardo intorno per essere certa che nessuno mi abbia vista, per poi passare accanto alla piscina in punta di piedi. Oltrepasso le macchine parcheggiate all'ingresso e la fontana vicino che crea una piccola rotonda per raggiungere la villa.
A questo punto inizio a correre, corro lungo la via fatta di ghiaia, stando sempre verso la siepe per avere un'ombra maggiore. Clicco il pulsante per aprire il cancello piccolo e mi fiondo fuori, prima che qualcuno mi veda.
In lontananza vedo la macchina rosa shocking di Kim, pur volendo non saremmo passate inosservate.
«Kim, ricordami perché hai scelto un colore del genere!» dico, mentre apro la portiera per entrare in macchina.
«Ciao anche a te, amica!» replica lei, con la sua solita voce squillante.
Lillie si gira col busto verso di me, i suoi capelli ramati e mossi ondeggiano per via del movimento. Il naso è tempestato di lentiggini e si scontrano con la sua carnagione chiara, mentre gli occhi smeraldo le regalano quella luce luminosa da cui è circondata. Mi manda un bacio da lontano ed io lo afferro in un pugno, portandolo successivamente vicino al cuore.
Kim mette in moto, dalle casse parte una musica assordante, probabilmente a tutto volume. Roteo gli occhi ed inizio a pregare di non essere vista.
«Allora» dico, sporgendomi in avanti tra i due sedili, «cosa c'è a questa festa di così elettrizzante?»
«Ethan» risponde risoluta Kim.
«A che quota siamo di innamoramento facile questo mese, Kim?» le chiede Lillie, scoppiando subito dopo a ridere e contagiando anche me.
«Smettetela!» ci rimprovera lei, schiacciando di più il piede sull'acceleratore.
«E cos'ha questo Ethan di così speciale?» chiedo curiosa.
«Intendi oltre ai tatuaggi, al fisico scolpito e al sorriso magicamente perfetto?» domanda lei, sognante.
«Dai Kim, di ragazzi così ne hai a bizzeffe» replico con un sorrisetto sulle labbra.
«Aspetta, Dì» dice Lillie, girandosi nella mia direzione e rivolgendomi un'occhiata divertita.
«Lui è diverso dagli altri..» continua Kim, sbirciandomi dallo specchietto retrovisore con i suoi grandi occhi marroni, «mi sento diversa, mi guarda come nessuno ha mai fatto»
«Va bene, allora quando lo conoscerò ti dirò se è quello giusto per te» dico con convinzione, facendole brillare gli occhi.
«È proprio quello che voglio, tu non sbagli mai»
Kim parcheggia la sua auto rosa barbie nel parcheggio della spiaggia ed io abbasso gli occhiali da sole sul naso. Scendiamo tutte e tre in contemporanea, lasciandoci accogliere dall'atmosfera di festa in piena estate.
«Perché indossi gli occhiali?» mi chiede Kimberly, con un'espressione confusa sul volto. Ha i capelli a caschetto proprio sulla linea del mento, un dolce naso all'insù e le ciglia folte che racchiudono due occhi capaci di divorare il mondo intero.
«È una festa dei ragazzi dell'Università di San Diego» spiego velocemente.
«E quindi?» ribatte subito lei.
«C'è sicuramente suo fratello Josh» risponde Lillie al posto mio, mentre iniziamo a camminare verso la festa.
«Guarda che se ti dovesse vedere, e non è detto visto quante persone ci sono, ti riconoscerebbe lo stesso» replica nuovamente Kim, spingendomi scherzosamente.
Sollevo le spalle in risposta e quando ci guardiamo, scoppiamo tutte e tre a ridere. In momenti come questi mi accorgo della fortuna che possiedo nell'avere due amiche così.
La musica alleggia nell'area e coinvolge molti ragazzi e ragazze, poco più grandi di noi, in un ballo sensuale. In quella che oserei definire "la pista", si trova un gruppo ammucchiato dove le ragazze si strusciano contro i ragazzi in modo osceno e provocante. Qualcuno è in disparte ai lati dall'assembramento, intenti a flirtare o semplicemente a chiacchierare con gli amici.
Dietro le persone che ballano si nota un chiringuito, dietro al bancone è presente un barista ben messo e si può notare dalla flotta di ragazze che sghignazzano come oche giulive.
«Guarda lì» Kim mi indica il dj al lato della pista da ballo.
È sospeso in aria da una gru e, mentre lui è concentrato a tenersi con una mano le cuffie e con l'altra a gestire la console, un ragazzo accanto a lui sta spruzzando spumante sui ragazzi che si strusciano a vicenda. La folla sembra estasiata e con le loro urla esortano il ragazzo a continuare.
«È..» prova a dire la mia amica con il caschetto scuro.
«Disgustoso» concludo io al posto suo, con un'espressione sul viso che spiega maggiormente il mio pensiero.
«Fenomenale, stavo per dire» mi scocca un'occhiata di rimprovero, nello stesso momento in cui Lillie si mette in mezzo e ci prende a braccetto.
«Dai, ragazze, siamo qui per divertirci!» il suo umore sprizza gioia da tutti i pori, nel periodo in cui mi sono assentata sembra che Lillie abbia assorbito un po' di Kim.
«Io vado a prendere da bere» affermo, staccandomi da loro per scendere dalla duna in cui siamo.
«Ma che le prende?» sento dire da Kim, mentre mi allontano.
«Lo sai che quello che ha vissuto, l'ha cambiata» prova a spiegarle la rossa.
Ha ragione Lillie. Una volta sarei impazzita per partecipare ad una festa del genere, ma al momento sono solo pentita di aver disobbedito a zio Finn per partecipare a questa baldoria.
Mi immergo di proposito nella marmaglia di persone per arrivare prima al bancone del bar, ma me ne pento poco dopo. Mi ritrovo a spingere le persone con i gomiti, riportandomi in una scena che ho già vissuto e che mi procura un dolore lancinante nel petto.
Quando riesco a liberarmi dal vortice infernale, mi aggrappo al bancone di legno con entrambe le mani. Chiudo gli occhi e mi ostino a respirare lentamente, in modo da riportare il mio battito cardiaco alla normalità. Le gambe mi tremano e ho la sensazione che presto cederanno.
«Tutto bene, chica?» mi chiede il barman, allontanandosi dalle ragazze che gli sbattono le ciglia e si abbassano con il busto per regalargli una bella visuale del loro décolleté.
Annuisco lentamente, deglutendo a fatica il groppo in gola.
«Puoi farmi un gin tonic, per favore?» gli chiedo a stento, a causa della poca salivazione che possiedo in questo momento.
«Assolutamente, arriva subito!» risponde, illuminando la serata con un sorriso bianchissimo. Si allontana per fare quello che gli ho chiesto ed io lo guardo con attenzione.
«Ecco a te» dice, posizionandomi davanti agli occhi il bicchiere di plastica.
«Grazie mille» afferro la cannuccia e faccio un sorso lungo, l'alcool mi scivola giù lungo la gola creando una scia di pizzicore che mi provoca uno stato di sollievo.
«Allora, frequenti la San Diego University?» appoggia le dita sul mento con fare pensieroso, «non ti ho mai vista»
«Non proprio» rispondo con un sorriso tirato, «mi hanno obbligata a venire»
Il ragazzo davanti a me, mi sorride. Sono quasi sicura che stia per dire qualcosa, ma qualcuno dietro di me lo ferma e lui alza le mani in segno di resa, allontanandosi poco dopo.
Lo guardo confusa mentre torna a parlare con le ragazze in fila. Sto per girarmi e capire chi lo abbia fatto allontanare, ma poi due braccia tatuate si posizionano al lato delle mie, sul bancone. Sento il suo corpo sfiorare il mio, un oggetto di metallo mi tocca la schiena, penso sia una collana. Percepisco la sua vicinanza, il suo viso è così vicino al mio orecchio che il suo respiro mi fa muovere i capelli.
Mi concentro sui tatuaggi, so di averli già visti.
«Hai sempre quel faccino triste?» una voce roca mi raggiunge. Una voce che ho sentito poche volte da quando sono tornata a San Diego, ma che è ben impressa nella mia mente come un tatuaggio indelebile.
Mi giro di scatto con tutta l'intenzione di tirargli un pugno, anche solo per aver pensato di avvicinarsi così tanto a me. Mi rendo ben presto conto che il mio istinto mi ha fatta ritrovare in una posizione scomoda. Sono bloccata dal suo corpo, le sue braccia appoggiate al bancone, ai lati del mio corpo, mi chiudono nella sua gabbia.
Schiaccio con forza la schiena contro il legno, con la speranza di fondermi con esso e sparire, mentre i suoi diamanti blu cobalto sembrano brillare di luce propria.
Resto così. Ferma. Immobile. Incapace di parlare. Il mio corpo non ascolta gli impulsi nervosi che gli manda il mio cervello.
«Quindi?» domanda, sollevando le sopracciglia con fare curioso.
«Non penso siano affari tuoi» rispondo a fatica.
«Non sai dire altro?» replica svelto, come se non vedesse l'ora di dirlo.
Mi giro il tanto che basta per afferrare il mio gin tonic, non ho alcuna intenzione di fargli pensare che mi abbia messo in difficoltà. Non rispondo, prendo la cannuccia con una mano e l'avvicino alle labbra per gustarmi il cocktail. Le mie iridi restano incastrate alle sue, mentre sollevo un sopracciglio in segno di sfida.
Scuote il capo in modo divertito, e poi ride. Ride con gusto e, Dio, ha una risata bellissima.
«Che c'è, ti ho lasciato senza parole?» lo provoco con convinzione.
La sua mano si avvicina al mio viso per spostarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, dei brividi nascono dove la sua pelle incontra la mia, provocandomi la pelle d'oca. Quel gesto, per un attimo, mette a dura prova il mio autocontrollo.
«Sono più bravo con i fatti» ammicca lui, leccandosi successivamente le labbra in modo provocatorio.
Non distoglie lo sguardo dal mio nemmeno per sbaglio. Ho la sensazione che non l'avrebbe fatto neanche se dietro di noi stesse per scoppiare una bomba.
«Oh be, io non sono interessata» dico con sicurezza, per poi sorridere come se avessi vinto una qualsiasi battaglia. Il suo viso si avvicina nuovamente al mio e, lentamente, si sposta sul mio orecchio
«Però non mi hai ancora chiesto di spostarmi.» sussurra.
Mi accorgo solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. Quelle parole mi fanno perdere la pazienza. Stringo con forza la mascella, mentre posiziono la mano libera sul suo petto per spingerlo con tutte le mie forze.
Il suo corpo sembra ben impiantato a terra e dalla sua espressione capisco che non ha alcuna intenzione di allontanarsi.
«Spostati» ringhio, ormai il suo gioco non mi diverte più.
«Mi allontano solo se mi dici il tuo nome»
Abbasso lo sguardo sul suo corpo, questa volta indossa una canottiera larga e nera, dal suo collo penzola la collana in argento che avevo sentito sulla schiena. Quando risollevo lo sguardo mi sta ancora fissando, i miei occhi si soffermano sul piercing che ha al naso: un anellino che gli attraversa la narice.
«Se non vuoi un calcio nelle palle, ti suggerisco di allontanarti»
Non so se mi lascia andare perché percepisce dal tono della mia voce che ho davvero intenzione di fargli male o, semplicemente, perché si è stufato.
Comunque sia, non mi importa. Ne approfitto per allontanarmi da lui con disinvoltura, anche se la voglia di girarmi a guardarlo ancora una volta mi divora gli organi. Cerco una chioma rossa, lunga e mossa, perché è l'unica che solitamente riesco a notare subito. Infatti, dopo pochi minuti, la vedo ballare con Kimberly fuori dalla marmaglia di gente.
«Ciao amica» biascica a fatica Kim, ormai ubriaca.
«Me ne sono andata per poco tempo..» urlo a Lillie, per sovrastare la musica, «come fa ad aver già bevuto così tanto?»
«Dice che Ethan conosce il barista» strilla lei di conseguenza, per poi chiudere gli occhi e seguire la musica.
Ma dov'è questo Ethan?
Mi avvicino alla mia amica rossa e balliamo insieme sotto le note di una canzone di latino, una di quelle che ti fa muovere i fianchi a più non posso. Kimberly, ad un tratto, si intromette e ci mette le mani intorno alle spalle. Il bicchiere che tiene stretto tra le dita è nel mio lato e la paura che possa rovesciarmelo addosso è alta, visto le condizioni in cui si trova.
«Eccolo!» urla al mio orecchio, «è proprio lui!»
Concede a Lillie la libertà, solo per indicare il ragazzo al lato opposto della spiaggia. Scruto attentamente le persone, finché non vedo un ragazzo con le braccia tatuate che indossa una canottiera nera.
«Oh, cazzo» mi lascio sfuggire, fortunatamente le mie amiche non se ne accorgono per via della musica troppo alta.
Il ragazzo in questione, che fino a pochi minuti prima stava parlando con me, ora ha una ragazza che gli circonda il collo con le braccia.
Lo guardo con disgusto. Sono pronta a dire a Kim di lasciar perdere, che non è il ragazzo che fa per lei. Quando mi giro nella sua direzione, però, lei strilla nuovamente.
«Guardate! Mi sta guardando!»
Mi volto di scatto nella direzione del ragazzo e i nostri occhi si incrociano, facendomi trattenere il respiro senza rendermene conto. Ancora una volta. Il ragazzo dagli occhi blu, solleva il bicchiere che ha in mano nella mia direzione, come segno di saluto. Kimberly è troppo ubriaca per rendersi conto che in realtà sta guardando me.
•Angolo Hopeless•
In questo capitolo la punizione di Diana viene confermata, ma lei è determinata a conoscere il ragazzo che piace così tanto alla sua migliore amica, Kimberly.
Alla fine, scopre che il tanto nominato Ethan è il ragazzo fastidioso e arrogante della spiaggia, cosa ne pensate?
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