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Madeline era in piedi, le mani sulle spalle della giovane, mentre continuava a scuoterla. Non voleva credere a ciò che aveva davanti: non poteva essere vero. L'ultima possibilità per l'umanità non poteva essere morta, eppure il taglio sulla fronte e l'enorme macchia rossa che impregnava la schiuma espansa del materasso sembravano proprio sottolineare il funesto pensiero.
Xenya spalancò gli occhi di colpo e sobbalzò sul letto, inspirando come se fosse stata appena salvata da un annegamento. Ma nonostante la Direttrice fu subito in grado di vedere le iridi verdi della selezionata, persistette nel muoverla con apprensione.
«Connessione Mentale» espirò la soldatessa con voce rauca, ricadendo di spalle sul materasso mentre tutti i ricordi degli incontri con Zenith prendevano il loro posto, incastonandosi nel cervello scombussolato di Xenya. L'elfa era davvero viva, e la dimensione violetta non era solo un brutto scherzo che il suo cervello le giocava.
Solo dopo un paio di scosse la Direttrice riuscì a realizzare di essere riuscita a richiamare la selezionata e, spaventata dall'improvviso risveglio della ragazza, si allontanò con un balzo, evitando per poco di schiantarsi sul muro bianco sporco di rosso.
Mentre corrucciava le sopracciglia, Xenya notò come la propria faccia risultasse rigida: il sangue doveva essersi incrostato sulla sua cute mentre era svenuta. Era così felice di sapere per certo che Zenith fosse viva, le donava una sensazione di soddisfazione che non percepiva da tempo.
Le gambe della soldatessa erano a penzoloni dal lato del materasso, mentre le spalle e il capo erano caduti dentro la silhouette scavata in esso. Il taglio, non troppo profondo, che si era procurata da sola sul lato sinistro della fronte aveva creato una pozza cremisi in netto contrasto con il pallore generale della stanza e aveva inoltre inondato la tunica che indossava Xenya. Le ali erano premute sotto il corpo della ragazza, per la prima volta richiuse su se stesse addosso alla sua schiena. Non le facevano male, sentiva soltanto la loro rigidità contro le scapole e il retro delle costole.
Non appena ne fu in grado, la fata mise a fuoco la Direttrice del Progetto X che risultava piuttosto trafelata. Eppure il corpo della giovane non sarebbe dovuto essere troppo pesante da scuotere.
«Grazie al cielo sei viva!» esclamò Madeline, molto sollevata. «Io non... Cosa hai fatto?!» chiese, guardandosi intorno in agitazione e collegando tra loro la parete bianca sporca di sangue e la fronte lacerata della ragazza.
«Ho tentato di uccidermi...» affermò sincera la soldatessa, faticando nel mettersi a sedere su quello strano materasso.
Quando la pressione del suo corpo sulle ali fu allentata, esse si riaprirono come se fossero state dotate di molle. Non avrebbe mai imparato a gestirle, mai.
«Tu... Cosa?!» Gli occhi per poco non balzarono fuori dalle orbite della donna mentre si premeva una mano sulla fronte, scioccata.
La soldatessa allungò due dita della mano sinistra verso la ferita dalla quale non usciva più nulla e, non appena la toccò, sussultò. Non era stata una grande idea.
«Non sembrarne così stupita» affermò poi, risoluta, sistemandosi meglio sul materasso. «Tu ci hai provato con l'alcol per la morte di un parente, io l'ho fatto perché è il mio futuro a essersene andato per sempre. E da una parte sono dispiaciuta di non esserci riuscita anche io.»
Xenya tirò su con il naso, mentre la vista le veniva oscurata di nuov. Che ottusa che era stata, che gesto stupido che aveva tentato di compiere... Come poteva esser possibile che il destino dell'umanità ricadesse sulle spalle di un tale disastro?
Madeline si sedette in frettaaccanto alla selezionata, incurante del sangue che sarebbe andato a macchiarle il tailleur grigio fumo e le passò una mano attorno le spalle, senza dire nulla.
La soldatessa apprezzò moltissimo quel silenzioso gesto perché, qualunque domanda le avrebbe posto o qualunque incoraggiamento assurdo avrebbe provato a propinarle, non avrebbe sortito l'effetto desiderato.
La ragazza aveva solo bisogno di una spalla su cui non piangere, ma sentirsi compresa; di qualcuno che provasse a immedesimarsi nella sua situazione senza dirle che sarebbe stato facile. Aveva solo bisogno di qualcuno che le ricordasse quanto la vita era difficile e anche solo per il fatto di esserne ancora parte, era una guerriera.
Appoggiò la tempia sinistra sulla spalla della Foxn e chiuse gli occhi, scacciando il dolore che ne scaturì.
«Sei un'enorme idiota» le disse la Direttrice, ferma, dopo qualche istante di silenzio. «Ma almeno le ali ti donano.» E poggiò la propria testa su quella della giovane.
«Tu dici?» chiese, sospirando, mentre cacciava indietro le lacrime. «Io mi faccio schifo: sono diversa, non sono più una soldatessa ma una mutante.»
«In realtà ti invidiano tutti.» La Direttrice sorrise, cercando di infonderle un po' di gioia. «Quando David ha detto che per opera dei medici di Palazzo della Salute sei diventata la prima fata della storia, tutti ne sono rimasti meravigliati. Non vedono l'ora di vederti e capire come mai tu sì e loro no.»
«Sono solo degli enormi palloni gonfiati» sospirò ancora, ricordando come l'invidia dei selezionati li spingesse a compiere azioni assurde. «E Yekson?» chiese, curiosa di sapere come l'unico soldato di cui ormai le importava se la fosse cavata in quel mese abbondante.
In quel momento avrebbe voluto averlo al proprio fianco e forse avrebbero pianto insieme per una notte intera mentre lui si lamentava delle cose più futili e continuava a ripetere diamine. Le mancavano i discorsi seri fatti insieme, ma anche gli stupidi incoraggiamenti che si lanciavano a vicenda nei momenti meno adeguati alla cosa. Le mancava Yekson e non voleva nemmeno provare a chiedere quando e se l'avrebbe rivisto.
«Lì per lì era sul punto di vomitare...» Sorrise. «Aveva paura che ti avessero fatto del male e che il prossimo sarebbe stato lui. È venuto una sera a parlarmi di questa cosa, e sai com'è lui: sempre esagerato.» L'affermazione fece ridacchiare Xenya. «Io ho ottenuto un permesso speciale con la scusa di doverti aggiornare sui vari accaduti, ma lui è davanti alle porte di Palazzo della Forza che urla di voler entrare per vederti.»
«Da quanto?» domandò divertita la ragazza, aprendo dunque gli occhi mentre il raggio di sole che era diventata quella conversazione iniziava a scaldarle il cuore.
«Da quando sappiamo cosa ti hanno fatto e che sei ancora viva, ovvero oggi pomeriggio.» Il disappunto era intuibile nel tono della Direttrice. Chissà quanto a lungo aveva insistito per ricevere notizie e quanto a lungo aveva dovuto subirsi le tipiche risposte evasive di S.
«Io mi sono svegliata oggi pomeriggio...» La fata sospirò, inorridita dalla nulla sensibilità con cui avevano trattato la sua convalescenza. «E da quando mi hanno chiusa nella sala operatoria? Cos'è successo nel Progetto?»
«Il solito: allenamenti e null'altro. Ma tutti si comportavano come tu non fossi mai esistita. Nessuno parlava mai di te e anch'io sono stata costretta a fare finta di nulla.» Abbassò lo sguardo, quasi si vergognasse. «Il povero Yekson mangiava sempre al tavolo da solo senza mai interagire con nessun altro. Però penso che nel profondo sapesse che eri viva e più forte di prima.»
«Ma non lo sono» affermò sincera Xenya. Tutte le vicende che si erano susseguite - dalle ali alla verità sul suo passato, dalla Connessione Mentale ai piani che S aveva in serbo per lei - si erano sommate e rivelate in un solo giorno, rendendole impossibile affrontare anche solo l'indomani.
Lei aveva provato a mostrarsi forte con la Kein, con S e con David. Ma quello che estraniava non era la forza d'animo, era solo la paura di una preda messa all'angolo che sfociava in pazzia, nel dare il tutto per tutto anche se il destino era già segnato.
«Non vorrai mica deluderlo, spero.» Sorrise Madeline, staccandosi dall'abbraccio e guardando negli occhi la sua protetta. «S mi ha detto che sai tutto, ora» disse, abbassando la voce.
«Sono una Peace Health, sì» disse monotona. Poteva anche essere un Dio in terra, ma il fatto che non si riconoscesse più nella sua stessa esistenza le incuteva terrore senza cambiare le carte in tavola.
«Non sminuire la cosa: so che nel profondo sai che cosa significa.» Sbatté le palpebre un paio di volte la Foxn, molto fiduciosa nelle capacità della soldatessa. «Xenya, dobbiamo farti evadere da qui.»
La soldatessa la guardò dubbiosa negli occhi, alla ricerca del minimo accenno sarcastico. Ma il problema stava nel fatto che non c'era.
«Forse sei impazzita...» La ragazza ridacchiò, portandosi una mano al ventre. «Non so se hai visto dove sono o se ti è giunta voce su ciò che S ha in programma per me, ma è impossibile fuggire da qui.»
«So benissimo che vuole farti apparire come la sua personale marionetta nell'holojournal del prossimo mese» riassunse. «Ma ho un piano in fase di elaborazione. Ed è proprio per questo che prima devi imparare a usare le ali.»
«Pensi davvero che io possa volare via da qui?» chiese, il riso che le si spegneva in velocità sul volto.
La Direttrice annuì risoluta.
«Mi correggo: sei davvero impazzita.» La soldatessa era fuori di sé. Si alzò in piedi e diede le spalle al murale sanguigno che aveva creato, senza però smettere di guardare l'altra donna negli occhi. «Anche ammesso che ci fosse l'occasione giusta per fuggire, cosa assai improbabile, come pensi possa riuscire a imparare in meno di un mese a usare queste cose?» Indicò irata le protuberanze nere che oscillavano appena, a ritmo con il suo parlare.
«Xenya, calmati.»
«No che non mi calmo!» sbraitò mentre le ali si spiegavano verso l'alto. «Non so dove devo andare, S stesso ha detto che mi sparerebbero a vista. Per non parlare che non so controllare queste cose. Mi sono svegliata oggi con l'orrore di questa scoperta. E sempre oggi ho tentato di uccidermi per evitare che gli Strength mi manipolassero. Non puoi venire qui, pretendendo che io me ne vada come un allegro uccellino in meno di un mese.»
«Bill ti aiuterà, lui era con noi ai tempi della rivolta» sussurrò Madeline, prendendole una mano. «Hanno già in programma di farti riuscire a volare per la trasmissione, e poco prima del tuo debutto faremo in modo che tu possa andartene nel Deserto Centrale.»
Xenya era già a conoscenza del fatto che Bill avesse aiutato i suoi genitori, ma in ogni caso un allenatore non sarebbe stato in grado di impiantarle nel cervello l'abilità di volare.
«Quindi tu vuoi davvero mandarmi dagli elfi?» Scosse la testa, ritirando la mano dal contatto. «Non sono uno spettacolo da intersettore, ma non sono nemmeno la potente salvatrice che volete farmi credere di essere. Sono solo una stupida ragazza nata per caso nella dinastia sbagliata.»
«È qui che ti sbagli: nulla succede per caso.» Lo sguardo fermo della Direttrice la raggelò. «Nemmeno le tue ali: sono il tuo dono per potertene andare da qui; potranno farti ribrezzo quanto ti pare, ma ora sono parte di te ed è già giunto il momento di sfruttarle. Tu sei una Peace Health e sei destinata a riportare la pace.»
La indicò con fare accusatorio. E nonostante il cuore di Xenya continuasse ad allontanare quella scottante verità, la mente di lei era a conoscenza della correttezza dell'ipotesi.
Tutto, nella sua vita, era stato un prezzo da pagare perché giungesse in quell'esatto frangente della sua esistenza. Se Francis era morto, se Zenith era viva, se il suo aspetto era cambiato. Tutto era accaduto per una ragione e negarlo sarebbe stato solo stupido.
E come se non bastasse, Madeline aveva appena recitato il suo mantra aggiornato, lo stesso che l'aveva accompagnata nei giorni più difficili e del quale si era dimenticata. E proprio come per incanto, era tornato nel più buio dei suoi giorni per rischiararle la via.
«Io sono nessuno,» continuò la fata, nonostante la sua barriera di tenacità si stesse in fretta sgretolando «dovresti trovare qualcun altro per impersonarmi.»
«No Xenya, tutti nascono credendo di essere inutili, e alcuni lo pensano anche da cresciuti» affermò, prendendole di nuovo la mano; la soldatessa questa volta non ritirò la propria. «Ma alla fin fine, ogni scelta fatta da noi o prima di noi ci condiziona fino a farci diventare qualcuno. Ricordo che Francis stesso ti aveva detto di scegliere tra lui e David; e tu hai scelto lui. Ora sono io che ti chiedo, una volta per tutte, di stabilire a capo di quale esercito vuoi stare: vuoi essere il Generale degli elfi o degli Strength?»
Silenzio.
Che domanda assurda da porre a una diciassettenne. Ma Xenya - se purtroppo o per fortuna ancora non lo capiva - non era una giovane normale. E la colpa non poteva più farla ricadere sul destino o sui suoi parenti; ma solo su se stessa.
Avrebbe potuto decidere di non arruolarsi, disobbedendo ai genitori morti, e di sicuro molte pene sarebbero state risparmiate. Avrebbe potuto cercare di fuggire dal Progetto X prima dell'intervento. Avrebbe potuto comunque uccidere Zenith. Avrebbe addirittura potuto schierarsi con gli Strength sin dall'inizio, e forse le ali non le sarebbero state impiantate.
E invece aveva scelto in maniera cosciente che strada prendere. E quel sentiero specifico l'aveva condotta sino all'ultimo bivio della sua vita. Quell'istante rappresentava l'ultima chance per la via più semplice: quella al fianco di David.
Ma il tragitto più semplice non era quello giusto, non per lei almeno.
Il tempo si era fermato e Xenya, per un istante, si chiese se fosse tornata nella Connessione Mentale. Attorno a sé non vedeva solo l'espressione desiderosa di Madeline, ma anche quella di altre persone.
Un uomo alto, molto pallido e con qualche lentiggine rossa come i capelli sparsa sul naso proprio come le aveva la soldatessa - suo padre. Giovane e bellissimo, le sorrideva ancora come aveva fatto dal patibolo per rassicurarla dieci anni prima. Accanto a lui, una donna molto più bassa dai lineamenti aggraziati e gli occhi verdi. Anche sua madre le sorrideva teatrale. Poi l'inconfondibile viso di Francis che annuiva appena, facendo muovere la sua folta capigliatura castana. E anche le iridi viola di Zenith che rischiaravano l'intero ambiente erano presenti e luminose. Gli stessi occhi attraverso i quali aveva visto il Deserto Centrale per la prima volta.
In quello stesso istante, mentre scandagliava alcuni tra i numerosi visi lì presenti, capì che al quesito della Foxn era impossibile rispondere. E non perché non avesse le idee chiare, bensì perché coloro che erano passati nella sua vita le avevano fin troppo.
«Io comunque in tutto questo non avevo scelta oltre che scegliere il giusto» diede voce ai suoi pensieri. «Prima di me avevano già scelto i miei nonni, i miei genitori, tutte le persone che ho incontrato nel Progetto X e la mia stessa coscienza. Avevano già deciso anche tutte le cose che ho fatto prima di questo istante: quando ho dato la mia fiducia a te e a Francis, quando rileggevo la lettera di nonno Herald, quando ho dato ascolto ai miei genitori e mi sono arruolata per proteggermi sino a quando ho risparmiato la vita di Zenith.» Prese un profondo respiro. «Io non scelgo di stare con gli elfi, io sono un'elfa.»
Madeline si aprì in un largo sorriso non più frenato dal suo ruolo di Direttrice.
Quando Xenya realizzò cosa aveva affermato, lo stomaco le si strinse e la pelle d'oca si impossessò di lei.
'Sono Xenya Peace Health e sono un'elfa.'
«Tuo nonno sarà orgoglioso di te» sussurrò la Foxn, alzandosi in piedi e abbracciandola. «Non appena ti vedrà, ovvio.»
La stringeva con delicatezza, attenta a non sfiorare nemmeno le aperture sul retro della tunica da dove spuntavano bende attaccate tra la cute pallida della soldatessa e la fibra di carbonio dell'attaccatura delle ali. Era certa che, con la grandissima quantità di forza di volontà che la abitava, la selezionata sarebbe stata in grado di spiccare il volo in brevissimo tempo. E a quel punto la seconda rivolta verde sarebbe incominciata.
«Imparerò a volare,» continuò Xenya, troppo presa dall'emozione per poter ricambiare l'abbraccio «e quando ne sarò in grado, me ne andrò il più distante possibile da qui.»
Strinse i pugni, risoluta. Nessuno avrebbe più intralciato il suo percorso e, in caso contrario, avrebbe spazzato via i temerari proprio come aveva fatto con Holo Tennee. Non aveva più paura della propria aggressività: era una parte del suo animo ed era indispensabile perché il suo nemico era disposto a tutto pur di inibirla. Pronto addirittura a farla diventare una mutante pur di portarla dalla propria parte.
Chiuse gli occhi, inspirando l'aria fresca della determinazione, iniziando però a barcollare.
«Xenya, ti senti bene?» chiese apprensiva Madeline, stringendo la presa sul corpo della ragazza per sorreggerla.
«Non... Non penso» biascicò. «Forse è ancora la testa» ipotizzò, poggiando i propri palmi sulle spalle della Direttrice per tenersi in piedi.
«Ti porto dalla dottoressa Kein» affermò sicura seppur preoccupata la donna.
«No!» Xenya la bloccò, la carica di tenacia le aveva donato inoltre uno strano senso di razionalità. «Non devono poter pensare che io pensi questo sia una possibilità per evadere. Vai a chiamarla e portala qui, intanto mi distendo.»
La Foxn annuì, comprendendo il ragionamento della selezionata. L'intervento e il Progetto X in generale le avevano di sicuro dato una maturità che di norma si sarebbe acquisita con l'avanzare della vita. Se già era una persona equilibrata prima delle varie disavventure capitatele, in quell'istante la Direttrice comprese che anche Xenya era cresciuta. Magari non a livello fisico come invece stava accadendo per i giovani del Sessanta, forse a livello psicologico, ma comunque in maniera innaturale.
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«Dovremmo far intervenire il Capo Consigliere» tuonò la Kein mentre continuava a suturare il taglio con mani un poco tremanti. «Non troverà affatto accettabile un tale tentativo di autolesionismo. E sapendo la sua importanza, è ancora meno tollerabile.»
«Ma comprensibile, appunto conoscendo la mia importanza» intervenne Xenya a denti stretti, cercando di sfruttare ancora un poco il terrore che aveva causato al medico. Si chiese se la dottoressa fosse a conoscenza della vera importanza politica della soldatessa oltre a quella scientifica che la accecava.
«Certo.» La Direttrice annuì in supporto della Kein, senza calcolare l'affermazione di Xenya. «Gli parlerò io di persona. Faremo apportare delle modifiche alla sua stanza mentre domani sarà in sala d'allenamento.»
Possibile che gli adulti in quei Palazzi parlassero sempre dei selezionati come se fossero un'entità soprannaturale, come se non esistessero davvero?
«E durante la notte?» chiese preoccupata la Kein, armeggiando con un nuovo filo organico. Xenya stringeva i denti, concentrando il proprio pensiero altrove e non sul dolore che le veniva provocato.
«Farò in modo che una coppia di soldati rimanga di guardia fuori dalla porta in maniera che se sentiranno qualcosa, interverranno nell'immediato.» Madeline era categorica e rigida, ignorando la soldatessa che la guardava sofferente. Tra tutte le disgrazie del giorno mancavano solo due carcerieri pronti a fare irruzione non appena si fosse rigirata in maniera un po' troppo vigorosa nel letto.
«Perfetto Direttrice, grazie mille.» L'espressione della dottoressa era molto più rilassata.
Finì in velocità di dare i punti alla fata e tagliò il filo. Nel frattempo un uomo che si occupava di pulire il piano dove si trovava la stanza di Xenya era giunto in silenzio e, utilizzando un panno particolare, aveva raccattato i cocci di specchio e pulito dal sangue sia il materasso che il muro che erano tornati candidi come prima, per poi uscire inosservato com'era entrato.
«Posso essere d'aiuto in qualcosa o è meglio che vada?» chiese la Foxn.
«Può pure andare, adesso la metto a letto. Lei piuttosto veda di parlare con il Consigliere Capo.»
«Certo.» La Direttrice annuì e a piccoli passi attraversò la stanza prima di uscire.
«Penso di essere capace di distendermi da sola» sbottò Xenya, alzandosi dalla sedia di plastica sopra la quale l'avevano costretta a sedersi.
«Magari quello sì, ma inserire l'ago per il legante no.» Il medico la guardò storto, avvicinandosi alla sacca penzolante, piena per tre quarti abbondante di liquido blu intenso. Ruotando un piccolo ingranaggio in plastica, regolò la quantità di legante da far passare nel tubo.
Xenya avanzò verso il letto e buttò la propria persona dentro i contorni scavati del materasso, ritrovandosi subito in una posizione comoda. Le ali erano sorrette dal resto del materasso e finalmente non gravavano più sul suo corpo. Allungò arrendevole l'interno del braccio destro alla donna di fronte a sé e attese.
Nel corso della giornata, la macchia bluastra si era riassorbita ma di sicuro durante la notte si sarebbe espansa ancora. L'ago entrò nella vena in modo veloce e indolore, mentre la Kein con la chiave magnetica allargava il nastro nero per farglielo passare attorno al braccio. Una volta in posizione sopra l'ago con la cannuccia, la dottoressa allontanò il piccolo cilindro e l'elastico si restrinse in fretta.
«Buonanotte, signorina Xenya. Ci rivedremo domani.» La Kein sorrise, uscendo dalla stanza e spegnendo l'unica lampadina che rischiarava quella prigione.
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