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Ancora Yekson non si capacitava di come l'Ordine potesse essere all'oscuro del valore naturale che il Deserto Centrale - per nulla desertico - avesse. Il soldato aveva addirittura smesso di contare allo spasmo i giorni rimasti di razioni in quanto, più si addentravano nella fitta foresta alla volta dell'accampamento elfico, sempre più piante all'apparenza commestibili trovavano. Se avessero finito le loro scorte di cibo, avrebbero potuto provare con quelle bacche colorate che li circondavano... Alla peggio si sarebbero dovuti subire un forte mal di pancia.

Ed era allora, nei momenti della giornata adibiti ai pasti giornalieri, che il senso di colpa per l'omicidio del ragazzino si faceva strada nelle sue viscere. Ma, come diceva Madeline, non c'erano altre alternative per quanto riguardava il fluidificante e, bene o male, avrebbero dovuto convivere con quel rimorso.

Sospirò, addentando un pezzo della pastosa razione.

«Ci siamo» affermò Madeline, deglutendo un boccone «e questa volta per davvero.»

Sorrise apertamente. I capelli biondo platino, vittime di settimane senza cure, le cadevano in uno strano modo che le incorniciava il viso con ciocche ben separate tra loro, talvolta sporche sulle punte. Yekson però non volle soffermarsi sull'aspetto igienico della missione: se l'elegante signora dell'educazione non era messa bene, lui doveva essere di sicuro peggio. Storse il naso al solo pensiero.

«Quindi quanto manca?» Ridacchiò a bocca piena.

«Qualche ora... Prima del calare del sole saremo dentro l'accampamento.»

E così era stato.

In seguito a qualche tempo di cammino sostenuto a un passo molto più concitato del consueto, tra gli alberi fitti e verdi i due iniziarono a scorgere la palizzata esterna dell'accampamento. Non appena furono vicini al punto in cui la boscaglia iniziava a diradarsi per lasciare spazio alla prateria su cui sorgeva il nucleo elfico, la vista dell'arco di accesso principale quasi accecò i due.

Yekson accelerò per avere una visuale migliore e, credendo che il portale agghindato con fiori fosse solo un miraggio, dovette strofinarsi gli occhi. Si fermò dietro un albero e spiò in silenzio i due alti uomini dotati di lunghe lance che presidiavano l'accesso.

Fu allora che si rese conto per la prima volta di quanto fosse esausto dopo tutti quei giorni di ansiosa attesa che erano culminati con una splendida vittoria: ce l'avevano fatta.

Attese un istante espirando prima di voltarsi verso Madeline che, paralizzata, era rimasta indietro. Due lunghe righe di lacrime le deformavano il viso con espressioni fortissime che Yekson non le aveva mai visto addosso.

La donna stava ripiegata su se stessa come un vegetale dal fusto troppo giovane, il volto rivolto in avanti, abbagliato dalla luce che filtrava dalle alte chiome verdi degli alberi.

L'ex selezionato sorrise appena, trattenendo la propria commozione prima di raggiungere la Direttrice. Non disse nulla, ben sapendo che era necessario che le emozioni più intense defluissero prima di poter raggiungere di nuovo la razionalità.

Le raddrizzò solo il busto e la strinse con dolcezza a sé. Nonostante fosse più alta di lui, Madeline colse un grande sollievo dal gesto e in poco tempo i singhiozzi più intensi sparirono, rimpiazzati da qualche saltuaria contrazione involontaria.

«Dobbiamo andare» affermò poi la donna, tirando su con il naso in una maniera così distante dal suo essere Direttrice da non poterle essere associata con facilità. «Se non ci muoviamo, dovremo passare la notte qui e non sarà piacevole.»

Dopo essersi asciugata le lacrime con l'ausilio delle dita della mano destra, fu pronta ad affrontare le due guardie. Stava dritta con la schiena, seria e pronta a tutto - anche a uccidere - pur di ritornare nella propria casa.

I due uomini sulla porta guizzarono non appena videro uscire le due figure dalla boscaglia.

«Identificatevi» intimarono, puntando poi le loro armi nella stessa direzione dei forestieri.

Yekson si raggelò in un istante, iniziando a pensare a cosa avrebbe potuto dire di sé, ma vedendo come Madeline proseguiva, si fece coraggio e la seguì schermandosi in parte dietro a lei.

«Siete in un territorio protetto,» urlò uno dei due «identificatevi.»

Ma la Direttrice, temeraria, si avvicinò ancora e, posizionatasi a metà strada tra i due con le punte delle lance al petto, guardò prima il cielo e poi la terra. Prese un lungo respiro e parlò.

«Sono Sasha Darkspire, nome in codice Foxn

Silenzio.

Yekson credette di essere morto ma, in realtà, aveva solo fatto un passo indietro dettato dal panico. Lo stesso fecero i due individui, abbassando le loro armi e scambiandosi un breve sguardo terrorizzato. Quello di sinistra annuì tra sé e sparì dentro l'accampamento.

L'uomo rimasto davanti all'arco non perse tempo e iniziò subito a perquisire la donna a cui Yekson avrebbe dovuto porre domande. Molte domande.

«Sasha?» domandò infatti il soldato, mentre le si affiancava scioccato, contenendo a stento il carico di turbamento che l'aveva investito.

Madeline si limitò ad alzare un angolo della bocca mentre il grosso giovane finiva di tastarle le braccia, estraendo un coltello da un laccio, e passava a controllare lo zaino.

Fu poi il turno del soldato di essere perquisito e, al ritorno del guardiano che era corso via in precedenza, accanto alla staccionata c'era un ammasso di armi non indifferente. Sei coltelli di diverse misure, interi caricatori di proiettili esplosivi e di sangue, la doppia balestra di Yekson, la mitraglietta e la pistola dell'ex Direttrice.

«Sta arrivando» annunciò il guardiano al compagno, appena affannato per via della corsa che aveva forse sostenuto.

Senza perdere un colpo, i due raccolsero i beni sottratti ai due nuovi arrivati e si infilarono di nuovo dentro l'accampamento, veloci.

Yekson si voltò verso Madeline, continuando a non capire e continuando a sentire il bisogno di spiegazioni. La donna, in tutta risposta, si limitò a sorridere e a raddrizzare schiena e spalle, apparendo come una persona del tutto nuova. Si voltò dunque verso l'arco attraverso il quale era possibile vedere una figura che si stava avvicinando concitata.

E quello stesso individuo era senza dubbio la mente che stava dietro all'intera comunità di elfi.

Quell'individuo era senza dubbio Ger Thompson.

«Benvenuti a Fronds.»

L'uomo, somigliante a Xenya per i capelli fiammeggianti e alcuni lineamenti, aveva subito condotto i due forestieri in un edificio per metà costruito in legno e per metà in tessuto e li aveva fatti accomodare ai lati opposti di un lungo tavolo.

Dopo aver chiuso la massiccia porta, si era seduto tra di loro e li aveva guardati a lungo negli occhi.

«Capitano Darkspire, è un onore per noi riaverla qui.» Ger inspirò profondamente, poggiandosi allo schienale come se il gesto del parlare l'avesse fatto stancare.

«Il piacere, signore, è tutto mio.» Madeline chinò la testa con un gesto di riverenza, nascondendo il più possibile la propria commozione.

«Tu, invece, devi essere un ragazzo del Progetto.» Il fu Oligarca si presentava piuttosto perspicace. «Sono rimasto sinceramente sorpreso di vederti, non eri atteso.»

Il corpo di Yekson si contrasse d'istinto, offeso. Come poteva essere possibile che Xenya non avesse parlato di lui?

E se non l'avesse fatto perché non era nemmeno arrivata? Il soldato percepì il sangue defluirgli del tutto dal viso, terrorizzato dall'eventualità. Ma Madeline, o Sasha, intervenne nell'immediato.

«È stata una scelta successiva al nostro ultimo contatto, signore.» Era incredibile come il suo tono, seppur non in modo voluto, emanasse una certa superiorità - un probabile residuo dell'essere Direttrice del Progetto X. «Il soldato Heir si è rivelato un ottimo collaboratore nella fuga della signorina Thompson. Sarebbe stato uno spreco non portarlo con noi: le sue competenze potrebbero rivelarsi utili.»

Ger si limitò a inumidire le proprie labbra con un gesto quasi sprezzante.

«Non ho intenzione di discutere le sue scelte in questa sede, Capitano. Cercherò di concentrarmi sul fatto che mia nipote è giunta qui sana e salva, e penso sia già il più ambito traguardo.»

Il cuore di Yekson, seppur ancora intimorito dalla presenza del Capo degli elfi, fece un balzo: Xenya era viva, era arrivata nel Deserto Centrale. E lui avrebbe potuto finalmente rivederla.

La realizzazione si tramutò in una forte carica di adrenalina. Il tempo di vivere nell'ombra delle proprie azioni doveva finire.

«Io, comunque, non ho bisogno di alcun aiuto per motivare le mie scelte.» Il soldato si sistemò meglio sulla seduta prima di riprendere. «In ogni caso mi stupisco che Xenya non abbia parlato di me. Da quanto tempo è qui? Dieci giorni?»

«Sì, proprio così.» Ger strinse le labbra. «Ma in mia assenza era rimasta imprigionata per questioni di sicurezza; oggi è stata liberata e non ho ancora avuto l'occasione per parlarle.»

«Quindi spero mi permetterà di farle notare che, se non è a conoscenza di ciò che sua nipote ha trascorso in questi suoi diciassette anni di vita, lei non ha il diritto di discuterne.»

Ne seguì un istante carico di pesante silenzio. Il capo degli elfi parve però incassare il colpo; inspirò e si alzò dalla sedia. In segno di rispetto, anche gli altri due presenti fecero lo stesso.

«Dovremo discutere della vostra integrazione dentro a Fronds, in un futuro molto prossimo.» Adagiò le proprie braccia lungo i fianchi, assumendo un'espressione severa. «Sentitevi pure liberi di esplorare nel frattempo. Il mio Vice, il Generale Teln, sarà a vostra disposizione per qualsiasi cosa.»

La porta si aprì di colpo, veloce, inondando la struttura con la calda luce pomeridiana del Deserto Centrale e annullando la cupa penombra della tenda. Ma la cosa più sorprendente di quella visione fu una figura, la stessa che doveva aver aperto la porta, scura in controluce.

L'inconfondibile silhouette di Xenya.

L'aria aveva prima smesso di entrare nei polmoni di Yekson per poi riempirli di colpo nello stesso istante in cui si lanciò attraverso la distanza che li separava. La colmò con un solo balzo, forse due, e si ritrovò a stringere la compagna di Settore per davvero, dopo diversi sogni a occhi aperti.

Si ricordò troppo tardi delle ali della giovane, vi aveva infatti già avvolto le braccia attorno e non aveva intenzione di allontanarsi a breve.

«Xenya... Sei tu» sussurrò, iniziando a percepire quello strano brivido di freddo che di solito anticipava i suoi pianti.

«Sono io» confermò la ragazza, stringendo a sé l'amico e senza negare la commozione che stava invadendo anche lei.

Yekson dovette sbattere diverse volte le palpebre nel tentativo di asciugare le lacrime. Certo non poteva fare una figuraccia con il Capo degli elfi; non subito, almeno. Nel gesto, però, notò un alto individuo, alto e...

«Wow» gli sfuggì sotto forma di sospiro. «E questa divinità chi sarebbe?»

«Zitto tu.» Xenya lo strinse appena, ridacchiando tra sé.

«Deduco quindi che tu ti sia accalappiata pure questo?» Il soldato sospirò fingendosi seccato, roteando gli occhi mentre tirava su con il naso.

Xenya, cauta, non rispose. In compenso, il misterioso essere sghignazzò - forse Yekson non era stato poi così discreto.

I due soldati del Cinquantatré si staccarono con lentezza e, com'era giusto che fosse, la fata notò Madeline che, qualche passo più indietro, osservava la scena a braccia incrociate. Xenya dovette osservarla per un po' per accertarsi che quella donna fosse davvero la sua mentore. In contemporanea, le due si avvicinarono di un passo.

«È un vero piacere rivederti, Xenya.» Il tentativo di formalità che l'ex Direttrice stava provando fu vano. «E lo è ancora di più potermi presentare per davvero.»

«Cosa...?»

Yekson fermò l'amica prendendole con delicatezza un polso. Entrambi avevano bisogno di risposte, certo, ma tutti necessitavano di tempo per metabolizzare e affrettare le conclusioni certo non era vantaggioso per alcuno.

«Mi chiamo Sasha Darkspire ed è per me un onore poterti seguire anche a Fronds.»

Xenya si guardò attorno, confusa, quasi si aspettasse che qualcuno prorompesse in una fragorosa risata come a dirle che era tutto uno scherzo. Certo, l'amico poteva comprenderla: nemmeno lui si sarebbe aspettato di udire ancora quel cognome.

«Io... penso di essermi persa un pezzo di storia.» La rossa strinse le labbra, deglutendo quel dolore che non era ancora riuscita a digerire.

«Ah, non ti preoccupare.» Yekson cercò di alleggerire l'argomento meglio che poteva. «Io non l'ho saputo tanto tempo prima di te.»

«Forse dovrei spiegarvi qualcosa.» Di sicuro nemmeno Madeline brillava per delicatezza.

«E allora è meglio che vi lasci.» Ger prese la parola, mostrando una strana sensibilità che, vista l'espressione, nemmeno Xenya si aspettava. «Siate però a disposizione perché presto si dovrà effettuare l'annuncio ufficiale del vostro arrivo e decidere una volta per tutte le vostre mansioni.»

«Sì, signore.» La Direttrice annuì e gli altri presenti imitarono il gesto mentre seguivano con lo sguardo l'uomo che usciva dalla tenda.

«Sasha Darkspire? Davvero?» Il tono di Yekson risultò quasi scocciato.

«Certo non potevo presentarmi a casa di S con il mio vero cognome» ragionò la donna. «Preferite sedervi? Temo sarà una cosa lunga.»

«No, grazie.» Xenya prese la parola. «Va' pure avanti.»

«Mio fratello, padre di Francis, aveva ucciso tre soldati del Ventidue per vendicare la morte della moglie rimasta vittima dei vampiri, in seguito a un attacco non contrastato a sufficienza dalle truppe» iniziò con voce grave, interrompendosi per qualche accesso di tosse. Xenya quasi parve non accorgersi del nome citato dalla Foxn. «Il ragazzo, mio nipote, è finito nel Progetto X perché figlio di un assassino. E, una volta compreso che anche Xenya vi avrebbe fatto parte, hanno mandato me come candidata al ruolo di Direttrice. Com'è ovvio, gli elfi si sono assicurati che io vincessi il bando facendo in modo che in nessun Settore fossero disponibili i moduli.»

«Quindi il signor Darkspire ha ucciso tre soldati» Yekson ragionò ad alta voce. Com'era possibile che Francis, un giovane così equilibrato, fosse cresciuto all'ombra di una madre mutante e un padre assassino?

«Ora capisci perché non avevo scelta: dovevo fingere di avere un altro nome, un'altra vita.»

Yekson vide Xenya battere le palpebre diverse volte, scioccata. Senza però indugiare oltre, le due donne avanzarono e si strinsero in un vigoroso abbraccio: certo non sarebbe stato un nome diverso a cambiare il loro rapporto.

Il soldato stava osservando la scena, sorridendo, prima che la voce bassa del bellissimo elfo lo distrasse.

«Yekson Heir, immagino.» Il giovane era appoggiato con la schiena alla parete di legno e lo squadrava dall'alto della sua infinita statura.

Yekson aggrottò le sopracciglia, chiedendosi se il giovane - dato che sapeva il suo nome senza che si fosse presentato - fosse dotato anche di chiaroveggenza.

«Esatto» rispose invece, avvicinandosi per lasciare la giusta intimità alle due donne. «Tu, invece...»

«Zehekelion Teln, ma puoi chiamarmi Zeke.» Alzò le spalle, quasi non gli importasse. «Sono il Generale degli elfi.»

«Giusto» lo interruppe Yekson. «Ger Thompson aveva accennato a te come guida per me e Madeline.»

Zeke rise senza alcun entusiasmo, riprendendo subito dopo.

«Chissà come mai mette sempre me nei guai.» Si staccò dalla parete, allungando il proprio braccio in direzione di Yekson mentre accennava un sorriso sincero. «Temo sarà meglio affidarti a mia sorella, invece.»

Il soldato accettò il gesto, stringendo la mano che gli era stata proposta.

«Come mai?» domandò Yekson, interrompendo il contatto dopo poco.

«Per via del ruolo che ti verrà assegnato. Sei ancora interessato a proseguire gli studi scientifici... O sbaglio?»

«No, assolutamente. Sarebbe magnifico.» Il soldato annuì tra sé, chiedendosi per la prima volta se fosse davvero possibile tornare a quello stato di normalità che si era sempre immaginato. «Ma come fai a sapere tutte queste cose su di me?»

«Non pensi che qualcuno avesse il compito di controllare da vicino tutti coloro con cui Xenya entrava in contatto? Oltre a Sasha, ovvio.» Zeke sorrise, tornando a poggiarsi alla parete più vicina.

«Non ci avevo pensato.» Era un ragionamento sensato, tutto sommato. «E questa persona saresti stato tu?» La domanda era stata del tutto intenzionale. Certo Yekson non era così stupido da ignorare come un certo elfo continuasse a guardare oltre le sue spalle, verso una certa fata che era intenta a conversare con Madeline. Anzi, Sasha.

«No...» Zeke ridacchiò. «Ma ho fatto le mie ricerche.» Si dilettò poi in un occhiolino che avrebbe sciolto Yekson se solo avesse avuto possibilità con quel ragazzo fin troppo etero.

Un forte rumore li interruppe: Xenya aveva appena tirato su col naso e si era posizionata dietro all'amico, mettendogli una mano sulla spalla.

Si rivolsero un sorriso sincero a vicenda: erano in arretrato di diverse sessioni di aneddoti.

«Xenya.»

Il tono di Zehekelion era melense al punto che Yekson sentì la stucchevolezza sulla punta della lingua. Con ogni probabilità, però, l'elfo stesso non se ne rendeva conto; figuriamoci la diretta interessata che dopo l'intervento, da quanto gli era stato riferito, aveva la stessa emotività di un sasso.

«Dimmi.» La ragazza si asciugò gli occhi con il dorso di una mano.

«Dato che penso tuo nonno voglia fare l'annuncio questa sera, dovresti trovare degli abiti adatti. Mi aspetti a casa tua? Accompagno Yekson da Zenith e sono subito da te.»

Il soldato sogghignò, voltandosi divertito verso la propria compagna allibita. Sì, quel poco fiuto per l'attrazione che aveva era stato perso in un qualche meandro oscuro del suo passato. Non si poteva certo darle la colpa.

«Se mi permettete, andrei a vedere che cose sono cambiate dalla mia partenza.» Sasha aveva preso la parola. «La mia casa è una: avrà di sicuro bisogno di una sistemata. Non sono certo come Zeke.»

Il Generale, allibito, lasciò che la donna gli scompigliasse i capelli prima di guardarla andarsene all'esterno. Xenya invece, con la mano ancora appoggiata alla spalla di Yekson, ridacchiò.

«Mi sono perso qualcosa per poter capire questa battuta?» chiese il soldato, osservando la scena come un estraneo.

«Solo che Zehekelion è un disastro.» Xenya si scrollò le spalle prima di uscire di gran carriera dalla tenda, dirigendosi verso un luogo a Yekson sconosciuto.

«Andiamo?»

«È già difficile?» Il soldato camminava sicuro sulla serpentina in selciato che stava percorrendo in contemporanea con Zeke.

«Di cosa stai parlando?»

Forse l'elfo aveva già capito, ma era furbo a sufficienza da non darlo a vedere. Yekson invidiava quella qualità.

«Xenya» specificò infatti. «Porta pazienza: quando è molto stressata diventa più acida dell'aria Eurasiatica.»

«Ha avuto un incubo poco fa» raccontò il Generale. «Ho solo provato a tirarla su di morale e sembra abbia fatto peggio.»

«Se ha avuto un incubo riguardante il Progetto X, cosa alquanto probabile, è comprensibile.»

«Cosa le è successo di traumatico, al di fuori delle ali?» Zeke spostò per un istante lo sguardo dal circondario per guardare il soldato negli occhi.

'È persino più intelligente del previsto.'

«Non spetta a me dirtelo.» Yekson sospirò. «Quando sarà pronta per raccontarlo, lo farà. Se può farti sentire meglio, sappi che non ne ha mai parlato davvero con nessuno.»

La meta finale dei due ragazzi, sconosciuta, si avvicinò silenziosa mentre Yekson non faceva altro che rimuginare sull'assurda differenza di altezza che lo separava da Zeke e quest'ultimo sperava solo di liberarsi dall'imbarazzo scaricando il nuovo arrivato alla gemella.

Il soldato però era troppo occupato a guardarsi attorno per accorgersi dell'espressione aggrottata del proprio accompagnatore: da piccolo non avrebbe mai immaginato che esistesse una natura così verde nei pressi del luogo dove era stata sganciata la prima bomba nucleare. Eppure eccola là: rigogliosa e incontaminata al punto che gli faceva credere di essere tornato indietro nel tempo.

«Siamo arrivati.» Zehekelion interruppe il flusso di pensieri dell'altro ragazzo. «Zenith, forse insieme al suo assistente, ti aiuterà a capire un po' meglio Fronds e, si spera, a prepararti per la festa.»

Questo dovette battere un paio di volte le palpebre per accorgersi dello strano edificio che gli appariva di fronte e soprattutto per convincersi che facesse davvero parte dello stesso accampamento.

Il grosso capanno, dal tetto piatto e relativamente basso, risaltava per via del materiale che lo componeva: vari scarti metallici uniti in maniera quasi amatoriale che sembravano punzecchiare le piccole botteghe in legno circostanti.

«Siamo nella zona delle attività: qui ognuno degli abitanti si prende in carico un lavoro e lo svolge in favore della comunità.» spiegò l'elfo.

«Un po' come a Clock» ragionò Yekson.

«Più o meno...» Zeke ridacchiò. «Ma avrai la possibilità di toccare con mano questa nostra realtà. Qui davanti a noi c'è il luogo dove lavora Zenith con il suo aiutante... Speriamo tu possa rivelarti il cervello mancante per portare avanti questo laboratorio.»

«Quindi la scienza sarà la mia mansione» sospirò Yekson. «D'accordo. Darò del mio meglio.»

«Ti lascio a mia sorella, ma non pensare che sia meglio di me.» Zehekelion gli diede una pacca scherzosa sulla spalla.

«Oh, non ci avevo sperato nemmeno per un secondo.»

La maniglia della porta era fredda ma, tirandola, una sensazione di calore pervase Yekson. Davanti a lui si aprì un grande stanzone rettangolare al cui interno, oltre che a un bel po' di effetto serra, erano accumulati diversi marchingegni e due persone che tentavano con fatica di sistemarne uno.

La ragazza, filiforme dai lunghi capelli corvini, alzò gli occhi rivelando uno sguardo violetto che scrutò l'intera persona di Yekson. Senza dire nulla, appoggiò una lunga chiave inglese su un tavolo a tre gambe e gli si avvicinò. Zenith, senza dubbio.

«Un altro, sul serio?!» esclamò, fingendosi esasperata mentre zoppicava in maniera quasi impercettibile sulla sua protesi alla gamba.

«È stato tuo fratello ad accompagnarmi qui. Mi dispiace se devi raccattare i nuovi arrivati.»

«Non parlavo di quello, anche se adesso che mi ci fai pensare...» Rise appena. «Intendevo piuttosto i tuoi gusti in materia o romantica, o sessuale, o nessuna delle due.»

«Cosa intendi?» Yekson emise una risata forzata.

«Insomma, sei omosessuale, l'ho visto appena sei entrato. Ho un gay-radar pazzesco e, guarda caso, la maggior parte della popolazione non etero si occupa di scienza, qui.»

«Quindi anche tu...»

«Lesbica, sì. Una gran brutta parola per voi di Clock. E Undrel è bisessuale.» Accennò con il mento al giovane che ancora stava lavorando alla macchina. «In ogni caso, benvenuto. Tu sei...»

«Yekson Heir» completò.

Fu il turno del ragazzo, Undrel, di alzare gli occhi verso il soldato per poi pulirsi le mani piene di olio su un camice consunto. Lo guardò negli occhi e prese a parlare.

«Benvenuto Yekson nel tempio della scienza elfica.» Estrasse da un tascone un piccolo ingranaggio per poi piegarsi di nuovo sull'arnese e alzare la voce. «Primo nostro dogma: la scienza è gay.»

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