Capitolo 7: Scoperte

Gojo se ne stava sdraiato sul letto di Megumi in uno dei rari momenti in cui il ragazzo non era scorbutico e simpatico quanto un riccio di mare sotto ai piedi. Nonostante il clima non fosse dei più caldi il ragazzo se ne stava in pantaloncini e maniche corte come se non percepisse al suo stesso modo la temperatura.

«Mirai ha avuto un passato difficile» disse Gojo, leccando pigramente il ghiacciolo all'anice che stava mangiando. Megumi lo ascoltava, appoggiato al ginocchio del suo Sensei. «Cosa volevi sapere?» chiese guardando il ragazzo.

Megumi, che stava mangiando anche lui il ghiacciolo, pensò qualche istante a quello che avrebbe voluto chiedere. Aveva così tante domande da fare.

«Che rapporto avete tu e Mirai?» domandò come prima cosa. La domanda uscì quasi spontanea, senza che ci pensasse troppo. Quasi come se una parte di lui volesse sapere la verità per essere tranquillo.

Gojo alzò un sopracciglio. Ma che razza di domanda era? Con tutte quelle che poteva fargli, aveva veramente scelto di chiedere in che rapporti fosse con Mirai? «Io e Mirai? Una volta era la mia migliore amica» rispose esitando un istante.

«E ora lo è ancora?» quella domanda, gettata così all'improvviso, fu come una secchiata d'acqua fredda.

Lo era ancora? Mirai era ancora la sua migliore amica? Era una domanda difficile.

«Certe cose, Megumi, non dipendono solo da noi stessi» rispose alla fine con un sospiro rassegnato. Se fosse dipeso solo da lui, probabilmente non avrebbe esitato un istante a considerarla la sua migliore amica.

Megumi non disse nulla. Una domanda continuava a frullargli per la mente: erano mai stati altro? Tipo più che amici.

«Siete mai stati qualcosa più di amici?» chiese rivolgendo lo sguardo verso il soffitto della camera.

Gojo rise divertito senza nemmeno pensarci. Perché mai lui e Mirai avrebbero dovuto essere qualcosa più che amici? «Sai Megumi, ogni tanto sei simpatico» gli rispose, ridacchiando sotto i baffi e scuotendo leggermente la testa. «Mirai è sempre stata quella sorella che non ho mai avuto. Siamo cresciuti insieme quindi per me è normale considerarla tale, ma, oltre a questo, non c'è mai stato altro»

A quelle parole il ragazzo si rilassò un po' di più. Sapere che tra lei e Gojo non c'era mai stato nulla lo rincuorava e sapere che lui la considerava come una sorella era anche meglio perché stava ad indicare la mancanza di interesse romantico.

Ma cosa andava a pensare?

«Vorrei conoscere la storia di Mirai» disse dopo qualche attimo di riflessione.

Quella sua domanda fece scattare qualcosa nel cervello di Gojo. «Perché sei così tanto interessato a Mirai?»

Megumi lo guardò stranito. «Non sono interessato a Mirai, sono interessato alla sua storia» rispose lui puntualizzando. «La conosco da tanto tempo eppure fino ad oggi non sapevo avesse avuto un passato complicato»

«Chi non lo ha avuto all'interno del mondo del jujutsu?» sospirò l'uomo dai capelli bianchi. «Inizio a pensare che sia un requisito necessario» disse puntando il bastoncino del suo ghiacciolo verso il ragazzo. «Comunque... Sei sicuro di voler sapere la storia di Mirai? Domani hai lezione e devi svegliarti presto»

Lui annuì, non importava se fosse tardi o meno... Come se non fosse abituato a fare tardi e a dormire poco.

Gojo tornò ad osservare il soffitto della camera mormorando un "mmmh" mentre pensava da che parte cominciare. «Io e Mirai ci conosciamo da quando avevamo più o meno cinque anni, se non ricordo male. I nostri genitori erano vecchi amici quindi anche noi ci siamo sempre frequentati e di conseguenza abbiamo fatto amicizia» disse giochicchiando con il legnetto mentre il ragazzo lo ascoltava attentamente. «Un giorno la madre di Mirai andò in missione e, purtroppo, non fece mai ritorno. Non viva. Aveva otto anni, povera creatura... Bhe, sta di fatto che da quel giorno la mia famiglia la "adottò", anche se non in forma ufficiale»

Il ragazzo dagli occhi blu si accigliò confuso. «Adottata? Mirai non aveva un padre?» chiese guardando lo stregone che se ne stava comodamente sdraiato occupando la quasi totalità del suo letto.

«Certo che lo aveva, sciocco Megumi» rise Gojo. «Non lo sai come nascono i bambini? Non credevo di doverti fare proprio io il discorso dell'ape e del fiore» rise prendendolo in giro.

Megumi arrossì, visibilmente imbarazzato e a disagio per la piega che stava prendendo la discussione. «Idiota» borbottò. «Se aveva un padre, perché non è rimasta con lui? Perché è stata adottata dai Gojo?»

Gojo si tirò su a sedere. «Oh, giusto, sembra che mi sia scordato il pezzo più importante della storia... Mea culpa, mea culpa» disse ridacchiando divertito e alzando le spalle come se volesse dire -cosa posso farci, mi sono dimenticato, non è successo nulla-. «La madre di Mirai era uno stregone con i suoi stessi poteri mentre il padre era un semplice umano, un po' come tuo padre, ecco. Inizialmente nessuno sospettava nulla ma con il tempo saltò fuori che suo padre picchiava sia lei che la madre. Voci dicevano che sarebbe persino arrivato ad abusare di entrambe ma ne dubito, Mirai me lo avrebbe detto»

Megumi rimase scioccato. Anche lui non aveva mai avuto un buon rapporto con suo padre, tant'è che Gojo gli aveva raccontato di come volesse venderlo alla famiglia Zenin, ma da li a picchiare la propria moglie e la propria figlia era decisamente un'altra storia. «Che cosa disgustosa, quale uomo lo farebbe?» il commento gli uscì così, senza nemmeno pensarci.

«Già... Fatto sta che da quel giorno venne bandito dal mondo del jujutsu in cui era stato accolto quando aveva sposato Hana. Mirai visse da sola con la madre per meno di due anni prima che lei morisse. Non potevamo lasciarla alla custodia del padre, così la mia famiglia decise di accoglierla dandole cibo e tutto ciò di cui aveva bisogno»

«Per questo non avete lo stesso cognome. Non è mai stata adottata» affermò il ragazzo quasi interrompendo il suo sensei, come per registrare l'informazione.

Satoru annuì. «Esatto, non c'è mai stato un atto ufficiale. La gente comune l'avrebbe affidata ai servizi sociali e allora sarebbe stato tutto più complicato» disse. «E poi a noi andava bene così. Mia madre era contenta di avere una bambina per casa a cui acconciate i capelli visto che io ero figlio maschio, mio padre non si è mai interessato di questioni che non riguardassero il clan Gojo e io ero felice perché Mirai era l'unica persona che provasse empatia per me, l'unica che mi trattava come una persona e non come un oggetto» Gojo sospirò sonoramente a quella affermazione. «Ironico vero? La stessa persona che un tempo mi adorava e mi capiva, ora mi odia e mi parla a malapena» aggiunse quasi sottovoce, ridacchiando tristemente alla fine.

Megumi non disse nulla. Ora capiva meglio perché Mirai sembrava sempre di cattivo umore. La sua era come una facciata. Una specie di muro per lasciare il dolore all'esterno perché troppe volte era rimasta ferita o abbandonata da persone di cui si fidava. Però la capiva. Ad un certo punto si tratta di sopravvivenza.

Mirai era in uno dei piccoli bar di Tokyo e se ne stava seduta al banco pensierosa. Non era che le piacesse particolarmente quel bar, ma era praticamente l'unico abbastanza vicino all'istituto.

«Hey biondino, un altro per piacere» disse lei spostando il piccolo bicchiere di cristallo lungo il bancone, aspettando pazientemente che il ragazzo al bar lo riempisse per la terza volta.

«Lo stesso» disse una voce alle sue spalle. Il barman annuì preparando subito il secondo bicchiere e lo posò prontamente sul bancone. «Buonasera Mirai, non ricordavo che fossi il tipo di ragazza da affogare i suoi problemi nell'alcool» le disse Nanami con un leggero sorriso in volto.

Mirai gli rivolse un mezzo sorriso sghembo. «Lo sono diventata un paio d'anni fa, caro Nanami» rise lei. «E la cosa peggiore è che non reggo un cazzo di niente» disse cercando di trattenere una risata.

Nanami scosse la testa stranamente divertito dalla sua collega. «A cosa beviamo stasera?» le domandò alzando lo shottino in aria come se volesse brindare a qualcosa.

La ragazza alzò a sua volta il suo e lo fece tintinnare contro quello di lui. «Una missione super segreta su delle "bambole della resurrezione" che non avrei dovuto rivelare a nessuno, ma come al solito Gojo è venuto a saperlo» disse lei impiegando qualche secondo prima di realizzare che lo aveva appena rivelato anche allo stregone biondo. «Merda, non dire nulla a Yaga o quello scimmione mi metterà a lucidare i pavimenti come punizione» disse lei inorridendo solo al pensiero.

Kento rise di gusto allo snocciolarsi della scena. Mirai ogni tanto era così ingenua che non sembrava nemmeno la persona cazzuta che mostrava solitamente. «Vedrò di tenere la bocca cucita allora» rispose allegramente lui. Mirai apprezzava questa qualità in Nanami: non si impicciava in affari che non gli riguardavano e non era interessato a pettegolezzi.

«Mi ricordo ancora il dolore che si provava dopo le punizioni di Yaga» rise lo stregone dai capelli biondi. «Se non ti beccavi un pugno in testa, ti distruggeva le gambe facendoti pulire i pavimenti a mano» aggiunse facendo sorridere anche Mirai che annuiva avendo ben in mente la spiacevole sensazione. Tutti erano finiti in punizione almeno una volta, e quasi sempre c'era di mezzo una pertica dai capelli bianchi e gli occhi azzurri.

«Bei tempi...» si lasciò sfuggire Mirai, diventando improvvisamente malinconica dopo aver rammentato i tempi in cui tutti loro erano felici all'istituto. Prima del caos.

Vi fu un momento di silenzio durante il quale entrambi bevvero il loro shottino per poi posare il bicchiere al banco quasi nello stesso istante. Si guardarono e Nanami decise di iniziare un discorso kamikaze. «Tanaka... Ho sentito che ce l'hai ancora con Gojo per la storia di due anni fa. Volevo sapere se fosse vero o-»

Mirai lo interruppe. «Lo hai sentito o te lo ha detto quell'idiota bendato?» domandò scettica. Gojo aveva la brutta abitudine di lamentarsi con tutti di qualunque cosa non gli andasse a genio. «Comunque, è vero. Non posso ignorare quanto successo quel giorno»

Nanami rimase in silenzio guardando la fila di alcolici in bella vista sulle mensole dietro al bancone. Non sapeva bene come trattare Mirai. Da una parte era simile a Gojo, una testa calda irritante che faceva comunque sempre quello che voleva, dall'altra invece era una persona molto seria e decisamente più pragmatica. Soprattutto, però, si irritava facilmente ed era semplicissimo passare dalla sua parte buona a quella cattiva. «Sapevamo tutti che sarebbe finita così» disse cautamente lo stregone dei sette terzi. Non voleva mentirle solo per evitare di farla innervosire. Era sempre stato un grande fan della schiettezza, anche a costo di risultare freddo e burbero. «Geto aveva scelto di diventare uno stregone nero, prima o poi sarebbe successo. Era inevitabile. E per quanto io possa non rispettare Gojo come persone, mi fido ciecamente del suo giudizio. Se ha pesato che fosse la cosa giusta da fare, allora probabilmente lo era davvero».

Mirai si accigliò e sbuffò senza guardare lo stregone. Tutti quanti sembravano venerare Gojo come una specie di divinità e tutto quello che diceva o faceva diventavano magicamente il metro di giudizio verso tutto e tutti.

Che palle. Mormorò lei a denti stretti.

«Non si tratta di venerarlo o considerarlo una divinità. Semplicemente gli riconosco il merito di quello che fa. Gojo è come un bambino, è mosso da intenti puri» disse lo stregone ignorando la faccia stupita e quasi imbarazzata di Mirai. Non si era nemmeno resa conto di aver parlato ad alta voce.

«Vuole solo ciò che è meglio per la maggioranza, a costo di far soffrire pochi. Insomma, sceglie il male minore» la voce di Nanami era seria ma non aveva un tono di rimprovero nei confronti della ragazza. Lui stesso aveva covato rancore nei confronti di persone che gli avevano fatto dei "torti" e aveva imparato a sue spese che era meglio lasciare correre. La vita, soprattutto quella di uno stregone, era troppo breve per essere passata a covare risentimenti. «Siamo stregoni, non eroi, non possiamo salvare tutti. Solo quelli che sono pronti ad essere salvati»

Curioso, una volta anche Satoru le aveva detto una frase simile ma non riusciva a ricordare quando.

«Se conoscessi Satoru come lo conosco io, sapresti anche che ha un lato decisamente più buio e crudele di quello da bambino che dimostra solitamente» rispose lei a denti stretti.

Lo stregone biondo sorrise a quelle parole. «Ti stai contraddicendo da sola, Tanaka-san» le disse dandole un leggero colpetto sulla spalla. «Non buttare tutto all'aria. Non ne vale la pena. E poi, Gojo è l'unico in grado di comprenderti. Così hai sempre affermato dieci anni fa, non è così?»

Non poteva controbattere, Nanami aveva ragione.

«Un tempo forse, ma ora? Non dopo tutto quello che è successo» sospirò lei.

Nanami si alzò dallo sgabello e tirò fuori il portafoglio dalla tasca interna della giacca, lasciando i soldi sul bancone. «Forse, se ne parlaste, arrivereste a chiarirvi» rispose poggiandole la mano sinistra sulla spalla e stringendo gentilmente. «Coraggio andiamo, ti riporto in istituto prima che tu possa consumare tutto il tuo stipendio in alcool» disse dandole un leggero buffetto sulla nuca.

Mirai ridacchiò alzandosi a sua volta per seguire il collega. «Impossibile, avevo preso in prestito la carta di credito di Satoru» disse tenendo la carta di credito colorata tra due dita e mostrandola con orgoglio al suo compare.

Gli occhi dell'uomo scintillarono di malizia mentre si lascò andare ad una sonora e profonda risata. «Presa in prestito? Come no...» rise. «Sei un fottuto genio, Mirai Tanaka» aggiunse poi ridendo allegramente e riaccompagnando in istituto la ragazza.

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