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Xenya riaprì gli occhi e davanti a sé ritrovò la solita stanza bianca immersa nella luce dell'ennesima giornata soleggiata.
Erano trascorse tre settimane dalla prima sessione di elettroshock e si avvicinava pericolosamente anche la fine della quarta. Con essa, era imminente anche la data del ridicolo comunicato per presentarla al mondo come mascotte della guerra di depurazione promossa dal Consiglio o, per meglio dire, da S.
Ruotò all'interno della sagoma scavata del suo materasso, mettendosi seduta e stiracchiandosi. Durante la notte aveva richiamato le ali al corpo, forse a causa dell'incubo in cui sparava prima a Zenith, poi a Francis e infine a se stessa. Il brutto sogno, però, era così ricorrente che non ci dava più alcun peso.
Era già da qualche giorno che le era permesso svegliarsi da sola: avevano smesso di somministrarle il legante bluastro e, di conseguenza, non era più necessario che un addetto scorbutico le togliesse la guaina magnetica. Inspirando nel profondo, la ragazza si alzò dal letto e si avviò a passo sicuro verso il vassoio contenente la colazione.
Tutto, a partire da quando si era ripresa dall'intervento, era accaduto in fretta e anche le cose più singolari erano diventate parte integrante della routine. La mattina, dopo un'abbondante colazione, era occupata dall'elettroshock nel soppalco; la pausa constava nel scambiarsi sguardi non troppo eloquenti con Yekson; il pomeriggio la fata si dilettava con percorsi a difficoltà sempre crescente dentro EPPI mentre la sera cenava nella sua stanza cercando di evitare il più possibile David e la giornata ricominciava. Almeno, da quando la ragazza aveva espulso S, non doveva più sorbirsi il vecchio - solo suo nipote.
Ma cosa più importante, già da una settimana e mezzo Xenya aveva imparato a volare.
Le strane metodologie adottate dagli Strength per farla abituare alle ali avevano dato i loro frutti, facendo sì che fosse in grado di sbatterle a sufficienza veloci da alzarsi da terra e fluttuare per qualche decina di metri dentro il soppalco. Per ordine di David, soprattutto durante i primi svolazzi, le era vietato sforzare troppo questi nuovi arti artificiali.
La soldatessa concluse in fretta la propria colazione, distendendo e richiamando le ali a ripetizione per riscaldarle alla giornata, il tutto mentre ripensava in estasi agli ultimi tre giorni - divertenti ma imbarazzanti - in cui Bill la sforzava a curvare. Un conto era volare utilizzando all'unisono le nuove tecnologie, un'altro era convogliare l'intelletto nella sola coordinazione per fare sbattere più una dall'altra.
Sorrise: ce l'aveva quasi fatta.
Ma la cosa che più l'emozionava era racchiusa nel momento in cui era riuscita a concentrarsi e superare il blocco statico con un balzo accompagnato da un battito d'ali. Era stato magico, di sicuro uno degli istanti più sbalorditivi della sua vita.
Okay, riproviamo aveva impartito Bill, dopo aver cacciato con poca gentilezze David perché metteva troppa pressione alla fata. Su, giù, su... Perfetto: il movimento c'è ed è l'ideale. Ora prendi un po' di rincorsa e salta un po'. Appena stacchi i piedi da terra, devi solo concentrarti su "su e giù".
E così aveva fatto: il blocco l'aveva superato solo con lo slancio, ma la cosa più bella era stata vedere le proprie ali sbattere forte e sollevarla ancora di più.
Era stato proprio in quel frangente che aveva alla fine iniziato a vivere quella nuova vita.
Deglutì l'ultimo sorso di caffè amaro e indossò la maglia speciale con cerniere, seguita dai pantaloni e gli stivali ben stretti. Richiamate poi le ali al corpo e chiusa la lampo fin sotto il collo della giacca dell'Ordine, la ragazza fu pronta a uscire dalla propria stanza.
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«Iniziamo, Xenya?» le chiese David dalla sala dei comandi, affiancando Bill. Quest'ultimo stava armeggiando con varie levette e pulsanti del quadro, cercando di impostare alcune cose di cui nemmeno lui era a conoscenza, dato lo sguardo confuso.
«Sono pronta» affermò la soldatessa, deglutendo.
Quel mattino, al contrario del solito, le avevano risparmiato l'elettroshock facendola però levitare in giro per il soppalco senza una meta precisa, tanto per esaminare la sua resistenza. Per fortuna Xenya era dotata di una certa autonomia.
Nel pomeriggio, però, non l'avrebbero risparmiata: era l'ultimo allenamento prima dell'holojournal e dovevano testare le sue vere competenze. Lei stessa doveva verificarsi perché, se voleva scappare prima delle riprese, doveva fuggire l'immediato giorno successivo.
Sfilò le proprie armi dagli stivali e chiuse per un istante gli occhi per concentrarsi. I suoi polsi, dentro i laccetti cobalto delle sue pistole, erano fermi e i loro battiti regolari. La mente era invece determinata e proiettata verso un futuro positivo: non poteva fallire. Le mani, premute contro l'impugnatura della sua akimbo, per la prima volta non sudavano. Era certa delle proprie capacità e non poteva permettersi un esito negativo, perché avrebbe solo significato che non sarebbe riuscita a fuggire da lì.
Doveva volare veloce e a lungo se voleva avere una possibilità contro S. E quell'ultimo percorso EPPI sarebbe stato il terreno di prova.
«Ti ricordo che domani pomeriggio si terrà l'annuncio» la informò il Vicecapo Consigliere «e ci teniamo che tu faccia una buona figura.»
Era ingenuo da parte di David pensare che quell'apparizione non fosse stata il chiodo fisso nei pensieri della ragazza da quando, tre giorni prima, ne era venuta a conoscenza. Il problema principale constava nel fatto che non aveva ancora elaborato un piano concreto con Madeline, incrociandola solo per caso lungo i corridoi di Palazzo della Forza, il mattino. La notte, prima di addormentarsi pensava a come uscire dal grattacielo, ma due erano le domande che finiva sempre con il porsi: come avrebbe fatto senza armi e senza sapere dove dirigersi.
Secondo la visione della realtà di Zenith che aveva avuto durante l'ultima Connessione Mentale, la zona del Deserto Centrale dove stavano gli elfi doveva trovarsi più o meno nella stessa fascia oraria del Settore Uno, ma la cosa non restringeva troppo il campo contando che l'area del luogo dove tutte le varie tribù di mutanti risiedevano era molto più grande di quella di tutti i Settori cumulati. Doveva riuscire a parlare con la Foxn prima del pomeriggio seguente.
Xenya fu strappata ai suoi complotti dalla sirena che emise il suo grido stridulo, determinando l'inizio della sessione.
Come Bill le aveva detto - ma non era certo di riuscire a programmare EPPI in maniera tale - non ci sarebbero dovuti essere ostacoli fisici da superare, bensì il cubo dorato sul vertice opposto del soppalco e varie figure da annullare per raggiungerlo, il tutto volando.
«Sinceramente...» Xenya udì Bill non appena il rumore della sirena svanì. «Non sono sicuro di aver impostato tutto in modo corretto.»
«Non importa» affermò ridacchiando la soldatessa, immaginando il proprio allenatore grattarsi la nuca come era abituato a fare quando era in leggero imbarazzo.
Subito dopo, ecco apparire un quadrato colore dell'oro impresso dentro la parete nera di fronte a lei. Si trattava di fare una ventina di metri volando: ce l'avrebbe fatta, ce la doveva fare. O la sua missione sarebbe fallita in partenza.
Inspirò a pieni polmoni e fece vibrare le proprie ali per sgranchirle, proprio come le era stato insegnato da alcune videoriviste sul volo degli uccelli che le erano state recapitate qualche sera prima.
Iniziò a correre per prendere la rincorsa necessaria per essere più veloce, ma una figura antropomorfa le si parò davanti. Sussultando appena - senza però deconcentrarsi - alzò il braccio destro e sparò all'altezza della fronte dell'essere, il quale scomparve in fretta lasciandole libera l'improvvisata pista di decollo.
Staccò i piedi da terra con un balzo, ma se ne pentì subito : il vuoto nello stomaco, tipico della caduta libera a cui non si era ancora abituata, la travolse ma quella sensazione venne compensata da un forte battito d'ali che la fece subito salire verso l'alto.
Contenta di essere pressoché salva, Xenya si dimenticò di continuare a muovere i suoi nuovi arti così da restare in posizione e rischiò di precipitare ancora. Un altro movimento automatico la salvò e quindi prese a prestare attenzione a battere le ali in maniera costante e alla giusta forza per poter rimanere sollevata.
'Su e giù, su e giù...' si ricordò.
«Un decollo un po' amatoriale» scherzò Bill, ridacchiando a braccia conserte seduto al suo posto.
Per fortuna, il clima in quelle settimane si era molto disteso: nonostante David e suo nonno rimanessero un unico, insormontabile nemico, allenatore e assistita erano tornati ai soliti scambi scherzosi senza curarsi di presenze estranee. Se se ne fossero preoccupati, sarebbero impazziti: ignorare gli Strength e impegnarsi al massimo erano i loro scopi finali.
Ora che Xenya era in volo, doveva aspettare che EPPI si settasse sull'apposita modalità fata - inserita apposta per lei - prima di riprendere il percorso. Il tutto perché la versione base del soppalco automatizzato era dotato di un algoritmo speciale per individuare la sua presenza e la sua intenzione di movimento in base alla pressione che i piedi esercitavano sul pavimento. Ora che era in volo, invece, il sistema finiva con l'andare in tilt non localizzando nessuno e rispondeva con l'attivare uno scan termico per ognuna delle pareti che, nel suo cervello digitalizzato, creava un modello tridimensionale dell'ambiente iniziando a prevedere spostamenti e nuovi ostacoli basandosi su quello.
Un fastidiosissimo rumore prolungato della sirena avvisò tutta la palestra che il programma aveva fallito la ricerca di un individuo e subito dopo, un secondo rumore avvisò la ragazza che era alla fine libera di proseguire.
Si mosse il più in fretta possibile verso il blocco dorato, protendendosi del tutto in avanti mentre le ali battevano, stancando di conseguenza i muscoli dorsali di Xenya che non erano ancora troppo allenati per tali sforzi. Ma stava dando del suo meglio e ci stava riuscendo: non le serviva altro.
Allungò le dita verso il cubo, ma tutto ciò che toccò fu una parete grigia. Vi appoggiò sopra il palmo, sconcertata mentre continuava a ondeggiare a causa del volo. Il muro partiva dal pavimento e raggiungeva il soffitto senza alcuna possibilità di superarla. Il cubo d'oro non poteva spostarsi, quindi quel pannello era spuntato dal nulla per impedirle di raggiungere la sua meta.
C'era solo una possibilità: Bill aveva davvero sbagliato a impostare EPPI.
La giovane si voltò, prudente nel non impattare con le ali sulla parete, per cercare un'alternativa ma non vide né la sala dei comandi, né l'uscita. Solo un dedalo di pareti che si incastravano tra loro, andando a formare dei corridoi larghi appena per Xenya e i suoi grandi arti.
«Sei serio, Bill?» urlò esasperata la ragazza, faticando sempre più nel mantenere una posizione ferma: si stava stancando. «Un labirinto, davvero?»
«Rischia di stancarsi troppo...» convenne David.
Di fatto non era ancora pronta per voli lenti e prolungati del genere, per giunta con cambi di direzioni così bruschi. A malapena sapeva curvare dato che ancora, di tanto in tanto, finiva con lo schiantarsi addosso a una parete. Utilizzare le due ali separatamente era come chiedere alla mano destra di scrivere e a quella sinistra di disegnare, il tutto in contemporanea: non era certo impossibile, ma richiedeva un allenamento non indifferente. Per non parlare del fatto che, se con una delle due ali sbagliava, le conseguenze potevano essere ben più disastrose di un semplice striscio di inchiostro.
«Ce la può fare,» affermò invece contro ogni probabilità l'allenatore «ce la deve fare.»
«Ma le svolte e il tempo per...»
«Ce la devo fare» ripeté Xenya, interrompendo David. Non avrebbe dovuto preoccuparsi troppo del suo giocattolino; o forse avrebbe proprio dovuto farlo considerato il fatto che aveva tutta l'intenzione di fuggire.
Nonostante tutto, Bill aveva ragione: lui sapeva che se ne sarebbe andata e quella, come si era in precedenza detta la ragazza, era la prova finale per capire se sarebbe stata in grado di sopravvivere nel mondo esterno a EPPI.
Deglutì e prese, al bivio di fronte a sé, il corridoio di sinistra. Non era una scelta casuale: Francis era stato mancino e lei sapeva che le avrebbe portato fortuna.
Mosse le ali non troppo veloci per evitare di schiantarsi sui vari pannelli che, tutti dello stesso colore grigio antracite tendente al nero, creavano illusioni ottiche su dove finisse o meno un corridoio e su dove si aprisse un pertugio per raggiungerne un altro.
«Non ti vediamo,» le disse Bill, nel tono di voce aveva la stessa risolutezza precedente «quindi se hai qualche problema, urla.»
«D'accordo» concordò Xenya, prendendo velocità prima di una curva perché il moto l'aiutasse a restare in aria prima della svolta.
Richiamò l'ala sinistra al corpo con un certo sforzo - forse nascondere le sue deformità indotte le risultava ancora più difficile di volare - mentre con quella destra diede un forte colpo all'aria, finendo con il ruotare di quasi trecentosessanta gradi sul proprio asse.
Terminata la curva a gomito, iniziò l'inesorabile discesa verso il terreno. La soldatessa fu costretta a darsi una spinta con la gamba sinistra sulla parete perché l'ala richiamata potesse avere lo spazio necessario per spiegarsi ancora una volta.
Con un gemito, rilasciò il muscolo artificiale e permise all'arto di manifestarsi in tutta la sua possanza.
«Tutto bene?» si preoccupò David, probabilmente dopo aver udito lo spasmo.
«Sì... Ho fatto una curva a gomito!» esclamò la ragazza esaltata mentre si accingeva a ruotare ancora, ma questa volta di novanta gradi e a destra.
«Wow...» Bill, nonostante non potesse essere visto dalla selezionata, si alzò in piedi in preda all'emozione. «Bravissima» affermò poi, ripreso il controllo su se stesso e sedendosi ancora una volta.
Xenya nel frattempo era forse giunta nella zona dove doveva trovarsi il blocco dorato. Si trattava solo di un'ipotesi perché non lo vedeva ma, visto l'esorbitante numero di scalpitanti figure antropomorfe da annullare, era quasi di sicuro arrivata a destinazione.
Aumentò la presa sulle proprie pistole e iniziò a sparare alla massa. Prima il grilletto destro e poi il sinistro, senza mirare in maniera troppo accurata.
Un manichino dopo l'altro veniva riassorbito lasciandole lo spazio necessario per proseguire lungo il corridoio.
A quel punto non pensava nemmeno a sbattere le ali: si stava abituando all'idea che fossero davvero parte del suo corpo e che, forse, era sempre stata destinata ad averle. Era impossibile negare che una volta decollata, la cosa le venisse naturale.
Avanzava a lenti movimenti, lasciandosi dietro una lenta brezza mentre una media di più di due figure al secondo sparivano dentro le pareti del labirinto o talvolta dentro il pavimento che sembrava un'idea fin troppo lontana per la fata.
E alla fine, dopo almeno cinquanta riassorbimenti, la luce dorata del pannello sembrava volerle urlare «ce l'hai fatta, potrai andartene.»
Si protese ancora, ritrovandosi addirittura parallela al pavimento e tese ancora una volta il braccio destro in avanti mentre la pistola le penzolava sul polso grazie al laccetto.
Toccò il blocco finale e le sembrò di respirare un'aria nuova, migliore.
La sirena trillò un'ultima volta mentre le pareti del labirinto crollavano su se stesse. Xenya smise di battere le proprie ali e si lasciò in caduta quasi libera, rallentata solo dagli arti neri che, posizionati orizzontalmente, diminuivano la velocità.
David, da dietro il vetro della cabina dei comandi, non sembrava orgoglioso nemmeno un quarto di quanto non fosse Bill. E bisognava dire che il Vicecapo del Consiglio era davvero molto soddisfatto.
Senza proferir parola, l'ex soldato uscì dalla saletta, seguito dall'allenatore e una volta raggiunta Xenya, scesero tutti e tre insieme dal soppalco. L'albino avanzò tronfio mentre la fata, ancora con il fiatone, cercava di tenere il suo passo. L'addestratore, tirando per un braccio la sua assistita per rallentarla, pronunciò alcune ultime parole che commossero il cuore non più così inaridito della soldatessa.
Bill aveva iniziato a stimarla solo per il fatto che fosse figlia di suoi due amici d'infanzia: il suo migliore amico Kelan Peace e la sua cotta più grande, Heleanor Health. Ma con il tempo aveva imparato ad apprezzare quella ragazza per chi era, per la sua individualità e per le sue particolarità.
Perché lui sapeva che non fosse stato solo scritto che lei avrebbe portato l'umanità alla luce che non vedeva da secoli, ma perché lei era la persona migliore per farlo. E prima o poi tutti l'avrebbero capito.
«Fai buon viaggio» le disse. «Fai buon viaggio e ricordati di me» le disse.
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Xenya era distesa sul divano bianco con i piedi a penzoloni oltre il bracciolo, finalmente in grado di usufruire di quell'arredo con le ali richiamate.
Ripensava a tutto quello che era accaduto. E che presto sarebbe stato un capitolo chiuso della sua vita; o meglio, un libro concluso.
Incrociò le braccia al petto e senza volerlo ripensò a Bill: l'uomo eseguiva sempre quel gesto. La fata era stata privata della possibilità di dirgli addio, non avrebbe potuto dirlo a nessuno. Ma in fondo era certa che tutti quelli che avrebbe lasciato indietro sapessero che le sarebbero mancati.
Passata la notte, avrebbe dovuto approfittare della confusione mattutina in quel piano residenziale per infilarsi nella porta nascosta accanto all'ascensore, imboccare le scale d'emergenza e raggiungere il tetto come le aveva mostrato Francis durante la loro ultima serata.
Poi avrebbe spiccato il volo, sperando in un decollo non troppo disastroso e si sarebbe diretta da qualche parte. Magari anche non subito al Deserto Centrale: ora che era in grado di nascondere le proprie ali poteva intrufolarsi in un qualche Settore, le bastava seguire le scie luminose costituenti le due circonferenze che delimitavano i confini interni ed esterni di Clock. L'unica cosa che non poteva nascondere, però, era il suo aspetto: l'avevano già vista tutti al notiziario olografico, in prima fila durante l'ascensione di David come Strength. Per non parlare di chi magari non aveva visto l'holojournal ma si ricordava di lei dall'esecuzione dei suoi genitori. E se poi le cose si fossero messe male, non aveva alcun mezzo per difendersi.
No, avrebbe dovuto raggiungere il Deserto Centrale il più veloce possibile e sperare che suo nonno la riconoscesse nonostante le ali. Oppure aspettare che Zenith confermasse la sua identità.
Fissò lo sguardo sulle pareti bianche, ricoperte da imbottiture spesse che le ricordavano tanti cuscini obesi e allineati. Di sicuronon sarebbe riuscita a spaccarsi la fronte di nuovo nemmeno se avesse voluto.
Sorrise al ricordo e si portò l'indice sinistro sul posto dove fino a una settimana prima ancora appariva una zona più rosea. Sospirò poi e incrociò le braccia dietro la nuca, dondolando i piedi nudi nell'aria.
Magari avrebbe cercato di svenire in un posto isolato cosicché non la trovassero e avrebbe provato a comunicare con Zenith nella Connessione Mentale; ma le incognite erano troppe: doveva svenire anche lei perché riuscissero a comunicarsi informazioni davvero utili. Per non parlare che qualcuno avrebbe dovuto scuotere Xenya sino a quando non si sarebbe svegliata perché i ricordi si potessero imprimere, o tutto sarebbe stato vano.
Di certo avrebbe raggiunto il tetto l'indomani mattina e sarebbe volata il più velocemente possibile lontano dai tre Palazzi. Al resto ci avrebbe pensato in seguito.
Qualcuno bussò alla porta, con una certa insistenza.
«Avanti...» La ragazza sospirò esausta, sia per via dell'allenamento che per via dello stress mentale a cui si stava sottoponendo da sola.
L'uscio venne spalancato e i due uomini che durante i primi giorni l'aiutavano ad abbigliarsi entrarono.
«Abbiamo il suo vestito per domani» affermò il primo, ovvero l'unico dei due che probabilmente era in grado di parlare.
«Addirittura la sera prima!» Xenya sorrise, mettendosi a sedere sul divano bianco per poi alzarsi in piedi.
«Sarebbe meglio che lo provasse.» La frase suonava più come un ordine che come invito, e quindi la ragazza alzò le spalle e si avvicinò ai due.
Potevano anche essere gemelli, per quanto le riguardava: vestiti di nero da capo a piedi con un camice bianco troppo grande indossato sopra, capelli corvini, naso adunco e sguardo sempre arcigno.
Il secondo aprì una scatola bianca rivelando della carta velina dello stesso colore mentre Xenya, curiosa, sbirciava il disimballaggio. Aperto il sottile strato, un'incredibile quantità di tulle nero quasi esplose dal contenitore.
«Woah...» Ridacchiò. Il suo buonumore era tangibile. Smise di osservare i due uomini e spiegò le proprie ali verso l'alto. Finirono con l'andare a sbattere le loro punte sul soffitto, ma la cosa non le provocò alcun disagio.
Tendendo poi la stoffa nera della propria maglia d'allenamento, con la mano prima destra e poi sinistra la ragazza abbassò le cerniere e si sfilò da sopra la testa l'indumento. Senza vergogna, anche i pantaloni finirono sulla sedia.
Xenya scrollò le ali: producevano uno strano rumore che la divertiva molto e, inoltre, metteva sempre a disagio i due gemelli. Si guardò poi il petto, congratulandosi ancora una volta con il dipartimento che aveva brevettato il reggiseno sportivo adesivo; il migliore che avesse mai indossato.
«Forse quello dovrà toglierlo...» sussurrò il primo dei due, alludendo all'incredibile pezzo di biancheria intima. «Ma per questa prova può tenerlo.»
«Ecco, grazie.»
Il secondo estrasse l'intero abito e lo scosse appena: voluminoso fu la prima parola che balzò in mente a Xenya.
Il corpetto rigido era stretto e semplice, in lucente seta nera con scollo a cuore che veniva interrotto da un'enorme gonna in tulle tutta a balze dello stesso colore ma che, sotto l'intensa luce neon della stanza, pareva quasi grigia.
«Come pretendono possa volare con quella?» La fata guardò di traverso i due sarti.
In tutta risposta, si scambiarono un'occhiata e il secondo, quello che reggeva il vestito, lo ruotò mostrandone il retro. Quello sulla schiena era uno scollo profondissimo, abbastanza perché le ali potessero muoversi libere. Ma forse non avevano capito il problema.
«Intendo dire che è troppo d'impaccio...» Gesticolò un po' per far capire ai due che non intendeva offenderli, anzi. Era un abito splendido.
«Prima provalo.» Ghignò il secondo, parlando per la prima volta.
La soldatessa, sconcertata dall'evento, decise di entrare con le gambe nel cerchio di voluminoso tulle nero che venne poi alzato dai due uomini sino a quando il corpetto non finì con il calzarla alla perfezione. Le larghe spalline del reggiseno spuntavano da sopra lo scollo a cuore, cosa alquanto buffa da vedere.
«Arriverai così,» spiegò il primo «e poi faremo così.»
Strattonando una specie di apertura alla base della schiena della ragazza, lo strato di tulle fu rimosso rivelando una gonna longilinea nella stessa seta lucida del corpetto, con un poco di strascico sul retro. La parte inferiore non era troppo aderente, bensì morbida a sufficienza perché ottenesse un effetto a sbuffo simile al sopragonna, ma non altrettanto eccessivo.
«Come la crisalide di una farfalla...» Il secondo annuì. Era stata una sua idea.
Ma il momento di stupore venne interrotto dalla porta che prima veniva battuta brevemente e poi aperta senza attendere risposta. Con immensa gioia della selezionata, Madeline aveva fatto la sua apparizione nella prigione di Xenya.
«Buona... Oh.» Si interruppe alla vita della ragazza che, ad ali spiegate e nell'abito in seta poteva essere scambiata senza problemi per una divinità.
«Le piace, Direttrice?» chiese il primo.
Decise poi di inserire nella scatola sia l'imballaggio del vestito che i pantaloni neri d'allenamento della soldatessa.
«Cosa state facendo?!» sbottò la soldatessa ai due gemelli, sconcertata dalla vista del suo secondo capo di abbigliamento preferito essere rinchiuso.
«Così domani non avrà la tentazione di presentarsi con questi» sorrise sincera e, senza attendere oltre, i fratelli uscirono dalla stanza.
«Merda» si lasciò sfuggire la ragazza, non appena la porta fu richiusa. «E adesso?»
«Direi che gli abiti per la tua fuga sono l'ultimo dei tuoi problemi. Qui, ora, bisogna pensare in modo concreto» affermò categorica la Foxn.
Xenya tornò a distendersi sul divano: quella posizione l'aiutava a pensare. Osservava ancora il cerchio in tulle abbandonato a terra.
Nel frattempo, la Direttrice aprì la porta per uscire e, scambiati alcuni convenevoli con le due guardie sulla porta, rientrò. Accompagnata da Yekson.
Al diavolo il pensare! Xenya si alzò e, quasi inciampando sul tessuto nero, si fiondò ad abbracciare l'amico con cui non aveva un'interazione da lunghissime settimane.
Il ragazzo, seppur sorpreso, ricambiò volentieri.
«Sì, anche tu mi sei mancata, X.» Ridacchiò. «Ma non vorrei mai che mi mancasse il respiro.»
«Certo» sorrise candida la soldatessa, staccandosi mentre l'amico tossiva teatrale.
«Non abbiamo troppo tempo» affermò Madeline, rigida nella sua posizione eretta «quindi diamoci una svelta. Yekson, dagliele.» Fece un cenno con la testa al ragazzo.
«Cosa...» cercò di chiedere la ragazza, ma fu interrotta dalla particolare visione: il giovane si portò la mano destra dentro i pantaloni sul davanti e la sinistra sul retro, per poi estrarne le due pistole akimbo dell'amica e gliele porse. «Che schifo.»
«Era l'unico modo per rubarle e farle entrare. Ma se preferisci puoi farne a meno.» Alzò le spalle, reagendo all'espressione inorridita di Xenya.
La ragazza gli fece la linguaccia ma tornò subito seria sotto l'occhiataccia della Direttrice.
«Inoltre questi.» La donna le passò un sacchetto in plastica trasparente che conteneva una manciata buona di proiettili di sangue. «Vedi di farteli bastare.»
«Mi pare che qui stiate facendo piani di fuga senza nemmeno parlarmene...» sibilò Xenya, continuando a non capire.
«Dannazione come sei ottusa.» Yekson alzò gli occhi al cielo. «Questa notte devi scappare, non hai seconde chance. Dovrai uscire dalla tua stanza quando i soldati spegneranno la tua luce: sarà così buio che non ti vedranno sgattaiolare via dalla stanza.»
«Senza contare che appena finiscono con te vanno a conversare con le guardie a un altro piano e tornano prima dell'alba.» La Foxn ridacchiò, aggiungendo un dettaglio molto utile. Era riuscita ad assegnare due idioti alla sua stanza nel momento in cui si era sfracellata la fronte.
«Come stavo dicendo,» riprese Yekson «dovrai raggiungere il tetto con le scale di emergenza che...»
«So già come arrivarci.» La fata annuì convinta. «Vai avanti.»
«Arrivata là, non dovrai far altro che spiccare il volo come sai già fare e seguire questa mappa.»
La Direttrice allungò un pezzo di carta consunto quasi quanto quello della lettera di Herald. La ragazza lo aprì in velocità e al suo interno scoprì una carta politica a colori sbiaditi risalente quasi di sicuro a prima della guerra. In alto, con inchiostro nero molto calcato, il disegno aereo dei tre Palazzi congiunti dalla piazza e un grande cerchio più o meno nel mezzo del continente con una croce all'interno.
«Quello è il Deserto Centrale» affermò nostalgica Madeline. «Cerca di arrivarci prima dell'alba: se ti muovi veloce e non ci sono intoppi dovresti essere là prima che qualcuno si accorga della tua assenza.»
«Sai leggere una cartina, vero?» Yekson la squadrò dubbioso.
«Direi che lo scopriremo questa sera.» Sorrise. In realtà sapeva bene leggere una cartina e, soprattutto, sapeva che quando sarebbe stata sul tetto di Palazzo della Forza, avrebbe dovuto volare verso la piazza a perdifiato e poi sempre dritta, fino a quando non sarebbe arrivata a destinazione.
Ma era comunque più semplice a dirsi che a farsi.
«E voi?» Le sorse poi il dubbio attanagliante che i suoi aiutanti sarebbero rimasti rinchiusi nel Progetto X.
«Non ti preoccupare per noi» Madeline sorrise.
«Appena avremo l'occasione, ti raggiungeremo. Non ti libererai così in facilità di noi, cara fata elfa.»
«È strano da sentire...» Ridacchiò mentre la commozione per il breve momento avuto con Bill si sommava a quella di quel preciso istante.
I tre si guardarono l'un l'altro a lungo, cercando di comunicarsi con gli occhi tutto l'affetto che era troppo difficile da esprimere a parole in quell'esatto frangente.
«Buon viaggio.» Yekson fu il primo a rompere il silenzio e sorrise. Ancora quel bellissimo sorriso di speranza rivolto all'amica che, nonostante non se ne fosse resa conto, gli aveva dato tanto.
Nessuno dei due voleva abbracciare l'altro perché la paura che potesse essere l'ultimo gesto di amicizia era troppo grande.
«A presto Y.» Xenya annuì, trattenendosi dalla pulsione di correre loro incontro e pregarli di fuggire con lei. Ma era a malapena in grado di portare se stessa sulle proprie ali, figuriamoci qualcun altro.
Tanto li avrebbe di sicuro rivisti, il destino glieli avrebbe riportati. Gli occhi le si stavano bagnando: no, non poteva cedere proprio ora con la libertà così vicina.
«Buon viaggio.» Anche Madeline sorrise, cancellando con le dita una lacrima fugace che era fuoriuscita dal suo controllo. «Sono solo allergica agli addii...» Alzò le spalle in modo spiritoso, voltandosi poi per aprire la porta e andarsene. Anche Yekson rivolse un ultimo sorriso alla giovane in abito nero e seguì la Direttrice.
L'uscio si richiuse dietro le spalle del ragazzo e Xenya soffocò un singhiozzo. Non poteva lasciarsi andare alla commozione, eppure non poteva far altro che esplodere nell'ennesimo pianto liberatorio.
Aveva paura, tantissima. Per sé ma soprattutto per ciò che sarebbe accaduto dopo la sua partenza alle due persone che erano state la sua vera casa durante il Progetto X.
Ma si proibì di pensarci per più di cinque minuti di ininterrotta disperazione: i preparativi dovevano iniziare e nessuno doveva anche solo dubitare delle sue intenzioni verso gli Strength e il loro piano di renderla parte della loro propaganda.
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