XXXVI
When I wake up, I'm afraid
Somebody else might take my place
When I wake up, I'm afraid
Somebody else might take my place
Make that money, fake that bunny, ache my tummy
On the fence, all the time
Paid junk honey, your face so sunny, ain't that funny?
All my friends always lie to me
I know they're thinking
You're too mean, I don't like you
Fuck you, anyway
You make me wanna scream at the top of my lungs
It hurts but, I won't fight you
You suck, anyway
You make me want to die, right when I
«Non è possibile! Non ci credo!»
Le urla strazianti e irate di Angelina pervasero tutte le pareti e le mura della piccola casa che da qualche anno condivideva con Oliver. Lui era proprio lì, davanti a lei, con uno sguardo atterrito e incapace di pronunciare qualsiasi parola.
«Come si è permessa di minacciarmi? Cosa pensa, che le crederanno? Al Ministero non la faranno nemmeno entrare, stupida insulsa babbana! Anzi, probabilmente la oblivieranno non appena sapranno di tutte le cose del mondo magico di cui è venuta a conoscenza! Ehi, aspetta! Questa potrebbe essere un ottima idea per toglierla di torno una volta per tutte-»
«Adesso basta. Fermati».
Il tono duro che Oliver le rivolse la fece trasalire. «Che vuoi?» chiese infastidita. La sua mente stava viaggiando a velocità supersonica, tentando di scovare la migliore vendetta possibile contro quella donna insipida e incolore. In quel momento non avrebbe tollerato distrazioni di alcun tipo, nemmeno da parte del suo fidanzato.
«Non dire una parola in più. Altrimenti sarò io stesso ad andare a denunciarti al Ministero per tutte le cose orripilanti che hai fatto, e che stai continuando anche solo a pensare» disse Oliver in tono monocorde. Sembrava prosciugato di ogni energia, e il sorriso caldo che era solito rivolgerle aveva ceduto il passo a una maschera di orrore. «Non so cosa mi stia trattenendo dal farlo proprio adesso... tu hai fatto una cosa schifosa, Angelina. Ti sei approfittata di un uomo non consenziente, non lucido, non in sé... per fare cosa? Solo sesso? Era questo per te? Avresti potuto farlo con altri mille uomini, invece hai dovuto ricorrere alla magia oscura, a cose per cui si finisce in prigione! Lo capisci almeno questo? Potresti passare dei guai davvero seri!»
Lei si fermò, osservandolo con occhi glaciali. «Non lo faresti mai. Sei troppo buono per farlo. E mi ami troppo!».
Il volto di Oliver cambiò ancora, facendo emergere uno sguardo intimorito e indecifrabile. «Tu non sai niente di me. E a questo punto sono sicuro di non sapere niente di te. Quando abbiamo iniziato a conoscerci ero sicuro che tu fossi quella giusta per me. Invece l'unica cosa che mi viene da pensare quando ti guardo ora è che sei pazza» disse deglutendo. «La persona di cui mi sono innamorato non avrebbe mai portato avanti un abominio del genere, non si sarebbe mai permessa di deturpare così la vita di George e la memoria di Fred!» continuò, ansante.
«Io- io l'ho fatto solo perché non sapevo più che strada prendere! Lui mi stava rifiutando continuamente, non mi voleva, e poi c'era lei-»
«Sarebbe stato così impossibile per te pensare di essere arrivata tardi? Per te è così difficile accettare di arrivare seconda, di non ottenere tutto ciò che vuoi dalla tua vita incredibilmente viziata? Il vostro momento era passato, e lui stava tentando di rifarsi una vita. Provando per quanto possibile ad andare avanti, felice con lei... perché hai dovuto distruggere tutto? Tutto quello che hai fatto si è ripercosso anche su un bambino! Per Godric, Angelina! Un bambino! Hai rovinato l'infanzia di un bambino!»
Angelina sentì montare una rabbia fortissima dentro di sé, mischiata all'invidia per tutto ciò che non era riuscita ad avere. Un figlio, suo figlio. Quello che aveva sempre sognato. «Basta, basta! Stai zitto!» urlò a pieni polmoni, dirigendosi verso il bagno.
«Hai tenuto separata una famiglia per undici lunghi anni, sono tantissimi lo sai? Sai quanto si soffre per queste cose, me lo hai sempre detto anche tu! Tuo padre non era mai presente, sempre via per lavoro e tu sei stata malissimo per questo, cosa ti fa pensare che sia diverso per loro figlio? Per Fred?» incalzò Oliver, seguendola con un'espressione atterrita.
Angelina si bloccò di fronte al piccolo specchio sopra il lavandino, mentre cercava di controllare il suo respiro pesante. Sentiva l'agitazione scorrere lungo le sue vene, e non si rese conto di aver stretto i pugni. «Ti ho detto di stare zitto... non voglio sentir parlare di quel bambino, non voglio sentire il suo nome-»
«Parliamone invece. Parliamo di come hai rovinato la vita non solo di due persone che si amavano, ma anche di una creatura innocente!»
«Basta!» Il pugno di Angelina si scontrò nel giro di un millisecondo contro il vetro dello specchio. Mille schegge volarono da tutte le parti, mentre le più grandi si conficcavano nelle sue nocche strette in una morsa fortissima. Il sangue colava copiosamente dalle ferite aperte sulla sua mano.
Per qualche secondo nessuno fiatò. Gli unici rumori che si sentivano erano i loro respiri pesanti e il mugolio sommesso di Angelina, causato dal dolore alla mano.
«Tra noi è finita. E non adesso. È finita nel momento in cui ho saputo dei crimini di cui ti sei macchiata. Puoi dire tutto quello che vuoi, ma tu hai portato avanti una violenza vera e propria. E io non ho intenzione di passare un solo secondo di più con te. Farò le valigie immediatamente e non mi vedrai mai più» annunciò Oliver risoluto.
«N-no... ti prego, ti prego! Non andartene via anche tu, non lasciarmi!» supplicò Angelina, mentre le lacrime scendevano a fiotti dai suoi occhi. «T-ti prego... aiutami» disse tra i singhiozzi mentre lo seguiva tenendosi la mano ferita.
«Io non posso... non ho gli strumenti per farlo. Ma al San Mungo troverai una squadra di medici pronti ad aiutarti» eruppe Oliver con sarcasmo «Fatti curare, Angelina. In ogni senso. Addio» disse con gli occhi lucidi prima di voltarle le spalle.
Non lo sentì fare i bagagli, non lo sentì sbattere la porta. Immersa com'era nei suoi deliri paranoidi e nella sua disperazione, Angelina non percepì niente, nemmeno il dolore acuto che le perforava la pelle mentre estraeva a mani nude le schegge di vetro conficcate, una dopo l'altra. Perché in quel momento il desiderio impellente che premeva in lei, impedendole di vivere e di pensare correttamente, era la presenza di quella donna, la presenza di quel bambino. Erano loro l'intralcio principale che la ostacolavano di raggiungere il suo obiettivo, la sua felicità. E proprio in quell'istante fece una promessa a sé stessa.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per raggiungere i suoi scopi.
Qualsiasi.
~~~~~~
«Voleva vedermi?»
«Ciao, Angelina. Prego, entra pure» esclamò la sua allenatrice. Eden Gastrell era una donna sulla sessantina, molto alta e con grandi spalle su cui ricadevano una cascata di boccoli biondi. A suo tempo era stata una battitrice della squadra ed era riuscita a portare molto in alto il nome delle Holyhead Harpies. Era stata proprio la donna a scegliere lei e Ginny alle selezioni, quasi quindici anni prima. Le sembrava un ricordo così lontano e così felice... ricordo che si scontrava con l'orribile realtà che stava vivendo. Ginny non le parlava più da quando aveva saputo delle sue azioni da George, e cercava di metterla in cattiva luce ad ogni allenamento, ritiro o partita. O almeno, così le sembrava.
La cosa, ormai, non la toccava quasi più. L'importante era continuare ad avere almeno l'unica passione che le fosse mai interessata: il Quidditch e la sua scalata al posto come capitano nella squadra. Tutto il resto passava in secondo piano, e quando montava a cavallo della sua scopa ogni preoccupazione lasciata a terra sembrava sparire. Non pensava più a Katie e Alicia che l'avevano abbandonata, non pensava a George e alle stilettate di dolore che il suo cuore lanciava ogni volta che lo immaginava con lei.
Angelina si sistemò su una della grandi sedie di legno dell'ufficio della Dirigenza e attese. Dall'altro lato del corridoio sentì i canti e le urla delle sue compagne nello spogliatoio e la cosa la fece ridere. Dopo un allenamento intensivo di quattro ore sotto un acquazzone estivo anche lei non vedeva l'ora di fare una bella doccia e poter tornare a casa, anche se la sentiva tremendamente vuota dopo che Oliver se ne era andato.
Peggio per lui... Non mi ha mai capito, pensò ancora una volta.
«In cosa posso aiutarla? Spero che sia una cosa breve perché ho davvero bisogno di una doccia-»
«Angelina...» disse la donna con tono greve. «No, non è una cosa breve.»
Lo sguardo preoccupato e dispiaciuto che la sua allenatrice le stava lanciando non le piacque per niente, anzi le causò lunghi brividi lungo la schiena. «C-che succede? È successo qualcosa ai miei genitori mentre ci stavamo allenando?» chiese alzando la voce e spalancando gli occhi.
Eden scosse la testa. «No, cara. Non si tratta di questo...»
«E allora cosa?» chiese deglutendo rumorosamente.
«Stiamo valutando di fare dei cambiamenti, Angie. Tu sei una grande giocatrice, una bravissima cacciatrice e la squadra con te ha vinto ben tre campionati inglesi...ti abbiamo sempre tenuta in grande considerazione. E non nascondo che fino all'anno scorso stavamo pensando di nominarti capitano.»
Il suo cuore scoppiò di orgoglio, e in quel momento si sentì sciocca. Forse era stata troppo affrettata a credere che le notizie in questione fossero cattive.
Eden aspettò qualche secondo prima di continuare a parlare, ma quando lo fece tutto il mondo di Angelina si sgretolò come pietra tra le sue mani. «Nonostante questo, però, ci siamo resi conto del tuo calo nell'ultimo semestre.»
«C-calo? Che significa?»
«Dovresti sapere meglio di me come funzionano queste cose. Ogni anno un valutatore viene ad osservare in incognito per qualche mese il rendimento di tutte voi, sia agli allenamenti che alle partite. Qualche giorno fa ho avuto il resoconto finale su di te... purtroppo non è buono. Certo, il tuo fisico è ancora ben allenato ma sei più lenta, hai fatto pochissimi goal e la tua mente sembra da tutt'altra parte. In più, una delle ragazze mi ha confessato che hai saltato due intere settimane di allenamenti durante le mie trasferte in Irlanda dello scorso mese, ti hanno dovuto addirittura coprire... sai bene che mal tolleriamo certe scorrettezze, è scritto anche nel contratto che rinnovate ogni anno. Questi comportamenti, uniti alla valutazione che abbiamo ricevuto ci hanno fatto propendere per una decisione non positiva-»
«Chi è stato?» chiese con gli occhi fuori dalle orbite. «Chi è stato a dire questa cosa? Non è vero che ho saltato gli allenamenti, è una cattiveria bella e buona! È stata Ginevra? Perché lei sa che non ci parliamo, vero? Tutto questo lo sta facendo per eliminarmi dalla squadra-» mentì, in un disperato tentativo di salvare la sua reputazione e il suo posto come cacciatrice. «Lo fa solo perché vuole diventare lei il capitano!»
«Non posso dirti chi è stato a comunicarmelo, ma su una cosa sono assolutamente certa» rispose seria. «Tra tutte, Ginny è stata l'unica a difenderti, Angelina» annunciò la donna con uno sguardo compassionevole. «So che non vi parlate più, anche se non conosco il motivo. Ma puoi stare tranquilla su di lei. Ad ogni modo, anche gli alti dirigenti della squadra sono d'accordo con me e la mia decisione, anzi la nostra.»
«Mi volete buttare fuori dalla squadra?» sussurrò piano Angelina. Mentre pronunciava quelle parole chiuse gli occhi, affranta. Non poteva nemmeno lontanamente pensare ad una prospettiva del genere, perché il suo cuore avrebbe smesso di battere all'istante. «Io... mi dispiace di aver saltato gli allenamenti, ma sono stata male! Oliver mi ha lasciato e se ne è andato da casa, non ho più uno straccio di amica... per favore, non fatemi anche questo... non buttatemi fuori».
«Certo che no. Non sarebbe corretto da parte nostra espellerti con tutti i disonori del caso. Abbiamo propenso per un pensionamento anticipato. Avresti comunque una cospicua somma di denaro per la tua uscita, e potresti vantarti per sempre di aver giocato in una delle squadre migliori della Lega Inglese.»
«Ho solo trentacinque anni...» disse bisbigliando, mentre i suoi occhi si inumidivano e le lacrime le impedivano di vedere correttamente. «Cosa farò dopo... dopo questo?»
«Non lo so cara... non lo so. Ma la decisione è presa» disse risoluta la donna.
All'improvviso tutti i rumori intorno a lei sembrarono dissolversi. L'unica cosa che riusciva a sentire erano i passi di qualcuno fuori dall'ufficio, le risate sguaiate delle sue compagne nello spogliatoio che le arrivarono distorte e malefiche.
«Farai l'ultima partita questa domenica e poi annunceremo il tuo ritiro anticipato, probabilmente faremo un intervista, chiameremo qualche giornalista della Gazzetta del Profeta-»
Qualcosa in lei si spezzò. Qualcosa di irrimediabilmente oscuro e tetro si fece spazio dentro il suo animo, annidandosi nelle pieghe della sua anima e distruggendo tutto. «Tu non puoi liberarti così di me» disse con tono gutturale e glaciale mentre si alzava. Brandì la sua bacchetta di fronte a sé, puntandola contro la donna.
«A-angelina... ti prego, mettila giù. Cosa vuoi fare?» chiese assolutamente sorpresa la donna mentre sbiancava, cercando di indietreggiare. «P-per favore...»
«Non puoi togliermi anche questo. Il Quidditch, questo posto... sono le uniche cose che mi restano. Sono sola, irrimediabilmente sola. E tu vorresti sbattermi fuori?» La risata lugubre che si fece spazio tra i suoi denti risuonò malefica dentro lo spazio angusto della stanza.
«N-ne possiamo parlare... se solo tu abbassassi quella bacchetta io-»
«Zitta!» urlò puntandola contro la sua gola. «Adesso è arrivato il momento che decida io cosa fare!»
Tutto avvenne poi in un secondo. Eden si gettò di lato, cercando di prendere la bacchetta che spuntava dalla tasca della sua giacca per difendersi e probabilmente disarmarla, ma Angelina fu più veloce.
«Stifling» disse quasi sibilando. La donna cadde malamente a terra, portando le mani alla gola e annaspando per cercare di incanalare aria nei suoi polmoni, ma era inutile. L'incantesimo lanciato da Angelina stava facendo il suo corso e ben presto non sarebbe rimasto niente di lei se non un corpo senza vita. Si avvicinò piano a Eden, guardandola dentro i suoi occhi azzurri pieni di terrore e sentendo crescere dentro di sé un piacere sordo. «Tu mi porti via ciò che mi appartiene, io mi prendo qualcosa in cambio... semplice».
All'improvviso la porta dietro di loro si aprì. Angelina si voltò di scatto, con la vista ancora offuscata dalla rabbia. Ginny era proprio lì, di fronte a lei con i suoi grandi occhi marroni spalancati, mentre gridava qualcosa che però lei non sentì. Ben presto si ritrovò con il volto a terra, mentre diverse persone entravano nel piccolo spazio e qualcuno, non seppe mai chi, liberava Eden dalla morsa soffocante che stava per ucciderla.
«Qualcuno chiami il San Mungo, presto!»
Le sembrò di essere fuori dal proprio corpo. Si dibatteva, si dimenava per sfuggire alla presa immobilizzante che sentiva pressante sulla schiena, ma non ci sarebbe mai riuscita a causa dell'Incarceramus che qualcuno si era azzardato a lanciarle. Le sue urla sembravano riecheggiare dentro la sua testa, ma si rese ben presto conto che invece stava inveendo contro tutti i presenti. Contro chi l'aveva derisa, umiliata, lasciata da parte. Contro chi l'aveva abbandonata. Contro Fred, che si era permesso di morire, contro George che si era azzardato a innamorarsi di una persona che non fosse lei. Contro tutta la sua vita che in quel momento le parve infinitamente inutile.
L'ultima cosa che Angelina vide fu il velo di tristezza e delusione che comparve sul volto di quella che una volta considerava la sua migliore amica. Compagna di avventure, sventure e di vita.
E poi, finalmente, il buio tanto desiderato.
~~~~~~
Il letto del San Mungo, per quanto assurdo, le parve immensamente comodo. Le lenzuola erano fresche e la calma e la serenità che aleggiava nel reparto di Sanità Mentale la facevano sentire al sicuro, lontana da tutti i guai che aveva seminato nel suo cammino.
«Come si sente stamani, signorina Johnson?»
Angelina voltò la testa piano verso la porta, dove una gentile infermiera si stava affaccendando per cambiarle la flebo.
«Tra poco passeranno i dottori, ma ho pensato di venire a dare una controllatina. Ha ancora giramenti di testa?» chiese con un grande sorriso sul volto.
«N-no... stamani mi sembra di stare meglio, inizio a riprendere contatto con la realtà intorno a me, spero che questo sia un buon segno. Vorrei tanto andare a casa...»
«Lo capisco, mi creda. Ma sa che in questo reparto la degenza potrebbe essere molto lunga a seconda del parere dei Medimaghi. Ha avuto un crollo emotivo molto forte, quasi-»
«Psicotico. Lo so... me lo state dicendo da quando sono arrivata» bisbigliò chiudendo gli occhi. Percepì una calda e piccola lacrime scivolare sul lato destro della sua guancia e arrivare a bagnarle la bocca socchiusa. «Non mi è venuto a trovare nessuno» ammise con slancio, proprio mentre l'infermiera stava per andarsene.
Questa si voltò con uno sguardo compassionevole, avvicinandosi di nuovo al letto e prendendo le mani tra le sue. «Sa che per il momento non le è permesso ricevere visite. Almeno fino a che non verrà chiarita per bene la natura dell'aggressione che ha compiuto e il motivo dietro al suo crollo è bene che lei si riposi e stia lontana da stress inutili. Sono sicura che si risolverà tutto per il meglio. Stia tranquilla, e cerchi di riposare.»
E a quelle parole ci voleva credere davvero. Si riaddormentò con quelle in mente, ripetute come un mantra incessante e cadenzato.
Presto andrà tutto bene
«Svegliati».
Riaprì gli occhi di scatto, ritrovandosi nella penombra della sua stanza. Doveva essere passata almeno un'ora da quando si era addormentata, perché notò che anche fuori dalle grandi vetrate della finestra era calato il buio. Immaginò che fosse quasi ora di cena. Ma di chi era quella voce che la chiamava? Forse se l'era immaginata, oppure...
«Non ti sei immaginata niente.»
Si girò di nuovo ma questa volta verso la porta, dove vide una grande sagoma in piedi, appoggiata allo stipite.
«C-chi sei?» chiese con la voce ancora gracchiante e impastata dal sonno. «C-chi ti ha fatto entrare? I-io non posso ricevere visite» disse, mentre cercava a tentoni il campanello di emergenza. «Infermiera!»
«Non chiamare, non verrà nessuno. Ho insonorizzato la stanza» disse asciutto. «E poi, non ho certo bisogno di un invito ufficiale per venire qua» rispose l'oscura figura, che aveva un tono di voce potente ma in un certo senso caldo, rassicurante. «A trovare una vecchia giocatrice di Quidditch caduta in disgrazia. Hanno insabbiato tutto, sai?» disse, con il tono saccente di chi sa un po' troppe cose. Angelina strabuzzò gli occhi ma allo stesso tempo raddrizzò le antenne, pronta ad ascoltare. «Eden Gastrell non ha detto una sola parola su di te. Nella conferenza stampa che si è tenuta qualche giorno fa ha solo comunicato il suo dispiacere per il tuo crollo emotivo e fisico, e si augura che tu guarisca presto, anche se non riescono ancora a spiegarsi il perché di questo... Ma credo che alla fine sia meglio così, no? Ti sei risparmiata un biglietto per il Wizengamot, o peggio».
Angelina deglutì rumorosamente, mentre il panico cresceva di pari passo con la rabbia. Non ci poteva credere. Non si erano nemmeno degnati di spiegare il vero motivo dietro alle sue azioni, il perché si fosse spinta così in basso. Le avevano tolto tutto, tutto il suo mondo, e adesso le avevano anche tolto la verità. La giustizia di far sapere a tutti quanto meschini e infami fossero stati con lei.
«Lo penso anche io» disse l'uomo, facendo un passo in avanti ed entrando nella lingua di luce che la luna stava riflettendo sul pavimento di linoleum. «Penso anche io che siano stati dei bastardi con te, non te lo meritavi. La conseguenza, però, è che adesso nessuno vuole avere niente a che fare con te, nemmeno i tuoi genitori! Insomma che disonore per una famiglia di maghi così rispettabile, che vergogna, che macchia-»
«Non è vero!» si ritrovò a giustificarsi con lo sconosciuto. «Loro non possono venire, me lo ha detto l'infermiera-» urlò sull'orlo delle lacrime.
«Cazzate, e lo sai anche tu. Forse è vero, non ti avrebbero fatto ricevere nessuna visita esterna al nucleo familiare...ma almeno loro li avrebbero fatti passare. Secondo te perché non sono venuti?» Angelina restò in silenzio, percependo l'intero peso della verità che piombava su di lei come un macigno.
«Potremmo quindi dire che sei rimasta completamente sola... o sbaglio?»
Un senso di tristezza e desolazione si fece strada nel suo stomaco, arrivando ad opprimerle il petto. Non aveva più nessuno. Nessuno su cui poter contare, nemmeno la sua famiglia. «Potremmo dire così, sì».
«Beh, ma questo è perfetto!» annunciò l'uomo, facendo un altro passo avanti e mostrando finalmente il suo volto. Era alto e dinoccolato, ben curato, con capelli neri molto corti e lucenti. Doveva avere probabilmente la sua età. I suoi brillanti occhi azzurri scintillarono fieri e la sua bocca scoprì presto un sorriso smagliante, ma che le procurò i brividi. Le ricordò metaforicamente il sorriso di uno squalo, pronto ad azzannare e uccidere.
«Intanto lascia che mi presenti. Il mio nome è Marcus Rookwood. E credo proprio di essere l'uomo che fa al caso tuo».
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Sapete quanto per me sia difficile scrivere questi punti di vista! Il mio odio per questo personaggio non è assolutamente una novità, ma ho pensato che fosse doveroso far capire di più cosa fosse accaduto ad Angelina dopo lo scontro con Isabelle e George. Secondo voi cosa potrebbe accadere? E perché Rookwood si è rivolto proprio a lei?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e se vi va lasciate una stellina o un commento ❤️
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