15
✖
Non era sicura che quella fosse la giusta abitazione. Aveva sentito che, in una discussione, accennava a casa sua come vicina a quella dei gemelli Teln, ma non era certa che quella davanti a sé fosse quella esatta.
Certo era che quelle vicine erano tutte agghindate, gran parte di loro nel giardino aveva pure un cartello in legno con sopra inciso il cognome degli abitanti.
Quella metà della bifamiliare era anonima. Così impersonale eppure ordinata nella sua ordinarietà.
Colpi di tosse rimbombarono all'esterno. Xenya si strinse nelle spalle e attraversò il giardino curato prima di bussare tre volte alla porta.
«Avanti, è aperto» urlò la voce all'interno, confermando l'identità dell'abitante.
Xenya spinse a palmo aperto l'uscio e le parve di essere entrata in casa propria. Stesse dimensioni, stessa tipologia di mobili e stesso senso di estraneità. Nessun soprammobile, nessun ricordo, nulla.
Altra tosse secca indicò alla fata la via verso la camera da letto e, sfiorando appena la lastra di legno, Xenya fu sorpresa di vedere proprio ciò che si aspettava.
Il vaso da notte aveva impregnato l'aria della stanza con l'olezzo acido del vomito che, accompagnato da fazzoletti e asciugamani in tessuto ricolmi di sangue e abbandonati sul pavimento, di certo non dava una piacevole visione della situazione in cui versava la persona voltata verso la direzione opposta.
«Madeline» la chiamò.
La donna si rigirò con lentezza nel letto, fronteggiando Xenya con il volto peggiore che aveva mai indossato nella sua carriera di mutaforma. Il buio che regnava sovrano, insieme all'aspetto della donna, aveva rivelato tutto.
I capelli biondi, impregnati di sudore, le cadevano sgraziati su tutto il viso cereo e scavato. L'occhio sinistro si era gonfiato e dalla narice un rivolo sanguigno iniziò a scendere, subito tamponato dalla donna con l'ausilio di un fazzoletto.
«Pensavo di averti detto qual è il mio vero nome» l'ex Direttrice parlò con voce rauca, sforzandosi poi di aprirsi in un misero sorriso che la costrinse a contenere due colpi di tosse.
«Perché non me ne hai parlato?» domandò Xenya, incrociando le braccia al petto e osservando sconsolata quel poco che rimaneva della donna perfetta apparsa sugli schermi di Palazzo della Pace.
«Se sei qui» sussurrò l'altra, controllando che l'epistassi si fosse fermata «significa che non c'era bisogno che lo dicessi. Da quanto lo sai?» chiese, abbandonando anche quello straccio sul pavimento.
«Avevo qualche sospetto. Al Cinquantatré, prima che me ne andassi, molte persone hanno sofferto sintomi dell'irradiazione.» Sospirò, iniziando a raccogliere il tessuto infetto abbandonato e buttandolo dentro il vaso da notte. Se ne sarebbe liberata una volta uscita. «Devi liberartene, o rischi di non guarire.»
Sasha sorrise amara, abbandonando il capo sul cuscino.
«Per quel che mi riguarda, potresti anche lasciare aperta la finestra e lasciare che la radiazione solare acceleri il tutto.» Chiuse gli occhi. «Sto morendo, Xenya.»
Lo stomaco le si strinse al punto da farle davvero percepire gli odori di quella stanza, al punto da farla quasi vomitare. Ma la cosa peggiore di tutte era che, nel fondo della sua psiche, la soldatessa non poteva dire di non esserselo aspettato.
Sasha Darkspire, meglio conosciuta come Madeline Foxn, stava morendo e Xenya non ne era sorpresa.
Non perché lo sapesse, ma perché sapeva sarebbe successo a qualcuno prima o poi. Tanta gente era stata seppellita al Cinquantatré per l'irradiazione. Altrettanta però era guarita o perlomeno riusciva a convivere con i problemi nati a causa di essa.
«Da quanto va avanti?» chiese alla malata.
«Da quando sono tornata» spiegò, riaprendo gli occhi verso il soffitto. «Qui nel Deserto Centrale i livelli di radiazioni sono ancora molto alti e non ho potuto fare un acclimatamento. Da Clock a Fronds c'è un bel salto... e il mio corpo non l'ha sopportato.»
«Se è solo da qualche giorno, allora c'è una buona probabilità che tu sopravviva» affermò Xenya, accovacciandosi per essere allo stesso livello di Sasha.
«Sta degenerando troppo in velocità e temo che abbia causato anche qualche altra cosa dentro di me.» Con un braccio indicò stancamente tutto il suo tronco che, con calma, si muoveva ancora. Ma per quanto l'avrebbe fatto? «No, non so che cosa potrei avere e non voglio nemmeno vivere con la paura di me stessa o, peggio, di un nome dentro di me. Sai meglio di me che non è normale tossire sangue dopo così poco tempo di esposizione... Sono in uno stadio già troppo avanzato, non ho possibilità.»
«Forse sì.» Xenya sospirò, sedendosi sul bordo del letto, ai piedi della donna che le aveva fatto da mentore e tentando invano di ottenere del contatto visivo. «Io ho il sangue puro. Per qualche motivo, il mio sangue è inattaccabile. E anche Zenith, grazie al proiettile, ora è immune. Potremmo fare lo stesso con te! Una trasfusione del mio sangue che sarei pronta a donare...»
«Non se ne parla nemmeno.» Sasha alzò appena il capo per fissare la giovane. «Te l'ho già detto, sono in uno stadio troppo avanzato. Se non muoio per qualche malattia che sta crescendo dentro di me in questo preciso istante, la Terra mi prende e mi rende suo soldato, mi rende un troll. Se ora mi iniettassi anche solo una minima porzione del tuo sangue, cosa pensi che accada? Che mi curi?»
«Ma...»
«No» la interruppe, cadendo di nuovo indietro con la testa. «Farebbe reazione proprio come qualunque altro mutante e io morirei sul colpo. E per quanto sia ciò che preferirei in questo momento, per evitare la sofferenza, so che se la Terra non mi ha già chiamata a sé è perché ho ancora un compito da svolgere. E non è giusto che io mi ritiri dalla mia battaglia prima di averla portata a termine.»
Xenya annuì, sentendo gli occhi gonfiarsi senza però espellere alcuna lacrima. Forse le aveva piante tutte, o semplicemente non voleva rendere quella situazione più miserabile di quanto già non lo fosse.
«Dicono che gli irradiati, dopo i sintomi peggiori, trascorrano un periodo di apparente normalità.» La fata si alzò in piedi.
«Sì, giusto uno o due giorni prima della caduta finale» Sasha completò la parte del discorso che la ragazza non aveva avuto il coraggio di dire.
«Spero che durante il periodo tu possa completare la tua missione. Non voglio vederti morire insoddisfatta.»
«Nemmeno io.» Sorrise. «Fammi un piacere, Xenya. Cementifica quell'orrore, portami un nuovo vaso e non tornare mai più, per nessun motivo. Non pensare nemmeno a me, fingi che sia già perduta. Vedilo come il mio ultimo desiderio... Preferisco mille volte morire da sola piuttosto che farmi vedere in queste condizioni dalla ragazza che ho amato come una figlia.»
Un'altra lacrima rigò il volto della soldatessa che, dopo aver annuito, fece come richiesto dalla donna che, nel suo cuore, sarebbe sempre stata la Direttrice del suo destino.
✖
In fondo, bastava solo che Strength non fosse mai esistito. Non avrebbe quindi ucciso Herald Health e la cura per i mutanti sarebbe stata reperibile cosicché, una Sasha che Xenya non avrebbe mai conosciuto, si sarebbe potuta salvare e continuare la sua splendida vita in un qualche Settore, circondata dalla sua famiglia e un giovane Francis che avrebbe rubato metà dei cuori disponibili.
Xenya avrebbe potuto avere una famiglia degna di quel nome, David non sarebbe esistito e quindi nemmeno la possibile minaccia da lui rappresentata, Zenith avrebbe ancora la gamba e Yekson avrebbe potuto intraprendere la carriera medica dopo essersi accorto del suo errore.
Non era poi così difficile... Cambiando un singolo fattore della complicatissima equazione che era la vita, tutto cambiava. Certo, Xenya sarebbe stata costretta a vivere una vita mediocre nel suo Settore e non avrebbe conosciuto una singola persona tra tutte quelle che portava nel cuore... Eppure sarebbe stato così egoista da parte sua mantenere quei ricordi a scapito della felicità degli altri. Se il destino le avesse dato la possibilità di scegliere, avrebbe di certo messo gli altri al primo posto.
Mediocre è sicuro. Sicuro è felice.
✖
«Scusi, signorina Thompson.» Una voce si levò dall'ammasso di persone che era l'armata verde.
L'allenamento pomeridiano era iniziato con un semplice avete domande? e, com'era ovvio, qualcuno ne aveva. Il futuro Generale sperava di no.
«Xenya va benissimo, non badate a formalità.» Sorrise tesa. «Come posso aiutarti?»
«Dopo l'incontro di stamattina mi sono resa conto che Clock ha tecnologie avanzate e allenamenti che danno risultati immediati. Ma noi? Che possibilità abbiamo di batterli?»
«Molte più di quelle che immagini. Basti pensare al numero. Certo, sono preparati, ma nel Progetto X ci sono circa centocinquanta persone, ormai. Noi saremo circa tre per ognuno di loro... Senza parlare poi della motivazione che ci spinge. Noi lottiamo per ideali in cui crediamo davvero, loro invece lo fanno per paura delle ritorsioni. Prima della mente, la cosa più importante di un soldato è il cuore.»
Zeke, ancora in prima fila, annuì prendendo appunti sul suo blocco.
«Bene» la fata riprese le fila. «Ora siamo qui per prepararci in termini fisici a scontri corpo a corpo. Le armi da fuoco sono sempre l'ultima cosa da tenere tra le mani perché se non sapete gestire il vostro stesso corpo, con grande difficoltà sarete in grado di decidere le sorti di quello altrui.» Xenya annuì, complimentandosi da sola per lo splendido discorso. «Qualche volontario per una dimostrazione?»
Una mano scattò in alto. Zehekelion, senza attendere risposta, si alzò in piedi e andò a fronteggiare la ragazza.
«Se dovrò diventare il tuo Secondo» le sussurrò «dovrò almeno imparare come combatti.»
Xenya ridacchiò, roteando gli occhi.
«I soldati di Clock, soprattutto quelli allenati sotto il Progetto X, sono fusti alti e grossi che solo pochi di voi e con una certa difficoltà riuscirebbero a sconfiggere di pura forza» spiegò la fata, rivolta all'armata. «Quindi, se ci abbiniamo l'agilità e l'astuzia di cui peccano, le nostre probabilità di vittoria aumentano. Vi mostro come.»
Voltandosi verso l'avversario, Xenya si mise in posizione di attacco e lo stesso fece Zeke. Con il mento, la ragazza lo invitò a sferrare un colpo, cosa che lui non si fece ripetere allungando il braccio ed esibendosi in un dritto da manuale.
La ragazza, però, si piegò in fretta per schivarlo e, con la mano a taglio, gli colpì l'articolazione del gomito per poi appoggiare il palmo sulla sua spalla e, con la gamba destra dietro al tallone del ragazzo, spinse attuando una leva che lo fece finire dritto a terra con tanto di tonfo.
«Vedete? È il doppio di me, ma a terra c'è lui. Ricordatevi che più grandi sono, più rumore fanno quando cadono.»
Con tanto di occhiolino, Xenya porse il braccio a Zeke che, interdetto, si fece aiutare a rimettersi in piedi.
«Non pensate in grande» consigliò la soldatessa. «O, addirittura, non pensate proprio. L'istinto di sopravvivenza è ciò che ha portato fin qui l'uomo. Se ve la sentite, andate di testate. Se invece il vostro corpo freme per una ginocchiata nelle zone private, non esitate. Morsi, sputi, pizzicotti, graffi e tiraggio di capelli... Tutto è valido in guerra. Ma dato che qui siete tra amici, cercate di limitarvi a pugni e calci leggeri fino ad atterrare il vostro compagno. Cercate di creare coppie equilibrate e, in caso, vi proporrò di allenarvi a gruppi.»
«Posso una rivincita?» brontolò Zehekelion, una volta che l'armata aveva preso a separarsi in piccole unità.
«Magari un'altra volta...» Xenya sorrise. «Adesso devi aiutarmi a renderli più letali possibili.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top