21

La narice sinistra di Holo sanguinava in modo copioso e stava lasciando una macchia rossa che man mano si allungava sul pavimento della palestra.

Ancora tossiva quando due ragazzi - con ogni probabilità suoi compagni di Settore - lo presero per le braccia nel tentativo rialzarlo. Lo sforzo era dipinto sui volti dei due soldati che dovettero sollevare un peso morto, o meglio, in procinto di svenire.

Madeline, in testa al gruppo di selezionati sbalorditi, restava immobile e con gli occhi assenti fissati sulla scena mentre Yekson accorreva verso una Xenya che risultava altrettanto spaesata.

«Cosa diavolo è successo?» cercò di sussurrare il giovane, ma il tono di voce esterrefatto risultò quasi un urlo.

La ragazza si voltò di nuovo verso la sua vittima e le venne il voltastomaco al pensiero di essere stata lei a causare quel dolore a un suo compagno, mentre il viso tronfio di S le aleggiava davanti agli occhi. Non era mai successo nulla di simile: cosa le stava accadendo, com'era possibile?

«Mi butteranno fuori.» Realizzò d'un tratto, e forse tutto sommato non era una soluzione troppo brutta, ma il Consigliere Capo non le avrebbe mai permesso di andarsene dal complesso di edifici se non da morta.

Yekson la guardò sofferente: di sicuro non poteva contraddirla. Fare del male a un selezionato... Inoltre non risultavano prove dell'aggressione verbale a cui era stata sottoposta. Era solo la parola di Xenya contro quella di Holo, e tutti in quella stanza sapevano chi l'avrebbe avuta vinta: non una ragazza.

Gli oltre cento soldati vociferavano tra di loro e l'argomento era comune: l'unica misteriosa femmina dentro al Progetto X aveva picchiato il figlio di una famiglia in passato molto potente. E ne era uscita illesa.

L'unica cosa che variava erano i punti di vista: chi era solo stupito, chi invece si schierava con uno piuttosto che con l'altro.

Solo Yekson era una presenza muta e immobile accanto all'unica sospettata - e di certo colpevole - per il sangue versato, quasi volesse dimostrare il suo supporto senza però interferire con parole sgradite; Xenya gliene fu grata.

Anche Francis era nella folla vociferante ma, con grande sorpresa della ragazza, stava immobile senza guardarla in volto. Il suo sguardo era fisso a terra, sulla chiazza cremisi, mentre i pugni stretti gli facevano sbiancare le nocche. D'un tratto si voltò e, senza dire nulla, sparì veloce dentro l'ascensore.

David invece era la presenza più fastidiosa e contrastante nel gruppo: tra tutti, era l'unico quasi commosso e il suo tipico sorrisetto arrogante era aperto ancora di più in quello che chiunque avrebbe potuto scambiare per orgoglio. David Strange era evidente la sua felicità riguardo quanto era appena accaduto.

«Xenya Cass» esordì Madeline, riprendendo il controllo su se stessa. «Con me, subito. E voi due» si rivolse gli altri soldati soccorritori «portate Tennee in infermeria. Ultimo piano.»

Il corpo della ragazza, del tutto estraniato dalla volontà della stessa, raggiunse la Direttrice, ma non a testa bassa. Se David poteva essere orgoglioso di quanto aveva fatto, perché non avrebbe potuto esserlo anche lei? Aveva solo vendicato un torto subito.

Prima di raggiungere la Foxn, la soldatessa ricevette una leggera pacca sulla spalla da parte di Yekson che poi si riunì al gruppo di soldati. Nel frattempo i tre selezionati del Trentatré uscivano dalla palestra.

«Non mi scuserò, se è questo che vuoi da me» affermò Xenya, ferma nella sua posizione mentre attendeva con Madeline l'arrivo dell'ascensore.

«Non pretendo nel modo più assoluto una tale assurdità.» La donna alzò le spalle. «Hai fatto ciò che avrei fatto anche io se ne avessi avuto il coraggio: Francis mi ha raccontato cos'è accaduto. Solo... Penso tu sia stata un po' troppo cruenta.»

«Lo penso anch'io» ammise la ragazza, entrando per prima nella scatola. «Solo che non mi rendevo conto di cosa stesse accadendo: è come se non fossi stata in me. Ha senso?»

«No.» La Direttrice sospirò, premendo il pulsante con sopra scritto 33. «Parleremo anche di questo alla dottoressa Kein.»

«Perché mi stai portando da lei?» sbuffò, sentendo ancora una volta le farfalle nello stomaco mentre l'ascensore si alzava.

«Innanzitutto perché le tue nocche non si cureranno con lo schioccare delle dita.» Sorrise alla sua stessa battuta. «E poi dovrei sgridarti. Fingi che l'abbia fatto.»

«D'accordo» La selezionata sospirò. «Pensavo sarei stata uccisa o mandata via.»

La risposta di Madeline fu una genuina risata.

«Pensi davvero che S, per questo, ti caccerebbe? No!» La Direttrice le sorrise.

«Ha altri progetti in mente per me, immagino.»

Al termine della frase, Xenya fu fulminata con gli occhi dall'altra donna. Non aveva detto nulla di compromettente. Perché ora le riservava quell'atteggiamento?

Le porte scorrevoli metalliche si aprirono sullo stesso atrio triangolare del secondo giorno di Progetto e la Kein stava già attendendo le due a braccia conserte.

«Immagino l'abbiano già avvisata.» La Foxn sorrise al medico.

«Certo. Nulla di grave, mi è parso di capire.» La dottoressa sorrise di rimando e si avviò verso il suo piccolo studio dove la soldatessa era già stata. Le altre due la seguirono, tranquille.

«L'altro sta peggio.» Xenya ridacchiò soddisfatta mentre superava la soglia dell'ambulatorio.

«Non ne avevo dubbi» affermò la Kein, entrando nello stanzino dopo le due ospiti.

La giovane donna iniziò a fasciare le nocche della ragazza ferita, mentre Madeline supervisionava seduta in un angolo.

«È possibile che la ragazza soffra di allucinazioni?» chiese di punto in bianco la Direttrice, le braccia incrociate al petto con fare autoritario.

«Mi faccia pensare...» sussurrò la dottoressa, finendo le fasciature e fissandole con spray immobilizzante. «Le avevamo prescritto le pastiglie per gli ormoni, giusto?» chiese poi, rivolgendosi alla paziente.

«Sì» rispose la soldatessa.

«Le sta assumendo? In modo regolare?» indagò il medico, osservandola mentre stava in piedi.

«Mi pare di sì...» Ci pensò meglio per un istante. «Questa mattina non le ho prese perché ero occupata

«Risolto l'arcano» La Kein roteò le spalle. «Non può sgarrare con quelle pastiglie: sono importantissime e il loro dosaggio lo è altrettanto. Deve considerarsi fortunata se non è svenuta.»

Xenya annuì ma, ripensandoci meglio, in realtà era svenuta. Si concentrò: aveva sognato anche qualcosa nel frangente. Qualcosa di viola, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare.

«...allucinazioni e aggressività acuta sono conseguenze dell'astinenza.»

«Astinenza?» ripeté Xenya, strappata dai propri pensieri proprio mentre la Kein stava finendo di parlare. «Quindi mi state somministrando droghe? Non potrò più farne a meno?!» gridò lei, alzandosi in piedi furente.

Resasi poi conto di come aveva reagito in maniera eccessiva, si sedette ancora sul lettino.

«Ha ragione, Xenya. Quelle pillole sono droghe che creano dipendenza ma, al contrario di quelle che può aver visto spacciare durante i mercati intersettore, queste che agiscono a livello ormonale provocano effetti psicoattivi solo durante l'astinenza.»

«In parole povere,» intervenne Madeline notando l'espressione confusa della selezionata «ti fanno male se non le prendi.»

«Quindi dovrò assumerle per tutta la mia vita?»

«No, assolutamente!» La dottoressa sbatté le palpebre. «Quando si sottoporrà all'intervento, l'organismo utilizzerà tutte le sostanze che abbiamo introdotto per far sì che riesca a riprendersi più in fretta.»

Xenya si morse la lingua per non replicare: quella dell'intervento non era più un'opzione ma un obbligo.

«Per quanto tempo sono sotto l'effetto di una pastiglia prima di doverne prendere un'altra?» chiese invece, fingendosi interessata.

«Circa un giorno. Questa stima per lei è stata ottimale, ma ora è meglio che ne assuma una e non sgarri più il dosaggio: dato che lei è un soldato addestrato, rabbia eccessiva e allucinazioni non sarebbero un vantaggio per nessuno.» Sorrise. «Per fortuna ne ho una scatola qui.»

Voltandosi e armeggiando con un piccolo mobile posizionato sopra alla scrivania, ne estrasse una scatola rigida blu e, controllatane l'etichetta, ne fece rotolare fuori una compressa.

La mise in mano alla ragazza nello stesso istante in cui Madeline si avvicinava con un bicchiere d'acqua: Xenya la guardò esitante e capì subito che avrebbe dovuto prenderla. Non solo per una questione di dipendenza, ma soprattutto per evitare le ripercussioni che un segno di ribellione avrebbe potuto generare. Mise in bocca la pastiglia, riluttante, e bevve per ingerirla.

«Bene. Ora che è tutto risolto, penso possiate tornare alla vostra routine. Dovrei sbrigare diverse pratiche qui...» Accennò con il mento a una pila di fogli. «È un problema se non vi accompagno all'ascensore?»

«Non si preoccupi.» Madeline sorrise e, tirando Xenya per un braccio, uscì in fretta dallo stanzino.

«Quando pensavi di dirmelo?» sibilò quanto più contenuta possibile la ragazza, svincolandosi dalla stretta che la tutrice le esercitava sull'avambraccio. Trovava assurdo che nessuno si fosse preso la briga di informarla degli effetti collaterali di quelle maledette compresse.

«Maledizione, impara a stare zitta!» rispose con lo stesso tono la donna. «Hanno installato delle microspie, per non parlare del fatto che S mi sta con il fiato sul collo. Non possiamo più parlare in privato.»

«Ma lo stiamo facendo, mi pare.»

«Ora, per poco prima che notino che c'è stata troppa assenza. E qui, perché penso sia l'unico piano frequentato da voi selezionati in tutti i palazzi senza microspie.»

S voleva controllare i suoi soldati, quindi. La cosa non la sorprendeva.

L'anziano aveva fatto aggiungere microspie nei corridoi delle camere a Palazzo della Pace e nella palestra, cosicché tutti i movimenti potessero essere controllati.

«Per questo la Kein ci aspettava...» ragionò ad alta voce Xenya.

«Esatto.» La Direttrice roteò gli occhi. «Ci sono tecnici che controllano ogni cosa che vi accade. Ma per fortuna i medici tengono molto alla loro privacy. E ora, se non ci muoviamo...»

«Ferma» ordinò la ragazza, strattonando la Foxn perché si arrestasse. «Abbiamo un po' di tempo. Penso sia ora che tu mi racconti del mio passato. Non tutto ora, ma almeno le cose principali» la pregò.

«No.» Fu categorica. «Fidati dei tuoi antenati. Non c'è tempo ora: fidati di loro.»

«Come faccio a fidarmi di qualcosa che non conosco?»

La donna prese un profondo respiro per riordinare i propri pensieri.

«Chiedi a Bill» le sussurrò. «Torturalo per avere delle informazioni: cederà con facilità, soprattutto se gli chiedi di tua madre.»

Con un'espressione di immotivato disgusto, diede poi un pugno al pulsante dell'ascensore, sistemandosi poi il ciuffo che le copriva il lato sinistro della testa.

«Grazie» sussurrò Xenya.

«Dammi solo tempo per risolvere i problemi che ho a Palazzo della Forza. Poi ti giuro che ti dirò ogni cosa di cui avrai bisogno.»

Il silenzio che seguì la conversazione, dentro l'ascensore, poteva avere molti significati, ma quello prevalente era l'idea di attesa.

Attesa di verità, attesa del momento in cui tutto sarebbe stato chiaro e in cui Xenya avrebbe potuto prendere la rivincita che meritava contro S per tutto quello che le stava facendo passare.

Non appena la soldatessa fu di ritorno nella sala dell'addestramento, nulla suggeriva che il precedente atto di violenza fosse accaduto: la chiazza di sangue era stata del tutto ripulita e ogni soldato svolgeva la propria attività seguito dai propri allenatori, smettendo di parlottare riguardo lo scontro tra lei e Holo Tennee.

L'unica testimonianza che la lotta era davvero avvenuta, e che la soldatessa non l'aveva solo immaginata, erano i segni rimasti addosso alla vittima.

Il ragazzo, infatti, stava discutendo con un istruttore vestito di bianco su che esercizi avrebbe potuto svolgere e quali no. Attorno al collo era molto visibile una fascia dall'utilità a Xenya sconosciuta mentre sul naso gonfio un cerotto medicato come quello che le era stato messo sulla guancia tre giorni prima.

Non appena la soldatessa fece il suo ingresso nella palestra, l'unico sguardo di risentimento proveniva dal malcapitato che aveva provato a farla vergognare; ma ormai lei era certa che non sarebbe più accaduto.

«Eccoti, finalmente!» la accolse invece raggiante Bill. «Mi stavo preoccupando che anche tu fossi rimasta vittima dello scontro.»

«Direi proprio di no.» Xenya invece sorrise, mostrando al proprio personal trainer le mani fasciate ma che riusciva comunque a muovere. «Questi sono perché mi sono fatta male da sola prendendo a pugni un sacco.»

«Complimenti» affermò orgoglioso Bill. «Pare i miei insegnamenti siano serviti a qualcosa: sopraffare quel Tennee non dev'essere stato semplice.»

La ragazza osservò meglio la sua vittima: ora che tutti i dissapori si erano conclusi con qualche pugno - almeno da parte sua - poteva permettersi di sviluppare un parere critico sul suo aspetto. Era piuttosto alto, comunque non quanto David, e ben piazzato con le spalle larghe e le gambe muscolose. Per un istante si chiese come fosse riuscita ad atterrarlo; pensandoci con mente lucida, non ci avrebbe certo riprovato.

«Tutto grazie alla velocità,» affermò invece, rispondendo all'allenatore soffocando i pensieri «l'hai detto tu sarebbe stata la mia carta vincente. Comunque non aveva intenzione di farmi del male. Non lo voleva davvero.»

«Cosa te lo fa pensare?» domandò l'uomo, incrociando le braccia al petto e aggrottando le sopracciglia.

«Avrebbe potuto tirarmi lo schiaffo che voleva darmi, senza alcun problema. Eppure il braccio era fiacco» abbassò il tono di voce. «Lui stesso ha ammesso di essere stato mandato da qualcuno dei piani alti.»

«Non dirlo neanche per scherzo...» la ammonì lui, stringendole l'avambraccio come segno di avvertimento.

«Non è uno scherzo. Qualcuno ce l'ha a morte con me...» si difese, lasciando apposta la frase in sospeso.

«Con i tuoi genitori, al massimo. Tu non hai fatto nulla, non ancora» sussurrò così piano che Xenya stessa fece fatica a udirlo.

Alla fine il discorso stava imboccando la strada che la soldatessa voleva prendesse. Non si aspettava che fosse così facile manipolare Bill, eppure c'era riuscita senza alcuno sforzo.

«I miei genitori?» chiese, fingendo di non capire e di non essere soddisfatta delle sue competenze recitative. «Com'erano? Hai detto di averli conosciuti.»

«Li ho conosciuti, infatti» sospirò. «Ora tua madre avrebbe avuto trentaquattro anni, se fosse viva; e tuo padre trentacinque. Me li ricordo ancora: da piccoli giocavamo insieme e tua madre nel corso degli anni non è cambiata di una virgola.»

«Raccontami qualcosa di lei.» Fece leva come le aveva consigliato Madeline.

«Non potrei...» Distolse lo sguardo, imbarazzato.

«Ti prego» lo implorò la giovane.

Seppure all'inizio molto contrariato, Bill finì col cedere. Non riusciva più a fingere di essere sempre stato dalla parte dell'Ordine, persino durante la ribellione verde, quando lui per primo ne aveva fatto parte...

«D'accordo.» Sospirò ancora. «Tua madre Heleanor era la donna più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita. Aveva i tuoi stessi occhi: colore degli alberi del Deserto Centrale, brillanti e da togliere il fiato. Era bassa, più di te, ma ogni volta che qualcuno provava a deriderla per questo, lei lo avrebbe incenerito.»

«Era anche omosessuale, da quello che so. Aveva avuto dei problemi per questo?»

«In tutta onestà, da quello che mi raccontava, suo padre non era d'accordo: aveva altri progetti per lei. Per quello poi ha dovuto sposare Kelan, dopo la morte della sua fidanzata.»

«Mio padre...»

«Sì.» Annuì Bill. «L'ho sempre ammirato tanto, tranne quando litigammo per tua madre dato che tutti e due ne eravamo innamorati; ma lei dovette scegliere tuo padre per ovvi motivi.» Ridacchiò. «Mi pento solo di non essere riuscito a scusarmi prima della sua morte.»

Nello sguardo dell'istruttore si vedeva il grande rimpianto che lo abitava: la loro amicizia doveva essere stata molto importante. La soldatessa sorrise e si strinse nelle spalle.

«Com'era lui?»

L'entrata di Madeline nella sala destabilizzò l'allenatore che si morse le labbra.

Si allontanò dalla propria assistita, davvero preoccupato per la sua incolumità. Xenya avrebbe voluto spiegargli che la Direttrice era dalla loro stessa parte, ma riuscì a trattenersi prima di compromettere la posizione di altre persone nel Progetto X.

«Diciamo che entrambi sapevano lottare per quello che era giusto e quello in cui credevano e in cui tutt'ora un sacco di persone credono. Spero tu abbia ereditato il loro stesso spirito» tagliò corto. «Ora andiamo.»

E senza dare possibilità alla ragazza di ribattere, le voltò le spalle e si diresse di gran carriera verso gli STR. Sarebbe stato un allenamento molto intenso.

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