Capitolo 12: Evitarsi
Un nuovo giorno iniziò all'istituto di arti occulte di Tokyo. Era l'alba e Mirai si stiracchiò uscendo dalla porta della sua casa. I timidi raggi del sole le baciarono il viso, riscaldando debolmente il suo corpo intorpidito dal freddo della mattinata d'inverno.
Posizionò il tappetino di yoga sul piccolo spiazzo davanti all'abitazione e iniziò, come ogni giorno, la sua seduta mattutina. Le piaceva fare yoga, l'aiutava a rilassare la mente, a preparare il corpo alla giornata e a mantenerlo elastico, cosa molto importante visto che per il suo stile di combattimento le arti marziali erano fondamentali.
Dopo una doccia tonificante e una colazione veloce la ragazza indossò la sua uniforme total black e si diresse verso l'edificio principale.
Erano un paio di giorni che non parlava con Gojo. Stava facendo tutto quello che poteva per evitarlo. Si era persino offerta di accompagnare i primini in missione pur di non rimanere in istituto per evitare di incrociarlo per strada.
Quello che avevano fatto, o meglio, quasi fatto, la tormentava da giorni e non riusciva proprio a guardarlo in faccia senza ripensare a tutta la scena imbarazzante e inappropriata.
Persa nei suoi pensieri che la divoravano internamente, Mirai non si accorse nemmeno che davanti a lei c'era proprio la persona che più cercava di evitare.
Se ne accorse troppo tardi e cercò di cambiare direzione in ultimo ma Satoru l'aveva già raggiunta. «Mirai, aspetta» disse seguendola quando la vide allontanarsi. «Credo che dovremmo parlarne. Non puoi ignorarmi per sempre»
Mirai continuò imperterrita a camminare, dirigendosi svelta verso l'ingresso laterale e ignorando completamento lo stregone che la seguiva richiamando invano la sua attenzione.
I suoi stessi pensieri la stavano uccidendo. Perché mai aveva fatto quello che aveva fatto? Essersi baciati mentre si strusciava su di lui era già di per sé imbarazzante e degradante, perché gli aveva pure slacciato i pantaloni non lo sapeva nemmeno lei.
Quando raggiunse finalmente l'edificio la sua attenzione venne catturata da un uomo di cui conosceva fin troppo bene le sembianze.
«Nanami» esclamò lei dirigendosi velocemente verso l'uomo biondo che, sentendosi nominare, si voltò verso il richiamo.
Kento la guardò con un sopracciglio alzato, passando lo sguardo da lei a Gojo e da Gojo a lei. Sembrava quasi che stesse scappando.
«Scusami per il ritardo» disse la ragazza fingendo di avere qualcosa da fare con lui.
Nanami scosse la mano davanti a sé, reggendole il gioco ma guardandola con aria interrogativa di chi voleva sapere cosa stesse succedendo. «Tranquilla» le disse. «Andiamo?»
A quella scena Gojo si fermò, guardando la sua amica andarsene insieme a Nanami senza voltarsi verso di lui nemmeno una volta.
Quella ragazza sarebbe stata la sua rovina.
«Potrei sapere cosa diavolo sta succedendo?» le domandò perplesso lo stregone biondo quando furono abbastanza lontani da non essere sentiti. «Perché stavi scappando da Gojo?»
Mirai sospirò grattandosi il retro del collo. «Nanami... Potrei aver combinato un bel pasticcio» gli rispose. «Hai presente quando l'altro giorno mi hai detto che in realtà la persona che volevo non eri tu?»
Kento la guardò con un sopracciglio alzato. «Mirai... Dimmi cos'hai combinato e basta, odio quando la gente cerca di girare attorno alle questioni» brontolò guardando la ragazza.
«Ecco... Dopo aver parlato con te potrei essere andata nell'ufficio di Gojo per testare la mia ipotesi e potrei aver fatto... cose di cui ora mi pento» ammise lei abbassando lo sguardo colpevole.
«Mirai» sospirò lui guardandola con lo stesso sguardo con cui avrebbe rimproverato un bambino colto a rubare caramelle. «Ti prego, dimmi che non hai fatto quello che penso tu abbia fatto».
Mirai strabuzzò gli occhi indignata. «Oh mio dio no! Mica me lo sono scopato» brontolò. «Però... Potrei averlo baciato» disse senza guardare lo stregone negli occhi. «E legato alla sua poltrona per poi slacciargli i pantaloni» confessò nuovamente come se fosse sotto interrogatorio.
Nanami la guardò sconcertato. Quella ragazza aveva un modo di fare talmente esuberante da fare spavento. «Non osare guardarmi così» disse Mirai non appena notò lo sguardo accusatorio dell'uomo. «Sei stato tu a mettermi la pulce all'orecchio. Io stavo solo confermando che tu avessi torto. Non è lui la persona che cerco, sarebbe troppo imbarazzante e poi sai perché non potrebbe mai funzionare».
Lo stregone stava per risponderle quando il preside Yaga si intromise interrompendo la discussione. «Tanaka, cercavo proprio te» disse guardandola. Dietro di lui si intravedeva un ragazzo che Mirai non aveva mai notato prima d'ora. «Prima che tu possa fare domande, voglio che ti porti dietro questo ragazzo nelle tue attività. Sta scontando una punizione e la sua punizione sei tu» disse girando i tacchi senza fornire ulteriori spiegazioni.
Nanami accennò un mezzo sorrisetto alla "battuta" del preside che aveva associato Mirai ad una punizione e poi si congedò a sua volta.
«Yaga» sbraitò lei infastidita e scioccata. Cosa voleva dire? Portarsi dietro una zavorra?! «E io cosa dovrei farci con questo qui?!» brontolò. «Ho delle ricerche da fare. Ricerche che tu stesso mi hai affidato» disse tentando invano di evitare quella che sembrava più una punizione per lei che per il ragazzo.
Yaga le rispose da lontano mentre camminava lungo il corridoio verso il suo ufficio. «Fa di lui ciò che vuoi, usalo come assistente... basta che non lo uccidi o che non muoia sotto la tua tutela» disse ridacchiando sotto i baffi.
Mirai lasciò cadere le braccia lungo i fianchi prima di voltarsi verso il ragazzo del terzo anno che stava già sudando freddo per la l'aura aggressiva che emanava la ragazza. «Non scomodarti a presentarti, tanto non mi ricorderò il tuo nome» brontolò la ragazza chiaramente di cattivo umore.
Dopo un lungo sospiro si incamminò nella direzione opposta a quella presa da Yaga, seguita a ruota dal suo cagnolino temporaneo che non si permise di emettere alcun suono.
Senza disturbarsi a bussare aprì la porta dell'aula in cui Gojo stava tenendo una lezione ai suoi ragazzi e, senza dare spiegazioni, gli afferrò il polso trascinandolo con sé sotto agli sguardi attoniti degli studenti. «Muoviti, tu vieni con me» disse Mirai rivolgendogli volontariamente la parola per la prima volta dopo due giorni di mutismo selettivo.
Gojo la guardò con un'espressione confusa mentre lei lo trascinava per il polso verso l'uscita dell'istituto. Non aveva altra scelta se non seguirla e lasciarle fare quello che voleva. «Mirai, cosa stai facendo? Dove stiamo andando? E... Perché questo studente ti segue?» chiese notando solo in quel momento il ragazzo che la stava seguendo.
Mirai sbuffò senza però lasciare il suo polso. «Yaga me lo ha appioppato» disse limitandosi a rispondere alla domanda.
Satoru alzò un sopracciglio confuso per poi abbassare lo sguardo verso il suo polso. Il suo cervello gli riportò alla mente gli eventi di quel giorno nel suo ufficio. I polsi legati, le labbra morbide di Mirai sul suo collo...
Si schiarì la voce, guardando nuovamente dinanzi a sé. «Puoi almeno dirmi dove stiamo andando?» disse una volta arrivati davanti all'auto nera della donna.
«Sei stato tu a voler essere coinvolto nella missione delle Bambole della Resurrezione» rispose asciutta aprendo la portiera dal lato del guidatore per poi guardare i due uomini che la stavano seguendo. «Volete darvi una mossa voi due o pensate di rimanere lì impalati a lungo?» sibilò fulminandoli con lo sguardo e facendoli scattare.
Gojo si sedette nel lato del passeggero, chiudendo la portiera dietro di sé.
Beh, almeno ha ancora bisogno del mio aiuto, quindi questo significa che mi terrà con sé. Pensò osservando Mirai di nascosto che nel frattempo si era già legata e stava accendendo la macchina. Se davvero fosse stata così incazzata con me per quello che è successo l'altro giorno, non mi avrebbe mai coinvolto in questa missione.
«Sì, hai ragione, non posso essere in disaccordo su questo. Ma che motivo avevi di trascinarmi così?? Sono il tuo assistente o qualcosa del genere?» domandò sarcastico lui nel tentativo di stuzzicarla.
«Sei la mia palla al piede più che altro» rispose lei sbuffando e guidando senza guardarlo. Il ragazzo se ne stava buono nei sedili posteriori, guardando la scena senza dire nulla. «La cintura, mettitela» aggiunse poi dopo un momento di silenzio.
«Ehi, non sono la tua palla al piede» brontolò allegramente lui mettendo il broncio e allacciando la cintura di sicurezza. «Perché guidi come mia nonna? Dove hai imparato a guidare?» chiese vedendo quanto stesse andando lenta e provocando una leggera risata nello studente che se stava ad ascoltare.
Mirai fulminò con lo sguardo prima il ragazzo e poi Gojo. «Non sto guidando come tua nonna, è solo che non voglio distruggere la mia macchina, idiota» sbuffò infastidita. «Ci sono altre macchine, non vedi?»
Lanciò uno sguardo fugace al suo amico e lo vide ridacchiare divertito. «E dire che non hai nemmeno la benda sugli occhi... E poi, le macchine sono grandi, dovresti vederle facilmente. Forse dovrei portare il tuo vecchio e fastidioso culo da un oculista» aggiunse lei ribattendo alle sue provocazioni.
Gojo rise leggermente, guardando fuori dal finestrino per poi riportare lo sguardo su di lei. Anche se era incazzata con lui c'era ancora un po' di attaccamento da parte sua e questo gli sembrò un ottimo segno. «Non c'è bisogno di portare nessuno da un oculista, i miei occhi funzionano perfettamente. Ma devi davvero premere un po' l'acceleratore» disse mentre la guardava con un mezzo sorrisetto. «E poi, il mio culo è vecchio tanto quanto il tuo» rise.
Mirai non ho poté fare a meno di sorridere leggermente mentre spinse sull'acceleratore superando le altre macchine. «Felice? Pensi di poter stare zitto ora?»
«Ovviamente non posso tacere, quando mai sono stato silenzioso mentre ero con te?» scherzò Gojo guardando fuori dal finestrino. «Stai sorridendo, lo sai?» chiese cercando di infastidirla.
Mirai corrucciò immediatamente la fronte. «Siamo quasi arrivati» disse evitando lo sguardo dello stregone. «E poi non sto ridendo» mormorò.
Gojo rise leggermente, gli era sempre piaciuto quando faceva così. La sua espressione di puro fastidio mescolata al sarcasmo. «Oh, oh sì certo... non stavi sorridendo... I miei occhi malandati devono aver visto male» disse annuendo e ridacchiando.
Mirai fermò la macchina davanti al piazzale di una scuola. Gojo e il ragazzo si guardarono attorno cercando di capire cosa ci facessero in quel posto.
La biblioteca di quell'università era affiliata con l'istituto di arti occulte di Tokyo e vi erano custoditi parte dei libri antichi della stregoneria.
Molti anni fa era stato appiccato un incendio in una delle biblioteche degli istituti e da allora si era deciso di spostare parte dei libri in biblioteche affiliate in modo tale che non potessero essere distrutti tutti i libri antichi e le loro copie al tempo stesso.
Un sistema che garantiva la protezione dei libri più importanti.
«Immagino che siamo qui per la sezione dei libri antichi» disse Gojo guardandosi attorno mentre camminava dietro di lei e regalando sorrisini o occhiolini alle ragazze che passavano accanto a loro bisbigliando tra loro o lo guardavano adoranti, non facendo altro che sfamare la loro adorazione.
Mirai roteò gli occhi alla scena pietosa del suo amico che faceva il cascamorto.
«Cosa c'è che non va Mirai? Perché alzi gli occhi al cielo?» le chiese in modo provocatorio avvicinando il mento al suo orecchio, sapendo bene che era un po' gelosa di tutte le ragazze che lo stavano guardando. Era sempre stata piuttosto possessiva verso di lui, persino quando erano bambini. Sorrise.
Mirai sbuffò spazientita. «Penso solo che dovresti vantarti meno e concentrarti su quello che stiamo facendo».
Gojo rise al suo atteggiamento geloso, Mirai cercava sempre di sembrare così fredda e distaccata ma alla fine non riusciva a controllare le sue reazioni. Come sempre. «Ehi, non è colpa mia se le ragazze continuano a guardarmi... Voglio dire, andiamo... sono semplicemente troppo bello per non attirare l'attenzione» disse pieno di sé lo stregone albino, facendole alzare di nuovo gli occhi al cielo.
Scesero in silenzio le scale che conducevano alla sezione segreta. Mirai in testa e Gojo a chiudere la fila appena dopo lo studente del terzo anno.
Arrivarono davanti ad una porta che era bloccata. Un meccanismo sbloccabile solo tramite la magia vietava l'ingresso a chiunque non fosse autorizzato, aprendo la porta solo dopo aver analizzato e riconosciuto l'energia malefica dello stregone.
Mirai poggiò la mano sulla maniglia, infondendo la sua energia malefica sul pomello. La serratura si sbloccò e la porta si aprì davanti a lei. «Fate lo stesso» disse istruendo gli altri due stregoni prima che la porta si richiudesse dietro di lei.
Dopo un pomeriggio piuttosto produttivo all'interno della vecchia e umida biblioteca, i tre uscirono finalmente dalla scuola, dirigendosi nuovamente verso la macchina di Mirai.
Gojo camminava dietro al gruppo, le mani dietro alla nuca e canticchiava allegramente. «Ah-» disse ad un certo punto osservando il ragazzo. «Hai un ragno gigantesco e peloso sulla spalla. Non spaventarti però, è solo un ragno» rise continuando a camminare verso la macchina.
Il povero stregone, improvvisamente aracnofobico, si scrollò le spalle nel tentativo di scacciare la creatura, lanciando imbarazzanti urletti.
Quando finalmente riuscí a liberarsi del ragno fece un balzo indietro, aggrappandosi a Mirai che strabuzzò gli occhi per la sorpresa. «Scollati» grugnì irritata lei, fulminando il giovane stregone con lo sguardo, come se avesse voluto incenerirlo seduta stante. Lo spinse via in malo modo, schiacciando il malcapitato ragno con i suoi anfibi neri. «Sei uno stregone, vedi di darti un contegno» aggiunse poi pulendosi lo stivale nell'erba.
Il ragazzo, umiliato e completamente rosso in viso, abbassò lo sguardo annuendo debolmente. «Mi scusi, Tanaka-san. Non si ripeterà più». Disse quasi stesse implorando perdono.
Gojo nel frattempo si era appoggiato con la schiena contro l'auto di Mirai e se la rideva alla grande vedendo come la sua amica stava rimproverando il ragazzo fifone. «Certo che le donne fanno proprio paura~» ammise ridacchiando sotto i baffi e coprendosi gli occhi con la benda bianca che aveva tirato fuori da una delle tasche.
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