VI CAPITOLO
Una settimana prima.
La ferita al torace gli doleva ancora. Le bende, messe poco prima da quel ragazzo, non erano bastate a fermare l'emorragia. Cominciò a rallentare il passo: non sapeva dove stesse andando, voleva solo scappare il più possibile
da quello stupido ragazzo. Si però, doveva ammettere che se non fosse stato per lui sarebbe rimasto sdraiato su quella strada a morire nel suo stesso sangue.
Decise di fermarsi. Non aveva senso camminare fino allo sfinimento e di certo quella pioggia, che aveva travolto improvvisamente la tranquilla e amata Nashville, non lo aiutava affatto.
Si trovava in una delle tante strade principali del paese, circondato da vari negozi gremiti di persone che tentavano di ripararsi dalla pioggia.
Fortunatamente trovò un locale semivuoto e decise di entrare.
Come aveva notato inizialmente, l'ambiente conteneva poche persone, solamente tre: una donna seduta al bancone, altri due sedevano ad un tavolo, non poco lontano dall'entrata.
Si avvicinò al bancone e cominciò a guardarsi intorno. Il locale era molto grande: c'erano diversi tavoli disposti in modo casuale al centro della sala. Dal soffitto pendevano diversi fari spenti, usati, forse, per ravvivare le serate qualche volta.
"Vuoi prendere qualcosa?? O sei venuto qui solo per ammirare il locale?"
Sussultò nel vedere improvvisamente un ragazzo dall'altra parte del bancone.
Aveva più o meno la sua stessa età: capelli biondi tinti, occhi grigi e una grossa cicatrice sotto l'occhio destro.
"Una birra, grazie." rispose.
"Ecco." Disse il barista, passandogli una birra.
"Vorrei raggiungere il Kansas. È molto lontano da qui?" Chiese Gabriel, bevendo un sorso di birra.
"Abbastanza, è dall'altra parte della città."
"Riesco a raggiungerla a piedi?"
"A piedi? Ma sei impazzito?" Rispose il barista, sorridendo. E aggiunse "Poi con questa pioggia non arriveresti nemmeno dietro l'angolo"
"Fantastico..."
"Ti posso portare io, se vuoi. Sono diretta lì per una stupida riunione aziendale. Arriveremo entro domani." Disse improvvisamente la donna seduta non poco lontano da lui.
Era una donna di mezza età: aveva i capelli di un biondo scuro che le cadevano morbidamente sulle spalle e indossava una lunga giacca nera che le lasciava scoperte solamente i suoi tacchi alti. Appariva come una vera e propria donna d'affari.
"La ringrazio molto per il vostro aiuto, ma ci arriverò da solo." Rispose Gabriel, posando una banconota da cinque dollari sul bancone, e uscì.
Appena fuori dal locale, il giovane fu colpito da un vento gelido che gli penetrò nelle ossa. Il cielo, che prima era di un azzurro spettacolare, era diventato di un grigio scuro e la pioggia non smetteva di cadere.
Si maledisse per aver indossato solamente una t-shirt e un pantalone leggero.
Incominciò a percorrere la stessa strada di prima e nel frattempo continuò a pensare all'offerta di quella donna. Forse avrebbe dovuto accettare. No! Non conosceva quella donna, non poteva fidarsi di una sconosciuta. Però...
Improvvisamente una macchina scura cominciò a rallentare al suo fianco. Il giovane la vide e aumentò il passo, fino a quando non fu bloccato da una voce che proveniva dall'auto.
"Ehi ragazzo, sei sicuro di non voler venire??" Voltandosi Gabriel notò che la voce era di una donna, la stessa del bar.
"Mi chiamo Marise Lightwood, ti puoi fidare di me, Gabriel." Aggiunse.
"Come fai a sapere il mio nome??" Chiese il giovane, confuso.
"Posso salvarti, sali."
Gabriel, rendendosi conto che non sarebbe andato da nessuna parte in quella condizione, con pochi soldi e bagnato fradicio, decise di salire e di fidarsi di quella perfetta sconosciuta.
Una volta entrato in macchina, fu travolto da quella meravigliosa aria calda proveniente dal riscaldamento e da un profumo di lavanda. Era qualcosa di eccezionale.
La donna mise il piede sull'acceleratore e ripartì.
"Come fai a sapere il mio nome?" Chiese di nuovo il giovane, dopo svariati minuti di silenzio.
"Sono la figlia del dottor Herrich Müller."
"Che cosa?"
"Stai calmo, non voglio farti niente." Disse la donna per tranquillizzarlo.
"Sì certo, come posso fidarmi di te?"
"Sono la mamma del ragazzo che ti ha curato quella ferita, sono la mamma di Noah." Rispose la donna con voce tremante, come se quella rivelazione le fosse uscita a stento dalla bocca.
"Ti basta?" Aggiunse non smettendo di guardare la strada.
"Si..almeno credo. Dovrei conoscere qualcun altro della vostra famiglia??"
"No. Sei stanco, dovresti riposare, il viaggio sarà abbastanza lungo." Disse la signora Lightwood, mentre gli passava una coperta, presa dal sedile posteriore.
Accettò con timore la coperta e si sistemò meglio sul sedile, appoggiando la testa sul finestrino. Il giovane, guardando tutte quelle gocce d'acqua che il cielo non smetteva di versare, gli venne in mente quando da piccolo insieme a suo padre giocavano a pallone sotto la pioggia.
Com'erano belli quei tempi, era tutto così perfetto, la sua famiglia era perfetta. Poi d'un tratto qualcosa si ruppe in mille mezzi; quei giorni perfetti e sereni si trasformarono in giorni spaventosi e tremendi, solo per una stupida lite tra ragazzi che si era trasformata in un omicidio.
Improvvisamente tutto divenne buio e Gabriel cadde in un sonno profondo.
Il sole colpì, con sui splendenti raggi, gli occhi chiusi del ragazzo che cominciarono piano piano ad aprirsi.
Aveva dolori tremendi su tutto il corpo, in particolare al torace: non era stata proprio una buona idea dormire su un sedile. Però dovette ammettere che quella dormita gli aveva giovato anche, almeno non aveva più quel forte male di testa.
Cominciò a guardarsi intorno. Si trovavano su una superstrada, circondata da campi di grano sia a destra che a sinistra. Fortunatamente la pioggia aveva smesso di bagnare la strada, lasciando spazio ad un cielo azzurro.
Poi il suo sguardo si fermò sulla donna alla sua sinistra. Chissà se aveva smesso di guidare per un secondo? Dai tanti bicchieri di caffè posti sul cruscotto la risposta era sicuramente no. Perché faceva tutto questo per lui? Perché non aveva salutato suo figlio?? Tante domande senza una piccola risposta.
"Caffè?" Disse improvvisamente la donna, svegliandolo dai suoi pensieri.
"No, grazie. Dove siamo??"
"Siamo quasi arrivati, manca poco" Rispose, distogliendo per la prima volta lo sguardo dalla strada e guardandolo dritto negli occhi.
Quegli occhi non erano per niente come suo padre, erano più sereni, erano più dolci. Gli ricordavano sua mamma, tutto gli ricordava sua mamma: gli occhi, il sorriso, il carattere...
"Perché non hai voluto incontrare Noah??" Chiese Gabriel con timore.
"Lo voglio proteggere.."
"Da chi?"
"Dalla mia famiglia." Rispose.
Improvvisamente la donna frenò di colpo, e il ragazzo distolse lo sguardo per guardare la strada.
Si trovavano ancora sulla stessa strada, però questa volta non vi era nessun paesaggio che li circondava ma solamente macchine scure.
Inaspettatamente una figura uscì da una delle tante auto poste di fronte.
Era una donna, forse un po' più piccola rispetto alla signora Lightwood, aveva i capelli sciolti di un biondo scuro e indossava una lunga giacca nera. Aveva il viso terribilmente pallido.
"Marise, consegnami il ragazzo!" Urlò la donna.
"Gabriel quando te lo dico io, corri." Disse Marise con voce tranquilla.
Ma Gabriel notò, dalle mani che picchiettavano velocemente sul volante, che non era affatto tranquilla.
"Marise!" Continuò la giovane donna.
Improvvisamente la signora Lightwood scese dalla macchina e le si avvicinò lentamente.
"Ciao Helena, come va?" Chiese Marise.
"Non voglio farti del male, tuo padre mi ha dato istruzioni precise. Vuole il ragazzo a tutti i costi." Rispose.
"E se rifiutassi?"
"Pensaci bene."
Gabriel, guardando attentamente tutta la scena, voleva reagire, voleva fare qualcosa, voleva aiutare quella donna che gli aveva salvato la vita. Ma qualcosa lo bloccava, qualcosa che gli veniva da dentro, paura?
No! Non poteva avere paura di quella donna, assolutamente no.
Decise di scendere dall'auto e si avvicinò alle due donne.
"Verrò con te, ma lascia andare Marise."
"Che ti viene in mente?" Chiese allarmata Marise.
A dire la verità non lo sapeva neppure lui, non sapeva dove avesse trovato il coraggio a farlo. Ma lo stava facendo ed era questo che importava per Gabriel.
"Finalmente, siamo riusciti a trovare un compromesso." Disse improvvisamente Helena, con un sorriso a trentadue denti.
"La lascerai andare?" Chiese Gabriel.
"Come ti pare. Bene, adesso, se vuoi seguirmi.."
"Assolutamente no!Devo..."
Intervenne Marise.
"Noah ha bisogno di una madre, non di me. Grazie per tutto."
La donna si bloccò e amareggiata lo lasciò andare. Gabriel distolse lo sguardo e, come gli era stato "ordinato", cominciò a seguire la donna.
Arrivato all'auto, si girò verso la madre di Noah, per salutarla, ringraziarla per l'ultima volta.
Però improvvisamente due uomini, che erano rimasti in macchina per tutto il tempo, si avvicinarono lentamente alla donna e uno di loro estrasse un'arma, una pistola.
Un colpo, e tutto si fermò.
La donna cadde, provocando nessun rumore, come una tenera piuma nera.
Gabriel non ebbe il tempo di urlare, che fu colpito alla testa. E tutto scomparì.
••••••SPAZIO AUTRICE••••••
Ciao a tutti, prima di tutto vi volevo ringraziare per tutte le visualizzazioni , grazi mille davvero.
Questo capitolo è decisamente più lungo rispetto agli altri, spero che vi piaccia, fatemi sapere.
Un bacio.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top