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Xenya tirò su con il naso un'ultima volta mentre con l'avambraccio si sfregava gli occhi per strizzarne ogni lacrima rimasta, senza pensare al fatto che li avrebbe arrossati solo di più. Aveva perso troppo tempo a compiangersi, distesa sul divano candido con le ali corvine richiuse attorno al corpo, ed era giunto il momento di reagire per se stessa ma anche per tutti coloro che, partendo, avrebbe lasciato indietro.
Doveva sbrigarsi e sistemare tutto il disastro che aveva lasciato: le pistole, la mappa e i proiettili abbandonati dentro la sagoma scavata del materasso non sarebbero di sicuro dovuti essere lì. Per non parlare del fatto che a breve, puntuale come pochi, David si sarebbe presentato nella stanza con il vassoio con la cena.
Prese un profondo respiro, proprio come faceva prima di allenarsi per estraniarsi da tutti e tutto e, chiudendo le palpebre prima e riaprendole poi, concentrazione e determinazione erano dove erano sempre state.
Innanzitutto, era necessario nascondere le armi e le munizioni. Prese la giacca del Progetto X che era ancora adagiata sulla sedia in plastica da quando era tornata dall'allenamento: per fortuna i due uomini non le avevano sequestrato anche quella, oltre ai pantaloni. La distese sul letto accanto agli oggetti proibiti e aprì la tasca posizionata sul pettorale sinistro, trovando subito la rassicurante presenza della lettera di nonno Herald.
Attenta a non rompere il sacchetto dei proiettili, allentò il nodo che lo teneva chiuso. Estrasse tutti i colpi e li lasciò cadere sfusi dentro la tasca assieme al foglio di carta, adagiandovi sotto anche il contenitore in plastica.
Se avesse avuto bisogno di ricaricare, avrebbe di certo dovuto farlo in fretta e aprire una busta non era la procedura più rapida. Ma probabilmente il contenitore le sarebbe risultato utile, in un modo o nell'altro.
Nel dubbio, controllò anche i caricatori delle sue pistole e, per fortuna, erano pieni di munizioni: forse sarebbe riuscita a non terminarle prima di raggiungere il Deserto Centrale.
Riguardo al tragitto da compiere, si ricordò di raccattare la mappa disegnata dalla Foxn, la piegò ancora una volta su se stessa e la infilò nella tasca destra: doveva essere riposta in una posizione comoda per potere essere estratta all'evenienza.
Gli stivali da soldato, neri e in pelle talvolta graffiata ma pur sempre lucida, erano ancora ai piedi del letto. Xenya tirò un sospiro di sollievo: almeno non sarebbe dovuta volare scalza. Per non parlare che poteva riporvi le armi. Infilò le pistole nelle fondine esterne, prestando attenzione che i laccetti blu non rimanessero a penzoloni.
Inspirò nel profondo un'altra volta e fu quindi costretta a pensare all'argomento più difficile da affrontare: il vestiario. Aveva ancora la giacca e una maglia nera che usava come pigiama, ma l'unico paio di pantaloni che aveva era stato requisito dai fratelli.
In piedi, la ragazza iniziò a ruotare sul suo asse alla ricerca di qualcosa che sarebbe potuto diventare un indumento ma... niente. Fuorché il vestito.
La gonna di seta nera era bellissima, certo, ma lunga e scomoda per qualcuno che avrebbe dovuto volare tutta la notte: lo strascico rischiava di fare rumore con il vento.
Guardò fuori dalle finestre: si stava facendo sempre più buio. Lo stomaco le si attorcigliò all'idea di dover fuggire, ma rimase comunque concentrata per trovare una soluzione.
L'autunno era imminente: l'aria notturna poteva essere frizzante, certo, ma non troppo fredda.
In ogni caso non aveva alternative: si tolse l'abito in seta rimanendo in biancheria e lo distese sul tavolo. Scalza, corse verso il lato opposto e, da sotto il materasso, estrasse la lunga forbice che la Kein aveva abbandonato nella stanza il giorno in cui le aveva tolto la tunica operatoria.
Sempre in velocità, si avvicinò al lungo ripiano bianco e, senza pensarci troppo, tagliò una lunga fetta di tessuto nero. Si morse le labbra, in ansia: ciò che aveva davanti era un abito con la gonna corta, avrebbe avuto freddo ma almeno sarebbe stata libera di muoversi.
Infilò tremante la stoffa in eccesso nello stesso posto dov'era rimasta la lunga cesoia per settimane. Quest'ultima fu infilata accanto alla pistola di sinistra dentro lo stivale: non poteva sapere cosa le sarebbe servito durante il viaggio.
Sorprendentemente, era pronta.
Esagitata, prese tutto ciò che aveva sistemato e lo inserì nel sottile spazio che separava il letto dal pavimento. Lo sguardo le cadde sul tulle nero del sopragonna che era ancora abbandonato sul parquet bianco: lo sollevò da terra e, aprendo la porta del bagno con la mano libera, buttò la stoffa ingombrante dentro la vasca sull'angolo.
Il momento era fin troppo vicino. Controllò con accuratezza che non rimanesse alcunché che potesse far pensare a un piano di evasione.
Si passò le mani frementi tra i lunghi capelli rosso fuoco e si guardò allo specchio: era ancora in biancheria intima. Correndo verso un piccolo comò bianco che si era fatta portare per tenere ordinata la sua stanza, aprì l'unico e sottilissimo cassetto e vi trovò la lunga maglia nera con cerniere che componeva il suo abbigliamento notturno.
La indossò e, non appena terminò di chiudere la lampo di sinistra, qualcuno bussò alla porta. A Xenya era chiaro di chi si trattasse e quindi andò ad aprire.
«Ciao» la salutò con un inquietante sorriso David.
La ragazza in tutta risposta si spostò dall'uscio e lasciò entrare il Consigliere.
«Ho un sacco di fame» ammise la soldatessa. L'allenamento l'aveva prosciugata e aveva davvero bisogno di reintegrare il tutto per avere la forza necessaria per scappare.
«Perfetto...» Il ragazzo ridacchiò, appoggiando il vassoio carico di cibo sul tavolo. «Niente medicine da oggi in poi, mi hanno detto.»
«Come mai?»
«Forse perché non ti servono più.» Alzò le spalle. «Però io mi aspettavo di vederti con l'abito addosso.»
«Non hai il permesso di vederlo prima della trasmissione.» Xenya sorrise, sudando freddo ma rimanendo impassibile. Non poteva fallire proprio in quell'istante.
«Pensavo valesse solo per i matrimoni.»
«Infondo sai bene che si tratta di una cerimonia del genere» sbottò la ragazza. S, oltre al fatto che lei sarebbe stata la prima fata della Terra, avrebbe parlato dell'imminente matrimonio dei due.
«Hai ragione. E a quel punto...» Le prese una mano con la propria. «Non sarai solo una paladina per i soldati del Progetto X, ma per Clock intero.»
«Non voglio esserlo.» Xenya strinse i denti, perdendosi per un istante nel contatto che tanto le ricordava lo Strange che il giovane era stato.
«Lo so.» David annuì fingendosi amorevole e sorridendo comprensivo. «Ma pensi che la tua opinione in questa cosa conti qualcosa?»
La soldatessa ritrasse subito la mano e lo guardò disgustata.
«Per me puoi andare a bruciare all'inferno.» Pronunciò parole così velenose che da scalfirgli l'orgoglio smisurato che aveva accumulato. Forse non era davvero diventato del tutto insensibile, forse un po' del David originale era rimasto; ma era troppo tardi per salvarlo.
«Mangia veloce» le ordinò, di nuovo impettito e insofferente. «Oggi andrai a letto presto: domani sarà una giornata impegnativa.»
«Puoi dirlo forte...» sibilò Xenya, ma non seppe se l'avesse sentita o meno perché il Vicecapo Consigliere voltò subito le spalle e uscì sbattendo la porta.
La ragazza rilassò le spalle e si avventò sul cibo. Le porzioni di carne e verdura, per la prima e ultima volta dall'inizio del Progetto X, erano adeguate. Nel mese passato aveva riacquistato una certa forma fisica e le guance non erano più scavate come i primi giorni dal suo risveglio dopo l'intervento.
Finita la cena, come consigliatole da Madeline, si mise a letto e finse di dormire. Le guardie entrarono e, senza curarsi del suo effettivo assopimento o meno, spensero la luce e richiusero in fretta la porta.
Xenya scattò in piedi e appoggiò l'orecchio all'uscio: i passi si stavano davvero allontanando come le aveva detto la Foxn.
L'evasione era appena iniziata.
Si precipitò ancora una volta nel pressi del materasso comodo e strano che avrebbe dovuto abbandonare: estrasse tutto l'occorrente alla cieca e lo buttò sul letto alla rinfusa.
A tentoni indossò l'abito tagliato sopra la maglia: almeno non avrebbe avuto troppo freddo nella parte superiore del corpo. La gonna, un po' frastagliata date le doti pressoché inesistenti di sartoria della soldatessa, le arrivava poco sopra il ginocchio. Guardò il lato positivo della cosa, ossia che sarebbe riuscita a correre in tranquillità se necessario.
Impiegò un po' di tempo per allacciarsi gli stivali, cosa che risultava piuttosto complicata se svolta al buio. Prese poi la giacca e, ripiegate le ali addosso al proprio corpo, se la chiuse sino sotto il collo. Con le mani verificò un'ultima volta di avere entrambe le pistole nelle fondine e tutto il necessario dentro le tasche superiori.
Si posizionò davanti la porta con la mano tremante sopra la maniglia.
Come le avevano detto Madeline e Yekson, non avrebbe avuto seconde possibilità.
Inspirò e aprì il valico, veloce per evitare un qualsiasi scricchiolio.
Senza guardarsi indietro, si piegò sulle ginocchia per fare meno rumore possibile e, rasente al muro osservò l'atrio del piano residenziale. Era buio, nessuno lo popolava.
Il suo respiro era pesante, il cuore le batteva all'impazzata: se fosse successo qualcosa, avrebbe reagito nell'immediato. Era pronta a tutto e l'adrenalina aveva già preso a scorrere copiosa nel suo purissimo sangue.
Xenya continuò il proprio cammino verso il lato sinistro dell'ascensore, camminando cauta ma veloce. In un batter d'occhio, ripeté i gesti che aveva compiuto Francis e aprì la porta che dava sulla stretta scala a chiocciola d'emergenza.
I suoi occhi si erano abituati alla quasi nulla luminosità mentre correva a perdifiato, saltando un gradino ogni due mentre saliva di due piani. Incontrò un pianerottolo a metà del suo cammino: se fosse uscita al trentatreesimo piano si sarebbe trovata nella Sala del Consiglio e di sicuro non sarebbe stata una buona idea.
Riprese la sua corsa verso l'alto, le ali che ancora una volta pulsavano per essere liberate da sotto la giacca pesante. Ora che ci pensava, se voleva volare, avrebbe dovuto toglierla. Non importava: prima doveva raggiungere il tetto e poi ci avrebbe pensato. L'avrebbe tenuta in mano o...
Le scale terminarono con una botola metallica, risvegliandola dai propri pensieri. Incanalando tutta la forza sulle braccia, riuscì ad aprirla e, con un balzo, i piedi di Xenya toccarono il cemento del tetto mentre i suoi polmoni respiravano l'aria fredda e scura della notte.
Gli occhi le lacrimarono per la brezza che sferzava e fu costretta a sbattere le palpebre qualche volta per essere sicura di non stare sognando: una figura le dava le spalle, appoggiata con i gomiti sul parapetto mentre guardava l'orizzonte poco distante dalla botola.
Come un gesto naturale, la fata si piegò verso lo stivale destro e ne estrasse subito la pistola, carica, puntandola verso la silhouette scura.
«Mi stavo chiedendo quante altre notti avrei dovuto passare qui al freddo prima che provassi a scappare.» L'affermazione proveniente dalla persona fu culminata con un sospiro.
Matt Strength si voltò lento e si avvicinò alla ragazza che, sicura, ancora gli puntava addosso l'arma. L'uomo buttò a terra un mozzicone di sigaretta e si assicurò che fosse spento, pestandolo.
«Lei... Cosa?» chiese spiegazioni Xenya, immobile nelle sue convinzioni seppur spaventata.
«Oh, dammi del tu.» Il Consigliere Capo sorrise macabro, il viso appena illuminato da un raggio di luna. «Pensavi davvero che fossi così ingenuo da lasciare due pessime guardie davanti alla tua stanza e nessuno a sorvegliare le varie uscite?» La ragazza l'aveva trovato troppo bello per essere vero, ma non se n'era preoccupata. «L'ho fatto apposta: conosco le tue potenzialità e non sono stupido. Eppure stavo iniziando a pensare che avessi iniziato a accettare l'idea di diventare madre dei prossimi monarchi assoluti.»
«Non accadrà mai.» La ragazza era risoluta come non mai. Davanti a sé non vedeva nient'altro che l'ennesima figura di EPPI da annullare. Solo che uccidere quell'uomo sarebbe stato cento volte più soddisfacente.
«So bene come ragionate in quella famiglia.» Annuì grave. «Se non sei convinta nel profondo di qualcosa, non lo farai mai. Per questo ho intenzione di metterti davanti a una scelta, cosicché se sceglierai di restare, lo farai per sempre e non dovrò mai più preoccuparmi di te» annuì quasi complimentandosi con se stesso per la propria magnanimità.
Xenya sentiva le proprie ali fremere dietro la schiena, desiderose di incutere timore all'avversario; solo che S non se ne sarebbe spaventato. Perché le aveva progettate lui.
«Non accadrà» ripeté la soldatessa, limitandosi a stringere il pugno sinistro. «Quindi? Quanto ci vorrà prima che arrivino le tue guardie per giustiziarmi? Sembrerà un incidente come quello che sarebbe dovuto accadere a Francis?» Cambiò argomento, per nulla intenzionata a starlo sentire. La sua presenza sul tetto avrebbe potuto essere anche solo un diversivo, per quello che ne sapeva.
«Oh, sciocca e paranoica ragazzina!» S rise, portandosi la mano destra sulla pancia. «Sono solo. Nessuno sa che sono qui, e per quanto mi riguarda potresti essere tu quella che uccide me buttandomi giù e facendolo sembrare un suicidio.»
La ragazza strinse appena il calcio della pistola nel suo palmo, d'istinto. Buttarlo giù sarebbe stato fin troppo poco doloroso per lui. Meritava di soffrire per mezzo dei proiettili di sangue proprio come i mutanti che tanto disprezzava. Il Consigliere Capo rise ancora.
«Ma com'è ovvio hai le tue pistole! Forse sono un po' stupido.» Storse la bocca, distogliendo lo sguardo per un istante. «Magari sono anche cariche con i proiettili di sangue... Questo piano è stato davvero ben studiato: potresti dirmi i nomi di chi ti ha aiutata e potrei anche lasciarti spiccare il volo.»
«Tu sei pazzo.»
«Ovvio che lo sono!» Alzò le mani, riprendendo a ridere. «Perché pensi abbia ucciso così tante persone e voglia con così insistenza la distruzione dei mutanti?» Lo sguardo dell'anziano era folle. «Voglio arrivare agli elfi, a tuo nonno e distruggere anche l'ultimo bagliore di speranza. Xenya, sono pazzo di potere.»
La fata aumentò la pressione sul grilletto, sicura su ciò che avrebbe dovuto fare: doveva ucciderlo.
«Ti conviene davvero uccidermi?» chiese lui, leggendole il pensiero e abbassando le braccia per poi incrociarle al petto.
«Cosa intendi dire?» Xenya strinse le palpebre. Sembrava una domanda così sciocca: le sarebbe convenuto eccome!
«Come ti stavo dicendo prima, devi fare una scelta.» S scrollò le spalle.
«L'ho già fatta.» La fata era sicura che la sua fedeltà andasse agli elfi e un vecchio pazzo, di notte e su un tetto di sicuro non le avrebbe fatto cambiare idea.
«Non è quello che pensi tu. Non sarà una sfida tra ideali astratti come quella che il tuo aiutante ti ha proposto, ma tra un ideale e un tuo interesse personale.» Ghignò, assumendo la stessa identica espressione che di tanto in tanto, nell'ultimo mese, aveva attraversato il volto di David.
«Non sai nemmeno di cosa stai parlando...» Xenya scosse la testa, ridacchiando per la convinzione di sapere tutto che aveva l'anziano.
«E invece sì. Puoi decidere di uccidermi e andartene dai tuoi cari elfi, nessuno te lo impedirebbe.» Nello sguardo di S non c'era sarcasmo: l'avrebbe lasciata fuggire davvero. «E sai cosa succederebbe qui? Dopo la mia morte il consiglio vorrà David al comando, ma è troppo giovane e inesperto riguardo gli usi di Palazzo della Forza. Gli inquineranno la mente e lo manipoleranno distruggendo tutto l'animo del ragazzo che conosci.»
«Lui è già perso.» La soldatessa strinse la mascella, provando un certo dispiacere nel dirlo. «E poi non capisco cosa dovrebbe importarmene.»
«Cara Xenya,» affermò paterno il Consigliere Capo «so che provi qualcosa per mio nipote; o almeno lo provavi. Ti importa ancora di lui e in fondo nemmeno puoi negarlo.»
«In ogni caso non vedo alternative. Nessuno di noi due ha deciso in che famiglia nascere: è già tutto prestabilito.»
«Non è così!» S sorrise, convinto di aver fatto breccia nella corazza di determinazione della ragazza. «Potresti rimanere qui e condividere il peso della corona con David. Tu saresti un'ottima Consigliera Capo, dopo la mia morte naturale com'è giusto che sia. Salveresti la mente del ragazzo che tanto ti ama.»
David non l'amava. Amava solo il potere assoluto che lei incarnava. E poi, come S già le aveva detto il giorno del risveglio di Xenya dopo l'operazione, sarebbe stato lo Strength ad assumere il controllo del Consiglio sino all'ascesa del primo monarca legittimo. Il vecchio stava cercando di influenzare le sue idee, ma non sembrava capire che non c'era possibilità di portarla dalla sua parte.
Non sarebbe stata a guardare gli Strength rovinare tutto il lavoro fatto per aiutare l'umanità dopo la terza guerra mondiale.
«Non tradirò la mia famiglia per la tua.» La serietà e la convinzione con cui Xenya aveva affermato ciò spaventò l'interlocutore.
«Smettila!» tuonò infatti S, avvicinandosi ancora di un passo, toccando la canna della pistola con il petto. «Scegli e basta: inseguire l'ignoto di una stupida promessa di pace o la certezza di una vita tra gli agi?»
Non si diede nemmeno il tempo di pensare a un futuro rinchiusa a Palazzo della Pace come macchina da riproduzione e soprammobile da mostrare solo in occasioni speciali.
«Temo sia giunto il momento di dirti addio» rispose la fata, impassibile.
«Allora addio sia, Xenya Cass.» Il sorriso si smorzò nel volto di S: forse anche lui pensava di essere pronto per morire per i suoi ideali, ma in realtà nemmeno lui lo era.
«L'aldilà deciderà la tua sorte.» La soldatessa sorrise appena. «E pregherò perché sia la più cruenta possibile.»
Senza spostare il proprio sguardo dagli occhi dell'anziano, la giovane premette il grilletto.
Il proiettile di sangue sfrecciò dentro la pistola, veloce, insinuandosi all'altezza del cuore corroso dal potere di S. L'uomo chiuse gli occhi al percepire l'impatto e si lasciò andare, cadendo di schiena sul cemento del piccolo tetto, mentre veniva scosso dalle convulsioni, proprio come era accaduto a Zenith.
Solo che lui non si sarebbe mai più svegliato, proprio come Francis.
Quando la schiuma smise di uscire dalle labbra secche dell'ormai ex Consigliere Capo e una macchia rossa si stava espandendo sotto il cadavere, Xenya si piegò sulle ginocchia e osservò da vicino e con un macabro senso di soddisfazione la sua opera. Aveva ucciso la persona che le aveva reso la vita quasi invivibile.
Quasi solo perché aveva incontrato persone in grado di sollevarle alcuni dei gravosi pesi che si trascinava dietro ogni giorno. Una di queste persone le era stata strappata via con la forza. E ora aveva avuto la sua vendetta.
Non avrebbe neanche provato a farlo sembrare un suicidio come le era stato consigliato dal morto: voleva che tutti, ma soprattutto David, sapessero che era stata lei. Chiuse le dita della mano destra, lasciando distesi solo l'indice e il medio e li intinse nel sangue di S.
Dovette ripetere più volte il passaggio perché riuscisse nel suo intento. Quando si alzò in piedi e osservò la sua opera, un sorriso le si stampò in faccia: poteva alla fine spiccare il volo.
A lettere cubitali, accanto alla salma, c'erano scritte tre lettere piuttosto eloquenti per chi sapeva la verità: XPH, rosse e in netto contrasto con il grigio del cemento. Si pulì le dita alla ben'e meglio sulla gamba sinistra dei pantaloni scuri del cadavere.
Superò con un balzo le scritte e si aprì la giacca, lasciando che le ali occupassero l'intera larghezza del piccolo tetto. Estrasse la mappa disegnata, chiuse la cerniera della tasca e inspirò a pieni polmoni.
Si legò le maniche del pesante indumento, strette attorno la vita, e studiò con attenzione la cartina. Poi la ripiegò e strinse nel palmo, agitata.
Iniziò a correre e, presa la rincorsa necessaria, saltò oltre il parapetto sempre in calcestruzzo, e con un battito d'ali stava volando nella notte.
Salì in quota solo per il gusto di farlo e osservò dall'alto i tre Palazzi, ripensando al fatto che due sarebbero dovuti essere suoi. Sorrise mentre sorvolava la piazza circolare in asfalto e il ritmico battito d'ali scandiva il tempo.
Sarebbe stata una lunga notte.
'Sono Xenya Peace Health e sono ancora destinata a qualcosa.'
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