17

Xenya era stata la prima a sparare. Il rumore della sua pistola aveva rimbombato non solo tra il cemento, ma anche tra le membra di tutti i presenti: i soldati del perimetro erano sobbalzati senza darlo a vedere, i selezionati si erano voltati di colpo verso di lei mentre S ghignava soddisfatto e Madeline cercava di mostrarsi inespressiva. Dall'alto delle finestre di Palazzo della Salute, Bill osservava a braccia conserte la prova assieme ai colleghi e, assistendo alla scena, espirò per poi uscire in velocità dalla palestra.

Tutti, per un motivo o un altro, sentirono il boato dell'arma dentro le proprie ossa, dentro la propria anima. Tutti, tranne Xenya. Il suo sguardo era fisso sul corpo di Zenith che, accasciato, era agitato dalle convulsioni. Gli occhi della giovane donna erano ribaltati, nascondendo le iridi violacee mentre saliva bianca mista a sangue le fuoriusciva dalle labbra.

In poco tempo i muscoli dell'elfa rallentarono la loro eccessiva contrazione, lasciando il corpo di Zenith esanime e accasciato in una posa innaturale.

Un conato di vomito sorprese Xenya che però lo ricacciò alla fonte. Non poteva mostrarsi debole, non in quel momento. La ragazza notò poi come gli abiti bianchi che ancora indossava erano stati schizzati dal sangue rosso proveniente dalla ferita che aveva inflitto a Zenith: Bill non li avrebbe più voluti avere.

D'un tratto, un lento battito di mani andò accelerando alle spalle di Xenya, e quando la soldatessa si voltò con lentezza, si rese conto di quello che aveva fatto. Aveva appena creato da sé una crepa irreparabile nella sua stessa corazza d'integrità.

S applaudiva, solo, e sorrideva con uno sguardo che sembrava urlare la sua vittoria.

«Ottimo lavoro, soldato» affermò l'uomo, annuendo compiaciuto con la voce amplificata incrociando poi le braccia al petto. «Comprendo e mi stupisco della tua scelta di colpire il tuo soggetto alla gamba. Una scelta alquanto coraggiosa che dimostra la tua convinzione negli ideali che tramanda l'Ordine di Clock: grazie a quel tuo solo singolo proiettile posizionato così distante dal cuore della vittima, le hai provocato una sofferenza tale, precedente alla morte, che le permetterà di comprendere il dolore che la sua specie ha causato al mondo sino a oggi. E dico sino a oggi perché voi ragazzi del Progetto X siete il futuro: compirete l'impresa che la mia generazione non ha mai avuto il coraggio di intraprendere.»

L'anziano annuì teatrale ancora qualche volta, in silenzio, godendosi la vista della sua nemica che iniziava a sottomettersi al suo comando. Più osservava la scena che aveva davanti, più si convinceva che il suo piano avrebbe funzionato.

«Ora non esitate» ordinò la Foxn, monocorde con una smorfia che stonava con l'impeccabile ordine che regnava sul suo viso: lo chignon tirato alla perfezione e il trucco acqua e sapone. «Colpite. Ora

E mentre centosettantanove soldati erano costretti a premere grilletti o impiantare armi bianche in corpi di persone innocenti, Xenya respirò continuando a dare le spalle al corpo di Zenith e a sostenere lo sguardo di S.

Quando le varie urla furono scemate nell'aria, la soldatessa fu la prima ad attraversare le fila di corpi esanimi per raggiungere Palazzo della Pace. Zoppicava appena sull'asfalto che stava rilasciando il calore collezionato durante le ore diurne. Xenya era convinta che non sarebbe stata in grado di sostenere la vista di nessun altro soldato sino al momento della cena: aveva bisogno di tempo per metabolizzare la giornata e ancora le sembrava di essere in uno stato di trance. Fu avvantaggiata dal fatto che tutti rimasero silenziosi e con lo sguardo così basso che sembrava quasi voler perforare il pavimento. Tutti, tranne chi meno si aspettava.

«Ricordi che ti avevo chiesto se le ragazze potevano essere qui?» le chiese Jamie, il ragazzino di meno di dieci anni del Settore Sessanta. Il timbro di voce era molto più basso rispetto al loro primo incontro e il cuore di Xenya si fece ancora più piccolo pensando agli steroidi che gli stavano somministrando.

La soldatessa guardò il giovane che tratteneva invano le lacrime che lasciavano comunque un'impercettibile traccia traslucida sull'asfalto nero.

«Sì» rispose ferma la ragazza. Ricordava bene il loro primo incontro avvenuto solo qualche giorno prima e rabbrividì al pensiero di quante cose erano cambiate da allora. Anche Jamie aveva ucciso qualcuno, per la prima volta nella sua vita e con gli occhi serrati com'era accaduto per Xenya a suo tempo.

«Avevo sbagliato,» sussurrò monocorde, devastato dall'omicidio commesso «di sicuro ragazze come te sono più adatte di ragazzini come me.»

Le gambe doloranti della soldatessa rifiutarono di proseguire il cammino. La ragazza vestita di bianco si bloccò nel mezzo della strada nera, circondata da altri soldati stretti in completi neri che proseguivano a passo sincronizzato. Xenya alzò gli occhi nel cielo che si dipingeva di nero e una singola lacrima le si fece strada sul viso: Madeline aveva ragione.

Lei era diversa da ogni altro in quel gruppo e quella prova era stato il primo passo per comprendere quelle differenze incolmabili che la separavano da chiunque.

Prima di cena, Xenya si concesse un bagno per rilassare i nervi che forse mai prima di allora erano stati così tesi. Quella appena trascorsa si era rivelata una giornata infinitamente pesante e potersi togliere di dosso i sensi di colpa e l'altrettanto densa sensazione di tristezza era un lusso che poteva alla fine permettersi.

L'acqua le lambiva le membra stanche e ancora doloranti dallo scontro con gli scagnozzi di S, senza però riuscire a rilassarle la mente o il cuore. Prese un profondo respiro e infilò la testa sotto il livello dell'acqua sperando che il rumore di proiettili che continuava a rimbombarle nel cervello sparisse assorbito dal fluido.

Quando uscì, fu di nuovo il momento di indossare il lungo abito bianco per la cena e, in seguito, si guardò allo specchio meditabonda: la guancia, senza cerotto, non sembrava esser messa troppo male e il tatuaggio con il codice risplendeva sulla pelle candida più che mai. Era strano per la soldatessa da ammettere, ma in qualche maniera si stava davvero abituando a quella nuova modalità di vita.

Non le importava più se quei giovani l'avevano aggredita e cercava di reprimere il senso di pesantezza che provava nel ripensare a Zenith: tutti, in quell'orrendo sistema, avevano un ordine da eseguire. Magari il Capitano Brook era stato minacciato da S, proprio come tutti i selezionati che avevano dovuto separare i corpi dalle anime. Ora capiva: erano tutti delle pedine in mano al Capo del Consiglio che non avevano altra scelta che pensare e agire come lui pretendeva.

Estrasse dal cassetto la lettera di Herald e con cautela la stese sul materasso, iniziando a rileggere ancora una volta le parole scritte con una tale frenesia che sembrava suo nonno avesse quasi paura di metterle nero su bianco. Ripensandoci, era da un po' che non la apriva: aveva altro a cui pensare. E per un istante le venne la voglia matta di condividere con qualcuno le sue preoccupazioni, i suoi dubbi. Si trattenne: con Madeline non poteva parlarne sino a quando non fosse stata lei a darle delle spiegazioni, e anche solo comunicare con Francis era fuori discussione. Ripensando al ragazzo il cuore le si strinse e le piombarono addosso tutte le insicurezze di cui si era liberata poco prima.

Ma c'era qualcun altro con cui avrebbe potuto condividere i suoi dubbi. E quel qualcuno era la scelta ideale.

Alzandosi dal letto, si avviò scalza alla porta - l'aspetto a quel punto non importava - e la aprì: con estrema sorpresa, Yekson era là davanti, in piedi e con il braccio alzato in procinto di bussare.

«Ehi!» esclamò sorpresa Xenya, contenta però di non dover attraversare il corridoio per andarlo a cercare. «Stavo giusto per venire da te.»

«Oh, perfetto.» Lui sorrise amaro, riportandosi il braccio lungo il tronco. «Perché devo parlarti.»

«Anche io...» Ridacchiò, spostandosi su un lato della porta. «Entra.» Gli fece un cenno con il capo e lui, sorridendo finto ancora una volta, entrò nella camera.

«Posso?» chiese, indicando il materasso.

«Certo...» rispose la soldatessa, sedendosi poi accanto al compagno. «Inizia tu, perché temo la mia storia sia molto più lunga della tua.» Sogghignò appena, seguita poi dall'ospite.

«E va bene.» Yekson sospirò. «Volevo solo esprimere le mie insicurezze. E so che è strano e che non dovrei, ma per qualche strano motivo sembri la persona più adatta tra tutti questi uomini montati.»

«Non ti preoccupare, sono qui anche per questo.»

«E so che è strano!» ripeté, agitato. «Perché tu sei, tra tutti, forse anche quella che parla meno di sé e proprio per questo sembri più propensa ad ascoltare, ma non voglio essere pesante e...»

«Yekson» lo interruppe Xenya, posando una mano sulla spalla dell'amico per fermare la sua parlantina agitata. «Non c'è nessun problema, davvero. Sono contenta che tu voglia parlare con me proprio come voglio io. E sei libero di esprimere le tue preoccupazioni e insicurezze. Essere un uomo non esclude il fatto di essere umano. Come tale, è ovvio che tu possa provare sentimenti e la cosa non ti rende né strano né meno maschile di chi chiude i propri in un cassetto con lucchetto.»

Il soldato sorrise e prese un respiro profondo. La ragazza riusciva quasi a percepire l'agitazione che lasciava il corpo di lui e si chiese per un istante quanto tempo fosse rimasto fuori dalla sua porta, incerto sull'entrare o meno per paura di fare una brutta figura con lei.

«Perché, Xenya... Perché?» le domandò, gli occhi supplicanti e appena lucidi. «Perché hai aumentato il dolore a quella tua vittima? Volevi fare buona impressione sul Capo del Consiglio? Spiegami!» Il ragazzo era in preda a una crisi isterica. Conteneva a stento le lacrime e la soldatessa era certa che l'uccisione di quel mutante l'aveva segnato nel profondo, proprio come a Jamie.

«Perché le ho aumentato le possibilità di sopravvivere» affermò d'un fiato la ragazza, libera da uno dei tanti pesi che, sommati, non era più in grado di sostenere da sola.

«Cosa...» Yekson la guardò stranito ma, osservando lo sguardo sicuro di lei, capì che non stava scherzando. «Cosa intendi dire?»

«La ragazza che mi era stata assegnata è un'elfa. Non una mutante: capisci?»

Il soldato scosse la testa.

«Se fossi stato attento alla lezione introduttiva sulle armi,» riprese Xenya «ti saresti ricordato che i non mutanti, con un proiettile di sangue, non muoiono ma svengono. Il mio compito riguardava solo il non colpire un organo vitale per non ucciderla con l'impatto. Se si sveglierà, avrà solo una gamba fuori uso e avrà più possibilità di tornare dalla sua gente.»

Lo sguardo all'inizio dubbioso di Yekson si tramutò in breve prima in stupito e poi ammirato. No, non aveva pensato all'opzione in cui Xenya potesse aver tradito Clock. Ma qualcosa nella sua testa gli urlava che forse era stato l'Ordine a tradire i selezionati e tutti gli abitanti.

«Wow.» Richiamando le lacrime sotto il proprio controllo, il ragazzo sorrise.

«Non sono riuscita a spararle in testa Yekson, e questa cosa mi appesantisce il cuore... Ho rinnegato tutto ciò che mi ha tenuta in vita fino a ora per una ragazza che nemmeno conosco...»

«Se avessi avuto una scelta, avrei seguito il tuo stesso cammino» ammise il soldato guardandola negli occhi. «Ma la mia vittima era un vampiro già per metà ustionato... Continuo a ripetermi che è stata la cosa migliore per lui, ma non ne sono davvero sicuro.»

«Guardando il lato materiale della vicenda, hai sacrificato una vita già segnata per salvare la tua e quella dei tuoi familiari...»

«A proposito di loro,» la interruppe frenetico, scusandosi però con lo sguardo «devo ancora parlarti di ciò che mi distrugge da quando siamo partiti.»

«Pensavo il tuo problema riguardasse oggi...» si giustificò Xenya, le sopracciglia corrucciate.

«E invece no. Come sai, sono omosessuale» cominciò. «E all'inizio per i miei genitori è stato un piccolo trauma. No, non piccolo: enorme. Essendo loro piuttosto anziani, e io figlio unico, si aspettavano presto dei nipoti da parte mia con cui passare i pomeriggi liberi al Cinquantatré. Per questo abbiamo avuto un litigio davvero pesante e per ripicca decisi di arruolarmi nella legione d'assalto, per dimostrare che non ero meno uomo di quelli a cui piacciono le donne, capisci?»

La ragazza annuì. Il cambiamento così radicale di argomento l'aveva destabilizzata ma era comunque determinata ad aiutare il più possibile il compagno.

Forse eseguire la propria vendetta in quel modo non era stata l'idea migliore, ma aveva un senso per un ragazzo di sedici anni, spaventato e condizionato dall'opinione dei propri genitori.

«Durante i momenti di scuola ero brillante e anche durante i momenti in cui mio papà mi insegnava medicina. Per questo eravamo tutti d'accordo che seguissi il sentiero della famiglia, arruolandomi tra i medici. Non ho mai voluto fare il soldato come sto facendo ora, e quando stavo compilando le carte per il trasferimento di legione, riappacificandomi quindi con i miei genitori, è arrivata la lettera per il Progetto X.» Abbassò lo sguardo. «Ero incastrato. Lo sono tuttora.»

Il soldato iniziò a lacrimare cercando di non darlo a vedere ma Xenya lo percepì e con delicatezza mosse il pollice avanti e indietro lungo la spalla del ragazzo per esprimergli conforto. In un certo senso poteva capirlo: la solitudine, la paura di aver fatto la scelta sbagliata e di non poter tornare indietro la perseguitavano giorno dopo giorno.

«Odio quello che sto facendo, odio questo posto e odio anche solo osare pensare quello che mi accadrà qui, quello che accadrà a tutti noi. Mi sembra di essere rinchiuso con un branco di invasati e te. Che non sembri troppo invasata, solo brava. Avevo cercato di guardare il lato positivo prima di arrivare: con altri centosettantotto uomini, avrei anche potuto trovare la mia anima gemella... Eppure mi rendo conto di quanto assurda fosse questa possibilità: non ce n'è uno che sembri un essere umano, tutti automi interessati solo al risultato. Xenya, cosa diavolo sta accadendo qui? Cosa sanno loro che noi, anzi io, non so?»

La ragazza aprì la bocca per parlare ma fu subito interrotta. Ritrasse la mano.

«E non provare a dirmi che non lo sai» la supplicò, con le lacrime sempre più evidenti agli occhi mentre riprendeva il contatto visivo. «Vedo come Madeline ha sempre un occhio di riguardo per te. Fai sempre cose diverse rispetto agli altri e non mi bevo la storia del fatto che succeda perché tu sei donna. È evidente che sei un gradino sopra a tutti noi. Sto per morire? Vogliono uccidermi?»

«No, Yekson.» Sorrise con dolcezza dopo qualche istante di meditazione. «Non penso vogliano farci fuori. Non te, comunque. Forse me.»

Il ragazzo sembrò soppesare le parole della soldatessa con una cautela e una determinazione che lei non aveva mai visto così chiara negli occhi di lui prima di allora.

«Cosa mi stai nascondendo?» chiese, corrucciando le sopracciglia ancora una volta.

«Al momento, un sacco di cose. Tra poco, nulla.»

E preso un lungo respiro, la giovane prese la decisione di raccontare tutto quel poco che sapeva.

«Avevo sette anni quando i miei genitori furono giustiziati in una piazza del Primo Settore per alto tradimento. E fui costretta a osservarli morire, dopo diverso tempo che mia madre continuava a dirmi di arruolarmi una volta raggiunta l'età perché in caso contrario sarebbero venuti a prendere anche me. Non so nemmeno perché ricevettero quella pena. Qualche istante prima di essere uccisa mi consegnò questa...» Xenya si alzò in piedi e gli passò la lettera ancora poggiata sull'altro angolo del materasso. «Una lettera scritta da mio nonno materno, parla dell'origine di Clock e di una leggenda che racconta che tutto verrà spazzato via. La scrisse poco prima di essere coinvolto in un'incidente. Non ho idea di dove si stesse dirigendo o altro. Fatto sta che in questa scrisse pure che sarebbe morto: lo sapeva

Yekson la prese tra le dita, incerto sull'aprirla o meno: era leggera e molto consunta, risaltava tra le dita scure di lui.

«Altri parenti?» chiese, dopo avere posato il foglio sul comodino. Non aveva intenzione di invadere la privacy della ragazza, nonostante fosse stata lei stessa a consegnargli la lettera.

«No. Non che io sappia, almeno...» Si lasciò sfuggire un sospiro. «Nessuno me ne ha mai parlato. Nessuno mi ha rivendicata come nipote o altro. Sono sempre stata sola al Cinquantatré.»

«Quindi, hai i tuoi genitori uccisi per tradimento e un nonno che prevede per miracolo la sua morte e tu non hai dubbi su quello che è successo?» Alzò le sopracciglia sorpreso: gli sembrava chiaro che doveva esserci qualcosa sotto.

«Non ne avevo fino a qualche giorno fa» ammise lei. «Mi hanno sempre detto che non dovevo parlare dei miei parenti o del passato della mia famiglia perché se ero viva era solo grazie alla mia età. Mi hanno parlato di ideologie ribelli e poco altro. Questa lettera parla di uno smeraldo e di popoli che si spostano. Che basi avrei mai potuto avere per mettere in dubbio ciò che mi è sempre stato raccontato?»

«Hai ragione.» Yekson annuì, contestualizzando meglio la situazione. Era di una bambina di sette anni che si stava parlando. «E adesso che ci penso, ho sentito anch'io parlare delle prime ribellioni dei Settori. Rivolta o rivoluzione verde, una cosa simile. So che esiste, ma null'altro. Sembra un argomento top secret.»

«Lo è, fidati.» La ragazza si fece attraversare da un amaro sorriso. «Madeline Foxn, la Direttrice, è la mia protettrice burocratica o qualcosa del genere. Lei sa chi fossero i miei genitori e i miei nonni, ma per qualche motivo non le è permesso dirmelo, non fintanto che il Signor S ci controlla da così vicino. Francis Darkspire, lui è una specie di guardia del corpo in prima linea...» tagliò corto su di lui. «Secondo la Foxn io devo portare avanti il progetto dei miei antenati, ma non ho la minima idea di che cosa continui a dirmi.»

«Non che abbia fatto un gran lavoro di recente, il tuo Francis...» Yekson fece una smorfia. «Quindi diverse persone sanno chi tu sia e non tu.»

«Già.» La ragazza ridacchiò un po' esasperata. «Io sono Xenya Cass Thompson e sono destinata a qualcosa. Non so a cosa, ma a qualcosa.»

«Hai parlato del Signor S...»

«Sì, esatto» disse, abbassando la voce. «Mi sta controllando. Da quello che so e che ho potuto sperimentare io stessa, sa molto di più sul mio passato di quello che sappia addirittura la Direttrice. Ed è probabile che il suo obiettivo finale sia davvero farmi fuori, per quella storia che senza saperlo mi porto alle spalle.»

Yekson imprecò sottovoce.

«Sei una specie di messia dei Settori, un'icona ribelle!» esclamò eccitato il soldato.

«Piantala» lo richiamò Xenya, senza però riuscire a nascondere il sorriso divertito. «E da cosa dovrei salvarli, poi?»

«Dalla guerra! Tu stessa l'hai detto: è un segno! Hai anche salvato la vita di quella...»

«Smettila

«E quindi, ora che anche io so queste poche cose top secret...» cambiò discorso, dopo poco.

«Sì, faranno fuori anche te.» Gli strizzò l'occhio, divertita. Anche il ragazzo rise, ben sapendo che quello era l'inizio di un qualcosa molto più grande e ora ci era dentro fino al collo.

Come un'amicizia.

Il silenzio calò tra i due mentre realizzavano che adesso possedevano davvero un legame che con difficoltà si sarebbe sciolto con una litigata: erano legati dai segreti e se fosse un bene o un male nessuno lo sapeva.

Xenya sorrise e abbracciò forte l'amico. Sentiva il bisogno di farlo, per dimostrargli anche in termini fisici l'affetto e la gratitudine che provava nei suoi confronti e la situazione si alleggerì non appena egli ricambiò il gesto.

«Grazie di aver condiviso con me i tuoi problemi» sussurrò la ragazza, impacciata.

«Grazie a te, penso.» Yekson sorrise da sopra la spalla seminuda della soldatessa. «Perlomeno adesso sono consapevole di quello che mi si prospetta, più o meno.»

«Non dovrai dirlo a nessuno» gli raccomandò Xenya.

«Un uomo morto non parla.»

«Smettila di fare il pessimista.»

«Ci potrei provare.»

L'abbraccio rimase silenzioso per alcuni istanti fino a quando lo schermo sul comodino non si illuminò di colpo emettendo un rumore assordante e facendo quindi apparire il viso di Madeline.

I due si staccarono di colpo, spaventati.

«Xenya!» esclamò la Direttrice, bloccandosi subito dopo. «Sto interrompendo qualcosa?» chiese.

«No» rispose Yekson, alzandosi in piedi. «Guardi, ha appena finito di raccontarmi tutto.» Sorrise allo schermo, inserendo le mani nelle tasche dei pantaloni bianchi e prendendosi poi un forte schiaffo sulla nuca da parte della soldatessa.

«Cosa?» chiese perplessa la Foxn, silenziando il forte lamento di dolore del ragazzo.

«Tutto» ripeté lui. «T-u-t-t-o» scandì bene ogni lettera.

Xenya lanciò uno sguardo eloquente allo schermo, alzandosi dal materasso su cui era seduta prima.

«Oh» sussurrò Madeline. «Oh, va bene. Ne riparleremo.» Si mordicchiò le labbra, trattenendosi una ramanzina che forse non sarebbe finita mai.

«Di cosa hai bisogno?» chiese la ragazza in abito bianco.

«Beh, cara Xenya, ti chiederei di salire in sala da cena per discutere di una cosa in privato.» Lanciò un'occhiataccia a Yekson. «Ci raggiungerà anche David. Riguarda il Consiglio» tagliò corto per non divulgare troppo all'altro presente ma per non illudere la soldatessa che già pensava in risposte chiare e ben definite.

«Arrivo subito.» La giovane annuì. Lo schermo si spense e lei, sorridendo a Yekson, aprì la porta. «Non so, se vuoi stare qui...»

«Oh, no. Certo.» Ridacchiò lui, alzandosi in piedi e uscendo prima della ragazza. «Buona riunione top secret!» esclamò lui dirigendosi verso la sua porta.

«Devi tenere a freno la lingua...» gli intimò.

«Te l'ho detto che un uomo morto non parla!»

«Se continui così, finirai davvero per essere ammazzato.» E, scuotendo la testa, Xenya raggiunse l'ascensore.

La sala dove si svolgevano sia la colazione che la cena, vuota, incuteva una strana sensazione di solitudine a Xenya: quel contrasto tra le pareti e il soffitto finestrato sull'oscurità della tarda sera e il bianco del pavimento e del mobilio, l'essere triangolare e libera dal chiacchiericcio dei vari soldati era davvero desolante.

Al centro di essa, però, spiccava la figura femminile di Madeline Foxn che ancora una volta sfoggiava un tailleur grigio antracite gessato e un austero chignon platino con il tipico ciuffo che ricadeva sul lato sinistro della testa, lo stesso che con estrema perizia la donna continuava a sistemarsi.

«Benvenuta, cara. David non è salito con te?» domandò, non appena la soldatessa le si avvicinò a sufficienza.

«No,» ammise lei «pensavo fosse già qui.»

«Oh!» esclamò Madaline. «Intanto potrei introdurre l'argomento dato che non l'ho potuto fare prima...» Sorrise appena, con una vena di esasperazione nella voce. «Questa sera, prima di cena discuteremo su alcune norme di comportamento che tu e David dovrete adottare in vista di domani pomeriggio.»

«Domani pomeriggio?» chiese Xenya. «Cosa dovrebbe succedere?»

«Quasi dimenticavo! Domani tu e il tuo compagno farete il vostro esordio nel Consiglio di Clock e parlerete del Progetto X dato che ne siete coinvolti appieno. Questa sera discuteremo di alcune norme di comportamento che è necessario adottiate e...»

«Madeline» la interruppe Xenya. «Ma noi non sappiamo nulla...»

«Oh, ecco David!» esclamò la Direttrice senza lasciarle il tempo di esprimere i suoi dubbi. Allungò un braccio in direzione degli ascensori per accogliere il soldato.

Xenya si voltò e trovò davanti a sé una visione quasi mistica: l'albino dagli occhi di ghiaccio tutto spigoli e orgoglio, dentro lo smoking del tutto bianco, sembrava dotato di luce propria. I colori chiari che lo contraddistinguevano e quelli del mobilio candido della sala si facevano risaltare l'un l'altro, donando al giovane una luminosità resa ancora più accecante dall'espressione determinata di lui.

Era ormai impossibile da negare: David era molto affascinante e gli occhi di Xenya lo stavano urlando perché, non appena il soldato poggiò lo sguardo su di lei, sorrise fiero.

«Buonasera» salutò il ragazzo, infilando le mani all'interno delle tasche dei pantaloni.

«Incredibile David, ogni sera il suo fascino mi sorprende» affermò Madeline sorridendo. «Bene, ora che ci siamo tutti direi di sederci per iniziare a discutere.»

I tacchi della donna risuonavano in modo ritmico nelle piastrelle della sala mentre si dirigeva verso il suo tavolo personale: aveva la stessa dimensione degli altri sessanta ma era appena rialzato su una piattaforma posizionata sul vertice della pianta triangolare ed era ricoperto con costanza di pratiche oppure con lo schermo che usava per comunicare agli altri soldati. O, come in quel caso, aveva entrambi.

Con un gesto della mano indicò ai soldati le sedie su cui potevano accomodarsi mentre lei stessa si sedeva di fronte a loro.

«Avevo già accennato a entrambi di cosa ci occuperemo nei prossimi istanti ma tanto per ribadirne l'importanza, ve lo ripeterò.» La Foxn prese un profondo respiro prima di sistemarsi di nuovo il ciuffo platino. «Domani pomeriggio salterete i vostri allenamenti in quanto presenzierete a qualcosa di molto più sfiancante. Debutterete nel mondo della politica come Consiglieri interni al Progetto X. Gli altri vi faranno domande su come vi state ambientando, se voi e i vostri compagni trovate utili le procedure.»

«Direttrice» la chiamò ancora Xenya. «Le ripeto che noi non abbiamo la minima idea di cosa il Progetto X tratti. Non possiamo rispondere!» esclamò esasperata.

«Quello che voleva dire la mia compagna,» intervenne David «è che non ci è stata mai fornita nessuna informazione sulle finalità del Progetto. Senza un minimo di idea generale, la riunione potrebbe risultare infruttuosa.»

La soldatessa si voltò verso il compagno con un'espressione stupita: da quando lui era in grado di formulare una frase più ragionata della sua? Il soldato d'altro canto si girò verso di lei sorridendo, alzò le spalle e tornò a fronteggiare la Direttrice.

«Complimenti.» La Foxn ridacchiò. «Ha già una competenza evidente in questo campo. Dev'essere il DNA.»

«Come?»

«Nulla, proseguiamo. Xenya, abbiamo capito che meno parlerà, meglio sarà: ha ragione, ma purtroppo nessuno sa nulla sul Progetto X al di fuori forse del Signor S stesso. Quindi dovrete solo cercare di girare la faccenda a vostro favore. Dovrete parlare, molto anche, ma non per forza rispondere alla domanda che vi verrà posta.»

«Quindi come?» chiese la soldatessa.

«Esaltando ogni cosa, seppur minima, che avete fatto finora. Il rapporto con gli altri, gli allenamenti, le nuove tecnologie: tutto. Il Consigliere Capo ha fatto spendere molte risorse per questo Progetto e i Consiglieri vorranno saggiare quanto questi investimenti siano davvero fruttuosi. Siete il vessillo di questa nuova istituzione e in quanto tale avete l'obbligo di darle lustro.»

Xenya deglutì e cacciò dalla mente il pensiero di cosa sarebbe successo loro se non avessero messo a sufficienza in luce il Progetto X.

«Bene» affermò invece David, rigido sulla sedia. «C'è altro?»

«Direi di sì, soprattutto per la nostra signorina» riprese Madeline. «Alla riunione saranno tutti uomini: mai prima di domani sarà entrata una donna nella sala del Consiglio. Xenya, lei sarà la prima e come tale dovrà prepararsi a diverse norme restrittive.»

«Tipo quali? Dovrò guardarli da fuori come un cane?» sbottò lei.

«No, no» la rassicurò la Direttrice, abbassando però il tono di voce intimorita. «Dovrà però tenere gli occhi bassi e parlare solo se interpellata. Mai guardare negli occhi un Consigliere. Nessuno può farlo.»

«Io stessa sono un Consigliere. O sbaglio?»

«Sì ma...» La voce della Foxn si affievolì ancora di più.

«Il fatto che sia donna per caso mi rende meno Consigliere degli altri Consiglieri? Siederò a un altro tavolo? Se non sbaglio dovrebbe essere triangolare in quanto tutti sono allo stesso livello in quella sala.»

«Sei una donna Xenya, rassegnati» sbuffò David, intervenendo a favore della Direttrice. «Non è colpa tua, ne siamo consapevoli. Ma essendo tu la prima a entrare in quella sala, come tale è importante che eviti di fare disastri anche se solo per permettere ad altre di entrarci.»

La soldatessa strinse la mascella e spostò lo sguardo a lato: le finestre ora davano su un panorama buio nel quale si distinguevano solo le luci delle case degli abitanti del Settore Uno, flebili all'orizzonte.

«C'è altro?» chiese la ragazza, dopo aver preso un profondo respiro.

«No...» sussurrò Madeline. «Tra poco giungeranno gli altri. Domani nel primo pomeriggio arriveranno dei soldati a scortarvi dalla palestra al Palazzo della Pace per prepararvi e in seguito a Palazzo della Forza.»

«Grazie.» David sorrise.

La soldatessa invece si alzò e si diresse all'ascensore: le era passato l'appetito. Venne però presa per il polso dal compagno di Settore.

«Xenya...» la chiamò.

Lei fermò il suo avanzare e si voltò verso di lui.

«Dimmi» cercò di sembrare il più calma possibile, ma era più forte di lei: le ci voleva del tempo per calmare la rabbia.

«So che sei arrabbiata e hai tutti i motivi per esserlo, però pensa al futuro. Un sacrificio tuo potrebbe permettere ad altre donne di godere del vantaggio per il quale tu hai faticato tanto.»

«Hai ragione» affermò dopo aver soppesato le parole di lui.

«E inoltre volevo chiederti una cosa.» In quel momento lasciò il polso della soldatessa. «Domani incontreremo il Signor S e mi stavo chiedendo se sia davvero la scelta giusta chiedere a lui di indagare sul mio passato... Ho una strana sensazione.»

«Anche io ce l'ho» ammise Xenya. «Ma se è la verità quella che cerchi, penso lui sia l'unico a potertela consegnare.»

Lui annuì e con un sorriso congedò la giovane che arrabbiata, anche se in maniera ormai ridotta, scese nella sua camera a pensare alla propria giornata. Era giunto il momento della svolta: se le cose dovevano volgere al disastro, quello era l'istante ideale.

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