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La sveglia, quel nuvoloso mattino, non era fornita dallo schermo trillante bensì da un soldato - forse lo stesso che l'aveva sorvegliata durante la notte - che entrò e iniziò a toglierle in maniera alquanto goffa l'elastico magnetico dal braccio.

Sotto gli strattoni per nulla delicati, Xenya fu riportata alla realtà dopo un'intensa nottata costellata da forti incubi.

Il nastro magnetorestringente venne sfilato e, sempre senza spiccicare una sola parola, l'uomo maldestro le sfilò l'ago dal braccio che era tornato di quel colorito bluastro poco salutare.

Il soldato uscì borbottando arcigno e la ragazza fu libera di alzarsi dal letto, le ali nere ammosciate che come il giorno precedente rasentavano il pavimento bianco. Non poteva affatto dire che si fosse già abituata all'estranea presenza, eppure il suo corpo aveva subito rammentato di sbilanciarsi di poco in avanti per compensare il peso in eccesso.

Guardandosi intorno, la ragazza notò che sul tavolo dove la sera prima David aveva appoggiato il vassoio con la cena c'era un nuovo assortimento di pillole, accompagnate da una colazione molto più sostanziosa di quella che veniva servita di consueto a Palazzo della Pace ai selezionati. Nonostante l'intenzione di continuare con lo sciopero della fame fosse molta, il morso dell'appetito ebbe la meglio sulla ragazza che finì con l'avventarsi come il rapace che era diventata su una pila di biscotti secchi che sembrava quasi le parlassero. Lasciando solo qualche briciola, passò a trangugiare l'acqua aromatizzata - forse per via di qualche nutriente strano - seguita poi da una tazza di caffè nero come tutte le mattine passate che aveva vissuto da cosciente.

Quel giorno sarebbe ricominciato l'allenamento per la soldatessa,  o meglio, sarebbe iniziato quello per la fata. Un lato positivo, tutto sommato, c'era: avrebbe rivisto Yekson e avrebbe almeno provato a confortarlo. Riguardo a cosa ancora non lo sapeva, soprattutto perché lei stessa aveva bisogno di rassicurazioni, ma avrebbe tentato in tutti i modi di farlo sentire meglio.

Come se l'avessero spiata, non appena Xenya terminò la colazione, tre figure tra cui la Kein fecero irruzione nella stanza candida.

«Buongiorno» disse sbrigativa la dottoressa, andando ad aprire a ribalta due delle finestre. «Vedo che per oggi non abbiamo ancora tentato il suicidio: ottimo, direi.»

«Faccia meno la spiritosa.» Xenya la fulminò. «Chi sono questi?» chiese poi, alludendo a due uomini sempre in camice bianco che stavano ritti davanti la porta. Uno dei due reggeva una scatola tra le mani.

«Sono altre due persone che mi hanno aiutata a semplificarle la vita da soldato migliore. Ora sono qui per aiutarmi a prepararla.» Sorrise tutta affabile, avvicinandosi alla ragazza.

«Penso mi sentirei un po' a disagio...» le disse, dato che sotto alla tunica operatoria ancora sporca del sangue secco della sera precedente c'era solo la sua pelle nuda.

«Non ci sono altre donne competenti per questa cosa» spiegò il medico. «Per la prima fase guarderanno da un'altra parte, non saprei davvero come altro fare.»

Era chiaro che non le importasse nulla delle sensazioni di Xenya, era diventata anche per lei un oggetto da esporre, senza alcuna importanza se non estetica.

La Kein estrasse da una grande tasca una forbice e, girando sino a trovarsi alle spalle della fata, iniziò a tagliare la stoffa legnosa dell'abito, partendo dalla parte bassa del foro per l'ala sinistra sino all'orlo inferiore del camicione e lo stesso fece per la parte destra.

I due uomini si voltarono meccanici verso la porta in segno di finto rispetto mentre la dottoressa - senza il minimo contributo da parte della soldatessa - sfilava dall'alto la tunica facendo sì che le ali passassero dentro i tagli appena apportati. In poco tempo, Xenya fu interamente nuda davanti un nuovo specchio che dovevano avere posizionato durante la notte.

La dottoressa poggiò sovrappensiero la lunga forbice sul tavolo e, dopo avere tolto ogni benda che proteggeva le ferite, estrasse del tessuto nero e stropicciato da un'altra tasca del suo camice.

Ciò che Xenya vide riflesso le fece paura: le clavicole erano ancora più sporgenti dell'ultima volta in cui si era osservata e, mentre respirava, erano visibili le costole. Anche il bacino spuntava appuntito dalla pelle candida. Le ginocchia erano sporgenti e le guance scavate. Era dimagrita tantissimo in quei quaranta giorni, e la cosa la spaventava. Ma almeno la ferita sulla fronte si era rimarginata.

«Immaginavo avrebbe sortito un effetto simile...» minimizzò la Kein mentre le passava dell'intimo per coprirsi.

Lei indossò la stoffa nera senza staccare gli occhi dal proprio riflesso. La rabbia che le stava bollendo dentro era incalcolabile.

«Non si preoccupi,» continuò il medico «presto tornerà come prima, anzi meglio. Non potevamo alimentarla in contemporanea con il legante: potevano esserci effetti collaterali e abbiamo preferito non rischiare.»

«Immagino...» Xenya sbuffò a denti stretti, stringendo i pugni incurante del dolore che le avrebbero provocato.

La Kein le porse inoltre una specie di reggiseno sportivo prelevato dalla scatola poggiata a terra, solo che al pezzo d'abbigliamento mancava la classica parte sul retro. In pratica erano due coppe nere con metà spallina per parte.

«Questa è una nuova invenzione su misura per lei.» La dottoressa sorrise orgogliosa. «Si tratta di un principio simile al legante solo che, invece che diventare parte integrante di lei, il reggiseno si incolla sopra le sue spalle e ai lati del suo torace, senza staccarsi a meno che lei non lo strappi via.»

Quella era, con ogni probabilità, una delle cose migliori successe in due giorni dopo il risveglio dal coma. Prese tra le mani il tessuto tecnico e prestò attenzione affinché le zone rosse contenenti il collante andassero ad aderire in maniera corretta. Tutto sommato non era troppo male avere le scapole libere da impacci - al di fuori delle ali, ovvio.

Subito dopo, i due uomini silenziosi sulla porta si voltarono e quello che al momento del loro ingresso reggeva il contenitore rigido lo aprì, rivelando la tenuta nera del Progetto che aveva ricamato in bianco il suo nome e una grande X. Non aveva nulla di diverso da quella che indossava con abitudine, quindi non capiva il perché di quello strano cerimoniale.

Il secondo uomo sfilò dalla scatola gli stivali con fondina e li poggiò a terra mentre il primo prelevava il pacco per poi appoggiarlo sul tavolo, estraendone piano prima i pantaloni cargo e poi la giacca, adagiandoli entrambi sullo schienale della sedia in plastica.

Tirò fuori poi la classica maglietta nera e tintaunita. Solo che presentava due cerniere parallele sul retro che terminavano con due fori all'altezza delle scapole per le ali.

La porse alla Kein che, con un gesto fin troppo teatrale, aprì una zip dopo l'altra e infilò l'indumento sopra la testa di Xenya ripetendo il processo contrario a quello avvenuto per la tunica. Una volta che le attaccature delle ali furono al loro posto dentro i buchi nel tessuto previsti per loro, la dottoressa chiuse le lampo.

Alla soldatessa vennero poi passati i pantaloni e le calzature e li indossò in velocità. Il primo uomo, nel frattempo, aveva estratto due cinghie nere, simili a quelle che al Cinquantatré utilizzavano per trainare carichi pesanti o cadaveri: Xenya rabbrividì.

«E quelle?» chiese, spaventata all'idea.

«Servono per tenere chiuse le sue ali fino a quando non sarà in grado di farlo in autonomia» spiegò impassibile l'uomo che le reggeva, aprendo bocca per la prima volta.

«Ma se lo scopo è mostrarmi al mondo come la prima fata, perché tenermi nascosta?»

«Lo scopo è mostrarla, sì, ma al momento giusto» prese parola la Kein. «Per ora è meglio che tenga un basso profilo, soprattutto con gli altri soldati. Inoltre si allenerà nel piano dedicato a lei con il suo istruttore personale.»

Ed ecco quindi spiegato perché un allenatore a lei dedicato e perché solo loro due avevano accesso al soppalco con EPPI. Tutto era stato studiato nei minimi dettagli sin dal principio.

I due estranei si avvicinarono e, in contemporanea con la Kein, la circondarono. Mentre la dottoressa e il secondo uomo, partendo dalle estremità delle ali a pipistrello, spingevano sulle giunzioni meccaniche sino a chiuderle, l'altro sconosciuto avvolse la soldatessa con la prima cinghia appena sotto il seno e così forte che per un istante le mancò il respiro. La Kein si affrettò a prendere tra le mani la seconda fascia contenitiva e la strinse con un po' più di delicatezza sulla vita della giovane.

Se ora si guardava allo specchio, le pareva quasi di essere normale. Ma quel pensiero venne presto scacciato da mille e più avvenimenti che continuavano a ripeterle che in lei non c'era nulla di comune.

Xenya si infilò la giacca del Progetto X e, tirata su la cerniera, non c'era alcuna traccia del mostro bionico che era in realtà. Sorrise, in fondo era divertita all'idea di poter essere padrona di più aspetti.

Ora era un soldato dell'Ordine.

Se slacciava le cinghie da traino, diventava una fata.

Ma se si guardava dentro, era un'elfa.

Dentro l'ascensore che la stava trasportando, sola, verso l'atrio triangolare di Palazzo della Forza, Xenya poteva con chiarezza sentire le proprie ali fuori controllo spingere contro la tensione applicata dalle fasce per essere lasciate libere all'aria. E lo sarebbero di sicuro state non appena avesse imparato a usarle e a volare. Ma doveva compiere un passo alla volta: già tornare in palestra, immersa in un mare di ambizioso testosterone, sarebbe stata un'impresa.

In seguito a due scannerizzazioni del codice e a un'altra salita nella scatola metallica, le porte di quest'ultima si spalancarono sull'ambiente a lei tanto familiare. Si trattava dello stesso luogo che aveva fatto da scenario all'omicidio di Francis e le pareva strano pensare che l'ultima volta che la ragazza vi aveva messo piede, ovvero quarantadue giorni prima, vi era uscita sporca del sangue di entrambi.

Lo stomaco le si strinse mentre sorpassava senza voltarsi il poligono testimone della cruenta morte. Più avanzava, più persone si voltavano verso di lei; primi tra tutti Jamie e i suoi due compagni di Settore. Se Xenya non l'avesse saputo, li avrebbe con tranquillità scambiati per diciassettenni: gli ormai ex ragazzini del Sessanta avevano una struttura corporea da veri adulti e un pomo d'Adamo che faceva quasi paura per via della sporgenza.

Ma non se ne scandalizzò: in confronto, a loro non avevano fatto nulla. Prese un breve respiro e continuò a camminare.

I ragazzi che correvano sul STR sembravano delusi: magari si aspettavano un'entrata scenica, nemmeno fosse un angelo. Due tapis roulant erano liberi, quel giorno: quello su cui di solito si allenava lei e quello accanto, comunemente assegnato a Francis. Ma ormai il tempo per compiangere la vita precedente era concluso: il suo nuovo scopo era allenarsi per raggiungere Zenith e il suo popolo al più presto.

Gli sguardi dei presenti erano vari proprio come quel maledetto giorno in cui Xenya era scesa dal veicolo volante nella piazza poco distante dai tre Palazzi. Ma lei non faceva caso a nessuno di loro perché la sua determinazione, che mai aveva raggiunto quei livelli prima di allora, non le faceva vedere altro che Bill, intento a conversare con un altro allenatore davanti agli armadietti. Non si preoccupava nemmeno di Yekson: l'avrebbe di sicuro recuperato nella pausa tra gli allenamenti.

I due adulti, accortisi del silenzio che all'improvviso era piombato nella sala, si voltarono nella stessa direzione dei loro assistiti e la mistica visione di Xenya li travolse. Lei sorrise di traverso al proprio personal trainer, ben consapevole che il pensiero che lo stava tormentando in quel frangente fosse solo 'sembra provenire dall'oltretomba', ossia quello che avevano in testa tutti.

Sia perché era magra e pallida di suo sia perché non la si vedeva da tanto.

«Cominciamo?» domandò la fata e l'allenatore, dopo aver scosso la testa per riprendersi, annuì.

L'uomo la scortò di nuovo lungo il corridoio degli sguardi e poi su verso le scale che portavano al soppalco.

«Cosa ti hanno fatto...» sussurrò, afflitto.

«Mi hanno resa un pericolo ancora maggiore di quello che si aspettavano» affermò tenace lei.

«Quindi lo sai!» esclamò Bill, emozionato mentre i gradini in vetro ticchettavano sotto le suole rigide degli stivali dei due.

«So tutto.» Annuì grave. «Tu, piuttosto, sai dirmi cosa accadrà?»

La domanda non venne risposta: erano alla fine della scalinata e dalle porte aperte di EPPI era intuibile che il suo imparare a volare non sarebbe stato un processo spontaneo - per quanto avere le ali fosse naturale - bensì indotto con la forza.

Al centro dell'enorme sala c'era una sedia in cuoio consunta e reclinata con braccioli e sostegno per le gambe. Alle estremità di tutte queste strutture aggiuntive, dei pezzi circolari di metallo arrugginito che avevano un chiaro sentore di antiche manette.

Accanto, la figura tronfia di David che sorrideva macabro mentre gli si avvicinavano altri uomini mai visti prima.

«Ciao, Xenya» la salutò tranquillo lui.

Le gambe le si bloccarono sulla soglia e sembravano non volersi muovere più mentre la soldatessa notava, poco distante dalla seduta, lo stesso parallelepipedo che in centrale al Cinquantatré i soldati addetti all'ordine pubblico usavano per caricare i teaser.

«Vedo che hai subito capito...» Lo Strength ridacchiò, dirigendosi verso l'oggetto che aveva catturato l'attenzione della sua promessa sposa e mettendoci sopra una mano. «Sei davvero intelligente.»

«Un elettrogeneratore, davvero?» chiese Xenya, inorridita mentre con tutta la sua tenacia si sforzava di cacciare via la terribile ipotesi che aveva formulato riguardante cosa le avrebbero fatto.

«Proprio così» confermò David, ghignando appena. «Oggi ci diletteremo con l'elettroshock.»

Ora capiva perché tutti la guardavano come se fosse un fantasma: perché sapevano lo sarebbe diventato.

«Mi dispiace con tutto il cuore» le sussurrò in modo impercettibile Bill. «Non ho avuto voce in capitolo. Lui ora è Vicecapo Consigliere.»

La soldatessa deglutì: se fosse servito per farle imparare a usare le ali, l'avrebbe fatto. Fece un passo in avanti ed entrò dentro la sua nuova ed esclusiva sala delle torture.

Abbassò la cerniera della giacca e si fece aiutare da David per sfilarla il quale, pronto, slacciò anche le due fasce che le stringevano le ali al corpo. Quando furono lasciate libere, balzarono verso l'esterno, ancora una volta sfiorando il pavimento.

Xenya prese posto sulla rigida poltrona, lasciando che gli arti corvini ricadessero ai lati mentre Bill le bloccava polsi e caviglie nelle asole metalliche cosicché non si muovesse troppo durante le scariche. Come se non bastassero quelle quattro manette, l'allenatore estrasse da sotto la seduta due cinturini nello stesso materiale della sedia e le strinse sia il bacino che il collo. Di lì non si sarebbe più mossa.

«Sai perché ho pensato all'elettroshock?» le chiese David, avvicinandosi a lei. Aveva gli occhi iniettati di sangue: chissà da quante notti non dormiva.

«Non mi interessa» rispose fredda la ragazza, mantenendo però il contatto visivo. Non gli avrebbe fatto pensare per nemmeno un istante che era intimorita da lui. Mai e poi mai.

«Come preferisci.» Sorrise e le lasciò un bacio sulla fronte. «Potete iniziare» affermò irremovibile ai due uomini che armeggiavano con due teaser modificati che si stavano ancora caricando dentro l'elettrogeneratore.

Non avevano un'impugnatura né un grilletto. Erano due semplici diodi collegati a una batteria che non appena venivano messi in contatto con la fibra di carbonio avrebbero rilasciato una scarica fortissima.

I due esseri strani si posizionarono vicino a un'ala ciascuno e avvicinarono le due punte metalliche alla superficie. Xenya smise di guardare quello di destra e strinse le palpebre.

«So che non ti interessa, ma te lo dirò lo stesso» disse David, facendole spalancare di nuovo gli occhi «ho pensato a questa procedura perché ho visto che nel momento in cui sei sottoposta a emozioni forti, le tue ali si muovono.» Si fermò un istante per riprendere fiato. «E cosa c'entra? starai pensando. Ebbene, significa che i nervi artificiali sono stati collegati con successo a quelli organici. Secondo i medici che ti hanno seguita, per farti davvero percepire le ali bisogna convincere il tuo amabile cervello che sei diventata una fata.»

«Penso che il mio cervello già lo sappia...» azzardò Xenya, consapevole dei disagi che l'operazione le aveva procurato.

«In ogni caso, oggi ci assicureremo della cosa.» Sorrise, ma il gesto mutò subito in fredda serietà. «Procedete.»

I due uomini, all'ordine del loro Vicecapo del Consiglio, premettero in contemporanea le loro armi elettriche sull'intelaiatura delle ali, dentro la quale si annidavano i nervi artificiali, nella speranza di fare passare un impulso a sufficienza forte da arrivare al cervello e non solo alla colonna vertebrale che, durante il giorno precedente pareva essere stata la sola responsabile dei lievi movimenti.

La scarica non arrivò subito, tanto che Xenya fu indecisa sul ridere in faccia a David o meno. Ma quando si impossessò del suo corpo, la ragazza non ebbe fiato nemmeno per urlare.

Tutte le membra della soldatessa si muovevano scomposte e l'albino ne fu preoccupato: la sua promessa sposa stava avendo la stessa reazione del mutante che aveva ucciso diverse settimane prima.

Ma nel profondo, l'affetto che provava per la ragazza e che lo spingeva a far interrompere l'elettroshock non era affatto avvicinabile alla soddisfazione che provava nel vedere le ali della ragazza tremare a furia di spasmi e, talvolta, addirittura sbattere come quelle di un uccello.

Un macabro e contenuto sorriso di trionfo si dipinse sulle labbra pallide del Consigliere ad honorem mentre si grattava la barba bionda che si stava lasciando crescere pur di imitare tutti i suoi colleghi.

«Procedete» ordinò ancora una volta il giovane. «La faremo riprendere tra una decina di scariche, mentre i vostri strumenti si ricaricano.»

Bill assisteva alla scena in disparte, conati di vomito che continuavano a sorprenderlo ma che prontamente cacciava indietro. Non gli era permesso mostrare il benché minimo interesse verso Xenya, e non solo perché era stata dipinta come figlia di traditori dell'Ordine di Clock, ma soprattutto perché era di sola proprietà di David Strength.

Il discorso con un'implicita venatura minatoria che il giovane Consigliere aveva tenuto il giorno prima rimbombava nella testa dell'uomo come il ronzio delle scosse che stavano dando alla sua assistita.

Xenya Cass è viva, aveva affermato David viva e più forte e speciale di prima. Lei è la prima fata della storia: è stata infatti dotata di ali che le permetteranno, con il tempo, di sopraffare chiunque dei presenti. E per il fatto che necessiterà di un allenamento intenso nelle prossime settimane, vi è severamente vietato una qualsiasi interazione con lei. In caso di trasgressione, mi occuperò di persona delle conseguenze.

L'istruttore deglutì, stringendo di più le proprie braccia al petto. Non poteva far altro che restare nel suo angolo e sperare.

Xenya riaprì gli occhi un bel po' di tempo dopo. Non era fuggita nella Connessione Mentale, e la cosa un po' le dispiaceva, solo perché il continuo andirivieni di scariche che le attraversavano il corpo non facevano altro che farla svenire e rinvenire a una velocità tale che raggiungere la dimensione violetta non risultava possibile.

Si guardò il corpo e non lo trovò più legato alla sedia in cuoio. Si alzò in piedi e vide subito i due energumeni che riponevano i loro mezzi di tortura nell'elettrogeneratore. La soldatessa percepiva solo un forte senso di indolenzimento, non dolore. Ghignò un poco, contenta di non dovere zoppicare o altro.

Bill e David accorsero da lei e si assicurarono che si sentisse bene. Una volta certi di ciò, le legarono ancora le ali al corpo e, aiutata la ragazza a indossare la giacca nera sopra le sue deformità, la fata fu libera di scendere la scala di vetro da sola. Gli altri uomini rimasero nel soppalco per decidere come testare i miglioramenti della ragazza in seguito.

Ma quando lei finì con il mischiarsi con gli altri selezionati che ammutolirono non appena la videro, si sentì molto a disagio: il classico volume confusionario che aveva sempre caratterizzato il gruppo si era di molto abbassato e, in alcuni casi, addirittura spento.

Yekson stava per i fatti propri seduto sopra un STR spento. Quando gli sguardi dei due si incrociarono, entrambi si illuminarono e si sorrisero a vicenda. Ma il ragazzo abbassò lo sguardo come in precedenza.

Xenya, perplessa al gesto, si diresse verso le fontanelle e bevve dell'acqua, attenta a tenere premuto il pulsante come Francis le aveva insegnato. Sorrise amaramente al ricordo e si raddrizzò, asciugandosi le labbra con il dorso della mano sinistra che ancora tremava per via dell'elettroshock.

Un intenzionale colpo di tosse la fece sussultare: subito dietro di lei, Yekson le stava dando le spalle e, da una mano nascosta dietro la schiena fece scivolare a terra un pezzo di carta piegato in quattro.

La pagina rovinata ai bordi fu subito riconosciuta: l'amico le aveva riconsegnato la lettera di nonno Herald.

Il ragazzo si allontanò come nulla fosse successo e la soldatessa poggiò la suola dello stivale sopra la carta e lo fece strisciare verso il suo corpo, senza farsi notare. Presa tra le mani e, appurato che nessuno l'avesse vista, la aprì facendosi scudo con la schiena che dava al gruppo di ragazzi.

Sopra l'intestazione del documento redatto dall'Oligarca della Salute, quattro parole fecero al contempo tremare e ribollire l'animo di Xenya: David ci ha minacciati.

Ecco dunque perché tutti la guardavano solo quando erano certi di non essere visti o addirittura tentavano di evitarla il più possibile. Ripiegò il foglio e lo inserì nella tasca della giacca dell'Ordine, alla quale era sempre appartenuto.

Fece un profondo respiro e tornò nel soppalco, cercando di non incrociare nessuno per evitare di procurargli una brutta fine. Non era ancora chiaro quali erano i nuovi limiti di David, ammesso ne esistessero.

«Avanti, saltalo.»

Evidentemente David era diventato, oltre che Vicecapo Consigliere, addirittura allenatore professionista.

Davanti alla ragazza c'era un piccolo cubo rigido come quelli che solo EPPI era in grado di creare. Dovevano di sicuro aver manomesso qualcosa nel meccanismo del macchinario, dato che Bill le aveva sempre detto non fosse possibile programmare nulla al di fuori dell'intensità del percorso.

Ma in quel momento Xenya non era dentro al suo consueto luogo di sfogo: era di fronte a una serie di due cubi distanziati tra loro da due passi abbondanti, le porte in vetro del soppalco aperte e sia David che il suo personal trainer all'interno.

«Salta» ripeté l'ex selezionato. Stava iniziando a perdere la pazienza: voleva capire nell'immediato se l'elettroshock di un'intera mattinata aveva portato a qualche effetto positivo o meno.

La fata, con un balzo, superò il blocco. Le ali rasentavano il terreno come al solito.

«Ora vola» ordinò David.

La soldatessa prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e si ripeté mentalmente 'vola, vola, vola'. Cercò di richiamare a sé qualche forte emozione pur di muovere gli arti, ma sembravano più rigidi che mai.

«Non riesco...» sussurrò Xenya, davvero dispiaciuta.

«Immagina che oltre ci sia qualcosa a cui tieni.» Il ragazzo alzò il mento, indicando il cubo. «Come la possibilità di riportare in vita quell'altro idiota.»

«Pensi sia stupida?!» tuonò lei, spaventando entrambi i presenti e ruotandosi verso David «Voglio essere in grado di volare almeno quanto lo vuoi tu. Le tue scosse non sono servite a niente!» esclamò, irata mentre saltava a piedi pari sopra il blocco che, di altezza, le arrivava sotto le ginocchia.

«E allora un po' ha funzionato...» David ghignò trionfante. Con la testa indicò la soldatessa.

Lei si guardò le ali e comprese: mai prima di quel momento si erano spostate così tanto dalla loro posizione rasente il terreno.

In qualche modo, le scariche avevano iniziato a collaudare i nervi necessari perché riuscisse a muovere quegli ammassi di fibra di carbonio.

I nuovi arti erano spiegati così in alto da sfiorare quasi il soffitto e incorniciavano il viso di Xenya in un modo che a Bill fece pensare a un angelo vendicatore. I capelli rossi sciolti sulle spalle, il viso diafano e scavato, gli occhi verde smeraldo e la tenuta nera en pendant con le ali. Alla fine l'addestratore capiva perché l'avessero denominata come fata: era di sicuro l'essere più bello che avesse mai visto e il suo aspetto non poteva far altro che incutere terrore a chi osava contraddirla. Abbagliato dalla maestosità della selezionata, abbassò gli occhi.

Le ali della soldatessa si abbassarono, lente, mentre l'imbarazzo cresceva in lei. Ma non solo vergogna: anche soddisfazione, perché era un passo più vicina alla fuga.

«Perfetto, dunque.» David annuì, inserendo le proprie mani dentro le tasche dei pantaloni dello smoking. «Domani riprenderemo con l'elettroshock. Se ogni giorno avrai dei miglioramenti del genere, in una settimana sarai quasi in grado di spiccare il volo.»

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