18

L'espressione di sgomento che dominava il volto di Zehekelion non fece altro che peggiorare le cose.

Xenya sfuggì stizzita alla stretta che il ragazzo esercitava sul suo polso.

«Non ti chiederò perché l'hai fatto» sussurrò il ragazzo, nonostante il suo sguardo supplicasse per ricevere delle spiegazioni. «Ma non puoi andartene da sola. Non hai idea di cosa ci sia fuori da Fronds.»

«Ti stai offrendo di venire con me? Ho intenzione di prendermi una pausa piuttosto lunga» sbottò la ragazza, indietreggiando di mezzo passo. «La mia risposta sarebbe comunque no. Sono grande abbastanza da potermi arrangiare.»

«Xenya, sii ragionevole. Sei solo sconvolta, torna dentro e fatti aiutare a metabolizzare l'accaduto.»

Zeke si avvicinò un po', cercando di colmare almeno la distanza fisica che si era frapposta tra loro. La fata, dal canto suo, ridacchiò appena.

«Non devo metabolizzare niente. Ho ucciso un ragazzino di nove anni, rovinato dal Progetto X, solo perché la causa doveva essere salvata da David. Perché sono responsabile di tutti, dentro là.» Strinse di poco la mascella, rendendosi conto che aveva scelto ancora una volta gli elfi. «E finché sarò qui, tutti saranno in pericolo per colpa mia.»

«Cosa stai dicendo?» domandò esasperato l'elfo, scuotendo la testa e facendo tintinnare gli orecchini.

«La verità!» esclamò Xenya, sul limite delle lacrime per la collera. «Ho ucciso un innocente perché non ho avuto abbastanza coraggio per affrontare David da sola.»

«Quello non sarebbe stato coraggio» ribadì Zeke, avvicinandosi di un altro passo. «Sarebbe stata incoscienza, piuttosto. Da sola non ce l'avresti fatta nemmeno volendo, mentre da qui, al sicuro, possiamo pianificare accuratamente ogni mossa.»

«Non siamo più al sicuro! Sanno già che siamo qui, ci vorrà poco prima che arrivino per prendere la mia testa, la tua e quella di Ger.»

«Adesso stai esagerando...»

«Il punto è che... io ho ucciso quel ragazzo.» Indicò sconsolata oltre la spalla di Zeke dove le due guardie stavano trascinando via la salma di Jamie. «E solo perché noi potessimo continuare a perseguire il nostro scopo... E il fatto che non David, ma io stessa mi stia costringendo a fare queste cose... mi spaventa.»

«È normale» le sussurrò, poggiandole una mano sulla spalla. «Credi che io non l'abbia fatto? È il peso dell'essere leader: prendere decisioni per salvaguardare il bene comune.»

«Io ho paura» ammise Xenya, mordendosi le labbra e guardando verso l'alto, cercando di cacciare indietro le lacrime.

Aveva paura. Era da tanto, tantissimo tempo che non lo ammetteva a se stessa. E dirlo ad alta voce fu una liberazione, nonostante avesse appena dato a quell'emozione il potere di condizionarla.

«E di cos'è che hai davvero paura?» le chiese, costringendola a legare i loro due sguardi.

Pensandoci sopra, c'erano fin troppe cose. In cima alla lista c'era di sicuro il perdere altre persone a cui era legata, seguito subito da il non onorare le aspettative che gli altri avevano. Tutte quelle cose che le ronzavano per la mente, però, potevano essere riassunte con una certa facilità.

«Di non essere abbastanza: giusta abbastanza, brava abbastanza, buona abbastanza.» La soldatessa tirò su con il naso. «E se fossi diventata io stessa il mostro che avevo incarnato in David? E se tutti passassimo dalla parte del torto, seguendo il nostro ideale ma nel modo sbagliato?»

«Non succederà, Xenya» la rassicurò.

«Solo perché l'ha detto Ger non significa che siamo migliori di Palazzo della Forza.»

«Ger può dire ciò che vuole, ma quello che importa è come la gente lo elabora, quello che si sente qui.» E, con delicatezza, premette il proprio indice all'altezza del cuore della fata. «Nessuno è obbligato a dargli ascolto.»

«Ah no?» La ragazza rise sarcastica, salva però dal rischio di piangere. «Mi pare che tu per primo faccia tutto ciò che lui dice. Immagino tu sia qui proprio per suo ordine.»

«No, Xenya. Non sono qui per lui perché nessuno mi ha ordinato di innamorarmi di te.»

La ragazza annaspò. Sbatté le palpebre un paio di volte, ritrovandosi del tutto disorientata e con la vista all'improvviso oscurata. Inspirò nella speranza di potersi risvegliare dall'incubo che stava vivendo.

Senza accorgersene, il palmo destro corse sulla sua fronte quasi a voler controllare di non stare davvero male. Lo stomaco le si svuotò di colpo e perse addirittura l'equilibrio al punto di dover cambiare posizione con le gambe per non cadere.

«Scusa, io...» Zehekelion era di colpo arrossito, rendendosi conto troppo tardi di cosa aveva appena detto.

«Non capisci...» Xenya scosse la testa, cercando di schiarirsi la vista dopo il calo di pressione di cui era appena stata vittima. «Io faccio del male a chiunque mi si avvicini. Persino a quel ragazzino con il quale ho parlato solo due volte... Tu non puoi...» Batté le palpebre un altro po' di volte prima di arrivare alla conclusione che, in realtà, aveva già formulato. «Io devo andarmene.»

«No, ti prego... Dimentica ciò che ho detto...» Zeke dovette chinarsi per prendere il polso della fata. Era così freddo al tatto che per un istante prese paura. «Non sei nelle condizioni per ragionare lucidamente.»

«Hai ragione, ho troppe cose da elaborare» disse, guardandolo negli occhi. «Ma in mia coscienza so di non poter restare. Sono un pericolo, c'è una taglia sulla mia testa, e restando qui metto solo in pericolo me stessa e tutti voi. Non era forse il mio compito occuparmi della collettività?»

«No, Xenya, non capisci!» esclamò il ragazzo, avvicinandosi ancora di poco. Anche discernendo la situazione dai sentimenti che provava per lei, sapeva che non poteva permettersi di perderla. «Restando qui, al contrario, stai dando un motivo a tutti per lottare. È così che aiuti la collettività. Siamo stati nascosti per fin troppo tempo, tutti ne sono consapevoli, ed è ora di portare noi stessi il cambiamento. Smettila di toglierti tutto il valore che hai, e non parlo di quello che potresti avere per discendenza, parlo di quello che possiedi tu in quanto la splendida persona che sei.»

«Dovrei consegnarmi e provare a cambiare le cose dall'interno...»

Zehekelion, stanco di ragionare con una persona che sembrava fare apposta per rovinare le sue argomentazioni, prese Xenya per gli avambracci e la scosse per qualche istante.

«Qui non si parla di realizzazione personale» asserì, lanciandole uno sguardo che le raggelò le vene. «Hai ucciso una persona a cui per qualche motivo tenevi. Pensi che sarà l'ultima? Pensi che le persone che hai ucciso finora non avessero qualcuno ad aspettarle? Eppure, nonostante queste domande che so che tu stessa ti poni tutte le sere fino a quando non ti addormenti, hai comunque sempre scelto il bene comune. Lo so perché è quello che succede anche a me, sempre. La libertà di tutto Clock vale più della vita di chiunque, anche della tua. Ma tu porti il peso del simbolo, del nome di questa libertà.» Zeke inspirò, lasciando che un istante di silenzio sigillasse le parole appena pronunciate. «Non sei più un soldato del Progetto X, e ormai avrai capito che non devi più pensare solo a te stessa.»

«Per questo devo andarmene. Faccio del male a chiunque sia troppo in contatto con me. Sono pericolosa, David aveva ragione.»

«Lo Strength non avrà mai ragione, tranne che su una cosa: sei più forte di quanto sembri. Dentro il tuo piccolo corpo c'è una forza di volontà tale da animare tutte le centinaia di persone che compongono l'armata verde. Il tuo problema è che pensi troppo agli altri e, facendolo, dimentichi che un po' di questa tua forza devi sfruttarla per te stessa.»

L'elfo fece scendere le mani con cui ancora la stringeva lungo le braccia sino a prenderle le mani.

«Per quanto possa valere, ti faccio questa promessa. Qualunque cosa accada, ci sarò io al tuo fianco e farò di tutto per ricordarti quanto tu, e non la tua famiglia, vali. Non ti assicuro di riuscire a essere sempre perfetto, ma farò del mio meglio.»

Xenya, arrossendo, abbassò lo sguardo verso terra e, una volta riacquisito il respiro regolare, sostenne di nuovo il contatto visivo con Zeke.

«Resterai?» le chiese dunque il ragazzo.

«Resterò.» Sorrise. «Ma non permetterò più a nessuno, nemmeno a te, di soffrire a causa mia. Non seguirò il consiglio di Ger: tu non sarai il mio secondo.»

«Per il momento mi accontento. Per quanto riguarda la storia del faccio del male a tutti ci lavorerò con un altro discorso da diplomatico, proprio come piace a me.»

Zeke fece un veloce occhiolino che fece ridacchiare la fata e, insieme, rientrarono a Fronds.

Nonostante le diverse preoccupazioni, la fame per il pranzo colse Xenya impreparata.

La mensa quel giorno era piuttosto vuota vista l'assenza della pausa comune che, nei giorni passati, c'era stata a causa dell'assemblea dell'armata verde.

La ragazza stava sbocconcellando il suo pasto mentre Zehekelion, seduto di fronte a lei, le lanciava costanti occhiate per verificare che stesse meglio.

E, in effetti, non stava male. Era solo molto scombussolata.

L'uccisione di Jamie aveva solo portato alla luce la forte paura di essere uguale a David, di essere davvero l'altra metà della sua medaglia. E per un istante era stata davvero tentata di raggiungerlo e provare ad assassinarlo con le sue stesse mani, giusto per lavarsi di dosso il sangue di Jamie con il suo. Eppure sapeva che non era la giusta via e che, a quel punto, sarebbe davvero diventata lui.

«Ehi, tutto bene?» chiese l'elfo per la terza volta, poggiando la propria forchetta.

«Sì» ripeté la ragazza.

«Non hai fame?»

«Sì, ma penso di non riuscire a mangiare nulla per la tensione.» Gli sorrise appena.

«Se ti lasciassi sola, la cosa migliorerebbe?»

«Non penso...»

In quell'istante che Xenya si ricordò della scioccante rivelazione accidentale che fino a prima aveva accantonato.

Ci mancavano solo i problemi relativi a quel tipo di sentimento innominabile per metterle ancora più ansia addosso. Ciò significava che, anche se lui non l'avrebbe mai ammesso, Zeke avrebbe atteso una risposta per la quale lei avrebbe dovuto pensare molto... E pensare era di certo l'ultima cosa che voleva fare.

Soprattutto a quella cosa. Soprattutto per via di Francis.

Ecco, la fame era proprio sparita.

«Sai cosa?» La fata gettò le proprie posate dentro al piatto e guardò negli occhi il ragazzo. «Avrei proprio bisogno di una passeggiata.»

«Silenziosa?»

«Sì.» Annuì, alzandosi. «Anzi, no. Proprio tombale.»

Zehekelion sorrise appena, contento di aver suscitato una reazione nella ragazza.

Si alzò anche lui e, non appena si allontanarono di qualche passo dal loro tavolo, la porta della mensa si spalancò. Da essa entrarono tre figure dall'aspetto stanco: Yekson, Zenith e Undrel.

Proprio ciò di cui necessitava Xenya per distrarsi: parlare di imminenti drammi che la coinvolgevano in prima persona. Diversi comunque da quel tipo specifico di dramma.

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