16

Terminata la consegna delle armi per ognuno dei centottanta soldati selezionati del Progetto X, gli istruttori diedero inizio alla prova delle stesse, e l'intera palestra sembrò dimenticarsi di Cazik che veniva trascinato urlante e ammanettato nell'ascensore.

Per Xenya, la prima occasione di testare la sua abilità con la sua akimbo fu durante il malefico percorso mutevole EPPI. La notizia aveva reso piuttosto contenta la soldatessa che, quasi saltellando, si era diretta verso il soppalco affiancata dal proprio impassibile allenatore.

Avrebbe avuto la possibilità di sfogare il pesante rancore che ancora provava nei confronti dei codardi che l'avevano attaccata la mattina. Ma soprattutto avrebbe potuto farlo senza danneggiare nulla, cosa che si rivelava un bene dato che, se la soldatessa perdeva le staffe, di solito le perdeva anche il Capitano del Cinquantatré per sgridarla.

«Non ho intenzione di andarci troppo pesante: farò in modo che ti concentri su poche sagome» la rassicurò Bill mentre salivano le scale in vetro verso il soppalco. «Il tuo obiettivo iniziale è riuscire a muoverti con agilità tenendo conto di questa tua nuova parte del corpo. Queste pistole» le indicò con fare quasi accusatorio, tenendo però gli occhi fissi sulla giovane «sono la tua vita. Sempre. Non puoi permetterti di perderle, rovinarle o altro.»

Xenya, un po' intimorita dal discorso del suo istruttore, si limitò ad annuire mentre dentro di sé confluivano diverse emozioni e ricordi.

Sfilò in comporanea dalle due fondine in pelle entrambe le pistole mentre entrava ancora una volta nella grande sala dove si svolgevano i percorsi. Non appena posò i piedi sul materiale duro e freddo, le riaffiorò alla mente il momento in cui le fu consegnata la sua prima e unica arma che l'aveva fatta sopravvivere sino all'inizio del Progetto X.

Questa calibro quaranta era appartenuta a un altro uomo, come tutte le armi dell'Ordine le aveva detto il Capitano. Un uomo non abbastanza sveglio da non farsi ammazzare da un troll. Cerca di fare una fine migliore, ragazzina.

Allora era trascorsa poco più di una settimana dal suo arruolamento e la giovane sedicenne che era Xenya ormai non esisteva più. Ricordava di aver osservato la pistola vecchia e graffiata per una nottata intera chiedendosi se quell'uomo fosse stato compianto; di certo la fine di lei sarebbe stata migliore già solo per il fatto che non avrebbe compromesso la produttività dell'armata del suo Settore, essendo una donna.

Ma lassù nel grande e freddo soppalco, Xenya non era più del tutto sicura che la sua eventuale morte non sarebbe stata pianta da alcuno. Il suo stomaco si strinse ancora una volta al ricordo del momento trascorso con Francis.

La sirena che dava inizio all'allenamento la riscosse. I palmi le sudavano contro il metallo delle pistole lucide, ma cercò di non agitarsi troppo per nulla.

Respira. Sparare non è un dono. Si impara a farlo: i più bravi lo sono solo perché si sono allenati di più.

L'istruttore durante quegli ormai lontani primi giorni di addestramento aveva continuato a ripeterle quelle parole di incoraggiamento che avevano segnato il vero inizio della carriera militare di Xenya. Da quel momento, infatti, aveva iniziato a concentrarsi di più sul proprio respiro rispetto a quello che accadeva intorno, e il resto le risultava naturale. Brutale, sì, ma naturale.

La soldatessa inspirò ed espirò con lentezza, ruotando a bassa velocità sul suo asse alla ricerca di nemici. Dal pavimento, sulla sinistra, sbucò la testa di un manichino e prima ancora che tutto il torso uscisse dal pavimento, Xenya puntò e sparò un colpo al torace di esso.

Il proiettile colpì l'essere sotto la spalla ma non lo trapassò: in compenso parve che l'involucro metallico fosse incluso e rallentato dal corpo che fu in breve riassorbito da EPPI, lasciando però il proiettile di sangue immobile e intatto sul pavimento.

«Incredibile» mormorò ammirata Xenya: non aveva mai visto nulla in grado di fermare un colpo senza rovinarlo.

Per un breve istante fu tentata di avvicinarsi e controllare di persona se il prezioso proiettile era rimasto davvero illeso dallo scontro, ma la sua attenzione venne subito attirata da un blocco cubico che, in velocità, iniziò ad alzarsi da sotto i piedi della ragazza, portandola con sé.

Prima che fosse troppo tardi - e prima di ritrovarsi nella stessa situazione del turno di allenamento EPPI precedente -, saltò giù dalla torre con le pistole strette in entrambe le mani. Atterrata con una capriola per attutire la caduta, l'enorme parallelepipedo era sparito ma al suo posto era apparso un esercito formato da almeno una dozzina di figure antropomorfe, grigie e inespressive.

Xenya strinse la mascella e, voltatasi indietro, iniziò a sparare con l'arma che stringeva nella destra, la sua mano migliore, scordandosi senza volerlo di quella nella sinistra.

La sua nuova pistola era qualcosa di incredibile: non necessitava di essere ricaricata in continuo e la velocità di sparo era quella più veloce e pulita che avesse mai visto. La soldatessa aveva già fatto riassorbire tre esseri quando una voce le rimbombò addosso.

«Hai due pistole, usale!» Era Bill che, dalla sua piccola sala di controllo, si stava godendo lo spettacolo smerciando consigli con le gambe incrociate sopra il tavolo dei comandi.

«Avevi detto che oggi non avrei sparato molto, comunque!» si lamentò la ragazza, iniziando però a smerciare colpi anche con la mano sinistra. Era strano: non riuscendo a concentrarsi su entrambe le armi, la sua precisione ne risentiva davvero molto, ma al contempo era in grado di fare riassorbire molti più nemici in quanto, essendo in gruppo, il danno a zona risultava molto più efficace.

«Non ricordi che io imposto solo la difficoltà e non come viene strutturato il percorso?» All'altoparlante, l'istruttore ridacchiò.

Xenya si concesse una smorfia di disapprovazione e in poco tempo tutte le figure erano state rimosse dalla stanza, lasciando un numero discreto di proiettili di sangue a terra, intatti. Guardandosi attorno, la ragazza si accorse dell'apparizione del blocco dorato che avrebbe segnato la fine del suo percorso. Alquanto strano, era dritto davanti a lei, a livello del terreno.

Stupita, iniziò a correre verso di esso nella speranza di evitare qualche altra scocciatura: si sbagliava. Man mano che avanzava, il terreno sotto i suoi piedi si muoveva in modo scomposto, facendola alzare e abbassare di continuo.

Gli abiti bianchi che le erano stati prestati da Bill erano larghi e di uno strano tessuto che a ogni passo frusciava con un rumore particolare al quale Xenya non era abituata.

«Cosa sta...?» cercò di chiedere, guardandosi intorno mentre tutto il pavimento si stava muovendo, propriocome delle onde. Non fece a tempo a finire la domanda perché, scivolata, cadde di schiena e la pistola destra le sfuggì di mano andando a perdersi tra le onde.

Trattenne un'imprecazione mentre si mise seduta sul pavimento ondulato. 'Bill mi ucciderà...'

D'un tratto tre figure antropomorfe la circondarono. Sparò con l'arma della sinistra a una di queste mentre il corpo posizionato di fronte allungava un braccio metallico verso di lei. Xenya calciò l'arto e sparò al torace della seconda figura.

La terza, contro ogni aspettativa della soldatessa, si stava allontanando da lei, senza però riassorbirsi nel terreno come era accaduto per le altre due. Dubbiosa, si alzò in piedi e iniziò a scavalcare le onde che il pavimento formava per rincorrere la figura che si spostava in velocità, senza seguire uno schema logico.

«Stiamo scherzando?!» esclamò esasperata, passando la pistola rimasta sulla mano destra.

Dopo qualche istante si accorse che rincorrere l'essere era una corsa inutile: EPPI sapeva sempre dove Xenya fosse e anche dove si sarebbe diretta, pronto per indirizzare il nemico altrove, dove non sarebbe stato raggiungibile con facilità. Quindi lei si fermò, guardando il manichino metallico spostarsi e prese la mira. Chiuse un occhio, inspirò e aspettò.

Appena l'essere entrò nel campo visivo, sparò. Il proiettile lo colpì alla tempia e in battito di ciglia anche l'ultimo nemico era stato assorbito nel pavimento.

Xenya, senza perdere altro tempo, riprese a correre verso il blocco e, superata con dei salti qualche onda recidiva, lo raggiunse. Una seconda sirena diede fine all'allenamento e la soldatessa recuperò il proprio respiro assieme alla pistola destra che le era scivolata a diversi metri di distanza. Reinseriti i proiettili sparsi per l'intero soppalco, mise la sicura e inserì le armi nelle fondine degli stivali mentre Bill entrava nella sala EPPI.

«Non male,» esordì «ma nemmeno troppo bene. Il tuo scopo era destreggiarti con le tue nuove amiche e una di loro ti è sfuggita in maniera da vera pivellina. Ti avevo detto che non avresti dovuto mai perderla. Mai» sottolineò.

Xenya abbassò lo sguardo sul suo corpo minuto infagottato in ridicoli vestiti enormi: dopotutto una ramanzina se l'aspettava. Di sicuro non era stata la sua miglior performance e tutto l'entusiasmo che aveva prima dell'inizio dell'allenamento era scemato a causa di una sola caduta.

«Mi dispiace» si limitò a dire.

«Non dispiacerti!» Bill invece ridacchiò contro ogni aspettativa. «Hai comunque dimostrato un'ottima adattabilità alle situazioni. Non è stato un disastro, chiaro?»

Rialzato lo sguardo, la ragazza annuì appena, meno rattristata.

«Solo che faccio fatica ad abituarmi al fatto di dover sostituire entrambe le mie mani con due armi.»

«Si potrebbe arrivare a un compromesso, almeno per il momento» ragionò l'istruttore. Frugandosi in tasca, allungò alla soldatessa due lacci blu cobalto. «Legali ai calci delle pistole. Potrai tenerli attorno ai polsi per abituarti.»

Xenya li prese tra le dita e li osservò: erano stati ricavati da un tessuto molto liscio e lucido. Sfilò la pistola destra dallo stivale e notò come, su un angolo dell'impugnatura, ci fosse un'asola metallica. Infilò il laccio in essa e annodò saldamente i due capi.

«Meglio?» le chiese Bill mentre lei provava il filo attorno ai polsi.

«Molto.» Lei sorrise e, seguendo il cenno di capo dell'istruttore, uscì da EPPI e scese le scale per tornare in palestra, dove gli altri soldati stavano sistemando le armi, pronti per tornare a Palazzo della Pace per la cena.

Anche Xenya andò agli armadietti e trovato il suo, inserì l'akimbo potenziata con lacci e lo chiuse.

«Difficile allenarsi nel soppalco?» David, spuntato all'improvviso, la fece sobbalzare un poco.

«Sì, abbastanza.» Ridacchiò. «Tu, piuttosto? Stai bene?»

«Direi di sì. Ho ancora dubbi e domande non risposte, ma ci lavorerò sopra.»

«Non dirlo a me...» si lasciò sfuggire la soldatessa, pentendosene subito dopo. «In ogni caso, confido che i tuoi problemi si risolvano presto.» Sviò ogni qualsiasi domanda sui suoi dubbi.

«Già» si limitò lui a dire, alzando le spalle e avviandosi verso l'ascensore con la solita e irritante camminata altezzosa che lo contraddistingueva.

Spostandosi in fretta, David lasciò la visuale libera a Xenya per poter notare che Francis, appoggiato agli armadietti, aveva osservato la scena. Non che ci fosse molto da vedere, in ogni caso. La soldatessa strinse gli occhi e gli si avvicinò minacciosa.

«È inquietante il fatto che tu continui a osservarmi. Smettila» sibilò monocorde, e si diresse verso le porte dell'ascensore, zoppicando in modo impercettibile a causa dell'effetto che andava scemando della compressa antidolorifica.

«Preferiresti che non lo facessi?» chiese lui, ad alta voce per farsi udire.

La ragazza si fermò e si voltò verso di lui. Inutile negarlo: le piaceva in una maniera che non sapeva descrivere.

«Non l'hai fatto come avresti dovuto» affermò lei, indicandosi la guancia dove troneggiava ancora il cerotto.

Durante l'allenamento Xenya era stata in grado di dimenticare l'accaduto della mattina, concentrando il suo rancore in qualcosa di più costruttivo. Ma ora che le si era presentata l'opportunità, avrebbe sfruttato il triste avvenimento a suo favore per fare sentire in colpa Francis. Dopo il bacio non si era più fatto vivo e non adempiendo al suo dovere di protettore... Sì, farlo sentire impotente come si era sentita lei il giorno prima la compiaceva a dismisura.

Lui abbassò lo sguardo e nonostante una parte di Xenya avesse voluto corrergli incontro per abbracciarlo e confortarlo, si costrinse a voltarsi verso l'ascensore per vedere poi una decina di soldati sbalorditi. E l'espressione della ragazza non fu da meno.

Il Signor S era entrato nella palestra e, a braccia conserte, scrutava l'ambiente come se si trovasse davanti a molti animali esotici. Forse era proprio ciò che vedeva nei centottanta selezionati.

Francis si affiancò alla soldatessa con una velocità tale che fece scontrare la propria mano con quella di lei. Ma Xenya era troppo impegnata a domare le proprie paure per pensare all'effetto di quel minimo contatto.

Madeline si posizionò accanto al lato sinistro del Capo del Consiglio e il suo solito sorriso forzato risultava addirittura più falso del consueto.

«Non portano buone notizie» notò Francis.

«Mi sembra tristemente evidente...» Xenya sospirò, affrettandosi a raggiungere il capannello di ragazzi che circondava i due adulti. «Magari non sarà contento di vedermi ancora respirante.»

L'anziano prima di tutto sembrò scandagliare il gruppo alla chiara ricerca di Xenya e, non appena essersene assicurato, camuffò quel momento di silenzio con un colpo di tosse.

La soldatessa represse la forte voglia di chiedergli se era soddisfatto del lavoro fatto dai suoi scagnozzi, e forse - data l'espressione tronfia che aveva in viso - la risposta era sì.

«Vi do il benvenuto alla vostra prova a sorpresa» iniziò S, il viso tirato e lo sguardo arcigno che troneggiava su chiunque altro.

Madeline sbatté le palpebre tre volte in breve tempo e quasi in risposta, Francis si irrigidì addosso alla soldatessa che si chiese se fosse una sorta di linguaggio segreto. Di certo non prometteva bene.

«Per capire il vostro valore, è stato preparato un breve esame.» La Direttrice, attraverso un tono di voce freddo, cercava di nascondere il contrasto interiore che la attanagliava ma sia Xenya che Francis se ne accorsero. «Avete giurato lealtà all'Ordine a parole e ora è giunto il momento di dimostrarlo con i fatti!»

Il Capo del Consiglio strinse gli occhi in due fessure rivelando delle rughe molto profonde che contrastavano molto con il resto del viso all'apparenza liscio e ringiovanito.

«Per ognuno di voi è stato trovato un mutante e sarà compito vostro uccidere quello che vi è stato assegnato.» La donna deglutì, lo sguardo risoluto. «Chi tra voi non obbedirà alla direttiva, verrà imprigionato per tradimento e lo stesso accadrà alla famiglia del malcapitato.»

«O malcapitata» specificò S, fulminando Xenya con uno sguardo. La ragazza mandò giù il groppo che le si era formato in gola, sudore freddo le colava sulla schiena. Tremò in modo impercettibile contro il braccio di Francis.

«Ora,» riprese il controllo Madeline, raddrizzandosi sulle spalle «riprendete le vostre rispettive armi. Ci ritroveremo tra poco nella piazza di cemento dove ci siamo incontrati il primo giorno.»

E senza alcuna parola in aggiunta, Strength e la Foxn voltarono le spalle ai selezionati ed entrarono insieme con una sorprendente coordinazione nell'ascensore.

Xenya si voltò inespressiva verso la zona degli armadietti, pronta a dimostrare il suo valore cosicché non potesse dare alcun appiglio a S per condannarla.

Anche gli istruttori avevano assistito alla spiegazione, ed era chiaro che non ne sapessero nulla. Bill sciolse in fretta le proprie braccia incrociate alla vista della propria assistita il cui viso era solcato da un'espressione fredda e calcolatrice in volto: ne era spaventato. Certo, quei ragazzi erano stati addestrati per essere così... Ma non lei. Xenya non poteva.

Il parcheggio dove i selezionati erano stati accolti il primo giorno, sgombro dai mezzi fluttuanti, sembrava ancora più vasto della prima volta.

Era un'immensa distesa di cemento nero e caldo, interamente vuota, fatta eccezione per tre righe di persone distanziate tra loro da un paio di metri e un perimetro composto da soli soldati armati.

Le persone erano sessanta per fila, incatenate, inginocchiate e con la testa bassa. Il Capo del Consiglio non scherzava: una vasta selezione di centottanta mutanti era stata trasportata sino alla sede del governo di Clock e i selezionati avevano il compito di stroncare le vite racchiuse. L'assortimento era sorprendente: vampiri, troll, gnomi, stregoni... Ne avevano recuperati davvero tanti per ogni categoria.

Madeline e S stavano in piedi, fianco a fianco, sulla strada poco prima dell'inizio della piazza, parlando con un basso tono di voce che si interruppe non appena i soldati li raggiunsero.

«Settore Uno, Hon Weelf» chiamò la Foxn, leggendo da una cartelletta. Un giovane si fece spazio a spallate tra la folla e raggiunse i due adulti tenendo stretto tra le mani un nunchaku dalle estremità appuntite. Un soldato di scorta che faceva parte del perimetro fisico della piazza si scostò dai compagni e accompagnò Hon dalla sua vittima.

I nomi si susseguivano e lo stesso soldato portava selezionati dopo selezionati alla loro meta sino a quando non venne il turno di Xenya.

La giovane non ebbe nemmeno il tempo di notare chi era stato consegnato a Francis perché troppo occupata a chiedersi chi avrebbero assegnato a lei. Ai più fortunati erano capitati i troll: meno umani, la loro uccisione avrebbe portato come conseguenza meno sensi di colpa per l'assassino. Incrociò le dita perché ai tre giovani del Sessanta venisse assegnato uno di loro.

Ma a lei? Che creatura quasi del tutto umana le avrebbero consegnato? Che vita preziosa avrebbe dovuto stroncare? Forse un avversario politico di S tramutato in vampiro dalla divisione scientifica, tanto per avere una scusa per farlo fuori.

Il sole era già calato sui tre edifici del Settore Uno mentre il soldato, con passo meccanico, scortava Xenya sino a una figura più minuta delle altre, seppur più slanciata: una giovane donna dai capelli corvini spettinati e incrostati di sangue che le coprivano anche il viso.

Alza il viso, avrebbe voluto ordinarle, mostrami cos'hai di sbagliato per essere qui.

Le spalle della giovane vittima si muovevano con lentezza a ritmo con il suo respiro.

Xenya aveva già ucciso numerose volte per salvaguardare il suo Settore, ovvero l'unica famiglia che avesse mai avuto, se così si poteva definire. Ma uccidere altri esseri, per solo ordine di S, le faceva tremare le mani che reggevano le pistole.

In lontananza qualche mutante urlava: erano quasi di certo vampiri ai quali anche la minima luminosità che portava quello splendido tramonto faceva bruciare la cute. L'imbrunire di quella giornata era variopinto e maestoso: la soldatessa si chiese se lei, al posto della sua misteriosa vittima, avrebbe preferito essere uccisa in una giornata più cupa o meno.

E la ragazza che stava davanti a lei? Se aveva una famiglia, avrebbe preferito che l'assistessero? Magari preferiva l'alba come momento, o un luogo più maestoso. Forse praticava una religione - come spesso capitava ai mutanti - e avrebbe desiderato qualche pratica...

Le ipotesi che frullavano nella mente della soldatessa riguardanti il soggetto che le era stato assegnato vennero però arrestate qualche istante dopo.

«Mutanti, in piedi!» urlò S, la voce amplificata da uno strumento rigido che si era in precedenza allacciato attorno al rugoso collo.

I soggetti più remissivi, già rassegnati al loro imminente destino, si alzarono mantenendo però la testa china. Quasi tutti i soggetti eseguirono gli ordini esclusi però i troll che, non essendo nemmeno in grado di comprendere la lingua, furono aiutati da alcuni soldati.

Nemmeno la ragazza di fronte a Xenya si mosse; il ché suscitò un'immediata reazione da parte del piccolo esercito che circondava la piazza. Un giovane uomo si avvicinò a passo sicuro verso la figura china e, tirandola per un braccio, alzò di peso il corpo che, nonostante la stazza, oppose una certa resistenza. Una volta costretta in posizione eretta, la ragazza strattonò il proprio arto per liberarlo dalla stretta del militare, con un gesto fulmineo e irritato. La foga del movimento le scostò i capelli scuri dal viso rivelando dei lineamenti duri e irrigiditi ancora di più dallo sguardo di disprezzo che rivolse al soldato. Sputò poi a terra, facendo uscire dalla propria bocca un grumo di saliva e sangue che mancò di poco lo stivale del giovane uomo.

Xenya sorrise amara: aveva carattere, quella giovane donna. Solo un mutante pazzo avrebbe cercato di irritare una guardia di Clock, voleva forse cercare di velocizzare la propria esecuzione? La soldatessa soppesò un istante di troppo il pensiero, ritrovandosi quindi a comprendere e condividere l'idea della sconosciuta che presto avrebbe dovuto uccidere.

«Ebbene, soldati!» La voce amplificata di S risultava più irritante e spaventosa del consueto alle orecchie della giovane. «Davanti a voi avete la rovina dell'intero pianeta. L'Oligarca della Salute pensava esistesse una cura ma, come potrete verificare voi stessi, per questi abomini non c'è rimedio e non c'è pace se non nella morte. Se sono in grado di capirvi, avvicinatevi e chiedete loro nome, età, provenienza. Chiedete loro il peccato di cui si sono macchiati solo nascendo, se mai vi risponderanno. Poi guardateli negli occhi e sparate: non avete molto tempo.»

Xenya strinse tra il palmo e le dita il calcio della pistola destra e deglutì: quella ragazza non poteva avere più di due anni in più rispetto a lei. Teneva ancora lo sguardo basso e la postura fiera, cosa che incuriosì la soldatessa. Lei stessa si raddrizzò sulle spalle e inspirò a pieni polmoni. Le tornarono alla mente le parole scritte da nonno Herald, arrivate sino a lei solo per farle capire che la sua famiglia - compresa lei stessa - non era il male, ma dipinta come tale. E se voleva sopravvivere al Progetto X, se davvero era importante come Madeline diceva, se era intenzionata a scoprire la verità sul proprio retaggio, ebbene, doveva eseguire gli ordini che le erano appena stati impartiti per poi uccidere quella ragazza.

Le si avvicinò non troppo in fretta e osservò i lineamenti aggraziati ma appuntiti, rovinati da ematomi scuri, graffi e chiazze di sangue scuro.

«Come ti chiami?» chiese alla mutante, a bassa voce.

«Zenith» rispose lei, la voce melodiosa seppur impastata. Non alzò lo sguardo.

«Quanti anni hai, Zenith?» domandò ancora la soldatessa.

«Da dove vengo io, la vecchiaia non si misura in anni. Ogni stagione passata è un segno sulla pelle, e io ne ho settantacinque» sussurrò.

La soldatessa sorrise: anche se Zenith non poteva vederla, apprezzava e rispettava molto le tradizioni diverse che costellavano l'Ordine di Clock. Svolgendo qualche calcolo, risultava che la giovane aveva quasi diciannove anni.

«E da dove vieni?» le chiese ancora.

«Dal Deserto Centrale, Xenya. Pensavo te l'avessero spiegato.» Un lieve sorriso divertito le fece capolino sulle labbra.

«Cosa? Come conosci il mio nome?» chiese stupita la soldatessa. Un brivido le corse lungo la schiena: presa dalla foga, reinserì la pistola sinistra nella rispettiva fondina reggendo solo la destra, tremante.

«Oh, da dove vengo io tutti lo conoscono.»

Un impercettibile riso lasciò le sottili labbra arrossate dal sangue di Zenith, lasciando a bocca aperta Xenya. Come era possibile che nel Deserto Centrale alcune persone conoscessero il suo nome?

Ma non poteva chiederle altro. Doveva limitarsi a eseguire gli ordini.

«Quale...» Le parole le si spensero in gola. «Qual è il...»

«Il mio peccato?» Zenith ridacchiò sarcastica. «In realtà, nessuno: aver comprato in modo legale del cibo in un mercato intersettore per la mia gente, ma una guardia ha visto i miei orecchini e mi ha trasportata qui.»

La ragazza alzò gli occhi per la prima volta, scontrando lo sguardo contro quello attento di Xenya e rivelando due iridi viola intenso.

«Cosa...»

«Mi hanno accusata di stregoneria per il colore dei miei occhi, ma ogni tanto succede da quando anche il colore degli alberi è cambiato» affermò. «Il problema è che dovevano trovare una scusa per giustiziarmi. Tu più di tutti dovresti sapere cosa sono in realtà e perché tengono tanto a vedermi morta.»

Zenith ruotò di poco il capo, rivelando una dozzina di tagli sanguinanti che avevano del tutto colorato di rosso il padiglione auricolare della malcapitata: le avevano strappato tutti gli orecchini che possedeva. E solo una categoria specifica di persone li indossava, una categoria piuttosto scomoda per S.

«Sei un'elfa» affermò Xenya, realizzando il perché le avessero estirpato in modo così cruento il suo simbolo di riconoscimento.

«Esatto» sorrise. Ne era fiera, nonostante tutto ciò che le avevano fatto e ciò che la soldatessa avrebbe dovuto fare, era orgogliosa del posto da dove proveniva.

«E che compito avevi tra il tuo popolo?» ignorando le loro usanze e persino ciò che aveva preteso S, la giovane non poté trattenersi.

Le iridi violacee della ragazza si illuminarono.

«Siamo tutti dei tuttofare e sappiamo difenderci, ma io sono specializzata nella scienza. Non che il mio intelletto sia molto servito, comunque.» Alzò un angolo della bocca, divertita dalla sua stessa battuta.

Xenya si mordicchiò il labbro inferiore: non comprendeva l'interezza di ciò che intendeva Zenith, ma era certa che potesse combattere e sopravvivere in ambienti difficili... L'unico suo problema era l'essere bloccata nella piazza centrale.

«Mi dispiace...» La soldatessa espirò, poggiando l'indice destro sul grilletto della propria arma.

«Fai quel che devi. Piacere di averti vista, Xenya. Piacere di sapere che la mia morte servirà uno scopo maggiore.» Riappacificata, Zenith chiuse gli occhi.

E Xenya, presa la mira, sparò.

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