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Le due ragazze, a distanza piuttosto ravvicinata, percorsero il rettilineo di quella che pareva l'ultima parte della serpentina presente nella zona residenziale e, dopo una curva a sinistra, si ritrovarono circondate da quattro costruzioni.
Nonostante la protesi, l'elfa si muoveva davvero bene, deambulando con l'arto meccanico che quasi di sicuro si era progettata da sola. Xenya preferì non chiederle come era stato il processo di amputazione, ben immaginando il dolore che doveva avere provato nonostante i nervi bruciati della zona incriminata.
«Davanti a noi ci sono i due bagni comuni» spiegò Zenith, fermandosi in mezzo al sentiero parecchio trafficato e indicando due enormi capannoni dal tetto piatto oltre la cui soglia si poteva scorgere la palizzata perimetrale dell'insediamento. «Sinistra per le donne e destra per gli uomini. Stai attenta, non ci sono segnali e quindi ti conviene ricordare da che lato vuoi stare.»
L'elfa fece l'occhiolino a una fata piuttosto sbalordita, avvicinandosi con lentezza alla porta di sinistra.
'Sinistra, Xenya. Evita brutte figure da subito.'
La giovane dagli occhi viola si bloccò all'improvviso, finendo col fare schiantare la soldatessa addosso a sé.
«Visto che ci sono» esordì, all'apparenza senza accorgersi dell'impatto «ti spiego questi altri due posti.»
«Come vuoi...» borbottò Xenya, dolorante a una spalla.
«Qui a destra c'è la mensa. Penso che dentro a Clock tu abbia sperimentato quanto fa schifo il cibo da condividere.»
«Già.» La ragazza annuì, osservando l'edificio a tetto spiovente - anch'esso adagiato a ridosso della recinzione - e rendendosi conto per la prima volta di quanto era affamata. Erano dieci giorni che non godeva di un pasto definibile tale.
«Beh, dimentica cosa pensavi prima delle mense comuni!» esclamò contenta Zenith. «Qui coltiviamo il cibo che mangiamo e posso assicurarti che è fantastico.»
Il volto di Xenya si aprì in un sorriso gioioso: tutto sommato anche quello che aveva mangiato al Progetto X non era male, ma le quantità lasciavano parecchio a desiderare.
«Qui a sinistra abbiamo la rimessa» riprese l'elfa «o almeno tutti la chiamano così: non so se abbia mai avuto un nome ufficiale, in realtà. Se hai bisogno di qualcosa, qui lo troverai: a partire vestiti nuovi se mai crescerai...» La squadrò con iridi viola e divertite nel profondo. «Sino ad attrezzi per il giardino e arredi per la casa.»
«E come potrei pagare queste cose?» chiese Xenya, ignorando di proposito la battuta.
«Comprare?» Zenith rise di gusto. «No, qui non si compra! Non si baratta, nemmeno. Tu arrivi e prendi quello che ti piace o - nel caso fosse già stato preso o hai richieste specifiche - compili un modulo di richiesta. Gli addetti alla rimessa si preoccuperanno di rubarlo per te il prima possibile.»
«Oh, giusto. Voi rubate all'Ordine.»
«Non capisco perché ti sorprenda tanto...» L'elfa si accigliò. «Pensa a tutte le cose che Clock ha rubato ai propri abitanti. A te, per esempio, ha tolto la famiglia e una vita da sana di mente; a me e a Zeke una vita in generale.»
«Cosa intendi?»
«Non ne parlo mai... Potresti chiederlo a mio fratello più tardi, dato che di solito è più aperto su questo argomento.»
«Certo, scusa.»
«E di cosa?» Zenith sorrise, cancellando ogni segno di turbamento. «Per quanto riguarda la rimessa, dopo il bagno potrai sperimentarlo di persona dato che ti cambierai. Almeno spero tu voglia cambiarti.»
«Beh, certo...» La fata ridacchiò. «Ma il problema sono le ali: hanno bisogno di un alloggiamento tutto per loro.»
«Al limite glielo creeremo noi, questo alloggiamento.»
«Pensavo fossi un'ingegnere, non una sarta...» Xenya corrucciò le sopracciglia, intenta a sostenere il gioco.
«Beh, pensi bene!» esclamò l'altra, divertita. «Ma abbiamo personale addetto anche a quello.»
Anche Zenith doveva essere una personalità di spicco perché, non appena le due ragazze giunsero nello spogliatoio femminile che fungeva da anticamera al bagno vero e proprio, diverse donne dalle altrettante svariate età la salutarono contente. Una di loro rivolse addirittura un sorriso imbarazzato a Xenya, forse dovuto alla sua presenza del tutto estranea in quell'accampamento.
«Dopo la porta lì davanti ci sono le docce» spiegò Zenith mentre aspettava che Xenya finisse di spogliarsi «Ti basta sapere che l'acqua è calda perché proviene da una fonte termale che viene aperta per un certo periodo la mattina.»
«Perfetto» borbottò lei mentre, dopo essersi sfilata il vestito tagliato e rovinato, faticava ad aprire le cerniere della t-shirt.
«Aspetta, ti do una mano» si offrì l'elfa, avvicinandosi. «Hai i capelli in mezzo» constatò, scostandoglieli poi su una spalla e, abbassate le zip fino all'orlo inferiore della maglia, aiutò la ragazza a sfilarsela.
«Grazie.» Xenya sorrise, voltandosi e prendendo l'indumento nero dalla mani dell'altra ragazza. «Questa posso lavarla in qualche maniera oppure è meglio buttarla?»
«Qui non si butta niente!» Zenith le fece l'occhiolino, inserendo ancora un po' più di asciugamano dentro la piega sotto l'ascella perché si sorreggesse da solo. «Più avanti ci sono anche delle lavatrici, basta che inserisci il tuo straccetto dentro quella con sopra scritto nero.»
«Ma se è scritto con lettere latine...»
«Nessun problema, ti aiuto io. Poi immagino tu voglia lavare anche quella bomba di reggiseno.» Con il mento accennò all'unico capo che copriva la zona alta del suo corpo. «Nonostante le doti del nostro sarto, non penso si possa riuscire a riprodurre una cosa del genere.»
Quel reggiseno, infatti, era stato studiato apposta per lei ai Palazzi per far sì che non intralciasse con il movimento delle ali: spalline e banda di sostegno inferiore erano dotate di un adesivo particolare che diventava quasi un prolungamento della pelle stessa della soldatessa.
«Dai, sbrigati. L'acqua calda non aspetta.»
«Certo.» Xenya sorrise, cercando di contrastare un'espressione di tormento mentre si staccava a fatica quel comodissimo ma odiosissimo reggiseno.
«Ti prendo un asciugamano intanto» affermò in velocità Zenith, un po' a disagio.
La soldatessa, nel frattempo, si era sfilata anche gli slip, prendendo dunque a osservare interessata i vari tessuti in una scomoda attesa.
«Eccolo qui! Che fortuna, è proprio l'ultimo» sorrise contenta l'elfa, tornando verso l'amica e lanciandole addosso l'asciugamano.
«Grazie mille.» Xenya sorrise, piegando poi le ali il più possibile contro la gabbia toracica e tenendosi il pezzo di morbido tessuto con le mani all'altezza del seno, ma Zenith era già diretta verso le docce. La soldatessa afferrò al volo i capi che aveva intenzione di risparmiare e corse a piedi scalzi sino al raggiungimento dell'amica. «E poi, scusami, chi è che dice ancora perbacco?»
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La lavatrice era forse l'attrezzo più impossibile con il quale Xenya avesse mai avuto a che fare. Ma grazie al pronto intervento di Zenith, forse, al termine della doccia avrebbe riavuto i capi a cui si era tanto affezionata.
Il bagno comune dall'interno non era così grande come la soldatessa di era immaginata: sul fondo c'erano una trentina di soffioni separati da dei box doccia rudimentali che constavano in semplici assi che fungevano da divisorio. Emanavano un particolare odore di legna bagnata; c'era qualcosa di strano e piacevole in quell'aroma che stuzzicava le narici. Nell'intero ambiente aleggiava vapore caldo e profumato - con ogni probabilità dovuto alla vasta selezione di saponi che era esposta in un bellissimo tavolo posizionato al centro dello stanzone.
«Li produce una piccola attività» aveva spiegato Zenith mentre versava il detersivo in una vaschetta della lavatrice, notando come la nuova arrivata aveva mostrato interesse per quella zona. «È una famigliola che, arrivando qui, ha scoperto un vecchio libro di erboristeria e ha deciso di provare a creare saponi. Sperimentano sempre cose nuove, quindi stai attenta alle saponette più piccole: di solito sono cose inventate di fresco che vogliono testare a spese di altri.» Aveva sorriso appena mentre chiudeva lo sportello della lavatrice. «Ricordo che Zeke ne aveva provato uno rosso, bellissimo. Peccato che fosse al peperoncino con un dosaggio errato ed è rimasto irritato per un'intera settimana.»
Anche Xenya aveva riso, immaginandosi il bel ragazzo dagli occhi chiari con una pelle del tutto infiammata.
«Quale consigli?» aveva dunque chiesto, assai desiderosa di non fare una brutta fine.
«Io di solito sono predisposta per quello alla rosa, Zeke preferisce il gelsomino... Tu prova quelli più grandi fino a quando non trovi quello che più ti aggrada.»
E così si erano ritrovate davanti al tavolo, fingendosi interessate alle varie fragranze mentre in realtà attendevano che si liberassero due box doccia.
«Trovato quello che ti ispira» spiegò Zenith, prendendo in mano una bella saponetta bianca con scaglie rosa all'interno «tagli il pezzo che pensi ti possa servire. Sì, è una pratica complicata che però si affina con gli anni.» Ghignò divertita dallo sguardo sperduto della giovane. «Per te, al momento, consiglio un pezzo piuttosto consistente.»
«Grazie, eh.» Xenya la guardò storta, nascondendo il proprio turbamento. D'istinto prese una saponetta che era già stata tagliata in precedenza, bianco avorio. «Questa mi ispira.»
«Bella scelta...» Sorrise storta. «Gelsomino: Zeke sarebbe orgoglioso di te.» E con un colpo secco, affondò la lama nel sapone e allungò un pezzo alla soldatessa.
Nel frattempo, due ragazze più o meno dell'età di Xenya si erano allontanate tenendosi per mano - senza asciugamano.
«Layla e Jessica.» L'elfa le presentò mentre le seguiva con lo sguardo. «Le altre due lesbiche dell'accampamento.»
«Oltre a chi?»
«Oltre a me!» Zenith ridacchiò, massaggiandosi una spalla. «Pensavo lo sapessi.»
«In realtà no, ma non ti preoccupare... Non ho alcun problema.»
«Vuoi dire che non è evidente?» E iniziò a battere le lunghe ciglia scure, civettando senza ritegno.
Xenya rise e si avviò verso uno dei due box doccia lasciati vuoti e Zenith si posizionò in quello accanto. Appoggiò l'asciugamano sull'appendiabiti accanto e posò i piedi sulle mattonelle ancora bagnate. Le ali, come già immaginava, non sarebbe riuscita a spiegarle ma almeno sarebbe riuscita a lavarle senza eccessive difficoltà.
Aprendo l'acqua che si riversò veloce addosso alla soldatessa, questa rifletté sul diverso rapporto che gli elfi sembravano avere con il proprio corpo. Diversamente da quello che l'Ordine le aveva insegnato, la nudità delle due ragazze non l'aveva messa in soggezione a tal punto di non riuscire a guardarle o interagirci.
Dentro Clock la mentalità era molto diversa: persino i bambini andavano coperti dopo il bagno, e mostrare una scollatura troppo profonda finiva con il ricevere un rimprovero formale dal Consigliere di Settore.
La ragazza era contenta di sapere che l'accampamento era un posto sicuro e che chi avesse voluto esprimere se stesso in maniera diversa era pur libero di farlo.
Sorrise, iniziando a strofinare la profumatissima saponetta lungo il corpo e soffermandosi più a lungo sulle zone ancora sporche di sangue e terra. L'acqua trascinava verso lo scarico una parte dello spesso strato di corazza che Xenya si era creata, permettendole alla fine di sbocciare come un fiore e aprirsi alle nuove mentalità elfiche, alla sua nuova vita.
«Alla fine mi sono dimenticata di chiedertelo.» La voce di Zenith arrivò a malapena alle orecchie della soldatessa. «Gwen ti è stata di aiuto?»
«Chi?» A Xenya quasi scivolò la saponetta le cui dimensioni erano di molto diminuite.
«La bambina che è venuta da te durante la prigionia. È una mia cara amica. Io avevo l'esplicito divieto di avvicinarmi ma chi è una guardia per poter fermare quel terremoto di Gwen?»
Xenya sorrise all'unico ricordo positivo di quei giorni.
«È stata di grande aiuto, sì. Spero di riuscire a ringraziarla prima o poi.»
Nessuna risposta venne udita dalla fata e la cosa le permise di concentrarsi ancora una volta su di sé e, con più precisione, sul ristabilire un livello decente di igiene. Solo ripensare alle condizioni con cui aveva girato per l'accampamento le generava un certo ribrezzo.
«Beh, insomma.» Zenith quasi urlò per farsi udire oltre il rumore dell'acqua. «Mi racconti della Connessione Mentale o no?»
«Va bene!» rispose l'altra, risciacquandosi le gambe mentre iniziava a preoccuparsi per i capelli. «Ci siamo viste tre volte. Dopo la fine delle prime due non sapevo nulla di ciò che era accaduto, ma durante l'ultima sono stata sottratta alla Connessione e quindi ho potuto ricordare anche i precedenti incontri.»
«Però ci siamo di fatto incontrate una volta sola. Che visita era per te?»
«La seconda» affermò. «Per te?»
«Ventiduesima.»
Nonostante la semi-parete in legno che le separava e lo scroscio incessante dell'acqua, Xenya poté udire la risata dell'elfa dall'altro lato.
«Tengo un diario, sai» riprese Zenith dopo qualche istante. «Numero ogni volta che entro e dopo essermi svegliata faccio in modo di annotare ogni informazione che ci siamo scambiate.»
«La prima volta che io sono entrata, mi hai raccontato della leggenda dell'eclissi e dello smeraldo» raccontò Xenya, districando alla bell'e meglio i lunghi capelli con le dita «Per un momento siamo anche uscite dalla sfera viola e mi hai mostrato una grotta... Ci eravamo dentro.»
Ancora una volta la distinta risata di Zenith superò la barriera.
«Ah, quella leggenda. Ger la raccontava sempre a me, a Zeke e a ogni bambino che gli capitava sotto tiro.» Rise ancora. «Mi dispiace di averti tediato con quella storia. È sempre servita a far stare al proprio posto i bambini, convincerli che se si comportavano male sarebbe arrivata la fantomatica eclissi.»
«Anche io l'ho sentita quella leggenda...» si limitò a rispondere Xenya, un poco turbata all'idea che Zenith trovasse stupida l'unica cosa che aveva aiutato la soldatessa a crescere. In ogni caso la lettera di nonno Herald era andata perduta e, quindi, non c'era motivo per cui essere offesi.
«La seconda volta hai detto che ci siamo viste, quindi la terza è quella in cui hai visto il Deserto Centrale attraverso i miei occhi?»
«Esatto. Ti ho toccata nel punto in cui ti avevo sparato e ho iniziato a vedere come te: il lago, Zehekelion al largo che faceva il bagno... Percepivo anche le tue emozioni come se io stessa le provassi.»
«Sì, di questa cosa ne ero consapevole.» La giovane elfa interruppe poi il flusso d'acqua e apparve alla vista di Xenya, del tutto nuda.
Di colpo la rossa le diede le spalle, imbarazzata mentre persino le punte dei piedi prendevano il colore dei suoi capelli.
«Non pensavo ti desse fastidio...» sussurrò Zenith. «Scusami, puoi pure girarti. Torno dietro la parete, tanto non c'è nessuno che aspetta.»
«Non è che mi da fastidio...» cercò di giustificarsi Xenya. «È che eri troppo vicina»
Aveva senso? No, forse no.
«E insomma hai visto il Deserto Centrale prima di arrivarci con il fisico» Zenith cambiò argomento poco dopo, parlando a voce alta dietro le assi di legno. «Bisognerà di certo approfondire la cosa.»
«Bene... Ho finito» annunciò la fata, avvolgendosi l'asciugamano morbido attorno al corpo e guardando la figura dell'elfa sbucare di nuovo - questa volta coperta.
I capelli neri, bagnati, scendevano lisci e lasciavano cadere delle piccole gocce sulle clavicole della ragazza che poi scivolavano sul suo petto sino a essere assorbite dal tessuto bianco che le copriva il seno.
«Possiamo andare, se dici. Tra non molto farai il tuo debutto nella società elfica... Non vorrai mica far tardi!» E con un occhiolino ripercorse la strada verso la zona lavatrici dalle quali estrasse gli abiti puliti e asciutti della soldatessa e glieli passò.
Senza dire una parola, si diresse poi in direzione degli spogliatoi, ondeggiando i fianchi in una maniera che costrinse Xenya a distogliere lo sguardo.
All'uscita dal bagno comune, tutte le persone che si muovevano in precedenza erano sparite. La fata si guardò attorno, stupita ma non troppo.
«Oh, perbacco. Come al solito ho fatto più tardi del previsto.» Alzò le spalle, per nulla turbata. «È già ora di pranzo e quindi la rimessa è chiusa. Dovrò per forza prestarti qualcosa di mio!»
E con un sorriso entusiasta, Zenith riprese a oscillare dentro l'asciugamano, svolazzando verso casa propria.
Il percorso di ritorno per qualche motivo parve più breve a Xenya che, con i piedi ancora umidi dentro gli stivali asciutti, si guardava attorno quasi volesse imprimersi quei panorami nella mente per osmosi.
Si era stretta dentro il morbido tessuto fradicio per metà, vergognandosi di essere scoperta in quella maniera in un luogo così pubblico - e non si riferiva al corpo in sé. Le punte superiori delle ali sbucavano dall'asciugamano bianco e, per quanto Xenya avesse tentato in tutte le maniere di stringersele addosso per nasconderle, due ironici spuntoni per spalla sorridevano all'accampamento degli elfi, quasi a voler ricordare alla soldatessa che, di fatto, non sarebbe mai stata parte di quell'ambiente.
Ma almeno l'avvicinamento alla casa del meccanico impazzito fu veloce e, in breve, la rossa fu in grado di tirare un sospiro di sollievo mentre si richiudeva l'uscio alle spalle.
«Ci avete messo un sacco.» La voce di Zehekelion si fece spazio tra i timori di Xenya e questa, voltandosi con una tale fretta da farle arrivare i capelli in faccia, sentì nascere dentro di sé la più sgradevole sensazione che avesse mai provato.
«Era tutto occupato, mica posso farci niente se tutti sono in vena di lavaggi» sbuffò Zenith, rispondendo col suo solito tono solo all'apparenza irritato.
La ciocca bagnata di capelli rilasciava ritmiche gocce che impattavano con il naso della ragazza che non sapeva più dove guardare: anche Zeke sembrava vittima dello stesso dubbio e non riusciva a distogliere gli occhi chiari da quelli della soldatessa e dalla sua chioma che, piena d'acqua, creava dolci onde.
Zenith si mise a braccia incrociate, tra i due, prendendo a guardare prima uno e poi l'altro. Dovette ripetere il gesto un paio di volte prima che il suo gemello si decidesse a prestarle attenzione, interrompendo il contatto visivo con un colpo di tosse.
«Immagino la rimessa fosse chiusa» decise poi di dire, facendo tremare la voce di poco sulle doppie.
«Già...» affermò la sorella, un ghigno impresso sul volto. «Ed è proprio per questo che devo prestarle qualcosa di mio. Ti dispiace?»
La stanza, nascosta dietro a una porta camuffata nella parete, era piccola ma accogliente. L'aroma che vi aleggiava all'interno aveva un ché di muschiato, forte ma tutto sommato piacevole - ricordava alla lontana il profumo di David.
Xenya scosse la testa, decisa di vivere il momento senza ricadere nel vizio dell'essere rapita dal passato. Un materasso singolo era adagiato accanto al muro, sopra una rete che, sotto il peso di Zenith che vi si sedette sopra, emise un cigolio poco rassicurante.
«Siccome non ho intenzione di tagliare i miei bellissimi vestiti» iniziò, scostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio con le dita «direi che la tua maglietta, adesso che è pulita, possa andare.»
«Perfetto» commentò la soldatessa, ben felice di poter indossare qualcosa con il quale aveva già confidenza.
«Per quanto riguarda le tue gambe...» sussurrò, scorrendo lo sguardo lungo gli arti ormai asciutti della ragazza. «Direi di poterti prestare un paio di miei jeans.»
Si alzò quindi dal letto e, dalla foga, l'asciugamano che la copriva le scivolò lungo il corpo sino a depositarsi a terra. Xenya, con un sospiro sorpreso e turbato, si coprì gli occhi.
«Calmati tesoro.» Zenith ridacchiò. «Ormai la gente è stufa di vedermi nuda, quindi se per te non è un problema puoi pure guardare.»
Seppur titubante, la soldatessa tolse la mano da davanti il viso e si concentrò per non invadere la privacy dell'elfa che, nel frattempo, stava rovistando in una vecchia cassettiera dandole le spalle.
Dopo aver gettato un paio di capi sul materasso accanto, estrasse un tessuto blu scuro all'apparenza ruvido e lo lanciò alla cieca addosso a Xenya. Questa, presa alla sprovvista, lo afferrò poco distante dal proprio viso.
«Beh, la maglia ce l'hai con te, giusto?» chiese Zenith, iniziando a vestirsi.
Xenya annuì e prese a indossare l'intimo senza troppa vergogna, seguito poi dagli abiti.
Mentre si allacciava gli stivali, però, le sorse un dubbio.
«Ma... cosa sarebbe un pranzo?»
Zenith bloccò la sua azione, allibita.
«Tu non hai mai pranzato in vita tua?» La domanda quasi risuonò come un insulto.
«Davvero, io...» Si schiarì la voce per darsi un tono. «Non ho la minima idea di che cosa sia.»
«È quando mangi prima del pomeriggio... Colazione, pranzo e cena... Tre pasti al giorno. Mai fatti?»
«Solo colazione e cena... Non penso di essere in grado di mangiare a metà.» Uno sguardo quasi di disgusto le attraversò il volto.
«Assurdo!» Zenith prese a ridere. «Voi di Clock siete pazzeschi. Sono sempre stati tre i momenti in cui mangiare, sin dall'antichità!»
«E chi l'avrebbe deciso? Sentiamo.»
«Beh...» Per la prima volta fu colta impreparata. «È consuetudine! Perbacco, non posso credere che tu sia riuscita a vivere senza mangiare a mezzogiorno!»
Xenya sbucò con la testa dal collo della maglia e, dopo essersi chiusa a fatica le cerniere, fu pronta per andare.
«Non hai una giacca o... qualsiasi cosa?» la pregò. «Non posso farmi vedere in queste condizioni.»
«Le tue ali non hanno nulla che non vada. Sii orgogliosa di come sei e sbrigati: Zeke starà già battendo il piede per terra dalla frustrazione.»
Accogliendo con un sorriso l'occhiolino di Zenith, Xenya si voltò e uscì dalla camera, ritrovandosi davvero davanti a un elfo in chiara ansia.
«Sono stufo di vederti vestita di nero.» Sbuffò, fermando il moto del suo piede destro.
«Ma a me piace» protestò la ragazza.
«Solo perché non hai mai indossato altro.»
Senza attendere oltre, l'elfo aprì l'uscio e l'aria calda si riversò dentro la casa di Zenith. Xenya prese un profondo respiro e si ritrovò a essere sempre più bramosa di quel particolare profumo di resina e legno che dominava l'atmosfera dell'accampamento. Ogni respiro sembrava il primo e, con evidente sorpresa, adorava sentirsi così estranea alla quotidianità elfica: non avrebbe rivisto l'insediamento per altre prime volte, quindi tanto valeva approfittare di ogni singolo istante.
Il percorso svolto a ritroso lungo il sentiero a serpentina della zona residenziale fu tranquillo, non incrociarono anima viva e quindi, in assenza delle continue riverenze nei confronti di Zehekelion, giungere alla zona politica fu un processo silenzioso e solitario.
L'elfo si bloccò una decina di passi prima dell'accesso alla tenda e si voltò verso l'accompagnatrice con uno sguardo preoccupato.
«Se non te la senti possiamo tornare indietro» le sussurrò con apprensione.
«Se non comincio adesso ad affrontare le mie paure, quando inizierò?» La voce di Xenya fuoriuscì calma e pacata, nonostante fosse davvero in pena per il così vicino incontro. Non avrebbe saputo cosa fare, cosa dire, come...
'Andrà tutto bene.'
Inspirò a pieni polmoni e, una volta ricambiato il sorriso di Zeke, quest'ultimo annuì e aprì la porta della tenda, rivelando lo stesso interno visto in precedenza, fatta solo eccezione per il tavolo che nel frattempo era stato apparecchiato.
I due giovani avanzarono, sino a entrare nel cono di luce proiettato dalla lampada appesa sopra al centro dell'edificio.
Ger si alzò dal posto che occupava a capotavola con uno strano sorriso stampato sul volto.
«Temevo non sareste più arrivati» esordì.
E in effetti sarebbe stato un problema, considerato che in tal caso avrebbe dovuto pranzare da solo. Delle persone a cui aveva alluso qualche ora prima, infatti, non c'era traccia: sarebbe stato un pasto a tre. Un imbarazzante pasto a tre.
«Abbiamo avuto degli imprevisti» minimizzò Zeke, sorridendo prima di prendere posto alla destra di Ger e fare un cenno a Xenya perché si sedesse su quella davanti a lui.
Incerta sulle strane usanze che gli elfi parevano avere, la ragazza si mise sotto al tavolo cercando di fare meno rumore possibile. Lo sguardo le cadde sulle strane stoviglie in legno che erano state posizionate sopra al tavolo senza alcuna tovaglia o altro: una coppa intagliata piena d'acqua per ciascuno, delle posate e una ciotola a testa, un po' instabile, che conteneva diverse piccole sfere viola mollicce con delle foglie verdi in parte arrostite. Xenya si chiese se fossero di decorazione o bisognasse mangiarle sul serio.
«Gnocchi» spiegò Zehekelion, sussurrando dopo aver visto lo sguardo incerto della soldatessa «Gnocchi di patate viola.»
Xenya annuì, rilassandosi sullo schienale della sedia dopo aver verificato che le ali fossero ben aderenti alla schiena. Con la propria forchetta prese poi una sfera e la mise in bocca, gustandone la consistenza burrosa. Dopotutto, dopo dieci giorni di digiuno, mangiare a metà giornata non sembrava una cosa troppo sbagliata.
«Le foglie sono salvia» riprese Zeke, divertito nel vedere come la fata le stesse impilando in modo sistematico su un lato del piatto. «Le puoi mangiare, sono aromatiche» specificò. Pareva quasi che il giovane Vice stesse illustrando il piatto non tanto per il gusto di farlo quanto, piuttosto, per colmare il silenzio che se no sarebbe calato nella tenda.
Xenya, titubante, raccolse con la posata la foglia ammollata e la studiò: il profumo era forte, inebriante. La mise in bocca, intera, aspettandosi che il gusto rispecchiasse l'odore ma, al contrario, era più saporita e quasi croccante mentre le pizzicava la lingua. Curiosa di provare l'abbinamento con questi gnocchi, ne mise in bocca un altro e lo masticò insieme alla salvia, scoprendo una complementarietà di gusti che non immaginava.
Zehekelion prese a sorridere mentre osservava la nuova arrivata alle prese con uno dei piatti più classici per gli elfi, uno dei cibi del passato. Nascose il proprio divertimento riempiendosi la bocca con alto cibo nello stesso istante in cui Ger trovò il coraggio di iniziare una conversazione.
«Benvenuta a Fronds, Xenya. Siamo davvero contenti di poterti accogliere tra noi come una pari.»
«Fronds?» si limitò a chiedere lei, dubbiosa, dopo aver deglutito il boccone.
«Sì.» Ger sorrise. «Per tradizione, spetta al Capo raccontare il nome dell'accampamento ai nuovi arrivati. Significa fronde, come quelle degli alberi: questo luogo infatti è stato quasi del tutto costruito con il legno, per non parlare del significato filosofico del nome, ma non sono tanto bravo a spiegarlo come Zehekelion.» Guardò il suo Vice con orgoglio. «A te la parola.»
«Beh» iniziò «l'accampamento è il frutto di una storia burrascosa - le radici - e di persone che si sono messe in gioco - il tronco. E come risultato di ciò, è proteso verso un futuro migliore come, appunto, le fronde.»
«Wow...» commentò Xenya, ammirata.
Seguì altro silenzio, spinoso ma necessario perché la fata potesse finire il proprio cibo che già si stava raffreddando. Una volta terminato, non fece in tempo ad agguantare la coppa per bere che Ger riprese a parlare.
«Progetto X, dunque.» Posò la posata sul tavolo.
'Ci siamo' pensò Xenya. Il Capo degli elfi che voleva informazione sul suo nemico e non un nonno che desiderava comprendere la nipote. Ma dopotutto, cosa si aspettava?
«Già» rispose invece, certa che il suo disagio si potesse scorgere. Trangugiò l'acqua rimasta e appoggiò il bicchiere in silenzio.
«È da più di una settimana che siamo al corrente che tu hai ucciso Matt Strength. È corretto?» Xenya annuì. «E in apparenza queste tue ali inorganiche ti hanno permesso di arrivare fino a qui. Immagino provengano dal Progetto.»
Ancora una volta la ragazza fece un cenno d'assenso.
«Me la hanno impiantate quasi una stagione fa» raccontò, realizzando per la prima volta quanto tempo era trascorso dall'innesto. Dall'ascensione di David. Dalla morte di Francis.
«Com'è possibile?» chiese Ger. Zehekelion scosse appena la testa.
«Non lo so» ammise la ragazza, per nulla in soggezione. «L'avevano spacciato per un intervento relativo alla mia salute e, quarantuno giorni dopo, mi sono svegliata con delle ali artificiali.»
«E non ti è venuto il dubbio che potessero tramare contro di te?» Ger alzò un sopracciglio, ostentando una certa arroganza che fece ribollire il sangue di Xenya nelle sue vene.
«Si sono ben assicurati che non avessi la stabilità mentale per farlo.»
«Cosa intendi?»
«Hanno ucciso una persona. Ne hanno quasi annegate delle altre, hanno fatto in modo che il mio compagno di Settore si rivelasse nipote di S. Tutto nello stesso giorno» raccontò in velocità, tutto d'un fiato, sentendo ogni ricordo come una grave e profonda scottatura.
«Capisco...» Ger inspirò, poggiandosi allo schienale. «Continua.»
«Da quel poco che mi è stato spiegato, mi hanno iniettato una sostanza che permette ai nervi e ai muscoli umani di fondersi con quelli creati in laboratorio.»
«Quindi non sei in parte macchina» ragionò il Capo.
«No. Sono un mutante indotto.» E per la prima volta, Xenya non percepì alcuna vergogna o disgusto nell'affermarlo. «Sono una fata: è così che Strength mi ha definita.»
«Pazzesco.» Ger si grattò il mento, pensieroso, lasciando trascorrere qualche slezioso istante prima di riprendere. «Potremmo provare a toglierti queste ali: sono certo che Zenith potrebbe aiutarti.»
«Perché dovrei?» sbottò Xenya, rendendosi conto solo in seguito del tono insolente che aveva utilizzato. «Insomma, me le hanno impiantate solo perché potessi diventare più forte: ora ho più possibilità di vincere contro il Consiglio.»
«Non si tratta solo di forza fisica» si intromise Zeke, cercando di riportare la conversazione su un terreno meno insidioso. «Non sappiamo nulla sui loro piani. Dovremo attendere il ritorno della Foxn per avere qualche informazione.»
Xenya si stupì che non avesse usato il nome di battesimo della Direttrice che era lei stessa un'elfa. Ma non ci diede eccessivo peso.
«Ci sono anche io, l'ho vissuto quel Progetto» affermò invece, rigorosa, ignorando la paura di un non ritorno da parte di Madeline e un non arrivo di Yekson.
«Certo.» Fu il turno di Ger di entrare nella discussione. «E riguardo ciò dovremo parlare. Ma per il momento vorrei solo che tu sapessi che sei la benvenuta a Fronds.»
Xenya abbassò lo sguardo, al contempo delusa e irata.
«Bene.» Il Capo prese di nuovo la parola, appoggiando i gomiti sul tavolo. «Penso possiate risparmiarvi il discorso di ritorno, non piace mai a nessuno.» Sorrise, aspettandosi di essere ricambiato. «Xenya, immagino tu abbia bisogno di ambientarti. Zehekelion potrà senz'altro aiutarti: nessuno è più bravo di lui a fare sentire le persone a proprio agio.»
Zeke per poco non si strozzò: rosso, nascose la propria difficoltà dietro al bicchiere in legno.
«Dovremo parlare ancora, Xenya» ribadì Ger e con un breve saluto li congedò, guardando il futuro dell'accampamento allontanarsi dalla tenda.
Una volta richiusa la porta della tenda, entrambi tirarono un lungo sospiro di sollievo.
«Devi scusarlo,» iniziò Zehekelion «nonostante ci provi, Ger non è mai stato in grado di essere una figura di riferimento. Bisogna solo abituarsi a considerarlo un insegnante, un tutore.»
Iniziò d'un tratto a imboccare il sentiero del ritorno, costringendo Xenya ad accelerare di colpo per stargli dietro.
«Perché parli così?» domandò la fata, preoccupata per il tono assunto dall'elfo.
«Immagino che Zenith non ti abbia raccontato dei nostri genitori, fa ancora molta fatica.»
«In effetti quando è uscito l'argomento ha detto di chiedere a te.» La ragazza sospirò. «Ma non voglio forzarti a richiamare ricordi dolorosi: so cosa si prova.»
«Non sono affatto dolorosi per me» ribatté. «Una volta imparato che tutto accade per una ragione, compreso ciò che fa più male, si inizia a vedere il lato positivo in tutto.»
«Sarebbe bello...» Xenya ridacchiò amara.
«Nostra madre ci aveva concepiti da poco quando mio padre, durante una ricognizione, è stato sottoposto alla trasfusione ed è diventato parte di un clan di vampiri. Ha dovuto lasciare nostra madre, sola e incinta, al Settore Quarantacinque. Quando lei ci ha partoriti era in corso la prima rivolta verde e, una volta visti gli occhi di Zenith, temeva per la nostra sopravvivenza.» Xenya ricordava molto bene come le iridi viola, scambiate per un marchio degli stregoni, erano costate una gamba alla proprietaria. Zehekelion sospirò prima di riprendere il racconto. «Ci ha consegnati a uno dei rivoltosi che stava cercando sostenitori dovunque, nella speranza che potesse darci una vita migliore di quella che avremmo potuto avere nell'Ordine. Questo rivoltoso era Ger.»
«Quindi è stato lui a crescervi... Per questo tu sei il suo braccio destro.»
L'elfo rise, arrestando per un istante il suo incedere prima di proseguire ancora.
«Come ho già detto, sono stato il tuo sostituto per tanto tempo. E sono contento di non essere il futuro Generale come forse sarai tu» affermò, frettoloso. «Ma Ger ci ha cresciuti più per dovere morale che per desiderio di farlo. Non pensare che sia un uomo cattivo, anzi, ma hai visto anche tu come la pace per lui venga prima di tutto, prima della famiglia, prima dell'amore. Non è colpa sua se è sempre stato sottoposto a troppa pressione perché potesse avere altre priorità al di fuori dell'instaurare un regime giusto.»
Xenya espirò, lasciando che qualche prezioso minuto di silenzio scorresse tra i due. Se n'era accorta. Ed era spaventata di poter finire come Ger.
«Ti consiglio solo di non idealizzare in lui nulla fuorché un leader» riprese Zeke. «Te lo dico per esperienza: trova la tua famiglia in qualcuno che possa donarti l'amore che meriti.»
Il resto del tragitto fu caratterizzato dalla brezza pomeridiana che si infilava tra le ordinate fila di case della zona residenziale, facendo tintinnare le campane a vento in una rilassante melodia. Zehekelion, di sottecchi, osservava Xenya sbadigliare e sorrideva.
«Sei stanca?» chiese. La sensibilità implicita nella domanda spiazzò la soldatessa.
«Sì, penso.» La ragazza sorrise.
«E allora che ne dici se ti accompagno alla tua capanna?»
«Ne ho una pure io?» domandò, sorpresa. Non si era nemmeno posta il problema di dove dormire.
«Ovvio! E da un sacco di tempo, tra l'altro.» Zeke rise. «La tua è vicina a quella mia e di Zenith, così se hai bisogno potrai tranquillamente andare da lei.»
Xenya rise.
«Perché, tu non mi apriresti la porta?» Lo guardò storto.
«No, non penso.» Con un occhiolino il ragazzo terminò la conversazione e le prese l'avambraccio, quasi trascinandola lungo il sentiero.
Xenya trattenne un gridolino e diverse risate, al contempo stupita e divertita di essere tornata indietro nel tempo con qualcuno - al tempo suo padre, in quell'istante Zehekelion - che la trascinava in giro, correndo, per il centro abitato.
In breve furono di nuovo davanti alla bifamiliare meccanica-trascurata, stremati ma molto divertiti. Ridendo, entrambi poggiarono i palmi sulle proprie ginocchia per riprendere il fiato sfruttato male.
«Dai, devi andare a dormire adesso» affermò Zeke tra un affannoso respiro e un altro.
Sistematosi di nuovo in posizione eretta, iniziò a camminare verso la bifamiliare successiva, seguito a ruota da Xenya che, vorace, osservava la sua nuova casa.
Il manto erboso era curato e lo stesso valeva per l'esterno della casa, tutto curato ma davvero... basico.
«Puoi scegliere la metà che preferisci» spiegò l'elfo, ancora a corto d'aria.
«La sinistra» decise Xenya, senza alcuna ombra di dubbio.
Zehekelion annuì contento.
«Chissà come mai, ma me l'aspettavo. Beh, meglio così.» Alzò le spalle.
«Cosa vuoi dire?» domandò la soldatessa, dubbiosa.
«La tua giacca non è andata perduta e l'ho messa dentro la casa di sinistra» spiegò d'un fiato.
«Cosa?!»
«La tua giacca del Progetto X non è stata persa.»
E senza che il cervello avesse il tempo necessario per elaborare cosa Xenya stesse facendo, questa saltò in alto e si aggrappò al collo di Zehekelion in una sorta di abbraccio entusiasta che per poco non fece cadere entrambi a terra.
Le gambe della soldatessa toccavano il vuoto mentre il ragazzo, spiazzato, la sorreggeva a sé tenendole la gabbia toracica con le mani le quali, però, in poco tempo scivolarono spontanee lungo i lati del corpo della ragazza sino a raggiungere i suoi fianchi.
Xenya stringeva gli occhi, commossa e felice.
«L'ho trovata io tornando» spiegò Zeke, parlando a bassa voce. «Per questo sapevo che eri tu la vera Xenya Cass.»
Al pronunciare del suo nome, la fata si staccò in velocità dal ragazzo con il cuore a mille, paralizzandosi appena mentre ragionava sul fatto che si era lanciata addosso a un quasi sconosciuto.
L'elfo guardò per un istante le proprie mani, ferme davanti a sé come se stesse ancora reggendo una Xenya d'aria. Di poco rosso in volto, richiamò gli arti dietro la schiena.
«Beh, allora buon riposo» accennò con un colpo di tosse.
«Già.» Xenya sorrise con timidezza e si rintanò nella propria casa.
Chiusa la porta, vi si appoggiò sopra mettendosi una mano davanti agli occhi.
'Che diavolo di risposta è già?'
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