12

Xenya era in chiaro anticipo: non le era mai piaciuta l'idea di essere attesa, ma quel giorno forse stava esagerando dal lato opposto. Appena tornata dagli allenamenti e giunta in camera sua, si era lavata e aveva subito indossato l'abito bianco per la cena. In quel momento era seduta sul letto e si stava rimirando, spazzolandosi i capelli ancora un po' umidi mentre ripensava con un senso di strana soddisfazione alla giornata appena trascorsa.

Quasi non riconosceva la sua stessa figura allo specchio: la chioma era più scura del normale e le occhiaie meno evidenti dopo una doccia rigenerante. Il profumo inebriava tutto l'intorno e una sensazione di pace la impregnava ma, proprio nell'istante in cui stava chiudendo gli occhi per godersi il silenzio, qualcuno bussò con insistenza alla porta per diverse volte. La giovane spalancò le palpebre e le sbatté qualche volta per riaversi dalla catarsi.

«Arrivo!» esclamò un po' esasperata, poggiando la spazzola sul copriletto e raggiungendo la porta a piedi scalzi. Quando la aprì, fu sorpresa di trovare David, ancora più pallido del solito, sulla soglia che si dondolava sui piedi, fissandoseli.

«Non sapevo dove altro andare...» iniziò, alzando poi gli occhi dalla forma allungata sul viso di Xenya. Le iridi, così azzurre, erano velate da quelle che parevano lacrime. Gli abiti del ragazzo erano ancora quelli dell'allenamento: stropicciati e molto usati.

Preoccupata, non avendolo mai visto in quelle condizioni, la soldatessa si spostò da parte e lasciò entrare il compagno. Lui si sedette sul bordo del letto e prese la spazzola che lei aveva usato sino a un momento prima, rigirandosela tra le dita quasi per placare un bisogno isterico.

«David...» sussurrò lei, cercando di svegliarlo dallo stato di trance in cui era finito, in chiara apprensione per quel ragazzo che non conosceva ma a cui era legata senza volerlo.

«Non sarei dovuto venire. Scusa» disse lui, poggiando di nuovo la spazzola sul letto. Fece per alzarsi ma Xenya, in piedi davanti a lui, lo prese per le spalle e fissò gli occhi nei suoi.

«Adesso ti siedi e mi parli» ordinò in un tono autoritario che però non aveva intenzione di usare. «Si vede che ne hai bisogno, tutto qui» si affrettò ad aggiungere per addolcire la situazione.

L'alto si ributtò di peso sul materasso, con tanta foga che per poco la ragazza non gli cadde addosso. Con incredibile equilibrio lei si sorresse e andò a sedersi accanto a lui.

Le cosce dei due si toccavano mettendo in contrasto il colore etereo dell'abito di lei e i pantaloni oscuri di lui. Un po' come due opposti che si completavano senza nemmeno accorgersene.

«Oggi i medici ci hanno chiamati uno a uno...» sussurrò David dopo un profondo respiro. «Ricordi?» chiese poi, alzando lo sguardo verso la sua sinistra sino a incrociare gli occhi di lei.

«Certo.» Annuì convinta, incitandolo a continuare. Lui prese a intrecciarsi le dita, nervoso, abbassando la testa di nuovo.

«Tu sei andata dentro per prima, seguita da Yekson, quindi nessuno di voi può avere sentito cosa mi hanno detto i dottori.»

L'ansia lo stava tormentando in modo incredibile, cosa poteva essere successo di così grave da potere distruggere tutta la barriera di arroganza che circondava quel ragazzo? Sembrava attanagliato da una forza invisibile e infallibile.

«E cosa ti avrebbero detto?» chiese Xenya. Le sembrava strano che a qualcuno fosse andata peggio rispetto ai ragazzini del Sessanta.

«Che sono albino.» Sputò quella verità quasi scottasse. Una lacrima cadde dai suoi occhi e andò a impattare con le sue mani intrecciate.

Quello spiegava il perché dei colori freddi che gli ricoprivano il corpo: la pelle perlacea, i capelli così biondi da sembrare bianchi e le iridi azzurre. Ma...

«Qual è il problema?» chiese la ragazza, non capendo. Non le sembrava ci fosse nulla di terribile nell'essere albini.

«Non è...» Tirò su con il naso mentre altre lacrime trattenute caddero sulle sue ginocchia. «Non è il fatto di essere albino. È il fatto che non posso esserlo.»

Xenya capì ancora meno di prima. Se un test medico affidabile come quello effettuato dai medici del Progetto X aveva descritto questa particolarità, di certo era albino. Non era una malattia e non era impossibile esserlo.

«Ancora non capisci, vero?» David ridacchiò amaro tra le lacrime. «Mi hanno chiesto quale dei miei genitori, se non entrambi, avesse pelle molto chiara o occhi come i miei tanto per capire quante possibilità ci sono che trasmetta ancora nel futuro questi geni. Ebbene...»

«...Nessuno dei tuoi genitori ha queste particolarità. Nessuno dei tuoi parenti ce le ha.» Xenya completò la frase, iniziando a comprendere.

«E quando io ho risposto la stessa cosa che hai appena detto tu,» riprese lui, alzando il viso rigato di lacrime verso la compagna «hanno detto che non era possibile. Mi hanno chiesto se sono stato adottato. Capisci?!»

La giovane fu presa da un attacco di panico. Sciolse con delicatezza le dita che David aveva intrecciato e prese tra le sue una mano di lui. Lei conosceva bene i signori Strange: due persone deliziose e deliziosamente ricche. La famiglia più ricca del Cinquantatré dopo quella del Consigliere. Entrambi con i capelli scuri, la madre aveva gli occhi nocciola e il padre addirittura neri, a mandorla. Le signore del Settore dicevano che David avesse ereditato da lui la forma particolare. E invece sembrava che non avesse ereditato niente da nessuno.

«Te ne hanno mai parlato? Nemmeno fatto accenni?» chiese Xenya nel modo più paccato possibile, non sapendo come fosse possibile scoprire la verità mentre si trovavano così distanti dal Cinquantatré.

«No... No!» esclamò, scuotendo la testa ma senza eliminare il contatto che aveva con Xenya. «Io... Non so cosa pensare, non sapevo da chi altro andare. So che tu sei sempre stata senza genitori...»

Le mani di lei si strinsero in modo istintivo attorno a quelle di lui.

«Scusa, non volevo insinuare...»

«Fa niente, tranquillo.» Sorrise lei, addolcendo la presa. «Non so come potresti scoprire la verità... Ma di certo la teoria dei medici ha dei punti a suo favore, non puoi negarlo» lui annuì triste. «Vi hanno dato la possibilità di interagire in qualche modo con i vostri genitori da qui?»

«No, in realtà. Ho sentito dire che ogni tanto faranno un aggiornamento generale sul proseguo del Progetto durante i notiziari...» affermò David. «Solo che io non posso vivere nella menzogna, capisci?»

Ovvio che capisco! avrebbe voluto urlare Xenya, ma si limitò ad annuire appena.

«Immagino» disse. «L'unica cosa che puoi fare è cercare di vivere la tua vita in modo normale, al meglio, senza rimuginarci troppo sopra. Non meriti di rattristarti per queste supposizioni. Convinciti di quello che ritieni meglio per te e non farti trascinare dalle emozioni. Il passato è quello che è e non lo puoi cambiare, cambia piuttosto te stesso e la prospettiva con cui vedi il mondo.»

La ragazza si scoprì a dare al compagno i consigli che le sarebbe piaciuto ricevere da chiunque. Invece era stata lei stessa a darseli senza essersene resa conto; avrebbe dovuto seguire anche lei quelle linee guida.

«Grazie Xenya.» David sorrise, stringendo appena una mano di lei nella sua. La soldatessa non aveva mai notato prima quanto i palmi di lui fossero grandi rispetto ai propri.

«Sfruttando il tuo ruolo come Consigliere potresti anche chiedere al Signor S un favore: cercare negli archivi dei censimenti chi altro - dell'età adatta per essere un tuo genitore - ti assomigli oppure sia albino.»

«Hai ragione...» Gli occhi del ragazzo si illuminarono di nuovo di orgoglio e così Xenya seppe di aver fatto un buon lavoro.

«Ora però puoi limitarti ad andare a farti una doccia e prepararti per la cena!» scherzò lei, facendogli l'occhiolino. David si mise a ridere e lasciò le mani della compagna, alzandosi dal materasso.

Anche la ragazza, ancora a piedi scalzi, si destò e accompagnò l'altro soldato alla porta.

«Grazie Xenya...» disse lui di nuovo.

Si chinò e lasciò un lieve bacio sullo zigomo sinistro di lei prima di voltarsi. La ragazza arrossì un poco e fece per chiudere la porta ma David si girò di nuovo e le fece una domanda che lei non si aspettava affatto di ricevere, tantomeno da lui.

«Ti chiedi mai cos'è successo ai tuoi genitori?» chiese, guardandola.

«Di continuo» ammise lei, sorridendo. Lui ricambiò in silenzio e si infilò nella sua stanza.

Xenya si chiuse la porta alle spalle e si buttò sul letto, ancora più sfinita di prima. Fosse stato per lei, sarebbe andata a farsi di nuovo una doccia ma il tempo stringeva: in poco tempo la cena sarebbe stata servita.

Infilatasi le scarpe, aprì ancora l'uscio e si diresse all'ascensore.

Giunta all'ultimo piano, Xenya si accorse di essere in anticipo quando notò di essere l'unica nel salone. L'unica al di fuori di Madeline.

Quasi inciampando nella gonna lunga del vestito, iniziò a correre verso il tavolo dove sedeva la donna. Stava leggendo alcuni fogli con aria concentrata e quindi non si accorse dell'arrivo della ragazza.

«Xenya.» Sorrise, salutandola con un cenno del capo. «Com'è andato il primo giorno di allenamenti?»

«È stato duro ma divertente.» Sorrise cortese, guardandola leggere con attenzione dei documenti che parevano piuttosto importanti.

«Prego, siediti» la invitò la Direttrice, alzando per un attimo lo sguardo dal suo lavoro. La soldatessa obbedì e guardò la donna cercare invano di riordinare le carte che stava studiando che creavano una sorta di seconda tovaglia aggiuntiva sul tavolo.

«Piuttosto sono strani» sussurrò Xenya. «Gli allenamenti, intendo» specificò.

«Immagino sia tutto strano» rispose la Foxn con un tono di voce normale. «Rispetto a quando eri nel tuo Settore è cambiato tutto, speravo l'avessi già capito.»

La soldatessa in realtà non capì: c'era qualcuno che le stava ascoltando? Perché non sta approfittando del momento libero per raccontarle tutta la verità?

«Madeline...» sussurrò Xenya, cercando di assumere un'espressione che lasciasse trapelare il suo bisogno di sapere.

«Cara ragazza...» Sorrise la donna, sempre a voce normale. «Qui è in programma qualcosa, per voi. Non so se solo tu, alcuni o tutti» affermò poi, in un tono quasi inudibile. «E qualsiasi cosa sia, pare sia davvero molto seria; qualcosa i cui dettagli li sa solo S. Non posso rischiare ora, capisci?» sussurrò a denti stretti, senza nemmeno muovere le labbra.

Xenya annuì delusa.

«Se mi scoprono adesso, le conseguenze sarebbero terribili perché rischieresti molto anche tu. Ti chiedo solo di aspettare sino a quando non so di cosa si tratti. Fidati di me, sei più importante di quanto credi, di tutti quanti messi insieme» si lasciò sfuggire in velocità la donna.

La soldatessa era ben consapevole non fosse molto, ma ora era certa che le parole sfuggite persino a Bill erano vere.

'Sono Xenya Cass Thompson, e sono quasi certa di essere destinata a qualcosa.'

Le porte dell'ascensore si aprirono mentre la giovane annuiva un po' più convinta verso Madeline. Un giovane uomo vestito di grigio antracite con giubbotto antiproiettile si diresse verso di loro e, giunto a destinazione, scoccò uno sguardo incerto alla giovane ragazza ma poi fissò gli occhi sull'altra donna seduta.

«Direttrice Foxn,» annunciò l'uomo, che con ogni probabilità era una guardia «ha esaminato i documenti che le sono stati consegnati?» chiese.

«Sto facendo, come può ben vedere.» Fece un gesto eloquente ai fogli sparsi in giro per il tavolo.

«Il Capo Consigliere e il resto dei Consiglieri vorrebbero che si sbrigasse. Capisce, il Signore vorrebbe si svolgesse la Riunione al più presto...»

«Capisco benissimo, Capitano» sibilò Madeline, assottigliando lo sguardo. «Ma il fatto che mi venga messa fretta non significa riuscirò a fare un buon lavoro in tempo inferiore.»

Xenya si sentì a disagio. Di sicuro non sarebbe dovuta essere lì. Le cadde lo sguardo sulla pezza sopra la tasca dell'uomo che citava N. Brook. Sopra l'altra tasca giaceva la stella che indicava il rango di Capitano.

«Il Capo Consigliere aveva previsto lei avrebbe detto questo» sorrise divertito quello che risultava essere il Capitano del Primo Settore. «E in questo caso sono infatti costretto a chiederle di raggiungere il Signore nel suo ufficio.»

«Caro Capitano,» sorrise Madeline, cogliendo il tono di sfida e alzandosi in piedi «può riferire al Capo Consigliere che il mio lavoro verrà terminato il prima possibile e che il fatto che lei venga a disturbarmi mentre lo compio non fa null'altro che rallentarmi.»

«Non direi proprio.» L'uomo raddrizzò le spalle. «Sarei curioso di sapere cosa ne pensa il Signore che lei è qui a conversare amabilmente con la ragazzina del Progetto X nel momento in cui dovrebbe portare a compimento l'analisi dei documenti.»

Xenya impallidì: e adesso? Avrebbero giustiziato anche lei? E la Direttrice?

«E io...» Madeline posò invece le mani sul tavolo, tranquilla, senza fare rumore ma nonostante l'assenza di suono sembrò che con quel gesto pacato avesse fatto impaurire il Capitano più di quanto avrebbe potuto fare urlandogli addosso «...sarei curiosa di sapere cosa direbbe il Capo Consigliere riguardo a un suo irrimediabile errore di giudizio.» La donna sorrise, inclinando con naturalezza il viso. «Sa, stavo appunto parlando della Riunione con la signorina in quanto anche lei Consigliera. Su come si svolge... Pure nozioni su come comportarsi con educazione.»

«Cose che a quanto pare, Capitano Brook, deve essersi perso parecchio tempo addietro» concluse Xenya, cercando di sorreggere l'alibi della Foxn e sembrare davvero addestrata sulle buone maniere.

Un sorriso sfuggì incontrollato sia nel volto della ragazza sia in quello della donna. L'uomo impallidì e aprì la bocca per replicare ma, forse intimorito dai sorrisi malefici delle due donne, serrò le labbra sistemandosi la giacca per darsi un tono.

«Bene, Direttrice» disse poi, dopo un lungo respiro. «Le auguro una buona continuazione. Anche a lei, Consigliera» e con lo sguardo basso percorse di nuovo l'intera sala prima di entrare nell'ascensore e andarsene.

«Ottimo lavoro» affermò Madeline, sedendosi ancora e chiudendo gli occhi. «Come vedi, non è necessaria la forza fisica per farsi rispettare. Anzi, nella maggior parte dei casi l'autorevolezza è la chiave per ricevere ciò che si merita. Sono le qualità di un ottimo leader. Dovresti prenderne spunto.» Ruotò le spalle. «A questo punto temo dovrò ritirarmi a eseguire il mio lavoro. Tra poco dovrebbero arrivare anche gli altri soldati. Abbi cura di giustificare la mia assenza e racconta a David qualcosa riguardo un incontro che dovremmo fare, non so.»

Sbuffò e Xenya ridacchiò alla vista di questa donna che, nonostante non fosse né alta né possente, aveva messo a tacere un Capitano. La forza d'animo forse era davvero la chiave per farsi rispettare.

«Certo. Gli racconto anche qualcosa sul bon-ton?» Ridacchiò la ragazza, facendolo fare poi a ruota anche alla donna che si stava già alzando.

«Se ne sai qualcosa, farebbe di sicuro comodo» le fece l'occhiolino e se ne andò. «Buona cena!» le urlò prima di entrare nell'ascensore.

Non ci volle molto perché la sala venisse riempita come la sera precedente e tutte le sere a venire. David entrò e appariva normale, ammesso che l'ideale di normalità risiedesse nell'arroganza spaventosa che risplendeva tutto intorno a una persona. Eppure gli donava quel suo rifugiarsi dentro una corazza: se Xenya non avesse vissuto di persona l'accaduto, non avrebbe creduto in minima parte che lui potesse stare ricurvo a piangere sulle proprie mani intrecciate. La ragazza sorrise, piuttosto orgogliosa di essere riuscita nel suo intento di tirare su di morale il compagno.

David si fermò a parlare con alcuni ragazzi che Xenya aveva visto la mattina in palestra.

«Perché ridi?» le chiese Yekson, apparso all'improvviso sulla sedia accanto alla sua.

«Niente» minimizzò la ragazza, scuotendo le spalle nude e tornando seria.

«Spero smetterai di fare la misteriosa e la bugiarda con me» borbottò lui, giocando con il coltello che aveva accanto al piatto vuoto. «Ti puoi fidare di me, io l'ho fatto.»

«Non è perché non mi fidi...» spiegò la ragazza. «Ma perché non posso farlo. Ti metterei in pericolo» sussurrò nel tono di voce più basso che poté raggiungere.

«Mi piace il pericolo» alzò le spalle Yekson, continuando a muovere l'impugnatura del coltello tra le dita.

«Non è vero» lo corresse Xenya, puntandogli il dito contro.

«Hai ragione, non è affatto vero.» Lui sorrise e la ragazza rise.

Sapeva di potersi fidare di lui, e avrebbe voluto con tutto il cuore poterlo fare perché per lei Yekson era l'unico punto fisso al Progetto X, l'unica cosa certa e rassicurante in tutto quanto. Ma non poteva permettersi di metterlo di fronte a una cosa molto più grande di lui.

«Buonasera» intervenne David, una volta giunto al tavolo. «La Direttrice che fine ha fatto?»

«Eh, riguardo a questo...» Xenya si raddrizzò sulla sedia. «È dovuta andare a svolgere del lavoro extra perché presto ci sarà una Riunione del Consiglio.»

«Bene, interessante» disse monotono David, cercando di sembrare superiore alla faccenda, ma gli si lesse nella luce negli occhi che aveva che era emozionato all'idea.

«Ci sono alcune norme di buone maniere che bisogna imparare per parteciparci, ma dovrebbe farti una specie di corso extra. Purtroppo non so nient'altro.» Alzò le spalle con naturalezza.

«E tu?» chiese dubbioso il biondo. Xenya si agitò appena sulla sedia.

«Io l'ho incontrata prima perché ero in anticipo e mi ha spiegato quelle quattro cose che mi servono» spiegò, gesticolando un pochino per l'agitazione. I due compagni non sembrarono farci caso.

«E perché tu non puoi spiegarle a David?» intervenne Yekson, posando il coltello.

«Perché sono diversi da uomo e donna, siamo ancora nella preistoria!» esclamò la ragazza, fingendosi quasi disgustata per la loro ignoranza. Sembrò funzionare quanto bastò per fare loro assumere sguardi imbarazzati e chiudere il discorso.

In suo soccorso arrivarono anche i camerieri che portarono il cibo.

La cena si svolse in tranquillità quella sera e Xenya ne fu davvero contenta: David non si alzò da tavolo irato, Yekson non lo insultò e non fece battute pungenti sul suo conto e, con una certa sorpresa, Xenya non continuò a posare lo sguardo su Francis; non ne aveva bisogno. Le conversazioni furono leggere, puntando talvolta sul frivolo.

«Yekson, ti ho beccato prima che alle panche guardavi l'allenatore... intensamente.» Ridacchiò  David, bonario. L'altro ragazzo quasi si soffocò con l'insalata.

«Ma cosa dici!» esclamò poi, appena si fu ripreso. Purtroppo Xenya non fu in grado di capire se arrossì o meno per via della carnagione scura. «Era solo perché stavo cercando di capire. Non era stata chiara la spiegazione.»

«Certo, certo» chiuse gli occhi Xenya, fingendosi superiore alla situazione mentre addentava un pomodorino.

«Sei l'ultima che deve parlare, tu.» Yekson le puntò il coltello addosso.

«Esatto,» convenne David «sentivamo le urla che venivano dal soppalco nel pomeriggio!»

«Per non parlare del fatto che vi siete attardati lassù...» L'altro le fece l'occhiolino.

Xenya scoppiò a ridere. Seppure imbarazzata, era tanto strano quanto piacevole vedere i due che facevano comunella contro di lei per insinuare cose che andavano addirittura oltre l'immaginabile. Decise di stare al gioco.

«Ovvio» disse alla fine della risata. «Vedeste quell'anziano di Bill... Avrà l'età adatta per essere mio zio più vecchio o addirittura mio padre, ma è così sexy...» sussurrò in modo sensuale cercando di rimanere seria mentre esibiva anche un'espressione eloquente, ma non ci riuscì.

Yekson stava trattenendo le risate, gonfiando le guance e persino David era diventato rosso dallo sforzo. Alla fine scoppiarono a ridere tutti e tre in contemporanea.

Senza il controllo della Foxn, nella sala si era creato una specie di regime anarchico: si trattennero tutti a lungo dopo la fine della cena e rimasero seduti, magari anche aggiungendosi ad altri tavoli per scambiarsi vicende divertenti accadute durante il mattino. Un amico di David, basso e asiatico, si aggregò al tavolo del Cinquantatré.

«Quelle odiose sfere della panca...» Sbuffò lo sconosciuto dopo una serie di imprecazioni. «Mi hanno distrutto!»

«Fa loro vedere!» Rise David, incitandolo con le mani.

L'altro ragazzo, sbuffando ancora, si alzò in piedi e si slacciò la giacca che buttò sullo schienale della sua sedia. Tirò poi fuori dai pantaloni la camicia bianca e se l'alzò sino a metà della schiena, mostrando diversi ematomi violacei che fecero un po' ribrezzo a Xenya.

«Cos'è successo di preciso?» chiese lei, curiosa.

«Nulla...» minimizzò l'asiatico, sistemandosi ancora l'abito. «Avevo solo sentito il segnale di fine della panca accanto alla mia e mi sono steso. Ma io non ero neanche a metà dell'esercizio.»

La cosa carina era che nonostante fosse un ricordo doloroso, il ragazzo l'aveva detto quasi ridendo. Tutti stavano prendendo il Progetto con tranquillità, come se quello che aveva previsto David all'inizio - una specie di competizione tra soldati - non si sarebbe mai realizzata. Non erano lì da nemmeno una settimana e già il gruppo si era infittito. Xenya non aveva proprio degli amici, fuorché forse Yekson, David e Francis, eppure sapeva di essere legata a tutti i presenti. Era importante per lei essere giunta a quella conclusione: non sarebbe stata mai davvero sola, nonostante tutto.

«Penso andrò a letto ora, è stata una giornata davvero sfiancante» Xenya si congedò.

«Buonanotte» la salutarono in contemporanea i tre ragazzi presenti al tavolo e lei quindi scivolò verso l'ascensore nel suo abito fluttuante bianco che la fece sentire ancora più uniformata ai suoi compagni, al di fuori dal genere.

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