47. Voltare le spalle

I giorni passavano, con lentezza inesorabile.
Le notti spese in compagnia di Katsuki, sembravano sempre più un ricordo sbiadito, lontano.
L'amore che Izuku provava per lui sembrava sempre più frutto della sua immaginazione, una finzione.
Cominciava a chiedersi se non fosse stato tutto un sogno, dal primo all'ultimo secondo.

Deku se ne stava seduto a terra con la schiena contro il muro.
Lo scatolone unto era diventato la sua nuova casa.
Mangiava ciò che trovava, ciò che gli capitava.
Non erano passati chissà quanti giorni, ma sembravano comunque un'eternità.
Restava lì, immobile. Quel vicolo era l'unico collegamento che aveva tra il Night Club ed il mondo esterno.
Guardava a sinistra, vedeva i colori, sentiva la musica, guardava a destra e vedeva il grigio dello smog ed il rumore di auto e camion.
Non voleva uscire da quel ponte, voleva restare aggrappato ai ricordi.

Il sabato sera immediatamente successivo a quello terribile appena vissuto, lo passò tra i sacchi neri e le pantegane.
Guardò tutto il tempo le porte del pub, in attesa dell'arrivo delle limousine che avrebbero scaricato lì davanti Kacchan e i suoi.
Topi grossi quanto gatti gli strisciarono accanto in più di un'occasione, ma lui neanche ci fece caso.
Attese.
Un'attesa che gli parve infinita.
Dalle nove di quella sera alle quattro della mattina successiva.
Senza chiudere occhio una volta, senza distogliere lo sguardo una volta.
Attese, ma nessuno arrivò.
Significava forse che non si sarebbero più trovati in quel posto?
Oppure era solo una pausa temporanea dovuta alla morte di Kirishima e Kaminari?
Un segno di silente rispetto nei loro confronti?
Non lo sapeva.
Probabilmente non l'avrebbe saputo mai.

Dopo una settimana passata nel fango e nello schifo, mangiando scarti di altre persone e dormendo in mezzo ai topi, Izuku iniziò a scendere a patti col fatto che Katsuki non l'avrebbe più cercato e non l'avrebbe più salvato.
Kacchan non c'era più per lui.
L'aveva cacciato.
Doveva accettarlo.
Giunto a quella triste consapevolezza, sempre con l'amaro in bocca ed un macigno sul cuore, si sforzò di pensare a come uscire da quella situazione.
Innanzitutto doveva capire se fosse pronto o meno per abbandonare le luci e la musica in favore del cielo grigio e del rumore dei camion.
Sì.
Lo era.
Un cambiamento drastico, certo, ma era abituato al grigio da tutta la vita, abbandonare una breve parentesi di luci e colori non sarebbe mai stato un problema tanto grave da non poter essere superato.
Ora, sapeva dove sarebbe andato - ovvero verso il mondo esterno -, ma non aveva idea di dove andare nello specifico.
A casa? Quale casa?
Da sua madre?
O in ospedale?
No, in ospedale no.
Allora da sua madre.
Ma cosa avrebbe detto lei, se lo avesse visto ridotto così?
Con addosso vestiti sporchi e stracciati, magro fino all'osso, con addosso puzza di marcio.
Lo avrebbe abbracciato e baciato lo stesso?
O l'avrebbe cacciato schifata, anche lei, come aveva fatto Kacchan?
Alcune lacrime affiorarono dai suoi occhi.
Si portò svelto le mani al viso, i palmi ben premuti sulle palpebre chiuse, le dita immerse nei folti capelli verdi, unti come poche cose.
Singhiozzò un poco.
Era disperato.
Non sapeva come uscirne.
Si strofinò gli occhi e deglutì.
Si alzò piano, gli tremavano le gambe.
Guardò a destra, verso la strada grigia, verso i palazzi grigi, verso il cielo grigio.
Si girò verso il mondo esterno, fece un passo e si fermò.
Si voltò.
Gli occhi fissi sulle luci a neon dell'insegna del pub di Fat.
Lasciar andare tutto ciò che aveva imparato ad amare era così doloroso da straziargli il cuore.
Ma non poteva riavere nulla.
Non poteva tornare indietro.
Si voltò nuovamente verso il mondo esterno e prese a camminare.
Voltò le spalle a Kacchan, alla vita sregolata, alla musica, alla festa.
Voltò le spalle a tutto e tutti.
Ed era deciso, ormai.
Nemmeno una volta, osò guardare indietro.

Passeggiando con passo sbilenco per le strade della città, Izuku passò - forse volontariamente, forse inconsciamente o forse per pura casualità - vicino a tutti i posti dove aveva speso una parte bella della sua storia con Kacchan.
La sala giochi.
Il ristorante.
I negozi.
E perfino il parco di alberi di ciliegio.
Entrò attraversando l'arco rosso che faceva da ingresso.
Si avvicinò piano ad uno degli alberi e ne sfiorò la corteccia con la punta delle dita.
I fiori si erano seccati ed erano caduti ormai da un pezzo.
Guardò a terra e vide un petalo marrone chiaro, vecchio ormai di diversi giorni, asciutto e rinsecchito.
Sospirò piano.
Quel petalo sembrava proprio la metafora della sua storia con Katsuki: qualche settimana prima, rosea e fiorente; mentre adesso era solo morta.
Si stupì di come ogni cosa attorno a lui fosse in grado di ricordargli Kacchan.
Udì un leggero fruscio alle sue spalle.
Si girò, ma non c'era nessuno.
Dev'essere stato il vento...
Concluse, e tornò a rimuginare in solitudine, pensando ai fatti propri.
Diede una pacca gentile alla corteccia e salutò l'albero in solenne silenzio.
Poi voltò le spalle all'albero e al parco intero.
Voltò le spalle anche a quel giorno di Aprile, durante il quale si era innamorato, e proseguì, senza meta alcuna.

Camminò a sguardo basso, fino a che non giunse all'ospedale.
Deglutì.
Avrebbe forse dovuto fermarsi lì?
Tornare sotto le cure di Nighteye e Togata?
Scosse la testa.
No.
Non l'avrebbe fatto.
Non avrebbe scelto di vivere di nuovo in gabbia.
Sollevò il cappuccio della felpa sopra la testa e si coprì gli occhi.
Tenendo il cappuccio ben saldo con due dita, abbassò lo sguardo e tirò dritto per la propria strada, qualunque essa fosse.

Sollevò il cappuccio solo quando si sentì abbastanza lontano.
Non voleva rischiare in alcun modo di essere scoperto e riportato là dentro.
Proseguì a passo svelto lungo la via.
Ormai aveva ingranato la marcia, pur non sapendo dove andare.
Riconobbe tuttavia alcune insegne.
Le aveva viste la sera dei fuochi d'artificio, quella stessa sera in cui Kacchan aveva orchestrato la bellissima sorpresa in onore del suo compleanno.
La sera in cui si erano baciati per la prima volta.
Un brivido gli percorse la schiena.
Proseguì ulteriormente, seguendo le varie insegne e giunse alla sua meta: il ponte dove tutto aveva avuto inizio.
Il ponte, dal quale aveva assistito a due dei più grandi spettacoli di tutta la sua vita: primo fra tutti, i fuochi.
Ma il secondo, era stato forse il più bello ed unico in assoluto.
Lo spettacolo che aveva visto lui e Katsuki come protagonisti indiscussi.
Su quel ponte era avvenuto un miracolo.
Su quel ponte Izuku aveva amato ed era stato amato a sua volta.
Ricordi troppo dolci ed al tempo stesso troppo amari per poter essere retti dal suo fragile cuore.
Nuove lacrime affiorarono dai suoi occhi.
Guardò prima la fine del ponte e poi il fiume sotto di esso.
Una soluzione immediata, si fece strada nella sua testa.
Si avvicinò al bordo, afferrò il parapetto con entrambe le mani e strinse forte, le sue nocche si sbiancarono.
Guardò di sotto.
Gli parve sufficientemente alto.
Sorrise tristemente, ma si sentì sollevato.
Si disse che forse, era il caso di voltare le spalle al mondo intero, un'ultima volta.

Angolo Autrice
Salve gente, questo è il nuovo cap.
Spero vi sia piaciuto!
A domani con il prossimo, ciauuuu <3

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