⑅ | 𝟎𝟐
01 dicembre 1229 d.C
«kaeya, lo sai che devi rimanere a letto»
la bella donna dai capelli biondi era seduta su un'ampio letto, dalle sfarzose coperte color zaffiro, nel quale era sdraiato e coperto a dovere il suo stesso figlio.
il bimbo dai capelli bianchi guardava con i suoi occhioni rossi, febbricitanti, la madre.
il nasino a punta anche era rosso, mentre qualche lacrima ricava le sue guance.
sulla fronte si trovava, invece, un fresco panno bagnato.
purtroppo, kaeya era sotto la tredicesima — sicuri fosse la tredicesima? ormai con lui si perdeva il conto... — febbre dell'anno.
ormai era un bambino di sei anni che, purtroppo, aveva un sistema immunitario fin troppo debole: secondo i medici, era fortunato ad essere nato in una famiglia veramente ricca, poichè non sarebbe sopravvissuto neanche due anni in una famiglia del popolo.
specialmente con la brutta peste che girava in città: la campagna, per fortuna, era territorio sicuro.
«ma madre, è il mio compleanno, voglio giocare con yama» piagnucolò lui, tirando lievemente su' con il naso, mentre continuava a piangere.
non riusciva proprio a smettere: finalmente riusciva a compiere sei anni e non poteva giocare con il suo amichetto del cuore?
per un bambino di quell'età, era veramente dura.
specialmente perchè il padre non sarebbe stato a casa prima del giorno dopo: insomma, il giorno più importante di quell'anno l'avrebbe vissuto chiuso nella sua camera, mangiato dall'ennesima febbre.
la donna gli sorrise, accarezzandogli i capelli.
«yama non può venire, oppure anche lui si prenderà questa brutta influenza» fece la donna, sorridendogli, «tu non vuoi che lui stia male vero?» chiese ancora lei.
il piccolo albino tirò su con il naso, annuendo lievemente: no, non voleva che yama stesse male.
era l'ultima cosa che voleva al mondo.
«ed allora sii forte per entrambi, mio piccolo ometto» gli parlò ancora la madre, ridacchiando lievemente.
a queste parole, il piccolo serrò lievemente le labbra, prima di socchiudere gli occhi ed annuire lievemente.
no: non avrebbe lasciato che il proprio egoismo potesse fare del male al rosso.
«bravo il mio piccolo kaeya» gli sorrise ancora la madre, lasciandosi sfuggire una piccola risata.
le iridi rosse del bianco la osservarono uscire dalla camera, prima di ritrovarsi sole solette in quella stanza.
insomma, era il suo compleanno, ormai aveva sei anni: doveva dimostrarsi forte e proteggere il suo yama!
nonostante la differenza di età — mentre il rosso aveva otto anni il bianco ne aveva appena appena compiuti sei — i due si erano legati nel profondo: uno stava sempre con l'altro e l'altro stava sempre con il primo.
solo quando il bianco stava male erano divisi: anche se ogni tanto il rosso riusciva a sgattaiolare e a finire nella camera dell'altro, era dura non potersi dare qualche abbraccio o tenersi la manina.
ma kaeya doveva essere forte: se lui fosse stato forte quei giorni, presto avrebbe potuto rivedere il suo amico!
ce l'avrebbe fatta, no?
ma chi voleva prendere in giro: voleva vederlo, sì, ma in quell'esatto momento.
insomma: era il suo dannatissimo compleanno e voleva passarlo come diceva lui!
qualche lacrima prese a scendere, di nuovo, dai suoi grandi occhi.
sì, stava piangendo, di nuovo: era triste, tanto triste.
kaeya era un bimbo che non nascondeva affatto le sue emozioni, a differenza della maggior parte dei bambini: mentre gli altri dimostravano di voler essere forti, lui se era triste piangeva.
punto.
«yama» piagnucolava il bianco, cercando di chiamare l'altro.
quanto tempo passò?
oh, non lo sapeva nessuno: dopo sei o sette "yama" sussurrati dal bianco, questo si addormentò, facendo un incubo che una volta sveglio — dopo appena dieci minuti — neanche ricordava più.
fatto sta', che gli aveva messo davvero tanta paura.
riprese a chiamare il nome dell'altro, come se facendo così potesse arrivare da un momento all'altro — anche se il tono di voce era così basso che giusto kaeya riusciva a sentirsi.
passò qualche minuto prima che la sua porta venne aperta piano piano: da essa sbucò una chioma rossa che, rapidamente, si richiuse la porticina alle spalle.
gli occhi color rubino del più piccolo lo riconobbero subito e, kaeya, prese a chiamare il nome dell'altro più velocemente, mentre ricominciava a piangere.
«shh» cercava di zittirlo il più grande, dalla chioma rossa che gli arrivava alle spalle.
«se fai così poi arriva qualcuno e mi mandano via!» esclamò infatti, annuendo ripetutamente.
a quella frase, il bianco smise praticamente all'istante, mentre ogni tanto prendeva a tirare su' con il naso.
per stare anche qualche minuto con yama, avrebbe fatto di tutto.
«hey, sono qui, hai visto?» gli fece il rosso, esprimendo con gli occhi dorati la stessa felicità che provava il bianco.
le loro mani finirono per incontrarsi, stringendosi a vicenda, mentre, al suono dell'orologio — il quale segnò mezzogiorno in punto — le soffici labbra del rosso si incontrarono con la punta del suo nasino.
e quello, per kaeya, era il regalo più bello di tutti.
tag belli e spero di non aver disturbato qmq<333
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