Capitolo 3: Vecchi ricordi

Mirai e Satoru avevano più o meno quattordici anni quando si ripromisero che sarebbero cresciuti assieme.

«Satoru guarda qua» disse Mirai tirandolo per la manica del suo yukata blu notte.

Il ragazzo alzò un sopracciglio, osservando da dietro i suoi occhiali neri il punto indicato dalla sua amica. «Cosa dovrei vedere Mirai?» domandò.

Alla domanda lei sbuffò sonoramente. «I bracciali dell'amicizia, scemo!» rispose lei ridacchiando piano. «Perché non ne prendiamo uno ciascuno?»

A quelle parole il fanciullo della famiglia Gojo storse il naso. «Ma dai, non dirmi che credi a quella roba, scema. Non ti serve un bracciale per sapere che sono il tuo migliore amico, no?» le chiese retorico lui, poggiandole una mano sulla testa e scompigliandole leggermente e in modo affettuoso i capelli, un dolce sorriso sulle labbra. Quando però si accorse che Mirai si era incupita e che ci teneva veramente a quegli stupidi bracciali sospirò. «D'accordo, d'accordo... Hai vinto tu, però ora togli quel broncio dalla faccia» disse con un grosso sorriso nella speranza di farla sorridere a sua volta.

«Evviva!» Esclamò lei ritrovando in fretta il buonumore.

Fu così che i due comprarono una coppia di braccialetti. Mirai tenne quello azzurro, come gli occhi di Gojo, e lui tenne quello lilla come gli occhi della sua amica. Si promisero di indossarli sempre e che finché li avessero tenuti, tutto sarebbe andato bene. Si promisero che ci sarebbero stati sempre, che sarebbero cresciuti insieme e che, una volta vecchi e rugosi come due prugne raggrinzite, sarebbero andati nella stessa casa di riposo, sempre insieme a combinare guai fino alla fine dei loro giorni.

La loro amicizia era una di quelle talmente lunghe, talmente genuine e solide che tutti avrebbero scommesso su di loro. Quella coppia così stramba, eppure tanto affiatata. Lei, una "badass" di prima categoria e lui, un belloccio spilungone e pieno di se. Lei considerata strana perché grazie ai suoi poteri poteva interagire con entità e spiriti, lui che invece, al contrario, veniva praticamente trattato come un dio fin da quando era nato per via dei suoi poteri disumani.

Mirai aveva una profonda stima per Gojo e lui la adorava, un po' come se fosse quella sorella che mai aveva avuto. Il loro rapporto era così speciale che nemmeno loro riuscivano mai a spiegarlo quando veniva chiesto loro se fossero una coppia o altro.

Ovviamente non erano una coppia, eppure conoscevano cose l'uno dell'altro che nessuno oltre a loro due sapeva. Erano cresciuti insieme, avevano condiviso tante esperienze insieme. Come quando, stanchi di non aver ancora trovato qualcuno di diverso da loro due con cui farlo, si erano scambiati il loro primissimo bacio a quindici anni per provare anche loro quell'esperienza, per esplorare quel mondo ancora sconosciuto.

C'erano sempre l'uno per l'altra, si coprivano le spalle a vicenda, combinavano guai e facevano scherzi insieme. Non c'erano segreti tra di loro, nemmeno sulle cose più imbarazzanti come questioni amorose o sessuali. Satoru sapeva cosa faceva Mirai e lei, invece, sapeva che lui era ancora vergine all'età di ventisei anni. Poi le cose cambiarono, lei si allontanò dall'istituto e tra loro due si creò un'enorme voragine fatta di cose non dette, di rimpianti, di rimorsi, di rancore, di rabbia repressa e tristezza.

Satoru si ridestò dai suoi pensieri quando vide Mirai tornare indietro verso il suo alloggio, passandogli davanti senza però voltarsi. Anche lei sembrava persa nei suoi pensieri, come se la loro connessione fosse talmente forte da condividere persino le stesse emozioni e gli stessi pensieri.

Decise di mettere l'orgoglio da parte e di tentare un approccio diverso. Sapeva che la sua amica non era amante delle discussioni così come sapeva che perseguitandola non avrebbe risolto il problema, anzi, avrebbe finito per farla incazzare più di quanto non lo fosse già.

«Cosa vuoi adesso?» chiese Mirai quando avvertì la presenza dello stregone alle sue spalle. La stava seguendo in silenzio, senza parlarle, senza fare nessun tipo di rumore. «Mi segui persino mentre me ne torno in quella sottospecie di casa?» chiese retorica.

«Nah, non ti sto seguendo. Io abito proprio qua, di fianco a te» le rispose lui non potendo fare a meno di ridacchiare leggermente sotto i baffi. «Yaga non te lo ha detto? Siamo vicini di casa adesso»

Mirai rallentò improvvisamente il passo per guardare in faccia l'uomo che le aveva dato la notizia peggiore del mondo.

Pezzo di-... Pensò lei. «No, no... Si da il caso che abbia deciso di non dirmelo evidentemente, altrimenti avrei scelto di dormire sotto ad un ponte piuttosto che stare vicino a te» borbottò alzando gli occhi al cielo.

Satoru ridacchiò di nuovo, camminando di fianco a lei con le mani in tasca. La stava osservando quando un particolare attirò la sua attenzione. Al polso della sua vecchia amica c'era qualcosa a lui molto familiare, qualcosa che aveva indossato per moltissimo tempo e qualcosa che aveva tolto anni fa quando lei aveva lasciato l'istituto.

«Non sapevo lo avessi ancora, dopo tutto questo tempo» disse lui guardando il braccialetto di corda azzurra avvolto attorno al polso sottile della ragazza. «Credevo lo avessi bruciato o quantomeno gettato nella spazzatura» concluse distogliendo lo sguardo e fermandosi di fronte all'alloggio di Mirai.

Come d'istinto ritrasse la mano, infilandola nella tasca della felpa come per nascondere il bracciale. «Non so di cosa tu stia parlando» ribatté a bassa voce lei.

«Andiamo Mirai, lo sappiamo benissimo entrambi di cosa sto parlando» disse guardandola con la coda dell'occhio. «Non fare finta di non ricordarlo» aggiunse poi, restando in silenzio e aspettando di vedere la sua reazione. «Credevo non lo indossassi più. Credevo mi odiassi»

Mirai rimase in silenzio un istante, come se stesse valutando e soppesando le parole prima di dire cose di cui si sarebbe potuta pentire. Non voleva arrabbiarsi, si sentiva troppo triste e stanca per iniziare una discussione con lui in quel momento.

«Difatti, non lo indosso più» rispose lei onestamente. Non sapeva perché prima lo avesse indossato. Stava pensando e inconsciamente lo aveva messo al polso. Un gesto automatico.

«Capisco» le disse lui non riuscendo a nascondere un breve sospiro triste, quasi sconfitto.

Mirai tirò fuori la mano dalla tasca, guardando in silenzio il bracciale al suo polso. «Tu... Tu lo hai ancora?» domandò. «Non che mi interessi...»

Lui tirò fuori a sua volta la mano dalla tasca della sua uniforme, aprendo il palmo e mostrandole cosa stava stringendo per tutto quel tempo. «Ovvio» rispose annuendo delicatamente con la testa. «Mi aiuti a metterlo?» le chiese, un briciolo di fiducia nei suoi occhi.

La ragazza osservò il bracciale lilla e leggermente consumato. Guardò quello che una volta era stato il suo migliore amico e poi, con esitazione, prese il cordino tra le mani, le sue dita sfiorarono il suo palmo. Allentò il nodo prima di infilare delicatamente il bracciale sul suo polso e stringere nuovamente il nodo.

Satoru sorrise tutto il tempo. Poteva sembrare qualcosa privo di significato visto da fuori, ma per loro due era tutt'altro che qualcosa di banale. Un primo, piccolo passo.

«Mirai?» disse bloccandola prima che potesse entrare nella sua casa. «Bentornata» aggiunse sorridendole.

Mirai non sorrise, non disse nulla. Però alzò le spalle prima di aprire la porta e sparire dietro di essa.

Stava per entrare in doccia quando si ricordò che non aveva nulla con cui lavarsi e asciugarsi, quindi, dopo essersi rivestita in fretta e furia uscì in direzione dell'edificio principale per cercare Ijichi o qualunque altra persona che avesse potuto aiutarla a reperire quanto le serviva.

Si trovava fuori dalla porta della stanza usata come magazzino, stava aspettando Ijichi quando qualcuno di familiare le passò accanto. «Nanami?» chiese Mirai voltandosi verso la sua vecchia conoscenza.

Lo stregone, sentendosi nominare si girò verso la fonte del richiamo. I suoi capelli biondo platino ondeggiarono leggermente nonostante il gel usato per tenerli in posizione. «Tanaka?» disse sorpreso, fermandosi del tutto. «Che sorpresa, non sapevo che fossi tornata in istituto»

La ragazza sorrise leggermene. «Già, nemmeno io lo avrei mai pensato, però eccoci qua...» rispose. «Di ritorno da una missione?» domandò poi per fare conversazione.

Lui annuì. «Già... Tu hai già... parlato con Gojo?» le chiese mentre si avvicinarono entrambi al banco dove Nanami prese una penna per compilare il modulo con i risultati della missione.

Mirai ci mise un momento per rispondere. Guardò tristemente il suo bracciale prima di sospirare. «...Si» rispose lei senza aggiungere altro.

Ci fu un lungo momento di silenzio tra di loro, interrotto solo dall'assistente tecnico dell'istituto che andò nella sua direzione portando tra le braccia tutto quello che aveva richiesto.

«Grazie Ijichi» disse congedando l'uomo per poi voltarsi di nuovo verso Nanami. «Bene... io vado, allora. Ci si vede in giro»

Lo stregone alzò una mano in saluto prima di riposizionarsi gli occhiali sugli occhi, seguendola un momento con lo sguardo fino a che non sparì dietro al corridoio.

Mirai camminò silenziosamente verso la sua casa, portando tra le braccia quello che le sarebbe servito per la sua permanenza e una volta arrivata chiuse la porta dietro di se. Lasciò tutto quanto sul tavolo, andando verso il bagno e aprendo l'acqua della doccia.

Nemmeno la doccia servì per lavare via tutti i pensieri che si accumulavano nella sua mente. Guardò fuori dalla finestra, appoggiando il mento sul palmo della mano, persa ne suo mondo. Si infilò una felpa larga e uscì nel prato che separava la sua abitazione da quella di Gojo, sedendosi a gambe incrociate e puntando il naso all'insù per guardare le stelle.

In quel momento, non sapendo nemmeno perché, avrebbe tanto desiderato che il suo migliore amico fosse stato al suo fianco. Avrebbe voluto poggiare la testa sulla sua spalla e farsi accarezzare i capelli come era sempre stato quando lei si sentiva giù di morale.

Ma cosa diavolo sto pensando? Quei tempi sono passati... pensò Mirai scuotendo la testa e passandosi le mani sul viso. Si voltò un istante verso la finestra della casa di Satoru. La luce era accesa e, proprio in quel momento, lui si affacciò da dietro il vetro, guardando a sua volta il cielo stellato solcato da qualche nuvola passeggera.

Mirai distolse immediatamente lo sguardo. Non voleva che pensasse che lo stesse fissando per qualche strano motivo. Inconsciamente però, la sua voce emise un colpo di tosse, forse nella speranza che lui udisse.

Quando guardò la finestra con la coda dell'occhio, però, dietro al vetro non c'era più nessuno e le luci erano spente. Probabilmente era già andato a dormire.

Un sospiro lasciò le sue labbra e subito dopo udì un fruscio di fianco a lei.

«Certe cose non cambiano» disse lui sedendosi al suo fianco senza guardarla in faccia. Il suo sguardo fisso verso l'alto. «Quando sei pensierosa guardi le stelle»

Mirai non disse nulla, le sopracciglia aggrottate.

«Mirai?» sussurrò lui voltandosi per guardarla negli occhi. «Cos'hai fatto durante questi anni anni? Voglio dire... Come hai vissuto la tua vita?»

Una risata amara uscì dalla gola della ragazza dagli occhi lilla. «Vissuto?» chiese retorica. «Possiamo veramente dire di aver vissuto, Satoru?» scosse la testa rimanendo in silenzio per un istante. «Volevo lasciarmi tutto alle spalle. Vivere come una persona normale almeno per una volta. Ma no. Tutti i cazzo di giorni i miei incubi mi perseguitavano, ricordandomi ogni giorno da dove venivo e cosa fosse successo».

Gojo annuì. Aveva presente molto bene la sensazione. Non passava giorno in cui non fosse divorato dai ricordi. Non darlo a vedere, non parlare dei propri sentimenti, essere il più forte... non stava a significare che lui non avesse dei sentimenti e che non potesse essere ferito proprio come tutti gli altri.

«Ho scopato» disse Mirai dal nulla, rompendo il silenzio. «Se proprio vuoi saperlo, sono andata a letto con gli uomini. Per cercare di dimenticare»

Lui non poté non sorridere a quanto le aveva detto. Era sempre la solita. «Ed ha funzionato?» domandò anche se sapeva già la risposta.

Mirai sorrise senza rispondere. «Come-» si bloccò, come se quello che voleva chiedere fosse troppo pesante per uscire dalle sue labbra. «Come stai?» disse in un sussurro alla fine.

Un pesante silenzio calò sui due. Gojo inumidì le labbra, alzando di nuovo lo sguardo verso il cielo. «Curioso che tu me lo chieda proprio ora, dopo due anni che te ne sei andata» rispose con un filo di voce. «Non me lo hai mai chiesto. Mai da quando Suguru se n'è andato. Mai una volta da quando è morto. E me lo chiedi ora, dopo anni che non ti vedevo. Dopo anni in cui mai una volta ho avuto tue notizie. Non credi sia ipocrita?» chiese con un sorriso triste.

A quelle parole Mirai si innervosì. Che diritto aveva lui, tra tutte le persone, di addossarle tutte le colpe?!

«Bada a come parli, Satoru Gojo» disse alzandosi in piedi pronta ad andarsene. «Bada a come parli»

«Si brava, scappa come hai sempre fatto. A quanto pare, questa è la soluzione» disse mantenendo un tono di voce caldo. Le sue frecciatine erano le peggiori, perché, anche se dette con pacatezza e con un sorriso in viso, colpivano a fondo. Erano fatte apposta per arrivare dritte dritte al punto, dove facevano più male.

Mirai strinse i pugni e serrò la mascella. «Avrai vinto la battaglia, ma non di certo la guerra» sibilò lei a denti stretti prima di andarsene nella notte.

La luna piena e brillante venne coperta momentaneamente da una nuvola, gettando un'ombra scura sul viso dello stregone dai capelli bianchi.

Che poi... Deve per forza essere una guerra? Pensò, prima di alzarsi anche lui e rientrare in casa.

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