17

Xenya sbuffò, affondando ancora più di prima il proprio viso nel cuscino. Anche la sera precedente aveva dimenticato di chiudere la finestra e, di conseguenza, i primi raggi dell'alba l'avevano svegliata.

Purtroppo non poteva più far finta di nulla e, sconsolata, decise di alzarsi e prepararsi per la giornata che la aspettava.

L'armata verde, in termini di reattività e combattimento, stava molto migliorando. Ma la cosa che più la sorprendeva era la motivazione con cui, ogni secondo di ogni giorno, loro davano tutto ciò che potevano. E per una causa segreta nata da suo nonno che davano tutti per morto. Solo al pensiero di ciò, numerosi brividi corsero lungo la schiena della fata.

Dopo aver incalzato gli stivali e inseritovi le pistole, la ragazza decise di uscire dalla propria abitazione per guardare il sole alzarsi veloce sulla volta del cielo.

L'erba del suo giardino, ricca in rugiada, le bagnava i vestiti ma la cosa non la disturbava più di tanto perché, seduta a gambe incrociate sul prato, tutto il mondo spariva e rimanevano solo lei, il suo respiro e la stella rossa che cresceva.

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, ricordandosi solo allora che quel giorno sarebbe stato di riposo per lei e tutta l'armata.

Si lasciò cullare dall'aria fresca della notte che, recidiva nel voler restare, frusciava tra gli alberi, le case, l'erba. Per un istante, Xenya pensò che stesse per cadere di nuovo nel mondo dei sogni, ma in realtà stava solo apprezzando ciò che il destino le aveva donato: quel preciso, esatto momento.

Per la prima volta dopo tanto tempo era davvero consapevole di ciò che la circondava, cosciente di quanto valesse ciò che dava per scontato.

'Madeline.'

Con un respiro esalò anche quel pensiero. Per lei non poteva fare più niente, se non rispettare il suo volere.

«Vedo che nemmeno tu ti attardi a letto.»

Xenya aprì malvolentieri un occhio, scorrendo poi la vista su Zehekelion sino a incontrare il suo viso. Il ragazzo stava in piedi di fronte a lei, le mani giunte sul retro della schiena, e le stava oscurando la vista del sole.

«Saresti un po' in mezzo» lo rimproverò, richiudendo l'occhio e cercando invano di concentrarsi su altro.

«In mezzo a cosa?» domandò. «Ah, al panorama.»

E si spostò, permettendo ai raggi pallidi di scaldare di nuovo il viso di Xenya.

«Grazie» gli sussurrò, sentendolo sedersi sull'erba accanto a sé.

«Non ho mai provato la meditazione» disse lui. «Qualcuno che aderisce alla religione buddhista lo fa con regolarità.»

«Non sapevo fosse una cosa religiosa» affermò Xenya, aprendo gli occhi e abbandonando ogni tentativo di riacquistare la pace che aveva guadagnato in precedenza. «Avevo solo voglia di guardare l'alba e mi sono ritrovata a fare questa cosa.» Alzò le spalle.

«Ti avevo promesso che ti avrei insegnato a leggere le lettere latine in biblioteca. Ricordi?» Il ragazzo cambiò del tutto argomento, guadagnandosi uno sguardo obliquo dalla soldatessa.

«Sì.»

«Beh, oggi la biblioteca sarà piena, però ho qualche libro a casa che potresti usare. Insomma, è uno dei pochi giorni di vacanza che avrai!»

Xenya era alquanto perplessa, però decise di accettare. Tutto sommato non era cattiva idea per ammazzare il tempo.

«Va bene, ma iniziamo subito e stiamo fuori.»

Zeke sorrise e quasi corse dentro casa propria.

«Non è difficile, te l'avevo detto.» L'elfo sorrise.

Xenya faticava a contenere le risate. Aveva appena finito di leggere ad alta voce il quinto capitolo di Harry Potter e la Pietra Filosofale e le sembrava impossibile che nel passato la gente avesse tempo a sufficienza per leggere certe cose.

«Perché non studiavano come sopravvivere alle bombe invece che leggere queste... cose?» domandò la ragazza, passando di nuovo il libro a Zehekelion.

«Perché è intrattenimento!» Il ragazzo roteò gli occhi, stizzito da una tale risposta. «Non pensavano che la guerra sarebbe arrivata davvero. E poi conta che è stato pensato come un romanzo per bambini!»

La ragazza sorrise amara.

«Hai ragione tu» ammise. «Ai bambini bisognerebbe fare leggere libri, non insegnare loro come uccidere altri esseri umani.»

Zeke ironizzò la cosa dandole un lieve spintone che per poco non la fece cadere sull'erba. Lei, di tutta risposta, ricambiò lo spintone senza però ottenere alcun effetto.

«Sono grosso, non mi muovi tanto facilmente.» L'elfo sospirò divertito.

«Non ti ricordi cosa ho detto l'altro giorno? Più grossi sono...»

«Parli troppo, ragazza» la interruppe lui. «Come puoi pretendere che io ti stia sempre a sentire?»

Stizzita, seppur sogghignando, la fata si alzò in piedi e lo spinse per terra con tutta la forza che aveva. Lui di fatto cadde, ma era così impegnato a ridere da non rendersi conto di cosa fosse davvero accaduto.

Gli elfi avevano iniziato a muoversi per le stradine della zona residenziale da un po' di tempo, scrutando con sguardi non chiari i due giovani più importanti che leggevano ad alta voce un libro arcaico su un ragazzino che parlava ai serpenti.

Uno tra tutti, però, li guardava perplesso più degli altri mentre i due continuavano a spingersi. Con un colpo di tosse, li costrinse a guardarlo. Era Honni, lo stilista-guardiano dalle mani elettriche.

«Signori, il Capo vuole vedervi entrambi alla tenda» annunciò, un buffo ghigno che faceva appena capolino sul suo viso squadrato.

«Quando?» chiese Zeke, sistemandosi il colletto della giacca in un modo che fece tintinnare i suoi numerosi orecchini.

«Subito sarebbe l'ideale, signore» rispose l'altro, che con un goffo inchino si congedò.

«Va bene, allora» acconsentì Xenya, guardando Honni che si allontanava. «Temo che il caro Harry dovrà attendere.»

«La letteratura in mano tua è un vero spreco» brontolò l'elfo, dirigendosi subito verso la tenda.

«Ho raccolto alcune opinioni riguardo al vostro operato in questi giorni. L'armata verde sembra davvero fiduciosa delle vostre doti di leader.» Ger stava seduto al capo opposto del tavolo, osservando a braccia conserte i due ragazzi che erano appena giunti.

«Cos'hanno detto?» la curiosità di Zehekelion sembrava non avere una fine.

«Hanno solo confermato ciò che già pensavo, ovvero che Xenya è il braccio mentre Zehekelion la mente. Ciò non significa affatto che voi non dimostriate affatto l'altra caratteristica, ma solo che il vostro modo d'essere compensa dove l'altro pecca.» Ger si alzò in piedi. «Ed è per questo che penso che le vostre posizioni qui a Fronds dovrebbero rispecchiare le vostre personalità.»

La ragazza annuì. D'altra parte già se lo aspettava.

«Xenya, tutta l'armata verde ti rispetta per ciò che hai dimostrato di essere. Per questo penso che tu debba assumere la carica di Generale sin da subito. Coltiva ciò che hai piantato nei loro cuori e so che i frutti non potranno essere cattivi.» Ger inspirò. «Cosa ne dici?»

Cosa ne pensava? In tutta onestà, avrebbe mai potuto fare qualcosa di diverso dalla soldatessa?

No. Ma ciò, almeno sperava, non significava per forza fare la guerra. Ma seguire quella scia di adrenalina che stare sempre sull'attenti le instillava nelle vene. Era un soldato, e non più solo come professione.

«Va bene.» Annuì convinta. Se doveva portare tutti alla morte, tantovaleva guidarli e prendersi le responsabilità per ciò che accadeva. Era ciò che tutti - compresa lei stessa - si sarebbero aspettati.

«Tu, Zehekelion, continuerai a essere il mio Vice, ma in maniera ancora più effettiva. Voglio che tu ti occupi dell'accampamento per nome mio e, una volta che non ci sarò più, dovrai prendere subito il comando senza lasciare vuoti di potere per nemmeno un secondo. È tutto chiaro?»

«Certo.» Anche Zeke annuì e incrociò poi le braccia, risoluto.

«E per ultima cosa, ma non meno importante, vorrei che tu, Xenya, pensassi seriamente alla possibilità di scegliere Zehekelion come tuo Secondo. So che è una scelta importante, e per questo voglio che tu abbia tempo per pensarci. Ma se potessi dare il mio consiglio, non potrei immaginare nulla di meglio per guidare il mio popolo.»

«D'accordo, ci penserò» acconsentì, seppur non convinta. Come avrebbe mai potuto decidere una cosa del genere?

La porta della tenda venne spalancata di colpo, rivelando un affannato uomo dotato di lancia.

Tutti i presenti si voltarono verso di lui, sconcertati. Era senza dubbio un guardiano e, se era lì, significava una sola cosa: visite non gradite.

«Un ragazzo...» ansimò. «È... disarmato.» Inspirò a pieni polmoni. «Vuole parlare... con la signorina Thompson.» Espirò. «Solo

Non sapeva chi o cosa la stesse attendendo oltre all'arco d'accesso. Non ne aveva la minima idea.

Ma di certo non si aspettava fosse lui.

Le due guardie all'ingresso continuavano a scorrere lo sguardo tra i due, distanti cinque passi l'uno dall'altra, entrambi terrorizzati ma per motivi ben diversi.

«Potete andare» sussurrò ai guardiani, fissando il visitatore con una stretta al cuore che non aveva mai provato. L'uomo e la donna di turno si voltarono e rientrarono a Fronds.

«Non volevo venire qui» affermò il giovane, lasciando che una prima lacrima gli scorresse sul viso. «Non volevo, ma non avevo alternative.» La voce bassa fece perdere un battito alla soldatessa.

Xenya dovette stringere tra loro le proprie mani per nascondere il tremore che stava prendendo il sopravvento.

Davanti a lei stava un ragazzo alto, biondo e dannatamente muscoloso, il cui sguardo però denotava tutto fuorché maturità.

«Jamie...» espirò, dando voce al timore che l'aveva presa in ostaggio dal primo istante in cui l'aveva visto. Il giovane annuì in silenzio, mordendosi le labbra in un vano tentativo di bloccare il pianto. «Cosa ti hanno fatto?» domandò, avanzando di un passo.

«Sono diventato un mostro... Non ti devi avvicinare.» l'ammonì il fu ragazzino del Sessanta, ma la ragazza disobbedì. Qualcosa dentro di sé le diceva che ciò che più il visitatore necessitava era il contatto umano. Altre gocce gli solcarono il volto, sempre più veloci mentre le mani sproporzionate gli corsero sul viso per nascondersi.

«Non dire così, Jamie. Tutto si sistemerà.» Seppur si sforzasse per farlo, nemmeno lei credeva a quelle parole. Non sapeva cosa dire, non riusciva a dare un senso a ciò che stava vedendo.

«Non è vero...» sussurrò lui, singhiozzando.

Si piegò dunque a metà e in velocità estrasse una pistola da sotto i pantaloni prima di puntarla verso la ragazza. La mano gli tremava, i muscoli gli pulsavano mentre piangeva in silenzio.

«Cosa stai facendo?» chiese la ragazza, alzando le mani appena sopra le spalle e sostenendo lo sguardo dell'interlocutore.

Dentro di sé, Xenya sentiva paura. E se ne vergognava. Non perché non fosse un'emozione valida, quanto piuttosto perché il Jamie che aveva conosciuto all'inizio del Progetto X non le aveva mai fatto provare nulla al di fuori della compassione. E ammettere di aver paura di quel Jamie significava riconoscere che era tutto reale.

«Dovrebbero migliorare il controllo armi, qui.»

L'adrenalina pulsava dentro la fata come un carburante sostitutivo mentre pensava a diversi scenari per evitare di morire. E, in quell'istante, tutti comprendevano il dover uccidere quell'involucro sproporzionato che un tempo conteneva un ragazzino di nove anni, strappato alla famiglia per poter essere usato come cavia per steroidi sperimentali.

«Se torno ai Palazzi senza di te, mi uccideranno. E lo stesso succederà alla mia famiglia.» affermò Jamie, risoluto nonostante i rivoli di lacrime non facessero altro che aumentare di portata.

Le occhiaie del giovane erano marcate ma le pupille erano dilatate a dismisura, per non parlare delle vene così rigonfie da lasciar notare quanto la pressione sanguigna fosse alta. Era stato senza dubbio drogato.

'Prendi tempo' pensò. 'Qualcuno arriverà.'

«Perché sei venuto qui?» domandò Xenya. «Come facevi a sapere...»

«Degli elfi?» Il soldato sorrise drammatico, senza muovere l'arma dalla traiettoria ideale per raggiungere il volto di Xenya. «Mia mamma me ne aveva sempre parlato. Saremmo dovuti partire anche noi, ma sono stato reclutato e per me è finita ancora prima di iniziare.»

«C'è ancora speranza.»

«No, Xenya. Non c'è.» Jamie osservò per un istante la sua arma. Ciò avrebbe dato a Xenya il tempo necessario per sfoderare almeno una delle proprie, ma non lo fece. Perché credeva che, da qualche parte, ci fosse ancora il ragazzino spaventato che aveva conosciuto.

Il ragazzo rigirò tra le mani la pistola e, guardandola poi con il volto inclinato, la lanciò in aria facendola atterrare proprio ai piedi della fata.

«Sono qui per avvisarti di ciò che sta succedendo ai Palazzi. E, in cambio, chiedo un pagamento.» Si asciugò in velocità le lacrime con il dorso della mano, avvicinandosi lui stesso di un passo.

«Qualsiasi cosa.» Xenya annuì, chinandosi appena per recuperare l'arma e stringerla in mano. Aveva di nuovo il controllo della situazione. «Ti aiuteremo...»

«Zitta!» sbottò Jamie, tirando un pestone al terreno. «Non c'è tempo. David è impazzito, si è fatto impiantare le ali proprio come te e, se quel che si dice è vero, non si fermerà a quello.»

«Ma...»

«Niente ma. Lui è la seconda fata e alla fine sarai da sola contro di lui. Non posso tornare senza di te, ma non voglio tornare con te. E l'unico modo in cui potrò salvare la mia famiglia sarà sacrificarmi.» Si inginocchiò a terra, appena a un passo dalla ragazza. Da accovacciato era alto come lei. «Non abbiamo alternative. Devi uccidermi, Xenya.»

«Non sei lucido» asserì la ragazza, ignorando l'ennesimo tremore. «Ci sarà di sicuro un'alternativa.»

«Tu non capisci... Più resto vivo, più loro capiranno che c'è qualcosa qui per cui è valsa la pena la mia sosta in pieno giorno. Ho un localizzatore sul braccio e arriveranno se non mi ucciderai.»

«Toglieremo il localizzatore!» esclamò, sperando solo che si rialzasse da quella posizione «Anche Yekson l'ha fatto, è qui.»

«Hanno visto che se l'è tolto» disse, fissando la giovane. «Hanno già dei sospetti su quale sia la zona da setacciare, e tra poco arriveranno. Devi uccidermi.»

Xenya scosse la testa, una smorfia nel viso che presagiva solo lo scoppio di un pianto. Eppure la mano destra aumentò la presa sulla pistola che aveva raccolto. Sapeva che aveva ragione, che doveva farlo perché l'aveva voluto lui, perché così si sarebbe salvata la sua famiglia e tutta la causa...

«Tu puoi farcela» la incoraggiò, sorridendole nonostante le lacrime. «Sei viva perché sei in grado di dare priorità alle cose... E io voglio darla alla mia famiglia.»

«Sei stato un bravo soldato, Jamie» gli disse, accarezzandogli il volto con la mano sinistra. La voce era ferma e decisa. Perché infondo già era chiaro che, recandosi dagli elfi, entrambi avevano deciso che al primo posto ci sarebbe stata sempre e solo la loro iniziativa. «Alla fine hai dimostrato di essere uno dei migliori.»

«Grazie, Xenya.» Chiuse gli occhi.

E, alzando il braccio, puntò l'arma e premette il grilletto. E quella fu la prima volta che uccise a sangue freddo. La prima volta che uccise una persona innocente.

Serrò anche lei gli occhi e, ancora prima che il corpo cadesse esanime, la soldatessa era già voltata. L'espressione più gelida che si fosse mai presentata le occupava il volto. Vide subito le due guardie che erano corse fuori e guardavano scioccate la scena.

«Dategli una degna sepoltura» ordinò loro e premette l'arma del delitto sul petto della donna. «Mettila con le altre. Ne avremo bisogno.»

Xenya entrò con un passo a Fronds, ma presto la sua mente prese una direzione diversa. Non voleva stare con gli elfi, non voleva vedere i volti di tutti coloro che sarebbero finiti col morire per lei. Coloro per cui aveva ucciso la persona più pura che avesse mai incontrato.

Aveva bisogno di tempo per pensare. Per elaborare.

David aveva fatto così tanti danni al punto da costringerla a perdere la propria umanità e diventare la stessa cosa che aveva giurato di distruggere.

Mentre un'altra lacrima esausta si faceva largo sulle sue guance, la giovane era già distante qualche passo dal perimetro sicuro. La meta non la sapeva, non le interessava. Voleva solo andarsene.

Ma, ovviamente, una forza con cui non aveva fatto i conti la bloccò.

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