3. Charles II Le Chauve

24 Dicembre 1800

Monlieu si grattò il capo, tossicchiando appena. Susè al suo fianco era immobile, le spalle ben rigide. Sedeva tesa come un fusillo, senza appoggiarsi completamente al tessuto morbido. Il tenente le lanciò uno sguardo sfuggente, pronto a dire qualcosa di divertente per ammorbidirla. Sapeva che lei avrebbe colto l'allusione e sarebbe tornata ad essere tutta gentilezza e cortesia con i presenti. Pensò di farle un complimento sul nuovo vestito grigio e sulle spalle ben dritte con cui metteva in luce il corsetto ricamato.

Non ne ebbe l'occasione. La buca che la carrozza prese lo fece dondolare pericolosamente e fu un miracolo se non dovette aggrapparsi a sua moglie per sorreggersi. Lei, ovviamente, rimase immobile. La schiena dritta come pietra.

Jeròme, un soldato del suo reggimento, continuava a chiacchierare della cena che aveva dato la sera prima con la moglie. Raccontava delle cinque porzioni cucinate con dovizia, della fatica del cuoco e dell'argenteria lucida. Monlieu si morse la lingua: conosceva bene Jeròme, il suo stipendio e il suo amore per il bere. Non aveva un cuoco. Doveva aver affittato qualcuno apposta per fare presenza con il capitano Avisrien.

Monlieu tacque. Questa volta per scelta.

«Voi conoscete il compositore di questa sera, Madame Monlieu?» chiese Madame Sevant, la moglie di Jeròme.

La sua voce cupa superava di un tono quella del marito, che arrestò immediatamente il suo chiacchiericcio. Monlieu le fu grato di quell'interruzione. Con la mano destra accarezzò la tasca interna dell'uniforme, dove un sigaro pregiato era riposto con cura. Assaporava sulla lingua il gusto di fumarlo non appena fossero scesi da quella carrozza maleodorante.

Susè assottigliò gli occhi grigi, studiando con freddezza e alterigia Madame Sevant. Era il vizio di lei che Monlieu apprezzava più di ogni altro: riusciva quasi a farlo sorridere. Ovviamente, non poteva farlo. Non in quel momento.

«Haydn, madame» rispose semplicemente sua moglie, lisciando pieghe inesistenti sul vestito grigio «È un compositore austriaco. Straordinariamente capace, se posso accantonare ogni modestia. La sua musica penetra nell'anima, i suoi quartetti d'archi risultano inimitabili».

C'era un sorriso garbato sul viso di sua moglie, ma Monlieu sapeva quello che nascondeva. Susè adorava Haydn. E Mozart. E ogni compositore austriaco, in effetti. Meno erano francesi, più le piacevano. Quello era l'unico motivo per cui aveva accettato di presenziare a quella serata e di lasciare Charles a casa.

«Speriamo sia bravo come dite. Sapete, di solito non amo molto i compositori austriaci» si intromise Jeròme, il quale trovava sprecato ogni minuto passato in silenzio «In realtà, non amo molto gli austriaci in generale. Soprattutto dopo l'ultima che abbiamo dovuto sopportare!».

Il tenente Sevant ridacchiò tra sé, convinto di aver fatto una battuta di ottimo gusto. Susè non cambiò espressione, rimase immobile come un sasso. Monlieu finse un sorriso tirato, sperando ardentemente che Jeròme allontanasse la conversazione dalla vita di Maria Antonietta. Il suo desiderio fu esaudito. Madame Servant si mise a biasimare la propria scarsa conoscenza musicale. Monlieu rilassò le spalle.

Susè non sopportava si parlasse male dell'ex regina di Francia. Del resto, Monlieu aveva deciso di non chiederne mai il perché e sopprimere quell'infima parte di lui che aveva intuito la verità. Ricordava ancora il giorno dell'attentato al Direttorio, ricordava il forte prurito alla testa, ricordava quella giovane servetta dagli occhi grigi come il mare di Deauville. Ricordava il ragazzino che stringeva a sé tremante.

Monlieu a volte si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se non l'avesse aiutata, se non l'avesse sposata. Non l'amava, certo. E lei non amava lui. Erano due persone rispettose, unite dalla convenienza di un matrimonio pacifico. Essere sposato era utile per far carriera nell'esercito. Essere sposata evitava a Susè di sentirsi rivolgere strane domande sul perché passasse tutto il tempo a prendersi cura del fratello, sempre chiusa dentro casa. Charles. Lo stesso ragazzino pallido e spaventato di quella notte fatta di falò e soldati e colpi di stato. Monlieu sapeva che Susè mentiva: non potevano essere fratelli. L'età troppo vicina, i tratti troppo diversi. Lei era mora, con gli occhi grigi, l'incarnato tendente all'oliva. Lui era biondo con due diamanti azzurri incastonati sul viso e la pelle pallida dei vampiri. Susè aveva un fisico generoso, alta, sicura, decisa. Charles era fragile come le foglie d'autunno, sussultava ad ogni rumore, temeva la sua ombra. Il tenente Monlieu sapeva che non erano fratelli, sapeva che qualche altro segreto giaceva nelle pieghe dei tessuti che sua moglie ricamava. Una piccola parte di lui odorava la verità ogni volta che Charles sgranava quei suoi occhi azzurri azzurri, spaventato dalla gentilezza degli sconosciuti per strada. Spaventato come se non la meritasse, come se non l'avesse ricevuta per troppo tempo.

«Dite che manca molto?» chiese Jeròme, tamburellando le dita sul ginocchio «Non dovremmo essere vicini alle Tuileries?».

Monlieu sapeva che Sevant era impaziente di arrivare all'Operà... non per Haydn, la cui musica ignorava, ma per Napoleone. Era per quello che anche lui aveva insistito con Susè affinché lo accompagnasse. Presentarsi al Primo Console di Francia in compagnia della moglie era una mossa abile per fare carriera. Per farsi notare. In fondo, a Monlieu sarebbe bastato anche un avanzamento di grado. Era chiaro che Jeròme mirasse ancora più in altro, come tutti gli esseri viscidi che nell'ultimo ventennio avevano approfittato delle sfortune francesi. Immaginava fosse per quello che Madame Sevant si era addobbata come una cavalla da corsa, piena di fronzoli e merletti e nastrini e pizzo. Sembrava un'enorme meringa gialla, ben lontana da quella semplice grazia che emanava Susè nel suo corpetto grigio perla.

Jeròme scostò una tenda della carrozza.

«Rue Saint Nicaise» disse il tenente Sevant con soddisfazione «Vedo la cappella in lontanza. Non deve mancare molto».

«Così pare» rispose Susè, con quel suo tono lento e freddo.

Monlieu sospirò, pensando a quando avrebbe fumato finalmente il suo sigaro. Immaginò Jeròme correre qua e là, alzandosi in punta di piedi per scorgere Napoleone. Lo vide sgomitare, trascinando per un braccio la moglie vestita di giallo. Lui invece avrebbe atteso, avrebbe fumato il suo sigaro con accanto Susè. Sarebbe entrato con calma e avrebbe ascoltato la musica con piacere. All'uscita avrebbe cercato Napoleone, Susè avrebbe fatto qualche osservazione intelligente sulla musica austriaca. Lui si sarebbe lamentato con leggerezza della paga. Il Primo Console gli avrebbe chiesto il nome. E poi...

... e poi nulla andò come Monlieu aveva previsto. La carrozza sobbalzò ferocemente, si sentirono le grida del cocchiere. I cavalli nitrirono. Altre ruote cigolarono sulla strada, altre persone dovettero fermarsi accanto a loro. Questa volta fu Monlieu a scostare la tendina verde pistacchio e scoprì con orrore che qualcuno o qualcosa non permetteva di procedere oltre.

«Ma che cosa...?» Jeròme non terminò mai la frase. Nè poté mai più pronunciarne altre.

Il qualcosa esplose sonoramente, riempiendo la strada di fumo e schegge e fuochi. La carrozza, come tante altre lì vicino, si ribaltò. Jeròme era una pozza di sangue. Il tenente spinse Susè e la costrinse ad uscire dalla piccola porta piegata. Qualcuno sparò in lontananza. Monlieu sapeva che non erano gli ufficiali, glielo diceva quel prurito sopra l'orecchio destro. Si volse velocemente, afferrò un braccio di Susè e la trascinò verso le Tuileries. Madame Sevant arrancava nella loro scia. Una pallottola solitaria la colpì. C'erano urla e pianti e lamenti e sangue e polvere.

Monlieu strinse gli occhi: non riusciva a vedere attraverso tutto quel fumo. Era un dannato, maledetto agguato.

Si chiese convulsamente se Napoleone fosse morto, non perché gli importasse della vita del Console, ma perché temeva lo scoppio di una nuova rivoluzione. C'era il segreto di sua moglie da tacere. Le rivoluzioni nutrono tradimenti e bugie come maiali per il banchetto. Se Napoleone era morto, dovevano lasciare Parigi. Andare a Nord, a Tourville... o a Sud... o magari in Spagna, spingersi oltre i confini dell'Oceano. Fuggire come ratti braccati.

«Dove andiamo?» urlò Susè. Aveva il fiatone. La crocca nera era rovinata, ciocche ribelli fuggivano senza posa sulle spalle, nel corsetto, lungo il collo.

«Da questa parte» gridò Monlieu, dimostrando una lucidità che non aveva mai saputo di possedere.

Le grida li seguirono mentre si infilavano in una piccola viuzza laterale, quasi del tutto nascosta dal fumo e dalla notte. Monlieu si arrestò in mezzo alla stradina, non sapendo dove andare. Proseguire dritti li avrebbe portati verso l'Operà... se Napoleone era morto, era lì che i neo-rivoluzionari avrebbero atteso ogni possibile sostenitore. Tornare indietro... non era un'opzione.

«Non possiamo rimanere qui» ringhiò tra i denti Susè.

Aveva ragione, Monlieu lo sapeva. Se quelli con i fucili avessero deciso di rincorrerli, non avrebbero dovuto neanche sforzarsi di mirare in quella piccola strada dimenticata da Dio.

«Bussiamo al sarto!» esclamò Susè con troppa speranza, correndo verso la porta di Mastro Desagrè.

Il pugno chiuso della moglie si abbatté sulle toghe di legno tre volte. Nessuno aprì.

«Non vuole essere coinvolto» disse Monlieu, che sentiva chiaramente i battiti del proprio cuore accelerare mentre dei passi frettolosi si avvicinavano alla via.

Poteva essere un amico. Poteva essere un nemico. Le probabilità di sopravvivere diminuivano. Forse Susè aveva ragione, forse sarebbero dovuti rimanere a casa con Charles.

«Di qua» fu un sussurro quello che raggiunse le orecchie di Monlieu.

Ma per il tenente fu sufficiente. I passi erano troppo vicini. Senza curarsi di chi fosse il loro salvatore, il tenente afferrò il polso gracile di Susè e la spinse dentro lo spiraglio di luce. La seguì subito dopo. La porta si chiuse alle sue spalle. I passi rimbombarono nella via dietro di loro.

Fu in quel momento che Monlieu realizzò che erano entrati dal retro della locanda dove era solito sorseggiare il vino ogni sera. Dall'altra stanza, oltre una logora tenda di stoffa, arrivava il vociare degli avventori e il fruscio delle sottane delle ragazze. Monlieu si sentì al sicuro. Ma non durò a lungo.

Susè si aggrappò al suo braccio, i capelli spettinati e folli come una Medusa di pietra. Monlieu vide del sangue sul suo corpetto. Caldo, vischioso, rosso sangue. Non se ne era accorto prima. Quando le avevano sparato?

«Deve stendersi!» gridò, mentre un nuovo tipo di terrore - del tutto diverso da quello di pochi minuti prima - si faceva prepotentemente spazio nel suo cuore.

«Di qua» sussurrò ancora una volta la miracolosa salvatrice.

Monlieu prese la moglie svenuta in braccio e seguì la loro guida lungo una rampa di scale anguste. Sbucarono in un corridoio stretto e buio.

«Le ragazze sono alla locanda. Potete restare qui tutta la notte» sussurrò ancora lei.

Monlieu non rispose. La paura era ancorata ad ogni fibra del suo essere, torcendogli la gola. Giunsero infine in una piccola stanza pulita, dove Susè fu adagiata sul letto. Il tenente e la ragazza aprirono il corsetto.

«L'hanno presa di striscio» sospirò di sollievo Monlieu, all'improvviso si sentiva leggero come un uccello. Ed era strano, perché lui non si sentiva mai così «Basterà un po' d'acqua, di oli disinfettanti e una garza».

«Li ho qui» sussurrò la ragazzina, trafficando con un cassetto.

Prese l'occorrente e glielo porse. Monlieu si sedette accanto alla moglie e cominciò a spargere l'olio profumato sulla piccola ferita. Si disse che probabilmente la corsa spericolata le aveva fatto perdere più sangue del previsto. Dopo una decina di minuti, la ferita di Susè era pulita e fasciata. Fu allora che il tenente si rese conto di essere stato straordinariamente sgarbato. Avvertiva i grandi occhi della ragazzina fissi su di lui.

«Io sono il tenente Monlieu» disse, alzandosi in piedi per fronteggiare quella figura esile e gracile «Ti ringrazio anche a nome di mia moglie per averci aiutati».

La ragazzina arrossì. Era giovane e sgraziata, smilza come un ramoscello e con i capelli flosci. Indossava una tunica sporca e sfilacciata. Dondolava sul posto e si grattava nervosamente i polsi. Il suo sguardo marrone non abbandonava il pavimento.

«È stato un piacere» sussurrò, ancora una volta, Mariette l'ébauche.

***

Annotazioni storiche: Il 24 Dicembre 1800 Napoleone si sta recando all'Opera, quando (su Rue Saint Nicaise) la via viene sbarrata da una carrozza con un barile. Il cocchiere si tuffa su una strada laterale appena in tempo, la botte esplode, i ribelli (forse realisti, forse giacobini) sparano una serie di colpi. Moriranno 22 persone. Napoleone si salva. Deauville è una località di mare nel Nord della Francia, molto in voga fino al 1800. Lo stesso vale per Tourville. Franz Joseph Haydn è un compositore austriaco, celebre per le sinfonie e il quartetto d'archi, ha composto una serie di oratori e musiche sacre molto belle.

Annotazioni che non c'entrano nulla: L'Austriaca di cui parla Jeròme è ovviamente Maria Antonietta. Il capitolo ha il titolo del terzo re di Francia, Carlo il Calvo. Jeròme Sevant e sua moglie non sono mai esistiti. Lo stesso vale per il Capitano Avisrien e Mastro Desagrè. Qualche tempo fa ho avuto una conversazione privata con una mia lettrice molto interessante (e la ringrazio), dove mi chiedeva se l'ordine dei capitoli fosse questo. Mi ha fatto pensare che forse serviva un mega chiarimento generale: sì. Chi mi conosce sa che amo le trame intricate e gli indizi che passano inosservati. Se rileggete i primi due capitoli alla luce di questo, noterete molti dettagli che vi erano sfuggiti probabilmente. Per ogni chiarimento, io sono qui.

Dalla cabina di comando è tutto. Ci 'leggiamo' al prossimo capitolo!

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