20

La sala dell'allenamento era cambiata, svuotata da ogni macchinario in precedenza presente nell'enorme stanza triangolare.

Gli allenatori osservavano a braccia conserte i selezionati che sfilavano uno a uno fuori dalle porte dell'ascensore, trascinando di tanto in tanto qualche soldato da parte per sussurrargli all'orecchio delle parole che li lasciavano esterrefatti mentre riprendevano posto nella lunga coda.

Anche Xenya fu portata fuori dalla fila indiana, ma quello che Bill le disse non fu bisbigliato quanto urlato.

«E così è lei la prostituta del Progetto? Avanti!» incitò, battendo le mani.

Tutti gli altri presenti applaudirono in risposta mentre un ragazzo in passamontagna le si avvicinava.

«Il tuo peccato è di essere donna. Di indurre gli altri a peccare!» gridò il giovane, facendo seguire la sua affermazione da altri scroscianti battiti di mani.

Lo sconosciuto dagli occhi celesti che la soldatessa abbinò d'intuito a David Strange, le strappò di dosso gli abiti con uno sguardo davvero sprezzante che quasi oscurava le iridi ghiacciate.

Gli altri selezionati, di fronte alla nudità della ragazza si dilettarono in fischi e applausi divertiti, talvolta scorrendo le mani sulla sua pelle.

Xenya rimase immobile, incapace di muovere un qualsiasi muscolo del proprio corpo al di fuori degli occhi alla ricerca di salvezza. Non provò nemmeno a coprirsi, non sarebbe servito a niente: gli altri erano convinti di sapere, di aver ragione. Non avrebbe potuto dimostrare loro il contrario.

«Francis!» urlò a pieni polmoni tremando. «Francis...» ripeté, iniziando a piangere.

«Xenya! Xenya, sono qui.» La calda voce di Francis la sradicò dal terribile mondo degli incubi.

La soldatessa si mise in fretta a sedere, madida di sudore e con il respiro affannato mentre la vista le si schiariva poco a poco.

«Dove sono? Cosa... Cosa ci fai qui?» chiese, confusa.

La silhouette scura del ragazzo prese forma contro la parete vetrata da cui trapelava la tenue luce della luna mentre ricominciava a vedere il mondo reale.

E in un istante le riaffiorarono alla mente i ricordi della sera passata, di Francis che aveva accettato di dormire a terra accanto a lei coprendosi con una coperta polverosa rinvenuta dal fondo dell'armadio della sua stanza.

In quell'istante, però, era seduto sul margine del letto con i capelli scompigliati e una semplice maglia a maniche corte nera addosso, le mani sulle spalle di Xenya e lo sguardo frustrato.

«Hai avuto un brutto sogno. Ti prendo dell'acqua» sussurrò, preoccupato senza dare voce ai propri tormenti.

Si alzò dal materasso e scomparve per breve tempo nel bagno. Quando ne uscì reggeva un bicchiere mezzo pieno che allungò con stanchezza verso la soldatessa.

La ragazza si stava premendo i palmi contro le tempie cercando di attenuare il fortissimo mal di testa che la stava sopraffacendo, accorgendosi solo in seguito del compagno.

«Che ore sono?» domandò lei, stropicciandosi gli occhi prima di prendere tra le dita il contenitore che il giovane le porgeva.

«È notte fonda. Ti conviene tornare a dormire» le rispose pacato, ravviandosi i lunghi capelli castani.

Xenya si fermò a osservarlo e sorrise: una particolare ciocca che gli cadeva sulla fronte era alquanto divertente.

«Mi trovi buffo?» chiese lui, corrucciando le sopracciglia nel vano tentativo di contrastare la nascita di un'espressione divertita.

«Moltissimo.» La ragazza si aprì in un sorriso ancora più ampio.

Francis sospirò, sedendosi accanto a lei sul letto e abbassando il materasso con il suo peso.

«Vuoi... Vuoi parlare dell'incubo che hai avuto?» domandò dopo poco, mentre Xenya finiva di bere.

«In realtà preferirei di no» ammise la ragazza, allungandosi verso il lato opposto per poggiare il bicchiere vuoto sul comodino.

Ricordava nei minimi particolari l'accaduto immaginario e richiamarlo non avrebbe portato alcun beneficio, anzi sarebbe stato meglio dimenticarlo.

«E allora torna a dormire...» sussurrò Francis, senza insistere ma posandole un palmo alla base della schiena. «Non sai cosa potrebbe aspettarci domani.»

«Tu lo sai, per caso?» chiese la soldatessa con gli occhi ridotti a due fessure verdi, ben contenta di portare la propria attenzione altrove.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, indugiando e facendo capire alla sua interlocutrice che stava nascondendo qualcosa.

«Francis...» Lo incitò, dandogli una lieve spinta sulla spalla che però non lo fece muovere affatto.

«Solo voci!» si difese lui, sorridendo appena e ricambiando la spinta che avrebbe fatto perdere l'equilibrio a Xenya se non si fosse prontamente sorretta con un braccio.

«Che tipo di voci?» chiese curiosa, riprendendo la propria posizione ridacchiando.

«Alcuni dicono che ci sarà un test per capire chi rimarrà e chi se ne tornerà a casa.»

«A casa in una bara o...?»

«Non lo so...» ammise, prendendole con dolcezza le mani. «Ma ora dormi, in ogni caso. Ti farà bene. Io starò sul pavimento a vegliare sul tuo sonno.»

«Grazie, davvero... Per tutto.» Sorrise ancora, molto grata al ragazzo per essere stato al suo fianco.

«È il mio dovere, dopotutto. Comunque domattina dovrò andarmene prima della sveglia, sai...»

«Certo. Meglio evitare di aumentare le voci sul mio conto... O di farne nascere di nuove su di te.»

E salutandosi con l'ennesimo sorriso, tornarono a dormire nei rispettivi posti letto: Francis nei pressi della parete finestrata e Xenya sola nel letto, accompagnata dai suoi pensieri.

Quando la ragazza si risvegliò, l'alba stava avendo il predominio sulla notte e la giornata si prevedeva molto limpida, senza alcuna nuvola a minacciare l'orizzonte.

Il suo primo istinto fu di voltarsi verso le vetrate ma, quando al posto di Francis vide solo la vecchia coperta ripiegata, le fu chiaro che il suo custode doveva essersene andato.

Fu proprio allora che dentro di sé sentì una forte - seppur strana - necessità: sfogare tutta la tristezza accumulata a partire dal giorno precedente che, nel corso della notte, si era evoluta in qualcosa di più intenso, ovvero bruciante ira.

Posò lo sguardo sullo schermo: la colazione non sarebbe stata servita per diverso tempo, ma tutto sommato la primitiva pulsione della fame nemmeno la percepiva.

Era il momento ideale per andare ad allenarsi a Palazzo della Salute per sfogarsi in pace e, nonostante l'orario, raggiungerlo non avrebbe violato il coprifuoco stabilito all'inizio.

Si cambiò d'abito in velocità, emozionata all'idea della palestra riempita dalla sua persona soltanto e al silenzio che sarebbe stato rotto solo dalla sua voce e da quella di nessun altro soldato carico di intollerabile testosterone. A meno che non fossero Holo o Jaxi pronti per un avvincente corpo a corpo, sarebbe stato meglio non intralciare i suoi piani di solitudine.

E i suoi desideri vennero realizzati non appena fu giunta nella sala dell'allenamento situata al trentesimo piano del Palazzo della Salute, senza far scattare alcun allarme. Notò come l'ambiente fosse freddo, ancora buio e desolato. Ma nonostante tutto, Xenya era pronta a riprendere in mano la sua vita, a ricominciare a vivere partendo da un intenso sfogo.

Superate le scricchiolanti porte dell'ascensore, si diresse a passo spedito verso il vertice opposto del triangolo, infilandosi dietro le fila di armadietti, per chiudere due grandi finestre che stavano facendo entrare fin troppa aria gelida mattutina.

Dando le spalle al sole che saliva all'orizzonte, Xenya si accorse di una sezione della sala da lei non ancora esplorata: un insieme di sacchi da boxe appesi al soffitto che, sorretti da grosse catene d'acciaio, ondeggiavano appena avanti e indietro a causa del vento freddo che penetrava all'interno del locale da altre finestre lasciate aperte.

La soldatessa, incuriosita, si avvicinò al sacco più vicino e vi posò sopra i palmi. Era freddo al tatto, duro e piuttosto pesante da spingere con le sole mani: l'ideale per sfogare quella scintilla che aveva dentro, l'ideale per farla divampare.

Sapeva che Yekson, mentre lei faticava sugli STR posizionati oltre il corridoio di passaggio, la mattina faceva a pugni con quei sacchi pieni di sabbia e che gli era proibito indossare guanti o altre tipologie di coperture appunto per rafforzarsi nella lotta corpo a corpo. Perché dunque avrebbe dovuto farlo lei?

Inspirò a pieni polmoni e tirò un pugno non troppo forte contro la pelle nera, controllando con sguardo critico la propria tecnica. Il colpo sul sacco che non si era scostato nemmeno di un dito, le procurò un certo dolore. Forse la chiave non stava nella metodologia.

Aveva capito perché lo facevano fare agli uomini; ma lei non sarebbe stata da meno, anzi, avrebbe dato del suo meglio perché credeva nel proprio miglioramento.

Strinse i denti e tirò un secondo dritto. Poi un terzo, seguito da un calcio. Il sacco iniziò a scricchiolare nelle sue catene e la ragazza iniziò a prendere gusto nel sentire il formicolio sulle nocche che andavano arrossandosi.

A lei comunque non importava. Anzi, le piaceva poter esternare il dolore che sentiva dentro al cuore. In un modo o in un altro l'avrebbe fatta pagare a chiunque si fosse frapposto tra lei e la sua salvezza: avrebbe sgomitato fino a eliminare ogni ostacolo presente sulla sua via. Nel profondo non le importava più che retaggio avesse alle spalle, non le interessava più cosa avrebbe dovuto fare perché tutto ciò che aveva a cuore in quell'istante era rimanere fedele a se stessa e fuggire da quell'assurdo Progetto X.

Tra ganci e calci vari, il sacco iniziava sempre più a traballare mentre la rabbia infuocata di Xenya stava mano a mano dando fuoco a tutto l'intorno fino al punto da accecarle la razionalità. Non vedeva più un ammasso di sabbia, una palestra; bensì i due depravati che l'avevano imbarazzata susseguirsi a turno in una lotta all'ultimo sangue.

Ma solo lei sarebbe sopravvissuta.

Holo... Aveva già sentito quel nome pronunciato durante le notizie riportate dall'holojournal. Ne era certa, ed era anche sul punto di collegarlo a qualche evento. Sì, Holo Tennee. Quel ragazzo, figlio di quella famiglia.

«Ve lo meritate!» Si ritrovò a sibilare addosso a quell'oggetto inanimato mentre i colpi diventavano sempre meno precisi ma sempre più focalizzati nel far del male piuttosto che sulla tecnica.

I pugni erano sempre più veloci, sempre più forti ma sempre più disorientati, a tal punto che un paio mancarono il bersaglio. Il sacco da boxe ondeggiava pericolosamente, lasciando dietro di sé altri numerosi sacchi che andavano a sovrapporsi l'un l'altro.

Xenya fece un passo indietro, non capendo. Un forte mal di testa stava irradiando pessime sensazioni al resto del suo corpo. Ma non poteva fermarsi: era proprio quello che si aspettavano da lei. Riprese a picchiare l'ammasso di sabbia, tremante ma risoluta.

«Sarò la vostra rovina» continuò, le prime lacrime di sfogo che le sgorgavano dagli occhi.

Tornata di colpo alla realtà, si bloccò. Cosa le stava succedendo?

Il sacco dondolava formando ampie parabole in aria e, guardandosi le mani, Xenya scoprì con disappunto che tre nocche per ogni mano stavano sanguinando appena, tagliate dalla foga con cui si stava avventando sul bersaglio.

Qualcosa non andava... Le tempie le pulsavano. Possibile che fosse solo a causa della sua rabbia? Non le era mai accaduta una cosa del genere prima, nemmeno nei peggiori casi sul campo di battaglia.

Boom.

Il rumore di un'esplosione le divampò dentro, facendola vacillare all'indietro sino a quando non cadde di schiena sul pavimento.

Quando si stropicciò gli occhi e li riaprì pronta a rialzarsi per riprendere l'allenamento, la ragazza non riconobbe più la palestra: tutto l'intorno era viola e non pareva possedere alcuna dimensione fisica.

Riprese la propria posizione eretta e davanti a sé, invece di trovare il sacco da boxe vide una figura che non si aspettava.

«Zenith?» Le proprie parole arrivavano ovattate alle sue orecchie.

L'elfa era in piedi, rigida e immobile mentre il suo sguardo fisso e violaceo era bloccato sulla soldatessa. Una fitta pioggerellina dello stesso colore dell'intorno cadeva addosso alla ragazza, senza però bagnarla.

«Non ti ho uccisa...» La giovane sospirò sbalordita, emozionata all'idea di non aver stroncato una vita innocente.

«La morte non è definitiva» affermò la figura eterea, senza quasi muovere bocca.

«Cosa stai dicendo?» domandò Xenya, tentando di avvicinarsi ma i propri arti non rispondevano ai comandi.

«Ucciderà molte persone» affermò seria Zenith.

«Chi?» L'altra si aigtò. «Holo Tennee?» chiese impaziente. Stava sognando tutto? Eppure sembrava così reale.

«L'eclissi. Posso mostrartelo.»

L'affermazione spiazzò Xenya. Stava impazzendo? Prima le allucinazioni e ora addirittura una visione di una persona potenzialmente morta.

Ma Zenith - o qualunque cosa assomigliante a lei fosse - batté per la prima volta le palpebre dall'inizio del loro scambio e, d'istinto, lo stesso fecero quelle di Xenya.

In un istante, la soldatessa non si trovò più nemmeno nel misterioso luogo viola ma in una buia grotta discendente con l'elfa al suo fianco. Senza muovere le gambe, le due proseguirono lungo l'oscuro e umido dedalo sino al raggiungimento del limite di quello che pareva un profondo pozzo. In mezzo alla roccia nera che si allargava in un piccolo spiazzo, un agglomerato cristallino verde petrolio risplendeva di luce propria.

«È lo smeraldo dell'eclissi.» Il tono monocorde di Zenith pareva sin troppo alto per un luogo del genere, dal chiaro sentore mistico che la soldatessa percepiva sino alle ossa. Ma la cosa che più le scombussolò l'animo, furono le parole stesse pronunciate dalla sua guida.

Se lo smeraldo esisteva davvero...

«Il nonno aveva ragione» ragionò ad alta voce, ripensando alla lettera ancora chiusa nel comodino, parlando però come se dalla propria gola uscissero solo echi lontani.

«Certo che ce l'aveva. La leggenda è vera: l'eclissi è sempre più vicina e ucciderà, distruggerà raccolti. Solo questo smeraldo annienterà la minaccia.»

Il cervello di Xenya andava bruciando sempre di più. Zenith apparve di colpo di fronte a lei e la fissò immobile mentre il buio paesaggio tornava viola con lentezza. La soldatessa, non potendo più controllare il dolore, urlò.

Boom.

Un respiro scarno le riempì a malapena i polmoni, quasi fosse il primo mai effettuato.

Quando le sue iridi verdi ripresero a scandagliare l'ambiente, Xenya era distesa in una posa innaturale sul pavimento della palestra, il sacco che ancora oscillava piano.

Le tempie che ancora pulsavano la costrinsero a non farsi due domande che, in condizioni normali, si sarebbe posta nell'immediato: 'cos'era successo?' e 'per quanto tempo?'.

I suoi pensieri erano offuscati da una nebbia nera e della visione di Zenith non le rimaneva nulla, come se per la sua mente non fosse mai accaduto.

Si rialzò con lentezza, iniziando a cercare attorno a sé una qualsiasi traccia che le avrebbe permesso di capire cosa le era capitato. Ma la sua ricerca fu interrotta sul nascere.

«Sei davvero qui, allora.» Una voce gelida richiamò la ragazza che si voltò di scatto nascondendo un tremore di sorpresa. «Per essere una sgualdrina del Cinquantatré non te la cavi troppo male. Picchi i tuoi clienti? Li eccita

La ragazza scacciò via ogni incertezza che avrebbe potuto offuscare il suo giudizio: il confronto con Holo Tennee era appena iniziato e, come si era ripromessa, non ne sarebbe uscita da perdente.

Strinse i pugni doloranti e, sentendo bruciare le nocche, fu certa di non essere ricaduta di nuovo nello stato di trance che forse l'aveva rapita poco prima. Non avrebbe permesso a quel miserabile di vincere sui suoi sentimenti, non di nuovo: avrebbe vinto lei.

«E tu da dove vieni? Holo Tennee, giusto?» chiese Xenya, intimorita dal ragazzo quanto fiduciosa nelle proprie capacità vendicative.

«Settore Trentatré» rispose quello, impettito mentre incrociava le braccia al petto e dava peso a una sola gamba. La ragazza imitò i suoi movimenti, tentata dall'idea di esasperarlo.

«Sì, ricordo: quello dell'incendio.» Finse di pensarci su quando invece già sapeva cos'era accaduto. «Spero tu ora stia sfogando le tue attenzioni su di me perché i tuoi affetti sono diventati carbone.» Alzò le spalle, divertita.

«Non osare» sibilò il ragazzo, sistemandosi su entrambe le gambe e stringendo i pugni, lasciando ricadere le braccia accanto al proprio corpo.

Se il linguaggio non verbale aveva un minimo fondo di verità, di sicuro Holo era piuttosto infastidito.

«Perché non dovrei? Come tu e i tuoi amichetti vi siete presi la libertà di infangare la mia reputazione e il mio corpo, penso di poter ricambiare.»

«Non ne hai il diritto... Non farlo.» Avanzò in modo minaccioso di qualche passo nonostante il suo ego si stesse sgonfiando sempre più, passo dopo passo.

«Holo Tennee.» Sentendo la fiamma dentro di sé, Xenya iniziò a decantare ciò che sapeva come fosse la voce narrante del notiziario. «Ultimo esponente rimasto della grande dinastia delle armi caduta in disgrazia. Morti i genitori e scoperti i debiti che nascondevano al mondo, nessuno di loro ha più ricevuto soldi dall'Ordine» ricapitolò in fretta, pensando di essere riuscita a domare il fuoco che la stava consumando. Ma si sbagliava: non appena pronunciò quelle taglienti parole, si sentì come se avesse soffiato su delle braci che presero vita d'un colpo.

«Smettila. Non voglio che...»

«Quindi mi pare chiaro che anche tu sia qui per un motivo» ragionò lei ad alta voce, interrompendo Holo. «Vogliono ammazzare anche te? Forse no.» Sospirò, guardando l'espressione del giovane mutare ogni qualvolta lei apriva bocca. «Ma di sicuro mi viene da chiedere se ti hanno chiesto di importunarmi in cambio di soldi, salvezza o per ripulire il tuo nome. Non ti vergognare: io avrei fatto lo stesso.»

Il ragazzo mosse in fretta il braccio, ma non abbastanza perché passasse inosservato. Il suo tentativo di schiaffo fu infatti bloccato dalla mano di Xenya che gli strinse il polso. I riflessi di lei, già pronti in condizioni normali, erano stati accelerati dal bruciante mal di testa.

Il palmo aperto di lui era sospeso poco distante dal volto impassibile di lei che, disgustata, premeva con foga i polpastrelli nella pelle del giovane che, con un gemito, cercò di spingere ancora di più lo schiaffo verso la destinazione iniziale. Ma lei applicò una forza maggiore e spinse via l'arto dell'aggressore come fosse uno straccio.

«Se avessi davvero voluto, avresti potuto sopraffarmi. Ma non ci hai nemmeno provato: non lo stai facendo per motivi personali. Chi ti ha ingaggiato?» chiese, davvero curiosa di capire cosa stava accadendo nel Progetto X e chi ce l'avesse con lei in quella maniera, nonostante già nutrisse i suoi sospetti.

«Non so di cosa tu stia parlando.» Holo indietreggiò, intimorito.

Ma la ragazza, proprio come Bill aveva detto all'inizio dell'addestramento, era molto più veloce. Allungò una gamba e, senza sforzo, fece uno sgambetto al ragazzo che cadde a terra con un tonfo sordo.

«Non è l'unica cosa che non sai. Non sembri neanche in grado di mentire, ad esempio.»

Con un passo gli si avvicinò e posò la suola dello stivale destro sulla gola scoperta della vittima.

«Io non...» Le iridi gli lampeggiavano, era ben consapevole del disastro in cui si era cacciato e che sarebbe stato alquanto difficile uscirne indenne. Chiuse gli occhi impaurito mentre con le mani cercava invano di allontanare il piede della sua avversaria.

«Chi ti ha pagato? Quanto?» gridò la ragazza, gli occhi fuori dalle orbite.

Il ragazzo non parlava ma gli occhi stretti e l'espressione doloranti erano piuttosto eloquenti: avrebbe parlato presto.

Xenya mise più peso sulla gola di Holo, il quale tossì pesantemente riaprendo gli occhi.

«La verità!» urlò di nuovo lei. «Subito!»

«Sì...» sussurrò appena come fosse il suo ultimo respiro, e forse lo era davvero. La mente della soldatessa, in lontananza capiva di non avere più il controllo sull'istinto che le dominava il corpo, ma il pensiero non forte a sufficienza da essere percepito nella foga del momento.

Il ragazzo annaspò non appena il piede di Xenya fu tolto dalla sua gola. Si strinse la trachea con la mano sinistra, cosa che stupì la ragazza in quanto non avrebbe aiutato la respirazione, anzi.

«Il mittente iniziale è sconosciuto» affermò, appena dopo aver ottenuto un po' d'aria.

«Menti!» urlò la soldatessa, premendo il tallone sul palmo destro del ragazzo che sembrò dimenticarsi della gola e gridò di dolore.

«No, te lo giuro!» pianse, liberando il proprio collo dalla stretta per poi premersi il polso destro nella speranza di liberarlo.

«E allora chi ti ha incaricato?» Il tono calmo della soldatessa era forse la cosa che più spaventava il malcapitato.

«Un soldato! Non del Progetto... Uno diverso. Ha detto che in cambio di segretezza sulla missione mi avrebbero tenuto dentro!» Parlava veloce.

«Dentro a cosa?» domandò la giovane, ancora più pacata, chinandosi vicino al viso di Holo che restava steso e dolorante.

«Dentro al Progetto X. Hanno in programma un'eliminatoria, qualcosa del genere» ammise, le lacrime che gli affollavano sempre più gli occhi. «Ora sarò sbattuto fuori.»

Era quindi chiaro fosse qualcuno di interno al Progetto, se poteva promettere una tale ricompensa. Qualcuno dei piani alti e lo stomaco le si chiuse mentre le appariva in mente il viso della persona che più di tutti avrebbe potuto stare dietro al piano. Il Signor S. Se aveva anche assoldato il Capitano del Settore Uno, di certo corrompere uno come Holo doveva essere stato un gioco da ragazzi per lui.

«Hai scelto tu di metterti contro la persona sbagliata» sentenziò Xenya, e con un pugno in faccia al soldato che fece dilaniare ancora di più le sue ferite alle nocche, si alzò e tentò di uscire dalla palestra.

Lei aveva mirato allo zigomo, cosicché gli provocasse dolore e magari un livido, ma iniziò a sanguinargli il naso. Aveva sbagliato il bersaglio, di nuovo, ma quello fu uno sbaglio piuttosto costoso al contrario del precedente: l'emorragia sarebbe stata molto più visibile di una botta. Le conveniva andarsene, e alla svelta.

Ma proprio quando stava per raggiungere l'ascensore, le porte di quello si aprirono rivelando il gruppo di selezionati che stava entrando e per la soldatessa era quindi diventato impossibile negare di aver aggredito Holo Tennee che ancora gemeva accasciato a terra.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top