15 | La festa nel bosco

Diana

È passata una settimana dall'incontro con Ethan e Leon. La tempesta non sembra arrivare e la calma che avverto un po' mi preoccupa. Non so se Leon ha parlato con Kim e le ha raccontato quello che è accaduto a casa mia, l'ho vista in settimana svariate volte e non ha mai aperto l'argomento.

Sono consapevole che per evitare il problema dovrei essere io a parlarne per prima, esponendomi con tutta la sincerità di cui sono fatta ed evitando di scaturirle dubbi inutili. Un conto è volerlo fare, un conto è farlo per davvero.
Cosa avrei potuto dirle?

Ciao amica! Sai il ragazzo che ti piace? Beh, ci prova con me ogni volta che ne ha l'occasione e ha fatto credere a Leon che stiamo insieme per allontanarlo da me.

Non mi avrebbe mai creduta, nemmeno io crederei ad una storia del genere. Così, ho preferito fare la finta tonta ed ignorare il problema.

Ogni volta che Kim mi parla di Ethan, le brillano gli occhi e la felicità le pizzica ogni parte del corpo, rendendola più raggiante del solito. Ho sperato a lungo che fosse una delle sue solite cotte e che si sarebbe stufata dopo un mese, invece non sembra voler lasciare la presa.

La capisco, lui è un mix di contraddizione e mistero. Ti attrae così tanto da volerlo nella tua vita ad ogni costo, ma al tempo stesso non ti da le certezze di cui hai bisogno, lasciandoti sempre con mille punti interrogativi e la voglia di saperne di più. I suoi occhi profondi e blu cobalto sono in grado ti provocare emozioni forti, quasi magiche, e nemmeno la persona più razionale del mondo è in grado di sottrarsi.

L'acqua mi scivola sul corpo fino a finire nello scarico della doccia. Vorrei tanto che si portasse con sé tutte le sensazioni che mi riempiono il cuore e mi fanno avvertire il vuoto sotto i piedi.

Come se non bastasse, a breve, Kim e Lillie verranno a prendermi per andare ad una festa organizzata da mio fratello Josh e da Ethan. Avrei voluto dirle di no, ma era già la terza volta che rifiutavo un suo invito ad una festa durante questa settimana e avrei scaturito dubbi nella sua mente ricca di film mentali degni dell'Oscar.

L'acqua non ha questo potere, quindi, mi arrendo e la blocco con un gesto secco della mano. Sono stata così tanto sotto la doccia che il vapore dell'acqua calda ha riempito ogni angolo del bagno, annebbiando persino lo specchio. Non perdo tempo a pulirlo, guardare il mio riflesso è l'ultimo dei miei desideri.

Non sono messa bene. Le occhiaie mi perseguitano a causa degli incubi che sono aumentati, come se la mia coscienza volesse marchiarmi per ricordarmi tutti gli errori che sto commettendo e del modo sbagliato in cui li sto affrontando.

Esco dal bagno della mia camera con solo un asciugamano a circondarmi il corpo. In un attimo, tutta la tranquillità che mi stavo ostinando a riacquistare nel profondo della mia anima, viene sgretolata da un'unica presenza. La persona in questione è sdraiata sul mio letto, ha le gambe accavallate e uno dei miei libri preferiti tra le mani.

No, ma fai pure come se fossi a casa tua!

Il libro gli scivola sotto il naso e i suoi occhi nocciola si scontrano con i miei, ma l'unica sensazione che mi scaturisce è il nulla, facendomi credere di essere diventata quasi apatica nei suoi confronti.

Nemmeno una briciola di rimorso, tenerezza o malinconia. Le parole che ha utilizzato nei miei confronti mi hanno ferita a tal punto da non volerlo vedere nemmeno in una foto. Invece, ora, me lo ritrovo sdraiato sul mio letto.

«Cosa ci fai qui?» domando sconcertata.
D'istinto, porto entrambe le mani dove ho creato il groviglio dell'asciugamano per legarlo, temendo che potesse sciogliersi e ritrovarmi nuda davanti a lui.

«Devo vedermi con Nathan» replica con un tono di voce pacato, come se non gli importasse vedermi interdetta davanti alla sua presenza.
«Questa è la mia stanza, non quella di mio fratello» sollevo un sopracciglio per sottolineare quanto sia allibita per la situazione imbarazzante a cui sono sottoposta.

Se fino ad un attimo prima non provavo nulla, rapidamente si crea una nuvola di rabbia e disgusto intorno a me, posso quasi sentirne l'odore.
«Lo so...» i suoi occhi sono tristi, un po' arrossati per la fatica di dover sostenere la tristezza.

Un po' se lo merita.

«Quindi?» Chiedo con voce neutra, tornando a rivolgere l'attenzione a ciò che conta veramente: me stessa.
Mi dirigo verso l'armadio e apro le ante, intenta a trovare qualcosa per la serata, come se fossi da sola.

Vorrei indossare qualcosa che mi faccia risollevare il morale, senza sembrare troppo volgare e nemmeno troppo seria. Sono assorta nei miei pensieri, ma la percezione di avere Leon a pochi passi da me fa mantenere i miei nervi saldi come corde di violino. Una persona ferita è capace di qualsiasi cosa e ho la sensazione di non conoscerlo così a fondo come credevo. Non riesco a mantenere il sangue freddo e la tranquillità che desidero.

«Ho commesso molti errori nella mia vita, ma non c'è giorno in cui non mi penta di averti parlato in quel modo. Ho sbagliato, Diana, mi sono lasciato trasportare dalle emozioni...»
Alla fine i miei occhi finiscono su un vestito che ho comprato in Italia e che non ho mai avuto l'occasione di indossare.
Forse questa sera è la volta buona...
«... Dammi una possibilità per rimediare, giuro che non te ne pentirai»

Afferro la gruccia con il vestito oro dal tessuto morbido e leggero. Sento i suoi passi avvicinarsi con titubanza, avrei voluto avvertirlo di stare lontano, ma qualcosa nella mia testa mi suggerisce di mantenere la calma.

«No» dico con decisione, prendendo un respiro profondo prima di girarmi e trovarmelo davanti, «Ascolta Leon, non è colpa di nessuno se la nostra storia è finita. Né mia, né tua. E nemmeno delle parole che hai pronunciato contro di me»

«Possiamo ripartire da zero, ricominciare e tornare ad essere quelli che tutta la scuola invidiava!» la sua è più una supplica e quasi provo tenerezza nei suoi confronti.

Mia madre lo adorava, diceva sempre che era un bravo ragazzo e che non dovevo farmelo scappare, nonostante fossi molto giovane. Non so con precisione se si riferisse maggiormente al ceto sociale della sua famiglia, piuttosto che a lui, ma al tempo non mi ponevo queste domande.

Ero felice, felice di avere una famiglia che mi amava, felice di avere un ragazzo perfetto, felice delle mie amicizie e della vita che mi stavo costruendo. Eppure, al momento, stare con lui mi sembra la cosa più sbagliata al mondo e poco rispettosa verso me stessa.

«A me non interessa essere invidiata da tutta la scuola! Non mi importa cosa pensano gli altri!» sputo fuori, insieme a tutto l'accumulo di stress e tensione che sopporto da mesi sulle spalle, «io voglio essere felice, ti è chiaro?»

«E non possiamo essere felici insieme?» mormora in un flebile sussurro, avvertendo il terrore di ricevere una risposta negativa.

«Non posso essere felice con te, adesso. E non so nemmeno se potrò mai esserlo!» parlo con così tanta foga che quasi non respiro, «so solo che ora come ora ho bisogno di stare da sola, di avere i miei spazi e cercare di ricostruire la mia vita. E se mi ami davvero come dici, accetterai la mia decisione e mi lascerai andare»

Lui, per tutta risposta, scuote la testa, come se le mie parole non fossero veritiere. Allunga le mani sulle mie guance e quando la sua pelle mi sfiora, sussulto, impreparata su come comportarmi.

Non ho mai voluto ferirlo, solo il pensiero mi fa storcere lo stomaco, ma a volte non c'è altro rimedio. Bisogna essere schietti, sinceri, anche se l'altra persona non è pronta ad ascoltare la verità. Resto ferma, lascio che le sue mani mi afferrino il viso a coppa e lo guardo intensamente negli occhi, quasi lo supplico di lasciarmi stare.

«Io ti amo» dice a denti stretti e i suoi occhi cambiano, diventando duri e gelidi, stento a riconoscerlo, «torneremo insieme. In un modo o nell'altro»

Il modo in cui pronuncia con sicurezza ogni parola mi mette i brividi e mi fa sperare che non sia davvero lui a parlare, ma solo la rabbia del rifiuto.

In quel preciso istante capisco che devo cambiare tattica: mettere la rabbia da parte con tutta la fatica che ne comporta e provare a farlo ragionare. Deglutisco il groppo di saliva che mi si è bloccato in gola e appoggio dolcemente le mani sulle sue, ancora sulle mie guance.

«Io ti voglio bene, davvero» chiudo gli occhi, concentrandomi solo sul rumore del mio respiro, «ma non sono più la stessa persona di cui ti sei innamorato, devi lasciarmi andare»

Cerco di essere il più dolce possibile, nonostante sia l'ultima cosa che voglio fare con lui. Le sue mani hanno un leggero tremolio, così mi decido ad aprire gli occhi e guardarlo da sotto le ciglia.

Appoggia la fronte sulla mia, bagnandomi la pelle con le gocce del suo sudore. Il disgusto che mi provoca quella sensazione fa scattare un campanello d'allarme nella mia mente, ma continuo ad ostinarmi a restare calma e ferma. Non so cosa gli frulli per la testa e non voglio scoprire di cosa è capace se dovessi allontanarlo in modo brusco.

«No» dice secco, «Noi torneremo insieme»

Mi toglie il respiro e lo spirito di sopravvivenza che alleggia in ognuno di noi si fa sentire, ogni mia particella urla di scappare. Temo per me stessa, per la mia vita, perché non riesco più a riconoscerlo e non so dove sia finito il ragazzo dolce e affettuoso che ha fatto parte della mia vita.

Il cuore mi batte all'impazzata nel petto e il senso di soffocamento comprime ogni mio organo respiratorio, impedendomi di respirare in modo regolare. Sono nel panico più totale e l'ansia aumenta ad ogni battito di ciglia.

Molla la presa che ha su di me e si allontana, fermandosi davanti alla porta della mia camera. Non so se lo abbia fatto perché mi ha letto il terrore negli occhi, ma gliene sono grata, perché se mi fosse rimasto vicino un solo minuto in più, sarei crollata a causa dell'agitazione.

«Ci vediamo» conclude e, senza aspettare una mia risposta che non sarebbe arrivata, si dissolve dalla mia visuale.

I suoni sono ovattati, come se fosse esplosa una granata nella mia camera. Solo quando la porta si richiude mi risveglio dallo stato di torpore e boccheggio in cerca d'aria. Non so cosa mi sia preso, in un'altra occasione l'avrei rimesso al suo posto. Sì, tra urla e spintoni, e forse anche uno schiaffo, ma mi sarei fatta rispettare a qualunque costo.

Do la colpa del mio cambiamento alle circostanze che ho dovuto affrontare negli ultimi mesi, ma la colpa è solo mia. Sono sempre stata forte e quando non lo sono stata, ho cercato in ogni profondità della mia anima quel pizzico di coraggio che mi mancava per reagire.

Ora non ne sono più capace. Il panico, l'ansia, la paura, mi sovrastano. Più provo a sfuggirgli, più essi mi trovano nei momenti meno opportuni e mi torturano.

Dai miei occhi non sgorga nemmeno un frammento delle lacrime che premono per uscire, non avrei concesso a Leon questo potere. Ci impiego qualche minuto buono a riprendermi. I graffi restano lì, nel profondo del cuore e non si rimarginano mai completamente. Alcuni sono più profondi di altri; altri ancora sanguinano, avvelenando qualsiasi parte buona rimasta, ma impariamo a conviverci perché il nostro spirito umano ce lo impone.

Indosso il vestito che tengo ancora tra le mani. Ha una scollatura profonda che arriva alla bocca dello stomaco, mettendo in evidenza il mia terza di seno. L'allacciatura si trova sul collo e permette al vestito di lasciare la schiena scoperta. Resta ben aderente la parte del busto, per poi scorrere morbido lungo il corpo, fino a metà coscia.

Concludo il mio look con le All star bianche, per quel che ne so la festa è ambientata in un bosco e le scarpe col tacco non mi sembrano una buona idea. Mi avvicino allo specchio di fronte al letto e mi osservo un attimo.

È da un po' di tempo che non mi sistemo per andare ad una festa, la sensazione di eccitamento mi manca, ma nemmeno ora è presente. Aver dovuto affrontare Leon in così poco tempo e senza preavviso mi ha scombussolata più del dovuto.

Applico dei brillantini oro sugli occhi e ne cospargo un po' sulle braccia, senza essere troppo precisa. Poi, utilizzo l'eye-liner per creare la mia solita linea sottile e una piccola puntina sull'angolo dell'occhio per rendere lo sguardo più accattivante. Finisco il mio trucco da make-up artist dei poveri con un velo di mascara, uno di quelli che ti promette le ciglia folte da Barbie, ma che alla fine ti crea solamente quattro peli allungati.

Mentre sto avvitando il mascara per metterlo via, il cellulare si illumina e vibra con insistenza per avvertirmi che mi sono arrivati dei messaggi, uno dietro l'altro. Non ho bisogno di guardare lo schermo per sapere di chi si tratta: Kimberly Wood.

Io e Lillie ti aspettiamo al solito posto

Dì, quanto ci metti?

Se non muovi il tuo bel culo,
giuro che ti vengo a prendere
con la forza!

Dammi il tempo
di rispondere, almeno!

Sto arrivando!

Sono ancora in punizione, quindi non posso permettermi di uscire dalla porta principale come se niente fosse. Devo utilizzare il solito metodo di fuga, lo stesso che utilizzo la sera per andare in spiaggia e rilassarmi contro il rumore delle onde del mare, alias il mio posto sicuro.

Esco sul balcone in modo meccanico e scavalco con difficoltà la ringhiera per arrivare su quello di Nathan. Quando ho deciso di mettere un vestito per la serata non avevo calcolato questo passaggio.

Brava, Dì, sei un genio!

Nonostante ci sia questa piccola seccatura, sono diventata abbastanza esperta nello scappare in questo modo che ogni passaggio risulta più facile della volta precedente. Nel momento in cui raggiungo le scale che abbiamo creato con Nathan sul tronco dell'albero, il gioco è fatto. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sono finalmente con i piedi attaccati al suolo.

Ah! Che bella sensazione!

Come ogni volta, mi guardo intorno per essere certa di essere sola e che nessun occhio indiscreto mi abbia vista: zio Finn. Poi, corro, oltrepasso la piscina e la piccola rotonda che porta al viale fatto di ghiaia e corro nuovamente, fino ad arrivare alle porte della mia libertà.

Kim e Lillie mi stanno aspettando al solito posto. Salgo nella macchina rosa shocking della mia amica e una nota di agrumi misto a tabacco mi attraversa le narici, facendomi irrigidire sul posto. So perfettamente a chi appartiene quel profumo.

«Da quando fumi?» indago, sistemandomi il vestito per apparire indifferente.
«Ciao anche a te!» borbotta Lillie, simulando un cipiglio che non le appartiene.

Mi allungo con il busto ai sedili anteriori per stampare un bacio sulle guance ad entrambe e noto quelle di Kim prendere colore. Non a causa dell'imbarazzo, ma al ricordo di quello che è accaduto. Glielo si legge in faccia.

«In realtà è passato Ethan a trovarmi, ma c'erano i miei a casa e siamo andati a fare un giro con la mia macchina» ammette, con la sua solita voce squillante e delle note di felicità in più.

«Ti prego, Kim...» mormoro e, sono sicura, dalla mia espressione carica di disgusto si percepisce cosa sto per dire, «dimmi che non avete consumato qui dietro»

Mette subito in moto la macchina e parte con una sgommata, creando un polverone alle nostre spalle. Nel frattempo Lillie se la sghignazza con gusto e stringe le braccia intorno allo stomaco, come se le facesse male la pancia dal ridere.

«Beh...» prova a dire, per nulla imbarazzata.
«Che schifo! Io dopo me la faccio a piedi!» mi lamento, mentre il desiderio di alzare il mio fondoschiena dai sedili in pelle di quell'auto aumenta.

«Non penso proprio, siamo distanti circa un'ora dal luogo della festa» mi prende in giro Lillie, mordendosi il labbro inferiore per non tornare a ridere.
«Allora dopo stai dietro tu!»

Il tempo in macchina scorre veloce. Tra le discussioni con Lillie su chi dovesse scegliere le canzoni, i miei continui lamenti con Kim per quello che aveva combinato nel pomeriggio e le abituali risate che facciamo ogni volta che siamo insieme. Grazie a loro, tutto il peso della conversazione avuta con Leon si è affievolito, alleggerendomi il cuore e riempiendolo unicamente di pura allegria.

Kim piazza la macchina in un parcheggio improvvisato dagli organizzatori della festa fuori dal bosco e ci sbrighiamo ad uscire dall'autoveicolo con il colore più imbarazzante dell'universo.

«Quando cambi macchina, Kim?» la prendo in giro, spingendola con una gomitata giocosa.
Sa perfettamente quanto detesti il rosa, ma è il suo colore preferito.
«Quando te ne compri una tu» ribatte, facendomi la linguaccia e superandomi per avviarsi all'interno del bosco.

Io e Lillie la seguiamo, notando fin da subito delle lanterne attaccate ai tronchi degli alberi per creare il percorso corretto da seguire. Non si sente minimamente la musica nell'aria ed inizio a chiedermi se sia questo il posto corretto della festa.

Il leggero venticello serale muove le foglie ed il fruscio di quelle secche a terra risuona ad ogni nostro passo. L'unica musica presente nell'atmosfera è il canto delle cicale, friniscono insistentemente una dietro l'altra.

«Iniziano così i film horror» sussurra Lillie al mio fianco.
Ha gli occhi sbarrati e gli angoli della bocca leggermente abbassati, mostrando tutto il suo terrore. D'istinto, le circondo le spalle con un braccio, facendole percepire tutto il senso di protezione che nutro nei suoi confronti.

«Ci sono io con te»
«Pensa» inizia a dire, «rischio la vita e non c'è nemmeno Nathan»
Questa volta sono io a scoppiare in una risata fragorosa, a tal punto che sono costretta a staccarmi da lei e fermarmi per non cadere sui mie stessi passi.

«Questa gliela devo raccontare per forza» dico, tra una risata e l'altra.
«Non ci provare!» mi minaccia, portando le mani sulle sue guance paonazze.

«Ragazze, vi muovete o no?» Strilla Kim esasperata, guardandoci da lontano con le braccia incrociate al petto e un ticchettio nervoso del piede.

• Angolo Hopeless •
Buonasera 🫶🏻
Esattamente dieci giorni dopo sono riuscita a pubblicare, spero che per l'attesa ne sia valsa la pena!

Vi lancio un piccolo spoiler:
Nel prossimo capitolo sarà ricco di colpi di scena.
Con chi e cosa ve lo lascio immaginare fino al prossimo capitolo❤️

Seguitemi su IG se viva:
Hopeless_girl2898
🫶🏻

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina per aiutarmi a far crescere la storia di Ethan e Diana

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