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Sette maledettissime notti prive di sonno si erano susseguite nel Deserto Centrale. Stava perciò per giungere il momento per i tre Palazzi di iniziare la ricerca della tripletta perduta. A Yekson, Madeline e il ragazzino del Sessanta di nome Hay conveniva raggiungere Xenya e gli elfi il prima possibile.

I tre avevano lasciato Palazzo della Forza assieme a un altro gruppo, il tutto dopo aver finto di ascoltare il discorso incitativo tenuto da David sulla lealtà e mille altre stronzate a cui tutti faticavano a credere.

La Direttrice del Progetto X aveva dunque tenuto un breve briefing con il soldato del Cinquantatré riguardo il modo migliore per non far scoprire le proprie intenzioni: costeggiare la recinzione interna di Clock per poi dirigersi verso il centro. E così avevano fatto.

Le provviste di cibo e fluidificante erano terminate la sera prima e, nonostante il Deserto Centrale fosse tutto fuorché un deserto, il caldo era estenuante e la routine instaurata era persino peggio. Sveglia all'alba, breve colazione, smontaggio tende, camminare, rimontaggio tende, cena, Hay a nanna, aggiornamento sull'avvicinamento al campo elfico tra i due fuggiaschi.

Ma il soldato non ne poteva più.

Se ne stava seduto, rannicchiato sull'erba umida con la schiena sudata appoggiata a un albero mentre guardava l'inizio dell'ottava nottata, la prima senza cibo. Il suo pensiero fisso era raggiungere la sua amica e, se non fosse stato per Hay, il ragazzo avrebbe proseguito la marcia anche durante il buio. Desiderava solo un nuovo inizio, riabbracciare l'unica persona che gli era stata accanto durante il periodo buio del Progetto X e stringere la mano a un suo nuovo io.

Sospirò, lasciando che il proprio fiato caldo si amalgamasse con quello della vegetazione.

Una mano esile gli toccò la spalla ma lui nemmeno si mosse: era solo l'ennesimo gesto ripetitivo di quel circolo vizioso che gli stava negando una vita migliore. Stava vedendo l'orrido in tutto, persino in quel ragazzino di sedici anni appena compiuti che non aveva nulla a che fare con i giochi di potere che avevano invece assorbito Yekson.

Forse stava delirando, forse era solo la fame. Il punto era che non poteva più aspettare: doveva arrivare agli elfi, e l'avrebbe fatto a qualsiasi costo.

«Ci siamo.» Le parole di Madeline lo risvegliarono, facendogli scuotere la testa un poco.

«Cosa vuoi dire?» Il ragazzo si voltò verso la donna vestita per la prima volta come un comune soldato del Progetto X. Si sedette con grazia accanto al ragazzo e prese a guardare la volta del cielo verde petrolio illuminarsi di piccoli sorrisi incoraggianti.

«Sai bene che abbiamo seguito il confine di Clock fino al Lago Superiore. Non so se hai presente un po' della geografia preguerra, ma...»

«Vai avanti,» sbottò lui «dimmi se ce la faremo prima di morire.»

«Circa quattro, massimo cinque giorni» sospirò la Foxn senza avere coraggio di guardarlo negli occhi. «Abbiamo già superato il confine tra l'ex Canada e gli ex Stati Uniti, ma non siamo così vicini quanto avrei...»

«Madeline, diamine!» la interruppe Yekson, fuori di sé. «Abbiamo finito il cibo. Per quanto ancora costeggeremo il lago? Un giorno, forse due. E poi, verso l'entroterra quando il fluidificante sarà finito, cosa berremo? Il nostro sudore?» Il tono fermo e serio del giovane inquietava la donna, e non perché fosse minaccioso, quanto piuttosto perché aveva ragione.

«Ma c'è una possibilità...»

«Ah no, aspetta!» Il ragazzo ridacchiò con forte sarcasmo, senza badare alla Direttrice. «Non potremmo nemmeno sudare perché non avremo i nutrienti per farlo!» Alzò le braccia verso il cielo per poi farle ricadere esanimi sul terreno. «Non arriveremo mai a Xenya.»

E fu quello, tra tutti gli scenari possibili, a spaventarlo di più. L'essere un fuggitivo incapace di scappare, un soldato incapace di fedeltà... Dimostrare ai propri genitori che avevano ragione: lui non era nessuno, non avrebbe mai potuto fare la differenza.

Una lacrima calda gli solcò il volto e se ne ammonì: più sprecava liquidi, più la morte era vicina. L'asciugò con prontezza con il dorso della mano, riuscendo a non farla scoprire a Madeline.

La donna inspirò a pieni polmoni, per poi esibirsi in qualche plateale colpo di tosse.

«Possiamo ancora farcela» affermò questa, una volta calmatasi e abbassando lo sguardo dalla volta stellata al ragazzo. «Possiamo arrivare all'accampamento.»

«Come?» Se il tempo trascorso da solo durante il Progetto X - mentre Xenya era in coma e David era salito al potere - gli aveva insegnato una cosa, era che la determinazione portava dappertutto. E in quel momento Yekson doveva dare sfogo a tutta la tenacia che un qualsiasi essere umano poteva accumulare nel tempo di una vita.

«Prima di partire ho rubato delle razioni al secondo gruppo in prospettiva di questa eventualità» ammise, senza però vergognarsene. «Ma non bastano per tutti i quattro giorni, almeno non per tutti e tre.»

«Nemmeno razionando le razioni

«Hai idea del percorso che dobbiamo fare? Assolutamente no.» Scosse la testa, sicura. «Non è nemmeno pensabile. Abbiamo nove razioni colazione e cena e altrettante di fluidificante: tre giorni per tre persone» a quel punto abbassò gli occhi e Yekson comprese.

«Ma se le persone fossero due...» sussurrò a bassa voce, rendendosi conto solo in seguito di ciò che aveva pensato. «Ne avremmo per quattro giorni e mezzo.»

«Una vita perché altre due continuino» affermò Madeline. «Non ha famiglia al Sessanta, è stato selezionato perché era sacrificabile

La donna stava senza dubbio cercando di giustificarsi, ma non sembrò né inorridita né spaventata: stava presentando l'unica opzione possibile a Yekson e lui non riusciva a non valutarla nella sua mente.

«E quindi vorresti essere tu la persona che lo sacrifica? Uccidere una persona perché la tua vita continui?» chiese il soldato, sussurrando senza alcuna nota di orrore nella voce. «Non ci renderebbe diversi da S, e lo sai.»

«Sta qui la differenza:» iniziò a spiegare la Direttrice «lo uccideremo perché persone come S e come David non esistano più.»

«Scommetto che era la stessa cosa che si ripeteva S all'inizio. E guarda dov'è finito.»

Yekson si alzò dal terreno, scuotendo appena la testa mentre una stella cadente sfrecciava nel cielo.

«Non ti sto chiedendo il permesso.» Il tono di Madeline era fermo. «Volevo solo informarti: non avremmo comunque potuto farlo entrare nell'accampamento. Questa notte lo ucciderò, e se tu non sei d'accordo sei libero di morire prima di raggiungere la tua meta.» Guardava il firmamento, calma, come se il peso di rubare una vita non la preoccupasse. «Ma non eri forse tu quello disposto a pagare qualsiasi prezzo pur di ricominciare?»

Anche la donna assunse la posizione eretta e, senza indugiare oltre, ripercorse i propri passi sino al raggiungimento delle tre tende.

Yekson attese che il fruscio degli stivali della Foxn scemasse prima di scivolare ancora una volta a terra.

Aveva già ucciso un innocente per preservare se stesso, quella sera nel Settore Uno. Quel povero mutante, lo aveva visto contorcersi e sputare schiuma e sangue prima di accasciarsi un'ultima volta. Che differenza avrebbe fatto vedere un'altra vittima?

Si alzò ancora una volta per poi chinarsi alla base del tronco dove giaceva il suo zaino, vuoto del tutto se non per la balestra a doppio arco che gli era stata fornita tanto tempo addietro.

Madeline l'avrebbe ucciso comunque, tanto valeva assistere all'ennesima morte per renderle omaggio e assicurarsi che Hay soffrisse il meno possibile.

Indossò lo zaino nero, sostenendo il guscio vuoto e leggero con una sola spalla, mentre con la mano destra stringeva la sua arma. Con velocità superò quel paio di arbusti che lo separavano dalla radura nei pressi della sponda del Lago Superiore e si avvicinò alla tenda di Madeline - l'unica illuminata dall'interno.

La lampada circadiana sfarfallava un poco, a ritmo con i movimenti che l'ombra della donna compiva. Il giovane prese un profondo respiro, scostò l'entrata in tessuto speciale e, abbassandosi, entrò nel cerchio di luce della tenda.

«Yekson!» esclamò la Foxn, riprendendosi subito della sorpresa. «Non pensavo...»

«Voglio esserci» si limitò a dire lui mentre scandagliava l'interno dell'ambiente.

La donna annuì e riprese ad avvitare attorno alla propria pistola un lunghissimo silenziatore. Estrasse poi il caricatore dell'arma e svuotò sul pavimento i proiettili di sangue che vi erano contenuti. Da una tasca interna della propria giacca estrasse un colpo argentato - mai visto prima dal soldato.

«Xenya ti ha mai raccontato come sono stati giustiziati i suoi genitori?» chiese a Yekson mentre inseriva l'unico proiettile.

«No.»

«Questa sera lo scoprirai.» E con un singolo colpo di palmo, la donna fece entrare il caricatore nel calcio della pistola.

Senza indugiare oltre, uscirono in silenzio dalla tenda della Direttrice per poi entrare in quella di Hay. Yekson lasciò all'esterno il proprio zaino con l'arma: dal tono con cui parlava Madeline, la balestra non sarebbe servita.

Il ragazzino stava dormendo prono, con gambe e braccia nelle posizioni più disparate. Non appena i due intrusi entrarono, mosse di poco i fianchi senza svegliarsi.

«Antimateria» sussurrò la donna. «Antimateria migliorata: ai Thompson è stata fatta un'iniezione, mentre di recente Palazzo della Salute è riuscito a rinchiudere il nulla in questo prototipo di proiettile di nuova generazione.»

«Prototipo?» domandò Yekson, facendo scuotere ancora Hay. «Potrebbe non funzionare?»

«No: da quello che ho visto, nulla può fermarlo.»

Quindi deglutì e stese il braccio destro verso la vittima, l'indice pronto a scattare. Insieme al soldato inspirò e senza cerimonie premette il grilletto.

Il guscio argentato schizzò in avanti, in quasi completo silenzio, e andò a conficcarsi nella coscia di Hay. Non appena l'impatto fu avvenuto, si vide la gamba perdere spessore, sgonfiarsi a vista d'occhio.

Il ragazzino urlò, girandosi supino a velocità inaudita mentre le mani gli correvano sulla coscia che era rimasta un semplice sacco di pelle mentre anche il polpaccio iniziava a perdere massa.

«No!» gridò, straziante. «Perché?!»

Madeline lo guardava svuotarsi senza piega, eccezione fatta per qualche colpo di tosse perlopiù silenzioso. Yekson invece tremava.

«Fatelo smettere!» pregò.

Yekson allungò il braccio fuori dalla tenda, imbracciò la balestra e premendo il grilletto più grande, sparò una lunga freccia di sangue che andò a piantarsi tra gli occhi di Hay.

Gli occhi castani del giovane divennero ben presto vacui e la sua schiena cadde di nuovo sul pavimento della tenda mentre anche il torace terminava di sgonfiarsi.

«Questo è il prezzo da pagare, no?» sospirò il soldato.

Non si preoccupò nemmeno di recuperare la freccia: se avessero trovato il corpo del ragazzino del Sessanta, David sarebbe stato certo che i responsabili erano gli altri due. Una prova in più o in meno non avrebbe certo cambiato l'esito della sentenza: sarebbero comunque rimasti traditori dell'Ordine di Clock.

Yekson uscì e fuori dalla tenda attese che Madeline richiudesse la tenda sul corpo molle di Hay.

«Ora dobbiamo occuparci dei localizzatori» esordì, estraendo dalle tasche dei pantaloni un bisturi dorato e una cella infiammabile.

La Foxn aprì il piccolo cubo nero e lo lanciò nello spiazzo vuoto tra le tre tende, guardandolo mentre iniziava a farvi scaturire una fiamma ossidante, innocua perché seppur intensa era limitata a quel solo piccolo volume. Preso dunque il bisturi per il manico, lasciò la lama tagliente sul fuoco per sterilizzarla.

«Devi darmi il braccio» ordinò con tono quasi meccanico. «È giunto il momento di nascere di nuovo.»

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