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«È la porta, tranquilli.» Zenith rise sincera, lottando contro la lastra di metallo che a causa dello sbalzo termico si era dilatata e non rientrava più nel suo alloggio originale.
«Ci hai fatto prendere un colpo!» esclamò Yekson, alzandosi e raggiungendo l'elfa - seguito a ruota da Xenya.
«Si sperava che ti fossi già abituato.» Undrel, prendendo a spallate l'uscio, riuscì a farlo aderire di nuovo alla parete.
«Sono qui solo da un giorno...» sospirò l'ex selezionato, roteando gli occhi.
«Beh, visto che non riusciremo più a riaprire la porta, resteremo qui per un bel po'.» L'elfo scoccò un occhiolino a Yekson e il gesto non passò inosservato agli occhi di Xenya che, sogghignando, si voltò verso Zenith.
L'elfa, avvicinandosi a un tavolo stracolmo di componenti, prese tra le dita un cilindro con due lunghi fili rigidi e metallici.
«Eccolo qui il condensatore, Un. Te l'avevo già detto che me l'ero ripresa.»
«Non serve prendersela così tanto, eh.» L'elfo dagli occhi a mandorla sbuffò. «Comunque sono Undrel Sjk.»
Allungò il braccio verso la fata, sorridendole e piegando gli angoli degli occhi scuri.
«Xenya Cass, ma immagino tu lo sappia già.» Sorrise, stringendo la mano del giovane che doveva avere pressappoco la sua stessa età.
«Proprio così...» Ridacchiò. «Ma sentirselo dire dalla diretta interessata è tutta un'altra storia.» Interruppe il contatto e alzò in maniera frettolosa le spalle, facendo tintinnare i numerosi orecchini che portava. «Io sono l'esperto di biologia qui, ma per tutti sono ancora l'assistente di Zenith... I miei sedici anni mi precedono.»
La soldatessa sorrise.
«Ho imparato a mie spese che l'età è proprio l'ultima cosa per cui giudicare una persona... Prima o poi ce la faranno anche gli altri.» E, subito dopo un occhiolino, venne interrotta da Zenith.
«Bene, le presentazioni sono state fatte e quindi il mio compito quotidiano è stato assolto. Ma, visto che siamo qui, che ne dite se proviamo la nuova macchina per la Connessione Mentale?»
Al solo udire quelle parole, un brivido si allungò sulla schiena di Xenya. Era pronta a tornarci? L'ultima volta non era stata di certo piacevole.
Eppure... Eppure doveva farlo. Per Zenith e per scoprire come fosse possibile che riuscisse a prevedere il futuro.
In breve, entrambe le ragazze si ritrovarono legate a una strana sedia che per certi versi ricordava quella dell'elettroshock attuato da David qualche tempo addietro.
Le due si davano la schiena, rivolte verso lati opposti dell'assurdo capanno scientifico. Sulla tempie di entrambe erano collegati due strani adesivi che, a detta della scienziata, le avrebbero fatte svegliare in maniera non naturale cosicché i ricordi della Connessione Mentale si fissassero nella memoria.
Davanti a loro, invece, i due spettatori stringevano due siringhe contenenti una sostanza incolore che - sempre secondo Zenith - avrebbe dovuto rallentare il battito cardiaco al punto da indurre uno svenimento in entrambe, più o meno con le stesse tempistiche.
In base ai test svolti dalla donna a capo dell'edificio scientifico, il siero non avrebbe dovuto provocare danni neurologici di alcun genere, ma la cosa certo non tranquillizzava la nuova arrivata.
Ma entrambe erano pronte a tentare nonostante la paura che scorreva al posto del sangue.
«Siete pronte?» domandò Undrel, scambiandosi un cenno d'intesa con Yekson che sostava di fronte alla fata con un dito sullo stantuffo.
Entrambe annuirono e in breve l'ago venne inserito nella vena sull'incavo del gomito. Il liquido fluì lento dentro le due giovani che inspirarono, spaventate ma determinate.
Xenya si sistemò meglio sulla sedia, facendovi aderire meglio capo e spalle. Si concentrò su un punto indefinito della parete metallica, scacciando da sé ogni pensiero che la sfiorasse.
Ma quando i battiti rallentarono, i respiri si fecero più radi e anche il campo visivo divenne prima sfocato e poi scuro. Ma Xenya non si preoccupò: sapeva molto bene cosa stava per succedere.
Boom.
«Oh, merda.»
L'infinita sfera viola, rischiarata dal pulviscolo luminoso, si stendeva ovunque e avvolgeva con grazia anche la figura eterea dell'elfa.
«Si vede che non ti sei ancora abituata...» Zenith rise, guardandosi intorno come se stesse cercando qualcosa.
«Diciamo che non mi sento ancora a mio agio» borbottò la soldatessa, notando come fosse strano non avere la percezione del proprio corpo e delle ali.
«Bene» iniziò la scienziata. «Non abbiamo molto tempo, dopotutto è solo un test. Due minuti e poi verremo risvegliate.»
«Solo due?» domandò la soldatessa.
«Sì, ma noi li percepiamo come molti di più. Dopotutto i nostri pensieri sono davvero molto veloci. Dobbiamo provare a ricreare le condizioni con cui ho visto il futuro.»
«Dimmi solo cosa devo fare...» sussurrò Xenya.
«Nulla. Piuttosto dimmi tu come hai fatto a vedere dai miei occhi» suggerì. «Non ricordo come ho fatto io a vedere il futuro, ma magari il meccanismo è simile.»
«Ho solo toccato il punto in cui ti ho sparato. Nulla di speciale.»
«Quindi dovrei concentrarmi sulla fonte del tuo sangue. Okay.»
Zenith si avvicinò, senza davvero muovere le gambe, e posizionò la propria mano, appena definita dalla pioggia violacea, al centro del petto di Xenya.
Quest'ultima, aspettandosi il finimondo, prese a guardare prima gli occhi dell'elfa e poi se stessa. Ma non accadeva nulla.
«Senti qualcosa?» chiese all'amica.
«No, ma in effetti il sangue viene prodotto dal midollo osseo.»
Ma nemmeno scorrendole mani lungo la schiena eterea di Xenya successe alcunché.
«Ora proviamo con il cervello» annunciò Zenith. E dunque toccò prima la fronte e poi le tempie della fata.
«Ora?»
«Ancora nulla. Le condizioni non sono le...»
Ma le sue parole vennero interrotte da un forte bruciore che le pervase in contemporanea. E, urlanti, videro le proprie membra coperte di polvere viola diventare sempre più nere.
Boom.
Xenya venne sbalzata in avanti contro la sua volontà e quindi capì la ragione per cui era stata legata alla seduta. Inspirò a pieni polmoni, assetata di ossigeno come ogni volta in cui usciva dalla Connessione Mentale.
Riacquisito il controllo su di sé, si voltò verso Zenith che era nelle sue stesse condizioni. Le pupille dilatate, al punto da oscurare le iridi viola della ragazza, quasi la spaventarono. Ma una volta scoperto che riusciva a richiamare i ricordi di quanto accaduto nella dimensione metafisica, si rilassò e si adagiò di nuovo sulla sedia rigida.
«Le condizioni non erano le stesse» ripeté l'elfa, ancora a corto d'aria. «Ho sbagliato qualcosa.»
Yekson, finalmente riapparso nel campo visivo di Xenya, accorse a slegarle polsi, busto e caviglie. La ragazza si alzò, reggendosi per un momento sull'amico prima di riconquistare il proprio equilibrio.
«No, Un. Non slegarmi.» Zenith scacciò l'altro elfo con aria stizzita. La fata si voltò verso di lei e notò la fiamma della determinazione bruciarle dentro. «Sono riuscita quando Xenya non era con me.»
«A far cosa?» azzardò Yekson, mantenendo una mano sui fianchi della compagna per sostenerla.
La curiosità dell'ex selezionato era incontenibile... Ma Zenith aveva chiesto di non rivelare quel dettaglio alquanto importante. Quest'ultima, resasi conto che non poteva sfuggire alla domanda, si lasciò ricadere sullo schienale e inspirò.
«Ho visto il futuro.»
«Tu hai... cosa?» Undrel, in quell'istante, sembrava necessitare di un sostegno fisico molto più di Xenya.
«Circa sei settimane fa ho avuto una Connessione Mentale particolare che mi ha permesso di vedere un evento che, in seguito, è accaduto davvero. E voglio capire com'è possibile, se si può replicare...»
«Che evento?» Yekson sembrava molto più razionale dell'altro scienziato che aveva ancora le mani nei propri capelli scuri, scioccato.
«Xenya che arrivava a Fronds e, con maggiore precisione, l'istante in cui ci saremmo incontrate di nuovo. L'ho visto come se avessi fluttuato sopra alla scena... Ed è davvero successo - proprio come avevo visto.»
«Sei settimane fa...» ripeté Yekson, lasciando finalmente andare la compagna. «Xenya era in coma dopo il trapianto delle ali.»
«Non possiamo farla entrare in coma solo per verificare un'ipotesi» affermò l'elfa, guardando l'amica. «Ma posso provare a entrare solo io, mentre lei è sveglia, e provare come prima a toccarle cuore e testa. Magari funziona.» Sospirò. «Undrel, inietta.»
«Zenith, ti sei appena risvegliata...» provò a obbiettare la fata, avanzando di un passo.
«Inietta» ripeté invece questa, fissando i propri occhi sul suo assistente.
Questo, impossibilitato a rifiutarsi, prelevò altro liquido incolore da un contenitore in vetro e premette lo stantuffo. L'elfa si rilassò e chiuse gli occhi. I respiri rallentarono man mano e Xenya si ritrovò a serrare i pugni dalla tensione.
«È dentro» constatò Undrel, avvicinandosi al macchinario e azionando un timer.
La soldatessa si portò le braccia al petto, incrociandole. Inspirò, domandandosi cosa stesse facendo Zenith dentro al suo subconscio.
Ma il quesito trovò presto risposta.
Una forte morsa le si strinse al centro del torace. Dolore, forte dolore.
Urlò accasciandosi a terra, sulle ginocchia, mentre premeva i polpastrelli delle mani sotto lo sterno nella vana speranza di domare la sofferenza.
Fu poi il turno dei polmoni. Li sentì stringersi al punto di non riuscire a respirare.
Il grido si tramutò in un annaspare senza alcun suono se non quello del tormento.
Il capo divenne pesante al punto di doverlo riversare all'indietro mentre gli occhi roteavano in una posizione innaturale e la vista si oscurava.
Percepì il proprio corpo cadere e le membra non rispondere ai comandi. Era già successo, se lo ricordava: era paralizzata. Ma almeno il dolore era scemato, lasciando il proprio posto all'orrore di non riuscire a muoversi.
«Merda, merda, merda!» Xenya sentì la voce di Undrel, lontana, imprecare.
«Cosa facciamo?!» Era il turno di Yekson, nel panico più totale.
«Non possiamo svegliare Zen manualmente! È viva?»
«Sì, ma i battiti sono deboli.»
«Falla resistere. La sessione dura solo due minuti.»
«Tieni duro, X. Tieni....»
Boom.
La dimensione viola?
Era scomparsa.
Xenya era immersa nel buio. Nero pece. Nulla era visibile o anche solo intuibile nelle immediate vicinanze.
In lontananza, però, risuonava un flebile eco di conversazione.
«Ambasciatore William Maitland di Leithington. Spero mi portiate buone notizie.»
La lingua in cui le frasi erano state pronunciate era diversa da quella parlata dalla fata. Eppure, per un qualche scherzo della Connessione Mentale, la capiva.
Ma la cosa più strana, quella che le attanagliò lo stomaco, non era quella. Quanto piuttosto la voce che aveva parlato.
Era la propria.
Sapeva di non aver mai pronunciato tali parole. Non aveva la minima idea di cosa fosse un ambasciatore o chi fosse quel William.
Eppure... ne era certa. Era la sua voce.
«Elizabeth non vi designerà come erede, Maestà. Ne sono desolato.»
E, dopo aver udito anche l'interlocutore parlare, la soldatessa si rese conto che un lontanissimo ricordo si stava formando e realizzò che, forse, era stata davvero lei a parlare.
Ma non lei Xenya Cass Thompson.
Un'altra lei.
In mezzo a quell'oscurità, il ricordo iniziò a fare capolino con una precisione che la lasciò senza fiato.
Un vestito blu cobalto dal corpetto troppo stretto e la gonna troppo vaporosa.
Un anno intorno al 1650.
Un castello troppo freddo anche d'estate.
Il peso delle decisioni che una regnante donna deve prendere.
La quantità di informazioni che quel frammento racchiudeva fece perdere il respiro a Xenya. Era stata un'altra persona nel passato. Aveva vissuto un'altra vita.
Non fece nemmeno a tempo a realizzare appieno l'informazione che sentì le membra cederle e il rassicurante pizzicore delle fiamme lambirle la carne.
Boom.
Gli occhi ruotarono con lentezza in posizione naturale.
Yekson torreggiava sopra di lei con gli occhi umidi.
La fata emise un sospiro strozzato nello stesso istante in cui l'ex selezionato, sollevato, smetteva di deformarle la gabbia toracica nel tentativo di eseguire un massaggio cardiaco.
«Xenya!» esclamò, lanciandosi addosso all'amica e stringendola in un abbraccio.
La ragazza, nel frattempo, stava ricominciando a percepire ogni suo arto.
«Ti aiuto a rialzarti» sussurrò Yekson, riassumendo commosso la posizione eretta e sollevando di peso l'amica.
La prima cosa che riuscì a vedere in modo cosciente fu Zenith che veniva staccata dal macchinario infernale da Undrel.
Non appena libera, l'elfa si lanciò addosso all'altra ragazza. Instabile, finì con l'aggrapparsi alle spalle dell'amica che era a sua volta attaccata a Yekson.
«L'hai visto?» le domandò la giovane dalle iridi violacee.
«Il passato?» La testa di Xenya girava, il suo corpo era intirizzito, ma era consapevole di cosa aveva visto.
«Sì.» L'altra ragazza si aprì in un sorriso mentre Undrel la prese per le spalle per sorreggerla. «Hai visto la stanza di pietra?»
«Cosa? No... Ho sentito solo delle voci lontane e mi è arrivato un ricordo.»
«Una specie di deja-vu» sussurrò Yekson, scioccato.
«Quindi tu non hai visto cos'è accaduto?» domandò Zenith, rivolta a Xenya. Era d'un tratto tornata seria e risoluta.
«No, ma ricordo che quella persona indossava un vestito blu ed era alquanto irata.»
«Xenya, perbacco.» L'elfa sbiancò. «Quella persona eri tu.»
La fata, nel fondo del suo cuore, sapeva fosse vero. Eppure la sua mente si rifiutava di accettare ciò che Zenith le aveva appena affermato.
Perché, se era davvero lei in un castello più di milleottocento anni prima e parlava un'altra lingua in un altro luogo della Terra, la risposta era una sola: aveva vissuto più di una vita. E la cosa, per com'era stata educata, era tutto fuorché concepibile.
Le gambe le cedettero e Yekson dovette reggerla ancora di più affinché non crollasse a terra.
«Ero io...» sospirò, il fiato mozzato dalla realizzazione.
«Spiegati meglio.» Undrel era sconcertato ma determinato a capirne di più.
«Non penso che quella che ho visto fosse proprio la Xenya Cass Thompson che conosciamo oggi, quanto più una sua antenata» spiegò Zenith, riacquistando la propria posizione eretta. «Ma perché io riesca ad accedere ai ricordi di quella donna...»
«Lei doveva avere il mio stesso identico sangue» completò la soldatessa, staccandosi dall'amico.
«Quindi, in pratica, lei era te. O tu eri lei» concluse la scienziata. E nessuno poté obbiettare in maniera diversa. «Ma oltre a quello, dimmi, hai visto altro?»
«No, te l'ho detto.» Xenya corrugò le sopracciglia. «Ero al buio e, dopo al dialogo con un certo ambasciatore mi sono arrivati tutti i ricordi. Come se fosse successo qualche giorno fa. C'era dell'altro?»
«C'era il futuro. Di nuovo. Minneapolis. Dobbiamo andare da Zeke.»
Zenith si fiondò fuori dal capanno, aprendo la porta come se fosse stata lubrificata in modo adeguato nei pochi minuti che vi avevano trascorso dentro. Undrel, dopo un istante di confusione, seguì la mentore.
Xenya agguantò la propria borsa e, insieme a Yekson, percorse il tragitto con una corsa a perdifiato, continuando a evitare elfi.
Riunito il gruppo davanti alla tenda, vi fecero tutti insieme irruzione interrompendo Ger, Zeke e Sasha che stavano discutendo all'interno.
Gli sguardi che ricevettero variavano dall'inorridito alla semplice sorpresa. E tutto perché un'elfa dagli occhi viola poteva aver avuto una visione del futuro.
«Si può sapere cosa vi salta in mente?» tuonò Ger, alzandosi furibondo dalla sua seduta.
«Scusa» iniziò Zenith «ma è di vitale importanza che io parli con Zeke.»
«Se è così importante, parlane con tutti noi.»
«D'accordo.» La giovane annuì e il Capo parve tranquillizzarsi.
«Ricordate tutti la storia dello smeraldo di Minneapolis?» i presenti, perplessi annuirono. «Ne avremo bisogno.»
Zenith prese poi a raccontare della Connessione Mentale e di come, grazia a essa, fosse capace di muoversi nel tempo.
«Penso che il sangue di Xenya che scorre in parte in me, scorra anche nel corso del tempo... fino a lei. E che io, in quanto ospite nel suo subconscio, riesca a muovermi attraverso tutti quelli appartenuti alle persone vissute con il suo stesso DNA.»
«Spiegati meglio» chiese Sasha, intercalando le due parole con un flebile colpo di tosse.
«In condizioni particolari riesco a muovermi lungo la linea temporale e vivere situazioni che riguardano Xenya o suoi predecessori come se stessi volando sopra di loro. Giusto poco fa ho visto un castello del passato dove regnava una donna identica a lei in tutto e per tutto, forse un po' più in carne.» I presenti guardarono per un istante la fata, provando forse a immaginarla nel 1600. «E, subito dopo, un piccolo stralcio del futuro a breve termine. Mi è già successo di vedere Xenya nel futuro: lei mi abbracciava proprio fuori da casa mia a Fronds ed è accaduto.»
«In che condizioni succede?» indagò Ger.
«Penso che Xenya debba essere in coma» ammise la ragazza. «La prima volta lo era ai Palazzi, questa volta è successo perché, modellando la Connessione Mentale, gliel'ho indotto da dentro.»
La fata rimase scioccata: le mancava questo dettaglio. Come era riuscita Zenith a modellare il suo subconscio?
«Hai quasi ucciso mia nipote?!» strepitò il Capo.
«Ma è qui!» si difese la scienziata. «Non le è accaduto nulla di grave: la Connessione Mentale tende sempre a tornare nelle condizioni originali.»
«Come hai fatto?» chiese Xenya, irrompendo nel discorso.
«A forza di cercare un modo per viaggiare, sono riuscita a capire che la sfera viola può essere piegata come se fosse gomma» spiegò, risoluta. «E, apparentemente, se riesco a dilatarla a sufficienza posso vedere anche le cose più nascoste come le tue vite passate o brevi cenni del futuro. Ma ciò provoca un tuo crollo parziale fino a quando la Connessione Mentale torna normale.»
La fata ne rimase scioccata.
«Con ogni probabilità, la prima volta che ho viaggiato, il tuo subconscio era già dilatato perché tu eri già incosciente. E ci sono finita dentro senza volerlo.»
«Ma perché proprio lei?» Zehekelion studiò interrogativo le due ragazze.
«Perché...»
«Perché il mio sangue è puro» Xenya interruppe il vano tentativo di Zenith di spiegare. «Io sono immune alle radiazioni.»
Tutti i presenti la guardarono sconcertati. Capo e Vice si aprirono in espressioni sorprese mentre Sasha addirittura sbiancò. Zenith, Undrel e Yekson, invece, ormai si erano abituati alle sorprese.
«Nei proiettili di sangue del Progetto X ci sono globuli bianchi dell'Oligarca Health, il cui DNA è stato purificato e poi clonato che, per caso, corrisponde proprio al mio» continuò la fata, senza badare agli sguardi altrui. «Zenith è stata di fatto iniettata con il mio sangue ed essendo l'unica sopravvissuta a esso, condivide con me il subconscio. E, al contrario di me, pare riesca a viaggiarci attraverso.»
«Il punto» riprese Zenith, sicura di ciò che la sua visione volesse dire «è che ho visto che, a breve, noi avremo bisogno dello smeraldo di Minneapolis. Molto bisogno. E quindi credo sia opportuno avvantaggiarci e iniziare a capire per cosa potrebbe servirci.»
«Non sappiamo nulla di quello smeraldo...» sospirò Ger. «Come tu stessa hai detto, è una storia.»
«Io forse ne so qualcosa» intervenne Xenya, facendo un passo avanti e avvicinandosi al lungo tavolo.
Appoggiò la borsa contenente i vestiti di Rory sul tavolo e si sfilò la giacca del Progetto X. Aprendone poi la tasca sulla sinistra, estrasse la lettera che nascondeva là da fin troppo tempo.
«È tutto ciò che mi rimane del mio passato» spiegò. «È una lettera scritta da Herald Health.»
Il silenzio calò pesante sulla tenda.
«Cosa centrerebbe con lo smeraldo di Minneapolis?» domandò Ger, avanzando di un timido passo.
«Non ha senso che ve lo spieghi.» Xenya aprì la lettera consunta. «Lasciatemi leggere ciò che dice Herald a proposito.
«3456 - anno che rimanda a un'antica leggenda ormai dimenticata, anno della discordia.
Si narra che in questo anno, dalle cifre ordinatamente crescenti, avverrà un'eclissi solare completa che coinvolgerà ogni angolo del pianeta. Ciò significa che la luna sarà così vicina alla Terra al punto da oscurarla per giorni, o forse anni, dalla luce.
A causa di quest'eclissi, moltissime colture periranno e gli abitanti giungeranno alla stessa fine. La catastrofe verrà preannunciata da un incendio: esso si propagherà ovunque, spazzando via qualunque cosa o persona oserà intromettersi nel suo cammino.
Ma tutto potrà essere fermato: un giovane dotato di un cuore dalle buone intenzioni riuscirà a recuperare lo smeraldo dell'eclissi - un potente strumento magico in grado di comandare gli astri.
La leggenda narra che esso sia custodito da stregoni ed elfi in una grotta nella grande terra, il cosiddetto Main. Ovvero la regione di nessuno, l'attuale Deserto Centrale, locato nel mezzo tra i sessanta Settori.»
Nessuno parlò nemmeno dopo la conclusione della lettura da parte di Xenya. Questa reinserì il proprio cimelio nella giacca e prese di nuovo le distanze dal tavolo.
«Confermi, Zenith?» chiese Ger. «Tu hai visto ciò che ha appena letto?»
«L'anno della discordia è in effetti vicino» azzardò Zenith, guardando negli occhi ognuno dei presenti. «Ma non so dirvi niente riguardo l'eclissi o l'incendio. Certo è che gli stregoni venerano lo smeraldo di Minneapolis e che noi ne custodiamo la storia. E la città è davvero nella terra di nessuno.»
«Quindi?» incalzò Sasha.
«Io ho solo visto dall'alto alcuni di noi ne pressi della grotta dello smeraldo. La sensazione che provavano tutti e che riuscivo a percepire era quella di necessità di capirne i segreti... di usarlo.»
«Nessuno si può avvicinare a quella cosa, Zen. Lo sai anche tu» disse Zehekelion.
«Bene» esordì Ger «evidentemente siete impazziti. Non riesco proprio a capire come abbiate voi tutti perso la facoltà di discernere la verità dalle mere allucinazioni!»
«Penso valga la pena provare.» Zenith avanzò di un passo, sicura e per nulla turbata da quanto detto dal Capo.
«Non costa nulla mandarli a Minneapolis, al limite torneranno a mani vuote.» Sasha supportò la causa.
«Costa molto, invece» affermò Ger. «Non posso permettere al mio Vice e al mio prossimo Generale di rischiare la vita vita nella terra dei mutanti per una stupida storia per bambini. Per una leggenda!»
«Ma tutte le leggende hanno un fondamento di verità» intervenne Zeke. «Me l'hai insegnato tu.»
«E se mai ne avessimo davvero bisogno? Potrebbero fare la differenza, giocare d'anticipo.» Sasha si alzò in piedi da quanto fervore la pervadeva. Credeva nella Connessione Mentale quasi di più di quanto lo facessero coloro che la sperimentavano davvero.
«Raccogliere dati, con tutto il rispetto, non ucciderà nessuno.» Persino Undrel si inserì nel discorso.
«Magari è la chiave per scoprire cosa collega me e Zenith. Ma non lo sapremo mai se non andiamo.» Xenya prese un profondo respiro. «Per favore, nonno.»
A quelle parole, le spalle di Ger si rilassarono, e lo stesso accadde alla sua mascella.
Xenya si sentì in colpa per aver manipolato in quel modo tutto ciò che rimaneva della sua famiglia, ma sapeva che non c'erano altre alternative per convincerlo e, nel suo cuore, la soldatessa temeva la leggenda.
Il Capo degli elfi inspirò, tornando finalmente a sedersi.
«Va bene» acconsentì. «Ma partirà solo il signor Heir, accompagnato dal signor Sjk - se lo desidera.»
'Mandare solo Yekson e Undrel? Non se ne parla proprio.'
«Penso dovrei andare anch'io.» Sia Xenya che Zeke formularono la stessa frase, in contemporanea. Finirono con l'osservarsi, stupiti, mentre la fata sentiva crescere sul volto di Yekson il suo inconfondibile sorriso di vittoria.
«Xenya, Zehekelion» li chiamò Ger, espirando pesantemente. «Ho bisogno di voi, qui. Avete detto che è importante avvantaggiarsi, no? Domani inizierà l'addestramento dell'armata verde e necessito di entrambi. Nel frattempo, lasciamo usare la scienza a chi ne è davvero capace.»
«Potrei andare anch'io? Sono la mentore di entrambi e la visione l'ho avuta solo io.» Mancava poco che Zenith si prostrasse al suolo pur di partire.
«D'accordo.» Ger sorrise appena. «E voi due.» Fece cenno alla fata e al Generale. «Impegnatevi. Non si sa quando arriverà il nemico.»
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