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Il cielo di quella sera era plumbeo, carico della stessa rabbia che Xenya covava da quasi una settimana. La ragazza teneva le dita appoggiate sul terreno rimasto appena umido in seguito a un temporale di quattro giorni prima e che, a breve, si sarebbe ripetuto.
Mentre alcuni fulmini trapelavano dalla coltre verdognola di nubi che occupava il cielo sovrastante il Deserto Centrale, la fata ripercorse ancora una volta gli orribili accaduti che la pioggia le aveva portato durante il Progetto X. E pensare che, un tempo divenuto ormai lontano, gli acquazzoni erano gli eventi che più bramava.
Chiuse gli occhi, riuscendo per la prima volta a respingere le immagini del pestaggio che aveva subito e della morte di Francis. Sarebbe mai riuscita a guarire?
In compenso, mentre riapriva le palpebre, il suo pensiero corse a sette giorni prima, al volo che aveva effettuato senza mai fermarsi pur di raggiungere la meta che in quell'istante desiderava non avere mai nemmeno considerato come opzione di fuga.
Una goccia di pioggia le cadde sulla punta del naso superando senza sforzo il tetto di sbarre in legno e riuscendo quindi a rendere la prigionia ancora peggiore. Varie sorelle della prima lacrima del cielo iniziarono a susseguirsi, tenendosi per mano e lasciandosi non appena raggiungevano la loro meta. E Xenya era in apparenza un obiettivo che faceva gola a molte, dato che in breve la resero fradicia.
Si leccò lo strato d'acqua salata che le si era depositato sulle labbra e si sistemò a gambe incrociate sulla melma che le si stava formando attorno, rassegnata mentre con le mani cercava di togliere un po' di pioggia dalle ali strette nella gabbia, senza però rendersi conto che con le mani bagnate stava soltanto peggiorando la situazione.
Quel volo era stato davvero sconsiderato: perché la sua paranoia non le aveva fatto notare l'eventualità di una non proprio festosa accoglienza?
Aveva battuto le ali nere per tutta la notte senza fermarsi, senza nemmeno pensare di fermarsi, nonostante il tenere la giacca stretta a sé le fosse costato parecchia fatica.
Verso l'alba le cose si erano drasticamente complicate: i dorsali avevano iniziato a bruciarle e il sonno non era più stato un fattore ignorabile. Ma doveva continuare a muovere le ali, "su e giù", proprio come le aveva insegnato Bill.
'Bill.' Chissà cosa gli sarebbe accaduto da quella mattina in poi.
Nonostante la stanchezza che incombeva, la tecnica da apprendista volatile aveva funzionato sino all'abbagliante visione di alcune costruzioni che si stavano mano a mano rivelando all'orizzonte. Anche se avesse voluto sorprendersi davanti al prodigio della natura che aveva reso verde tutta la vegetazione circostante, la mente di Xenya era stata rapita da altro: ce l'aveva fatta. Era nel Deserto Centrale.
Aveva dato un'occhiata alla mappa stropicciata che aveva stretto in mano per tutto il viaggio, giusto per sicurezza, nella vana speranza di poter confermare la sua ipotesi in base a qualche - in realtà inesistente - punto di riferimento.
In ogni caso aveva volato il più possibile dritta e l'unico centro abitato che aveva incontrato dalla sua partenza era quello e, anche secondo le indicazioni fornitele dalla Foxn, l'accampamento doveva essere quello. Era fiduciosa.
L'emozione le aveva fatto sparire qualsiasi dolore o dubbio, accelerando solo il ritmo delle sue ali. A un certo punto però si era bloccata, ricordandosi delle uniche parole sensate che il Signor S avesse mai rivolto alla soldatessa: nel vederla volare, le persone si sarebbero spaventate.
Aveva quindi planato sino al livello del terreno, circa trecento passi dalla costruzione più vicina e, richiamate le ali al corpo, le aveva coperte con la giacca. Avrebbe certo avuto il tempo necessario per spiegare la sua mutazione indotta, e suo nonno Ger avrebbe compreso.
La giovane, una volta inspirato nella speranza di placare l'agitazione, aveva iniziato a camminare. No, non aveva camminato. Aveva corso a perdifiato, incontrando sul suo cammino una palizzata in legno che aveva tutta l'aria di una recinzione e che, come tale, funzionava alla grande.
Era alta almeno tre volte e mezzo Xenya e a prima vista poteva sembrare di forma circolare. Ma mentre seguiva a piedi il perimetro nella speranza di scovare l'ingresso dell'insediamento elfico, la ragazza si era resa conto che in realtà l'ambiente racchiuso doveva essere più frastagliato, più o meno come una macchia.
Non aveva dovuto percorrere un tragitto molto più lungo prima di riuscire a incontrare un sorprendente arco, della stessa esorbitante altezza della palizzata, costituito nella sua interezza da rami secchi intrecciati e abbellito da fiori in via di appassimento. Xenya era rimasta a bocca aperta davanti a quella meravigliosa costruzione, grande da far paura ma bella da stringere il cuore.
Perché quelle persone erano state costrette a fuggire dai loro Settori di appartenenza? L'Ordine di Clock non aveva la minima idea di cosa si stesse perdendo in quelli che etichettava nell'errore come reietti della società.
Xenya era stata così ingenuamente persa ad ammirare la costruzione che non si era accorta di due uomini così grandi e grossi da fare sembrare la recinzione di dimensioni adeguate. Guardavano corrucciati e assonnati due agilissimi giovani che, arrampicandosi sul telaio formato dal legno aggrovigliato, erano intenti a sostituire i fiori quasi secchi con altri più pieni e colorati mentre si sporgevano verso il vuoto.
I due guardiani stavano a braccia conserte, vestiti leggeri e in varie tonalità di marrone, ed erano ricoperti di piccoli oggetti metallici sulle braccia. Non si trattava proprio di bracciali, nonostante a primo acchito potessero sembrarlo, quanto più di sottili stanghette metalliche infilate solo in parte nella carne delle braccia e così ravvicinate tra loro da sembrare un'unico materiale. Erano piercing: la soldatessa non aveva potuto contenere un sorriso.
Mentre i giovani salivano e scendevano lungo l'arco, i due uomini erano occupati a chiacchierare a bassa voce. La cosa strana che la ragazza aveva notato era stata che uno dei due indossava uno spesso guanto, nero.
Il sole stava salendo, veloce, finendo con lo scontrarsi con l'accesso dell'insediamento degli elfi e illuminando la radura circostante di una fioca ma suggestiva luce chiara.
La giovane era stata ammaliata da quel poco che aveva visto del Deserto Centrale e non aveva potuto fare a meno di avvicinarsi. Lo aveva fatto con lentezza, ma non al punto di poter essere scambiata per una malintenzionata desiderosa di intrufolarsi.
«Sono Xenya Cass Thompson» si era presentata a voce ferma, facendo sobbalzare le due guardie e facendo emettere un gridolino a uno dei due ragazzi sull'arco. «Sono l'erede di Ger Peace e di Herald Health e chiedo accoglienza.»
Il silenzio che ne era seguito, paralizzante, aveva smorzato tutta la bellezza del circondario.
I due uomini avevano di colpo smesso di parlottare e, dopo aver osservato Xenya, si erano scambiati uno sguardo voltando la loro testa con una velocità tale da fare tintinnare i numerosissimi orecchini che portavano. Erano elfi davvero, era arrivata nel posto corretto.
I due giovani erano scesi dall'arco con un unico balzo ed erano corsi dentro l'accampamento, sventolando fiori secchi in una mano e nell'altra quelli freschi che non erano riusciti a sostituire.
Xenya aveva forse interrotto qualcosa? Un qualche rito particolare?
Nel tempo in cui aveva formulato quel pensiero, i due uomini avevano ripreso a fissarla negli occhi.
«Ha il colore dei Thompson» aveva tentato di sussurrare uno, ma il timbro basso della voce l'aveva tradito.
«Conosci la procedura, Ber.» L'altro, quello con il guanto, aveva scosso la testa senza però smettere di guardare la nuova arrivata.
Si era quindi avvicinato a lei e con un gesto fulmineo le aveva estratto le due pistole e la forbice per poi lanciare indietro il tutto senza la minima cura. L'altro invece aveva impiegato più tempo a raggiungerla e, una volta di fronte a lei, le aveva chiesto se portava con sé altre armi.
Xenya aveva risposto sincera di no ma, non contento, il guardiano le aveva sfilato la giacca con l'intento di perquisirla, finendo però con il liberare le ali in fibra di carbonio che, troppo affaticate, sfuggivano al controllo della soldatessa.
I due erano balzati indietro, impauriti e facendo cadere la giacca a terra.
«Cosa sei?» aveva tuonato il primo, mentre la sua mente stava ipotizzando infiniti scenari diversi.
«Mi hanno resa una fata. Ma io...»
Ber, ammesso fosse quello il suo nome, aveva scosso la testa e con in velocità le aveva attanagliato il braccio destro mentre il suo compare si occupava dell'altro.
«Cosa state facendo?!» esclamò Xenya, iniziando a divincolarsi dalle strette.
«Sarai esclusa sino al giudizio del Capo e del Vice secondo il protocollo» aveva spiegato in breve uno dei due, ma la ragazza non aveva capito nulla, se non che suonava piuttosto male.
I due avevano poi iniziato a trascinarla per le braccia contro la sua volontà, attraverso l'arco e lungo quelle che potevano essere definite come le strade dell'accampamento.
«Lasciatemi andare!» aveva urlato lei. «Conosco Zenith! Ditele che sono qui!» Ma né lo scuotere le braccia né il lamentarsi erano stati di alcun aiuto contro le strette irremovibili dei due guardiani.
La giacca era rimasta all'entrata dell'accampamento e la ragazza non riusciva a pensare ad altro che alla lettera di nonno Herald abbandonata.
«Sono Xenya Cass Thompson! Lasciatemi!» La gola le bruciava di rabbia. Sperava di poter smuovere la compassione - se non dei due guardiani- almeno di qualche passante, ma lungo il breve tratto di sentiero che era stato percorso non avevano incontrato anima viva.
Uno dei due uomini, madido di sudore e visibilmente irritato, si era in seguito voltato verso di lei e, con espressione fin troppo seria, l'aveva guardata negli occhi.
«Mi dispiace» le aveva sussurrato con il vocione di cui era dotato. «Ma davvero non ci lasci altra scelta.» Si era dunque tolto il guanto alla mano sinistra e, con lentezza, aveva preso ad avvicinare due dita della stessa al braccio nudo della fata.
Lei, impaurita per qualunque cosa sarebbe potuta accadere, aveva ripreso a scuotersi addirittura con più vigore mentre l'arto dell'uomo si stava avvicinavano al suo corpo.
Ma prima ancora che lui fosse riuscito a toccarla, dalle dita gli erano scaturite delle scintille bluastre che in breve erano andate a impattare contro la sua pelle.
Xenya non aveva avuto nemmeno il tempo di formulare una strategia o di urlare una richiesta di aiuto che era stata scossa da un esagerato tremito prima di perdere i sensi e accasciarsi sulla terra scura e polverosa, a malapena sorretta dai due elfi.
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