27

Il pasto serale, come di consueto, si era svolto con tranquillità, con i soldati che parlottavano divisi per Settori sotto lo sguardo attento di Madeline che, dall'alto del suo palco, controllava che la situazione non degenerasse.

Il clima nella sala triangolare era a dir poco gelido: tutti i presenti erano ansiosi di scoprire il risultato dell'esame a cui erano stati sottoposti; chi per capire quanto bene era andato, chi - come Xenya - per sapere se avrebbe potuto continuare a essere schiavizzato nel Progetto X.

Ma il problema principale del tavolo dei selezionati del Cinquantatré era un altro, e gli si poteva attribuire un nome senza problema: David. La soldatessa notò una certa corrispondenza nei suoi atteggiamenti che le faceva subito pensare ai primi giorni dal loro arrivo. Con gli occhi glaciali puntati sul proprio piatto, il biondo trangugiava il suo scarso pasto battendo forte le posate sulla ceramica e lanciando di tanto in tanto sguardi infuocati agli altri suoi compagni che si scambiavano tra loro occhiate d'intesa.

Xenya non aveva ancora avuto la possibilità di informare Yekson sugli sviluppi riguardanti il passato del loro compagno, ma vi avrebbe presto posto rimedio.

«Come ti senti ora?» chiese d'un tratto il ragazzo di colore all'amica.

«Oh, se riguarda lo schianto...» Alzò le spalle, pentendosi subito del gesto che le procurò dolore. «Passerà. Ho deciso io di non prendere antidolorifici.»

«Scelta non molto intelligente, secondo me» affermò Yekson scrutandola con la forchetta tra le labbra.

«Si tratta solo di qualche botta sparsa. Già domani starò meglio.»

«Se lo dici tu...» fu il suo turno di alzare le spalle.

David gettò le proprie posate sul tavolo e se ne andò via, biascicando qualcosa che a Xenya suonava come se ne pentiranno, ma sperò con tutto il cuore di essersi sbagliata.

«Ora possiamo parlare» sussurrò in velocità la ragazza dopo aver atteso che l'ascensore si chiudesse dietro la figura irata dell'albino.

L'eccitazione negli occhi scuri di Yekson era evidente e, senza staccare i propri occhi da quelli della ragazza, si allungò sul tavolo sorseggiando acqua atteggiandosi come fosse la bevanda più buona del mondo.

«Dimmi tutto.»

«Come sempre ti dovrò riassumere la storia.» Lanciò un breve sguardo al tavolo della Foxn. «Ma in breve, David è il nipote di S.»

Il bicchiere del soldato gli sfuggì di mano e si rovesciò sul tavolo senza fare troppo rumore: per fortuna era stato svuotato del contenuto e non causò eccessivi danni sulla tovaglia candida.

«Dimmi che mi stai prendendo in giro!» cercò invano di contenere il proprio tono di voce. La ragazza scosse la testa. «Al diavolo!» Si buttò di peso sullo schienale della propria sedia.

«So che può sembrare assurdo, ma è così» tentò di spiegarsi lei, gesticolando un poco con le mani.

«L'unica cosa di cui mi stupisco è il fatto che non ce ne siamo accorti. Voglio dire, di quale altro idiota pomposo avrebbe potuto essere nipote se non del Capo Consigliere?» Ghignò, incrociando le mani dietro la nuca.

Xenya si sentì un poco in colpa per avere ridacchiato, ma contenne il gesto. Il cuore le faceva male se ripensava all'ultimo incontro che aveva avuto con David, e purtroppo sapeva bene perché: ci teneva ancora. Avrebbe mai smesso?

«Ha detto che ha rifiutato il ruolo politico che gli ha offerto il nonno» disse poi, quasi a volerlo giustificare. Ma era a conoscenza del fatto che le cose sarebbero cambiate: S sarebbe stato in grado di intossicargli la mente sino a quando non avrebbe finito con il cedere.

E lei non poteva fermare la veloce corsa del compagno verso il male.

«Cosa?!» Yekson si sporse ancora in avanti verso il tavolo. «Lui? E perché mai David, David, avrebbe rifiutato?»

«Perché voleva starmi accanto. Perché si è innamorato di me.»

Yekson proruppe in una risata fragorosa che fece arrossire la ragazza. Lei abbassò lo sguardo cercando di mascherare l'imbarazzo.

E rieccola a pensare che forse David non avrebbe mai smesso di importarle, soprattutto perché lo sentiva una sua responsabilità. Magari, con il tempo, avrebbe potuto...

No, è perso la voce di Madeline la riportò alla conversazione con l'amico.

«Dannazione, X!» esclamò lui, una volta ricompostosi. «Ti prego, dimmi che stai scherzando e che in realtà lui sa che sei la sua peggior nemica... Dimmi che David non ha sentimenti perché quello che mi dici è a dir poco assurdo.» Calcò bene l'ultima parola.

Ma la soldatessa scosse la testa e gli disse che era tutto vero, che forse la sua vita intera era uno scherzo davvero brutto.

Ma quando la ragazza fu sul punto di scoppiare a piangere, Yekson le strinse una mano sopra il tavolo. Il gesto la calmò subito, senza però fermare il suo cervello che, veloce, cercava di escogitare modi irrealizzabili per riportare indietro David.

«Anche se non ci è ancora chiaro il perché, sappiamo entrambi che la tua vita è tutt'altro che uno scherzo» affermò il ragazzo, assumendo il tono serio che aveva accantonato per tutta la durata della serata.

«Bene ragazzi, è ora di andare a riposare!» La Direttrice del Progetto X li interruppe, battendo le mani un paio di volte e invitando tutti a infilarsi dentro l'ascensore. I due ragazzi del Cinquantatré rimasti vi entrarono e Xenya si ritrovò di nuovo addosso a Francis.

Il ragazzo guardava dritto davanti a sé, fingendosi impassibile mentre stringeva appena il mignolo della ragazza con il suo indice.

Rimasero così in silenzio sino a quando non fu il turno del ragazzi del sesto piano di uscire dall'ascensore.

«Buonanotte» le sussurrò Francis, prima che fosse troppo distante.

«Buonanotte» lo salutò lei e, con il sorriso stampato in volto, entrò in fretta nella propria camera e indossò l'ormai usuale maglietta nera, pronta per coricarsi.

La mattina seguente il cielo azzurrognolo al di sopra dei tre grattacieli era coperto da una coltre di nubi che sembrava minacciare un temporale intenso come non se ne vedevano da tempo.

Xenya da una parte ne fu felice, seppur una strana sensazione di disagio la pervadesse all'idea di una nuova tempesta. L'ultima volta che aveva piovuto dall'inizio del Progetto X, non aveva accompagnato un'esperienza affatto piacevole: prima li avevano fatti correre in mezzo al fango e poi la soldatessa aveva avuto un'esperienza ravvicinata con il terreno a causa di alcuni bulli mandati da S.

La ragazza si svegliò con un tuono che proveniva da lontano e decise di alzarsi: essere in anticipo rispetto al solito tutto sommato, quel giorno, non le dispiaceva. Si preparò in fretta e prima che lo schermo trillasse era già all'ultimo piano, seduta al proprio posto mentre quei volti anonimi che erano i camerieri stavano ancora apparecchiando.

Il silenzio infondeva una sensazione di pace nell'animo della giovane che però venne un po' troppo presto spezzata dall'arrivo del branco di selezionati.

Quella mattina, i soldati ansiosi di scoprire i propri risultati erano molto più presenti e arzilli del consueto mentre parlottavano tra loro raccontandosi ancora della sessione d'allenamento del giorno precedente. In breve presero tutti posto e iniziarono la loro colazione indisturbati: nemmeno l'arrivo di Madeline li fece scomporre più di tanto.

«Che giorno memorabile» affermò Yekson, prendendo la propria tazza di caffè tra le mani. «Scopriremo se verremo tenuti o scartati.»

David restò in silenzio svolgendo le solite attività mattutine quasi i suoi compagni non esistessero. La cosa fece ghignare la ragazza: la trovava una cosa davvero infantile. Nonostante tutto, forse meritava quella famiglia.

Si rimproverò mentalmente: essere uno Strength non era da augurare a nessuno. Sì, dopo gli allenamenti gli avrebbe parlato cercando di farlo ragionare, e se ciò implicava svelargli il passato, l'avrebbe fatto.

«Di sicuro sarà interessante da capire se hanno assegnato dei punteggi e soprattutto quanto ci hanno dato» notò Xenya, risoluta. Se voleva salvare l'umanità, doveva partire da chi le era più vicino.

«Puoi proprio dirlo forte.» Yekson deglutì un biscotto. «E tu David, hai intenzione di ignorarci fino a quando non ti imploreremo di benedirci con la tua presenza?»

Per poco l'albino non si soffocò con l'acqua del bicchiere che sempre accompagnava il caffè mattutino.

Xenya alzò gli occhi al cielo. La situazione era ancora molto imbarazzante tra lei e David e il fatto che Yekson si mettesse in mezzo cercando di farlo arrabbiare di certo non aiutava. Dovevano ricordarsi che ora il ragazzo biondo che avevano davanti non era più il David con cui erano riusciti bene o male a socializzare, bensì il nipote del Consigliere Capo e poco serviva perché diventasse come lui.

'Ma riuscirò a portarlo indietro.'

La soldatessa si leccò però le labbra, decidendo di non schierarsi ancora, e si riempì poi la bocca dell'ultimo goccio di caffè rimasto. Ma quel dolce sapore si tramutò in amaro non appena lo sguardo le cadde sul tavolo del Settore Ventidue: Francis non era ancora arrivato.

«Non ho nulla da dirvi» affermò gelido David, strappando per un istante Xenya dalle sue preoccupazioni.

Era comune attardarsi la mattina: anche a lei era successo più volte. Che stesse iniziando a diventare paranoica anche per quanto riguardava le persone a cui teneva? Ecco, era proprio la prima cosa da evitare.

«E quindi neanche noi. Smettila di fare l'altezzoso e vai al diavolo.» Yekson si alzò tumultuoso e si diresse a passo spedito verso l'ascensore dove già alcuni altri soldati si erano riuniti.

Quando vide l'amico infuriato in quella maniera, la ragazza perse le staffe. Non poteva affatto biasimare David per il fatto che la evitasse, conoscendo i loro trascorsi. Ma arrivare addirittura a far star male Yekson... No, non poteva sopportarlo.

«Complimenti.» Xenya si rivolse al biondo. «Hai fatto incazzare Yekson... Devi aver proprio sfruttato tutto il tuo brutto carattere.» E, scuotendo la testa, anche lei si alzò e raggiunse l'amico.

Tutti i presenti ancora bisbigliavano fittamente senza aver la minima intenzione di fermarsi.

Doveva farsi sbollire la rabbia o il suo brutto carattere avrebbe finito con l'impedirle di salvare quel poco di Strange che c'era ancora in David.

Di lì a breve anche Madeline finì il proprio pasto e richiamò all'ordine i selezionati, scortandoli prima al piano terra e, dopo due scannerizzazioni consecutive del codice, dentro Palazzo della Salute. I soldati non smisero di parlare nemmeno allora.

«Tutto okay?» domandò Yekson alla soldatessa, notando come puntasse verso il pavimento dell'ascensore un'espressione molto dura.

«Non ne sono sicura» ammise lei, alzando gli occhi affranti verso l'amico che sembrava avere consumato la dose giornaliera d'ira. «Francis non si è fatto vedere da stamattina.»

Il soldato sembrò pensarci un attimo e poi rivolse alla giovane un sorriso incoraggiante.

«Penso sia già ad allenarsi, dopo ieri deve avere molte cose da sfogare» ipotizzò il ragazzo, accompagnando l'affermazione con una scrollata di spalle.

Non aveva tutti i torti: dopo quello che era successo, magari era stata la stessa Madeline a consigliargli di prendersi del tempo per sé.

«Può darsi...» sussurrò la giovane.

«Non hai nulla di cui preoccuparti Xenya, starà bene. Sei solo un po' troppo empatica per questa banda di zoticoni che ci ritroviamo appresso.» E grazie a quella battuta riuscì addirittura a farla ridacchiare.

Appena le porte si aprirono, i soldati si riversarono dentro la palestra entusiasti, ignari delle preoccupazioni che tormentavano la ragazza. Ma nonostante ciò, continuava a ridere alle battute orribili che le propinava Yekson pur di distrarla.

«...e pensati David!» Si schiarì la voce, cercando di concludere una barzelletta il cui inizio però non era stato udito dalla soldatessa. «Siete inutili ma mi servite!» lo imitò cercando di riprodurre la voce grossa dell'albino.

«A proposito,» cercò di domandargli Xenya, passandogli davanti mentre domava le risate risalenti ancora alla freddura precedente «perché prima...»

...te la sei presa tanto con lui?

Ma le parole le morirono in gola perché, per uno strano scherzo del destino, non appena si voltò verso Yekson, lo sguardo le si posò sul poligono di sinistra la cui parete all'estrema destra era sporca di schizzi rossi. Aprì la bocca, ma non capì se stesse urlando o meno, a causa di un interminabile fischio acuto che le iniziò a trapanare l'udito.

A terra, accasciata con la schiena appoggiata alla parete compromessa, giaceva immobile la figura di Francis, immersa in una pozza cremisi.

Come un domino, a partire da quelle di Yekson, tutte le altre teste si girarono e furono testimoni di un orrore che Xenya non sarebbe mai stata in grado di descrivere.

Il silenzio calò nella palestra mentre la soldatessa, a spallate e gomitate, si faceva strada sino all'ingresso del poligono ed entrò, cadendo in ginocchio nella macchia così scura che sembrava fondersi nel pavimento nero.

Le mani le si strinsero in automatico e, senza che se ne accorgesse, si stava già sfregiando i palmi con le unghie. Stringeva i denti, tremava di freddo nonostante il proprio battito cardiaco stesse facendo gli straordinari.

Il ragazzo stava rigido, il pallore del viso che faceva a pugni con il rosso che aveva già smesso ormai di scaturire da una ferita di arma da fuoco al torace.

Non c'era molto da capire. Non c'era molto da fare.

Francis Darkspire era morto.

Quando Xenya realizzò, era troppo tardi perché potesse contenere la cascata di emozioni che la stava travolgendo.

Sciolse i propri pugni facendone scaturire un piccolo rivolo rosso che andò a mescolarsi con quello del ragazzo. Gli prese il volto tra le mani e se lo poggiò sulle ginocchia, chinando appena il capo per lasciargli un ultimo bacio tra gli occhi, chiusi, che sapeva sotto quelle palpebre non avrebbe potuto più vedere il colore dorato.

Le mani che tanto l'avevano accarezzata la sera precedente erano dure e fredde: una stringeva una pistola mentre l'altra era stata chiaramente premuta contro la ferita senza però portare alcun rimedio.

Non voleva compiangere in quel momento il ragazzo che le aveva dato tanto e che lei non avrebbe mai potuto ricambiare.

Non le importava se più di cento altre persone la stessero guardando: in quell'istante c'erano solo lei e il suo cuore spezzato. Gli prese una ciocca di capelli e se l'arrotolò tra le dita, eppure nemmeno quel gesto riuscì a calmare il suo respiro affannato perché non era la stessa cosa che farlo mentre lo baciava. Quei capelli non emanavano più il suo profumo, né il suo calore. Erano diventati un lontano ricordo di quelli che erano solo qualche ora prima.

Provava a sforzarsi di dire è solo un incubo, oppure si riprenderà. Ma quell'orrendo lato realista che aveva sviluppato a partire dall'esecuzione dei suoi genitori continuava a farle notare che Francis non sarebbe più esistito.

Il cuore le si fece piccolo mentre ripensava a quando vide la morte per la prima volta. Era da davvero tanto, tanto tempo che allontanava il ricordo e un conato di vomito sopraggiunse.

Lo contenne. Non avrebbe mostrato tutta la debolezza che aveva dentro.

«Ti amo anch'io» riuscì a dirgli piano, senza scoppiare in un pianto senza ritorno. Non aveva avuto l'occasione per dirglielo il giorno prima perché pensava ne avrebbe avute molte altre.

Ma si sbagliava.

Nulla è per sempre.

Persino Francis, che aveva deputato come punto fisso in mezzo a un'infinità di segreti e dolorose verità, era sparito dalla sua vita così come vi era entrato: con un sussurro che le fece tremare il cuore.

Madeline e gli allenatori erano giunti nella sala d'allenamento e, assieme a loro, anche l'estranea presenza di S.

Xenya, senza nemmeno guardarli in volto, percepiva la loro presenza e immaginava la loro reazione all'accaduto.

Come la soldatessa pensava, infatti, la Direttrice era sconvolta, ma nessuno avrebbe potuto desumere da quello sguardo sorpreso e una sottile mano sulla bocca, che il morto fosse il suo stesso nipote.

La ragazza però non si preoccupò nemmeno di immaginare l'espressione appena soddisfatta del Capo del Consiglio.

Bill e un'altra decina di allenatori fecero allontanare la folla attonita dalla zona spingendoli di forza dentro l'ascensore per farli scendere. Che peccato, non avrebbero nemmeno conosciuto i punteggi che tanto attendevano.

Nel frattempo, i rimanenti tre istruttori, Madeline e il Consigliere Capo erano entrati nel poligono.

«Che arma ha in mano?» chiese S, facendo subito irrigidire la soldatessa sulla schiena. Non chiese chi fosse la vittima, perché Xenya fosse dentro alla scena del crimine o da che Settore provenisse Francis. Perché lui già sapeva tutto.

«Una pistola, signore. Non so con precisione che modello, di sicuro una consegnata ai selezionati» spiegò un allenatore.

«E che arma gli era stata consigliata?» domandò ancora l'anziano.

«Una coppia di coltelli» recitò sempre lo stesso uomo.

Madeline rimaneva immobile, la bocca ancora coperta dalla mano.

«Non penso ci sia molto da dire.» S sospirò quasi scocciato. «Ha preso l'arma di qualcun altro e la cosa gli si è ritorta contro. Come si vede dalla scanalatura...» L'uomo si avvicinò alla parete opposta al corpo, sempre in vetro e dietro a una sagoma, dove appariva una bozza. «Ha sparato e mancato il bersaglio e il proiettile, dopo essere rimbalzato, l'ha colpito.»

«Probabile» confermò un altro allenatore, raggiungendo il Capo Consigliere e toccando a sua volta con l'indice il profondo graffio.

«Bene.» Il Consigliere Capo sospirò ancora. «Direttrice, a lei il compito di tranquillizzare i ragazzi. Per oggi non verranno effettuati allenamenti di alcun tipo. Dia loro la giornata per riprendersi mentre qui puliremo.»

«Certo» affermò lei, nella sua solita compostezza. Xenya se ne meravigliò in silenzio.

Le mani insanguinate della soldatessa stringevano ancora il capo del ragazzo all'altezza delle orecchie mentre fissava ossessionata il suo corpo, soprattutto la profonda ferita e la pistola.

Parlavano di Francis come se fosse stato un oggetto rotto, come se non fosse affatto importante. E forse per S era davvero così.

Ma per Xenya no. Più ascoltava le ipotesi che - stranamente - era proprio l'anziano a suggerire, più era disgustata dal suo comportamento.

No, non avrebbe versato nemmeno una lacrima davanti a coloro che avevano architettato la morte di Francis, del suo Francis.

E come faceva a sapere che non era stato un incidente? Semplice: la pistola che avrebbe dovuto ucciderlo era stretta nella mano destra quando, in realtà, il ragazzo era mancino.

«Xenya?!» esclamò Madeline, battendole una mano sulla spalla. «Andiamo, dai. Un po' d'aria le farà bene.»

Il tono calmo della Direttrice la mandava su tutte le furie. Come poteva essere così calma quando il suo stesso nipote era morto per mano del suo superiore?

«Posso farcela da sola» sbottò acida. Scostandosi appena, fece in maniera di poggiare il capo di Francis a terra, con delicatezza. Fatto ciò, si alzò noncurante dei propri abiti sporchi di sangue e si precipitò fuori il più velocemente possibile da Palazzo della Salute.

Fiondandosi fuori dalla porta automatica, dopo ben due tentativi di scannerizzazione falliti perché scostava troppo in fretta la spalla, la sua prima meta fu la piazza in cui erano arrivati e in cui erano stati costretti a uccidere dei mutanti.

E quando si accasciò al centro di essa, fuoriuscirono le prime lacrime: le prime lacrime sue e le prime lacrime del cielo. Avrebbe iniziato a odiare la pioggia.

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