14
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Quella mattina, Xenya si prese la facoltà di attardarsi a letto. Il materasso scricchiolante e in parte sfondato era l'unico posto in cui desiderava trovarsi... e rimanere.
La piccola finestra quadrata, aperta, faceva entrare una brezza frizzante che le solleticava le gambe, nude sotto la maglia sgualcita che aveva deciso di usare tra tutto ciò che Rory le aveva consegnato.
Udire le persone che percorrevano il sentiero di fronte alla propria casa era un qualcosa che distingueva molto Fronds dagli ambienti che la ragazza aveva frequentato in precedenza, eppure era splendido farsi cullare dal fitto vociferare degli elfi.
O almeno, lo era stato fino a quando qualcuno non aveva bussato due volte alla porta.
Xenya fece finta di non sentire e si girò su un fianco, avvolgendosi le ali attorno a mo' di bozzolo. Le piaceva l'umanità... ma in certi casi preferiva osservarla da lontano.
Il bussare riprese poco dopo, più insistente, e la fata non poté più ignorarlo.
«Arrivo!» urlò verso l'uscio principale e, con calma, si alzò dal letto per poi indossare un paio di pantaloni in felpa. Aveva già sperimentato l'imbarazzo di andare a rispondere mezza nuda e non aveva certo intenzione di ripetere l'esperienza.
«Perbacco, Xenya!» esclamò la persona alla porta - chiaramente Zenith. E batté ancora una volta le nocche sulla struttura di legno, giusto prima che l'abitante le aprisse.
«Buongiorno anche a te» la salutò la fata, inclinando appena la testa.
«Buongiorno proprio per niente» sbuffo l'altra. «Io, Yekson e Un dobbiamo partire e il tuo nonnino si rifiuta di farci andare se non è certo che tu rimanga qui per la riunione dell'armata.»
«Tanto per cominciare, non è il mio nonnino.» Xenya roteò gli occhi. «Comunque va bene, vi raggiungo subito.»
«Spero tu almeno abbia già fatto colazione. Vero?»
In risposta, la soldatessa le chiuse in fretta la porta addosso.
«Scusami, devo vestirmi!» esclamò, dirigendosi senza alcuna fretta nella sua stanza.
Zenith imprecò e parve allontanarsi.
Xenya decise di indossare gli stessi abiti del giorno precedente e la sua immancabile giacca nera. Tastandosi i lati della testa con le mani, decise che non sarebbe stato necessario rifare l'acconciatura: sembrava piuttosto in ordine nonostante ci avesse dormito sopra.
Dopo aver preso un profondo respiro, aprì di nuovo la porta, trovandosi davanti Zenith a braccia incrociate e con uno sguardo poco accondiscendente.
«Ce ne abbiamo messo di tempo, eh?» brontolò, battendo a terra un piede in preda al nervosismo.
«Il necessario per non far sfigurare la mia stirpe.» Alzò le spalle.
«Lo stai facendo apposta, non è così?» Zenith la guardò male, portandosi le mani dietro la schiena. «Vuoi evitare in tutti i modi il contatto con il passato.»
«Non dire sciocchezze...» Xenya ridacchiò, stringendosi le braccia al petto.
«Allora non ti fa nessun effetto se ti consegno queste.» E l'elfa si sfilò dalla cintura dei pantaloni due oggetti che la soldatessa conosceva bene: le sue due pistole.
Alzò poi lo sguardo fino a incrociare gli occhi viola della giovane scienziata.
«No, nessun effetto» confermò, alzando appena il mento e sostenendo lo sguardo dell'interlocutrice.
«Meglio.» Zenith sospirò, porgendo alla fata la sua akimbo. «Perché potrebbero servirti.»
«Perché?» domandò Xenya, sforzandosi poi di prendere in mano le due armi. «E perché me le date cariche?»
Il peso dei proiettili di sangue fu subito notato. E, con esso, anche i laccetti color cobalto scatenarono una reazione nella soldatessa. Li sentì quasi scottare a contatto con la pelle.
«Devi spiegare loro le varie tecnologie del Progetto X. E Ger ha pensato che se ne avessi sotto mano alcune, la cosa avrebbe potuto aiutarti a ricordare.»
«Io non ho dimenticato niente» sibilò a denti stretti Xenya, sporgendo le braccia un po' in avanti nel disperato tentativo di allontanare da sé la prova materiale di tutto ciò che era accaduto.
«Forse è quello il problema. Speravamo avessi iniziato a riacquisire la tua umanità.»
«Sono sempre stata umana.» E per dimostrare ciò che diceva, deglutì e premette più saldamente i palmi sulla superficie ruvida delle armi. «Si sta facendo tardi.»
Zenith annuì, gli occhi violacei appena velati di un'apprensione che sparì nello stesso istante in cui si voltò, diretta verso la tenda e seguita a ruota dalla nuova arrivata.
Il vento era freddo, ma le mani strette sui calci delle pistole quasi scottavano.
Xenya ripose le armi nelle fondine agli stivali, le stesse fondine che erano rimaste vuote per parecchio tempo, piene solo dei ricordi del Progetto X, soprattutto quelli peggiori.
Ogni cosa la colpì forte, eppure la fata assorbiva il dolore e, nel tempo necessario per raggiungere la tenda, aveva già dimenticato il motivo per cui soffriva davvero.
«Xenya, eccoti» la accolse Ger non appena la porta venne aperta.
Zenith si allungò sul lungo tavolo centrale e, preso un pezzo di pane, lo lanciò addosso alla soldatessa che prese in velocità a sbocconcellarlo.
«Sei pronta?» le domandò Zeke, avvicinandosi.
«Non penso di avere alternative» sussurrò, aprendosi poi in un sorriso che, con notevole sorpresa, era di rassegnazione. Non più amarezza o dolore. Doveva affrontare una volta per tutte il proprio passato o sarebbe per sempre rimasta l'ombra di se stessa. «Sì, sono pronta.»
Zehekelion dunque si allontanò, permettendo alla ragazza di vedere i tre esploratori già carichi di tutto il necessario e alquanto trepidanti di partire.
«Bene» annunciò Ger, alzandosi in piedi. «potete andare. Ho già avvertito i guardiani della vostra partenza. Buon viaggio, vi aspettiamo tra dieci giorni esatti. Otto di viaggio e due di ricerca.»
«D'accordo.» Zenith annuì risoluta, fissando meglio lo spallaccio destro del suo zaino.
Xenya si lanciò ad abbracciare Yekson e Zenith che in velocità uscirono. Undrel, invece, si era un attimo attardato per ricontrollare qualcosa, e la fata decise di avvicinarsi a lui e stringergli la mano.
«Tienili d'occhio» gli raccomandò, dopo aver verificato che gli altri due scienziati fossero fuori dalla tenda. «Non so perché, ma sei l'unico che mi ispira fiducia.» Gli sorrise.
«Te lo dico io il perché...» sussurrò per dare una nota di teatralità dalla cosa. «Loro li conosci già abbastanza per capire che sono più inaffidabili di chiunque altro.»
E, dopo un occhiolino, raggiunse i due compagni che si erano già allontanati dalla zona politica. Quando anche Undrel fu uscito e la porta venne chiusa, nella tenda rimasero solo Xenya, Zeke, Ger e una buona dose d'imbarazzo.
«Hai capito cosa dovresti fare?» chiese Ger, tornando a sedersi sulla sua sedia.
«Parlare del Progetto X, dire tutto quello che so» affermò la fata, come fosse una macchina.
«Devi inoltre assicurarti che tutta l'armata ti ascolti e che ti capisca. Se il nemico arriverà, tutti dovranno sapere con chi si ha a che fare.»
«Certo.» Xenya annuì seria. «C'è altro?»
«Avrei bisogno che, il pomeriggio, tu li allenassi.»
«Non era il compito di Sasha?» domandò Zeke, dondolandosi sui piedi.
«Sì» rispose Ger «ma oggi non è disponibile per occuparsene. Se Xenya facesse loro da mentore, inoltre, penso ne gioverebbero molto.»
«D'accordo» acconsentì questa. «Ma Zeke? Lui di cosa si occuperà?»
«Lui?» Il Capo sorrise sotto i baffi. «Beh, parteciperà come semplice membro dell'armata.»
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Una volta finito di consumare la sua misera colazione a base di acqua e pane un po' secco, Xenya uscì dalla tenda per trovarsi poi il campo visivo invaso da diverse decine di volti. Forse erano un paio di centinaia, forse di più, ma sapere quante vite dipendevano da lei era l'ultima cosa che desiderava in quel momento... quindi decise di non pensarci troppo.
Il silenzio calò come una pesante e soffocante coperta sopra a tutti gli elfi, uomini e donne, che vivevano dentro Fronds. Tra tutti i volti presenti, Xenya riuscì a identificare Rory e una donna incrociata in bagno qualche giorno prima.
Zeke le diede un fugace tocco sulla spalla per poi prendere posto in prima fila.
«Penso sappiate già tutti il mio nome, ma nel dubbio mi presento a tutti voi come Xenya Cass. Nulla di più, nulla di meno. Una persona come tutti voi, con un passato sconosciuto fino a poco tempo fa e con esperienze che non augurerei mai a nessuno. E oggi sono qui per raccontarvele tutte, o quasi.» Si sprecò in un lieve sorriso d'incoraggiamento, lo stesso tipo di grigno che teneva il Capitano del Settore Cinquantatré e che tanto l'aveva impressionata il suo primo giorno di addestramento.
«Partirò a raccontarvi di me e del Progetto X, di come ci sono finita dentro. Qualche mese fa mi era stata recapitata una lettera che nella mia testa ho sempre associato a un certificato di morte. Avrei preso parte a questa iniziativa del Consiglio di Clock con lo scopo di migliorare l'efficienza delle milizie governative. Che belle parole.
«Ma che cos'era davvero il Progetto X? Pensate a un'enorme scatola dipinta d'oro in cui l'ex Oligarca Strength ha buttato tutti i suoi nemici nella speranza di dare loro - o alle loro famiglie - una lezione. Poi qualcuno che non centrava niente, solo per poter esercitare pressione psicologica su tutto Clock. Ma non dimentichiamoci di David, all'apparenza un benestante ragazzo del mio stesso Settore che si è rivelato nipote e burattino di Strength.»
Alcuni sguardi perplessi vennero scambiati mentre Zehekelion, estratto quello che sembrava un piccolo libro, ci passava sopra un utensile appuntito con movimenti quasi circolari.
«Io, in quanto discendente inconsapevole di traditori, ero in cima alla lista nera, ma nel senso migliore concepito dal Capo del Consiglio. Mi voleva infatti come icona della guerra di depurazione che grazie al Progetto X si sarebbe potuta attuare. Per quello mi ha sottoposta a un intervento piuttosto... invasivo.»
E detto ciò, si sfilò la giacca e la lasciò cadere a terra prima di spiegare le proprie ali in tutta la loro larghezza. Le fibre in carbonio risplendevano sotto il sole autunnale e diverse labbra si dischiusero, diversi polmoni si dilatarono di colpo.
«Questo è il tipo di innovazione con cui abbiamo a che fare» riprese, richiamando le ali al corpo e cercando di rilasciare la morsa di imbarazzo insensato che le si era formata tutt'attorno. «Sono in grado di cambiare la natura dei loro soldati. E non parlo solo di ali, ma di accelerare anche lo sviluppo grazie a farmaci specifici.»
«Immagino però che tutto questo abbia delle conseguenze, un prezzo, qualcosa del genere.» Una voce si alzò dal gruppo, permettendo a Xenya di riprendere fiato prima di continuare.
«Certo. Io ho rischiato di morire per queste, sono rimasta incosciente per oltre quaranta giorni e la convalescenza non è certo durata di meno. Ho dovuto affrontare l'elettroshock perché il mio corpo iniziasse a riconoscere le ali. E, certo, i ragazzi sottoposti alla cura di steroidi potrebbero avere dei problemi. Ma pensate che questo riesca a fermare David? Ora è lui a capo di tutto, e dopo il lavaggio del cervello che Matt Strength gli ha imposto, la sua ambizione addizionata alla sete di potere è a dir poco illimitata.
«Tornando alle tecnologie, il Progetto X dispone di metodi davvero innovativi per preparare i selezionati al loro compito. Tapis-roulant che con impulsi magnetici creano ostacoli da superare, sale di tiro, armi perfezionate all'inverosimile, panche per il rinforzo muscolare, un intero attico con il solo scopo di sopravvivere fino al raggiungimento di un dato obiettivo. Per non parlare di lezioni di strategia apposite. Ma il vero e proprio nemico da affrontare in questa guerra è questo.»
Con un movimento fluido, prese una pistola dalla fondina e ne estrasse il caricatore. Con la mano sinistra sfilò il proiettile di sangue che sapeva sarebbe stato all'interno e lo mostrò ai presenti, tenendolo tra pollice e indice.
«Vi presento l'innovazione più sorprendentemente mostruosa del Progetto X.»
«Un proiettile?» domandò una donna poco distante.
«Esatto» rispose Xenya, mentre Zeke con i suoi utensili sembrava voler riprodurre la forma del proiettile. «Ma non è un proiettile qualsiasi. È un vero peccato che Zenith Teln non sia qui per testimoniare visto che l'ha provato in prima persona. Dentro questo involucro c'è sangue puro al cento percento che, a contatto con quello mutante, provoca la morte immediata. E per i sani come voi la cosa non migliora. Se vengono colpiti organi vitali, come qualsiasi altro proiettile, morite. Se invece, per ipotesi, vi viene colpito un braccio, l'involucro viene assorbito dai vostri tessuti e se vi va bene svenite per il dolore o potrebbe smettere di funzionarvi l'arto.»
«La gamba della signorina Teln è stata amputata per quello?»
«Già. E lo so per certo perché sono stata io a spararle là, nella speranza che potesse riprendersi come è accaduto per fortuna.» Xenya evitò di menzionare la Connessione Mentale o tutto ciò che ne stava derivando.
«Posso fare una domanda?» un signore sulla quarantina, dal fondo, alzò la mano. La fata annuì. «Lei mi sembra una donna intelligente e consapevole di tutto ciò che le accade intorno; ogni cosa che sta dicendo non fa altro che confermare la mia ipotesi. Dunque, perché si è lasciata sottoporre all'intervento? Immagino che quando è accaduto lei fosse già consapevole di che genere di persona era Strength.»
Freddo.
«Sempre se se la sente di condividere...»
In quell'istante Xenya capì a cosa si era riferita Zenith quando, descrivendo la sua esperienza nella Connessione Mentale, aveva utilizzato le parole fluttuare sopra alla situazione, o qualcosa del genere.
Era quello che stava succedendo alla fata. Era presente, eppure non lo era. Poteva essere possibile?
Ovviamente no, ma si stava abituando più all'impossibile che a tutto il resto.
«Avete il diritto di dubitare di me, la fiducia è qualcosa che va guadagnata. Quindi, sì, posso provare a spiegare.» Aveva balbettato? Forse.
La vista le si annerì per un istante. Poi tutto il colore cremisi del sangue di Francis impregnò l'intorno.
Doveva, doveva, doveva parlarne.
Doveva.
«Sasha Darkspire, immagino la conosciate tutti.» Non sapeva cosa, o chi, stava guardando. Parlava senza davvero accorgersi di farlo. «Ha un nipote, o meglio, lo aveva. Forse sapete anche questo. Questo nipote è stato selezionato per il Progetto X dal Settore Ventidue. Ci siamo conosciuti e tra noi si è instaurato un rapporto particolare. Al punto che ha affrontato S dopo che mi aveva messo in vero pericolo nel corso di un test. Quel suo gesto, però, gli è costato la sua, di vita.»
Non vedeva nulla, ma percepiva il pianto affacciarsi dai suoi occhi verso l'esterno.
«L'abbiamo trovato morto nella sala allenamenti dove sapevano che avremmo potuto vedere tutti cosa sarebbe accaduto a chi sfidava l'autorità del Capo del Consiglio. E quello stesso pomeriggio David si è presentato al mondo come nipote di Strength e futuro leader di Clock. Subito dopo, sono stata costretta a sottopormi all'intervento.»
Chiuse le palpebre per un secondo e, riaperti gli occhi, tutti i colori sembravano splendere come mai prima di allora. Permise alle due lacrime sfuggite al suo controllo di proseguire con orgoglio il loro percorso fino a terra. Perché se era lì, se era la persona che stava parlando davanti a tutti quegli elfi, era grazie al dolore che aveva oltrepassato.
E vergognarsi non sarebbe più servito a nulla.
«Come si chiamava, il ragazzo?» domandò lo stesso uomo.
«Francis» sussurrò. «Si chiamava Francis» ripeté, a voce più alta.
E l'uomo iniziò a battere le mani, prima insicuro e poi più convinto, facendosi seguire da tutti gli altri presenti. Zehekelion lanciò davanti a sé ciò che teneva in mano per unirsi all'applauso in onore della prima persona caduta per Xenya.
Tutti i presenti sapevano che sarebbero potuti essere loro. O i loro figli. E con ogni probabilità lo sarebbero anche stati, in un futuro nemmeno troppo lontano.
Quello era un applauso per tutti coloro che avevano già ricevuto il loro contratto di morte, proprio come era successo a Xenya.
Anche la soldatessa iniziò a battere le mani, sorridendo perché sapeva che Francis, alla fine ricordato come sarebbe dovuto succedere molto tempo addietro, era in mezzo a loro.
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«Posso chiederti cosa stavi facendo mentre parlavo?» Xenya si avvicinò a Zeke dato che era l'unico rimasto seduto a terra dopo che la fata aveva congedato tutti per una pausa prima dell'allenamento fisico.
«Prendevo appunti, ovvio.»
«Ovvero?» Le sopracciglia della ragazza si aggrottarono.
«Scrivevo le cose importanti tra quelle che dicevi così posso studiarle meglio e con calma nei momenti più tranquilli.»
«Wow.» Xenya non sapeva si potesse farlo regolarmente. Credeva che i computer fossero ormai l'unico mezzo per scrivere, che la carta e l'inchiostro fossero una cosa arcaica e limitata alle grandi occasioni - come la lettera di Herald, appunto.
«A proposito, prima o poi dovremo iniziare le nostre lezioni. Ricordi?»
«Prima lascia che finisca le mie, di lezioni.» Sorrise.
«Non dovevi per forza parlarne. Henry è un uomo curioso ma al contempo comprensivo.»
«Mi era stato chiesto di affrontare il passato... Mi pare di averlo fatto come si deve.» La ragazza strinse i denti.
«Assolutamente, non è ciò che volevo dire. Mi è parso di capire che tu e Francis foste molto legati e che la sua perdita ti abbia molto segnata. Non eri obbligata a riviverla di nuovo.»
«Ho solo fatto quello di cui questo popolo ha bisogno per affrontare la guerra. Qui, hanno tutti bisogno di fidarsi l'uno dell'altra. E se devo davvero guidarli verso il massacro, voglio che sappiano che ciò che fanno ha un senso, perché per questi ideali morirei anche io.»
«Questo ti fa onore.» Zeke si alzò in piedi e guardò la ragazza piegando un po' la testa verso il basso. «L'incubo dell'altro giorno... Era per lui?»
Xenya ridacchiò e roteò gli occhi.
«Eh già. Capisci ora perché non era un problema rivivere lo stesso dolore? Vedo la sua morte, a opera mia, tutte le notti.» Sospirò. «Ci vediamo all'allenamento pomeridiano.»
La ragazza indietreggiò di qualche passo e, raccogliendo la giacca da terra, batté le ali per volare verso un'altra situazione complicata su cui aveva intenzione di fare chiarezza.
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