XXV


When we were young we were the ones
The kings and queens oh yeah, we ruled the world
We smoked cigarettes man no regrets
Wish I could relive every single word
We've taken different paths
And travelled different roads
I know we'll always end up on the same one when we're old
And when you're in the trenches
And you're under fire I will cover you
If I was dying on my knees
You would be the one to rescue me
And if you were drowned at sea
I'd give you my lungs so you could breathe
I've got you brother

Consiglio di ascoltare la canzone suggerita nel punto indicato da una freccia.

George non credeva che avrebbe ottenuto così facilmente il perdono di suo figlio. Si era comportato in un modo abominevole, come un animale... come un mezz'uomo. E si era nascosto dietro un dito, dietro una scusa che il quel momento gli parve solo meschina. Si era ridotto a quello, ormai. Cercare scuse su scuse per giustificare la sua perdita di controllo, la sua rabbia feroce... ma quando si trattava di suo fratello, quando si trattava di Isabelle non riusciva a ragionare. Era più forte di lui... non riusciva a gestire la sua trasformazione nella versione peggiore di sé stesso, non riusciva a porre un freno all'emergere dei suoi demoni interiori.

Ma doveva iniziare a farlo. Per Freddie... per il suo dolce, piccolo bambino. Per quegli occhioni lucidi, il suo visivo pieno di tristezza, la sua voce singhiozzante e tremante. L'innocenza che lo contraddistingueva e che aveva osservato passare nel suo sguardo mentre chiedeva spiegazioni che nemmeno lui stesso avrebbe saputo dare.

Perché lo aveva fatto?

Perché si era ridotto in quello stato?

In fondo, sapeva che Marcus Rookwood non c'entrava niente con ciò che suo padre si era spinto a fare. Non era stato lui a rovinare l'esistenza di tutta la sua famiglia. E sapeva anche che Franziska era del tutto estranea a certi argomenti, a certe situazioni legate al passato. Lo sapeva, razionalmente.

Ma vedere la complicità tra Freddie e quella bambina... era stato un duro colpo. Forse, se il figlio di quel Mangiamorte non si fosse palesato alla partita, avrebbe cercato di passarci sopra. Sicuramente ci avrebbe provato, per la serenità del suo piccolo. Ma i flash di quel giorno erano stati così improvvisi e strazianti... erano state delle coltellate che avevano fatto sanguinare il suo cuore da mille angolazioni diverse. Era stato impossibile mantenere il raziocino, la calma che ormai lo contraddistinguevano da diversi anni. Da quando aveva deciso di riprendere in mano la sua vita dopo Isabelle.

Già... Isabelle.

Per fortuna c'era lei. Per fortuna, c'era sempre stata. Come suo solito, con semplici parole era riuscita ad esprimere un mondo di significati, un mondo di dolore. Oh, come lo conosceva bene... le era bastato uno sguardo. Non una parola in più, non una parola in meno. Una rapida, semplice occhiata... ed era riuscita, ancora una volta, ad entrare dentro di lui. Solo un'altra persona ci riusciva così bene, senza sforzo, e in quel momento avrebbe pagato ogni galeone del mondo per averla accanto. Le era estremamente grato... per essere così empatica, per averlo salvato da un destino tragico, per essersi presa cura di lui anche in quel momento, quando non le spettava, quando si sarebbe potuta tranquillamente offendere per aver rovinato la prima esperienza sportiva di suo figlio. Grato per avere la fortuna di averla accanto... per essere così meravigliosamente lei.

Cercò di trasmetterle tutta la sua riconoscenza tramite uno sguardo deciso e un piccolo accenno di sorriso che sentì comparire sul suo volto. Non poteva farne a meno quando osservava la curva delle sue labbra, i suoi zigomi pronunciati, il suo naso dritto. Quando osservava le sue pupille dilatarsi per il piacere o per la sorpresa, quando vedeva comparire le lacrime che rendevano i suoi occhi così verdi da avere la sensazione di essere su un immensa distesa di erba fresca coperta di rugiada mattutina.

E si sentì subito meglio, quando Freddie strinse con forza la presa sulla sua mano.

«Va bene. Voglio sapere tutto, per favore» disse con decisione, alzando poi con fierezza il mento.

«Tu non sai quanto assomigli a lui...» rispose George, senza fiato per l'emozione del momento. «A- a tuo zio. Tu assomigli tanto a lui...»

Isabelle, forse intuendo il suo tormento, intervenne di nuovo. «Tesoro, tuo papà ha fatto quello che ha fatto per un motivo preciso. Devi sapere che... la famiglia Rookwood ha dato il suo contribuito alla Seconda Guerra Magica, quella di cui ti hanno parlato anche qui a scuola, come mi hai raccontato... ed è stato un contributo tutt'altro che positivo. Giusto, George?»

«S-sì... Freddie, purtroppo il mondo magico non è sempre stato come lo conosci oggi. Per lungo tempo un male oscuro si è abbattuto sopra le teste di tutti noi... e quel male si è espanso, causando dolore a tante famiglie, compresa la nostra».

Freddie sgranò gli occhi, intuendo il collegamento. «Intendi Voldemort? Ne abbiamo parlato con la McGranitt, ci ha spiegato cosa ha fatto... ci ha spiegato del Prescelto, e di ciò che tutti loro, anzi che tutti voi avete dovuto affrontare... Ma non capisco cosa c'entri Fran, o suo papà...»

George scosse la testa. «La tua amica e suo padre non hanno fatto niente... sono soltanto nati nella famiglia sbagliata e-»

«George...» bisbigliò Isabelle, dandogli una gomitata. Seguendo la direzione del suo sguardo torvo, si rese conto che la sua scelta infelice di parole aveva fatto incupire ancora di più Fred.

«Freddie... ascolta. Facciamo così» esclamò, alzandosi in piedi e tendendo una mano verso di lui. «Vieni, facciamo due passi. Vieni anche tu, Bel?»

La donna annuì senza esitazione e si agganciò all'altra mano tesa di George. Si incamminarono nel silenzio più assoluto, godendo solo del calore delle loro mani intrecciate. I due genitori ai lati, Freddie nel mezzo che sorrideva felice per quel dolcissimo momento familiare.

George avrebbe venduto l'anima per poter vivere certe emozioni ogni giorno. Per poter vivere la sua esistenza insieme alla donna che amava e al frutto del loro amore. Ma doveva attendere pazientemente, lasciando ad entrambi i loro spazi. Era la cosa giusta da fare, per tutti.

Presto arrivarono di fronte alla grande lastra in marmo dedicata ai caduti. Quella visione gli suscitava da sempre emozioni contrastanti... rabbia, dolore, orgoglio, malinconia. Un mix indecifrabile, che aveva però un grande potere sul suo cuore debilitato. Riusciva ad atterrirlo per giorni, rendendolo incapace di pensare lucidamente, di svolgere le normali attività quotidiane. Quel monumento rappresentava per lui e la sua famiglia la conferma che l'incubo peggiore che avessero mai vissuto era davvero reale, ben percepibile.

Fred era morto e loro non potevano fare assolutamente niente per cambiare le cose.

«Oh mio Dio... me ne hai sempre parlato, ma non l'avevo mai vista...» sussurrò Isabelle. La donna si sganciò dalla presa, avvicinandosi lentamente e passando con una delicatezza inaudita le mani sulle lettere scolpite. «Frederick Gideon Weasley...»

«Il mio fratellone» rispose George, cercando di farsi forza. Ma dentro, era tutta un'altra cosa.

«Papà, mi racconti cosa è successo allo zio Fred? Ti prego, ne ho bisogno...  devo sapere tutto, per capire come comportarmi. Soprattutto con Fran...»

Tirando su con il naso, George si fece coraggio: «Hai detto che la preside vi ha spiegato cosa è successo quel giorno, giusto? Il giorno che ha cambiato tutto...»

Fred annuì, ma senza parlare. Probabilmente percepiva il momento difficile che suo papà stava vivendo, percepiva il suo stato d'animo precario.

«L'unico errore che abbiamo compiuto è stato quello di separarci. Sai, io e tuo zio siamo sempre stati imbattibili insieme... ma da soli, abbiamo soltanto combinato guai. Ci siamo separati una volta, e io ho perso il mio orecchio. La seconda volta...»

Le lacrime comparvero improvvisamente, e non riuscì a controllarle. Si era sempre sentito molto forte, quasi invincibile nonostante il suo temperamento docile e dolce, ma da quel giorno di maggio di tanti anni prima, e ogni volta che Fred veniva riportato alla sua memoria, la diga cedeva. Il rimorso e il senso di colpa straripavano dai suoi occhi, portando a galla il suo malessere, la sua incapacità di andare avanti nella vita senza l'altra metà della sua anima.

Si rese conto di aver chiuso gli occhi e di aver smesso di parlare quando le piccole mani di Isabelle passarono tra i suoi capelli. «George... vuoi che torniamo a casa?» chiese con dolcezza. «Sei scosso, è comprensibile... possiamo anche parlarne in un secondo momento se non te la senti».

"Come posso tornare a casa, se casa è solo dove sei tu?" pensò immediatamente, ma guardandosi bene dal pronunciare quelle parole di fronte a lei. Era sicuro che si sarebbe spaventata e avrebbe tentato di chiudersi a riccio, e non voleva che ciò accadesse. Sapere di poter contare su di lei, sul suo sostegno... era un toccasana per il suo cuore in frantumi.

«N-no, ce la faccio». Si costrinse ad aprire gli occhi con forza, e vide Freddie che lo osservava con lo sgomento dipinto sul volto. Cercò di riprendersi, non poteva farsi vedere così a pezzi di fronte al suo bambino.

«L-la seconda volta che ci siamo separati era proprio il giorno della guerra. Non so perché, ho ricordi confusi di quel momento... ma so solo che lui si è avviato al quarto piano insieme a Percy. L'ultima cosa che mi ha detto è stata "Oi, Georgie... guardando questi stupidi Mangiamorte mi è venuta una bella idea per un nuovo prodotto, poi ne parliamo... per ora immagazzino tutto qui, in questa bella testolina brillante!" e poi ha indicato quella matassa di capelli rossi che aveva in testa... sai, tua nonna ha sempre cercato di farglieli tagliare, ma negli ultimi tempi mi aveva confessato di voler diventare come Bill. Diceva sempre che i capelli lunghi attraggono di più, non so se sia vero ma... in quel momento, ha pronunciato quelle parole con così tanta naturalezza che mi ha fatto ridere, anzi... abbiamo riso insieme. L'ultimo ricordo che ho sono le nostre risate congiunte, a formare un suono bellissimo. Ricordo di averlo guardato negli occhi e aver pensato "ne usciremo insieme, Freddie. E saremo ancora più forti e inseparabili di prima". Oh, quanto vorrei tornare indietro per esprimere i miei sentimenti verso di lui... vorrei averlo fatto più spesso.»

«Papà... mi dispiace tanto... posso solo immaginare...»

«Poi abbiamo sentito un boato. E in quel momento, dentro di me ho avuto la certezza che qualcosa di terribile fosse accaduto. È difficile da comprendere per chi non ha un fratello gemello, ma io e Fred eravamo legati da un filo rosso invisibile. Mi sono sempre immaginato che ciò che ci teneva insieme ci permettesse di sentire tutte le sensazioni più viscerali, tutto il male o il bene che provavamo. Ma io, quel giorno, e dopo quel rumore, non ho sentito più niente. E ho capito che lui... non c'era più. Non volevo accettarlo, non potevo... ma ho dovuto. Mi sono scontrato con la realtà... era proprio lì, davanti ai miei occhi. Non potevo fingere, non più.»

«Io ancora non capisco cosa c'entrino Franziska e la sua famiglia con tutta questa storia! E poi, qualcuno può spiegarmi precisamente cos'è un Mangiamorte? La preside ne ha parlato, ma non si è soffermata troppo sulle nostre innumerevoli domande!» esclamò Fred, impaziente. Si era messo seduto di fronte alla lapide commemorativa e si contorceva in modo costante le mani, portandole di tanto in tanto alla bocca con fare nervoso.

«Freddie, Voldemort non ha agito da solo. Alcuni maghi si sono schierati dalla parte sbagliata, e hanno fatto di tutto per assecondare le sue folli richieste e il suo tremendo piano per prendere possesso del potere ed estendere il suo dominio sul mondo magico. Questi maghi sono chiamati Mangiamorte, e... il nonno di Franziska era uno di loro.»

«Oh...» Il volto di Fred si riempì di sorpresa.

«Già. E se ho reagito così è perché... Augustus Rookwood ha causato la morte di tuo zio» disse annuendo piano.

Gli occhi di Fred saettarono da lui a Isabelle. «Ma...»

«Questa è la verità, amore. Tutta la verità. E meritavi di conoscerla» rispose lei senza esitazioni.

«Cos'è successo, esattamente?»

«So solo quello che mi è stato raccontato da mio fratello Percy, che era proprio con lui. Rookwood ha iniziato a lanciare schiantesimi da tutte le parti con uno sguardo folle negli occhi, pronunciando epiteti che... non voglio ripetere. Ti basti sapere che stava offendendo in ogni modo i nati babbani, i mezzosangue, e anche noi... quelli che loro consideravano traditori del sangue. Famiglie normali che cercavano di vivere in armonia con tutti. E Fred ha pagato per i folli pensieri di un uomo pazzo, che agiva seguendo un ideale raccapricciante. Uno degli incantesimi ha provocato una frana nel muro che ha travolto Fred. Stava ridendo e scherzando insieme a Percy, felice di averlo finalmente ritrovato... e poi lo ha spinto di lato. Lo ha salvato, ha salvato nostro fratello. Ed è morto con il sorriso sul volto. Questa è l'unica cosa che mi rende felice. L'unica...»

Il dolore si fece spazio, divorando tutto. Il suo cuore, il suo respiro spezzato, i suoi occhi colmi di lacrime. Strinse, perforò, tagliò, bruciò. Ma ci era abituato. Era un dolore che aveva imparato a conoscere in quei lunghi, quattordici anni.

Ma quel giorno qualcosa cambiò. Perché un semplice gesto iniziò a lenire, a rendere quella sofferenze meno potente. All'improvviso le braccia di Freddie avvolte intorno alla sua vita, la sua testa appoggiata al suo addome. Le piccole mani a stringere il tessuto del maglione che indossava, la sua dolce voce interrotta solo dal pianto. «Papà... mi dispiace tanto... io non lo sapevo, io non potevo saperlo... sei stato così male, io non...»

Si volle godere qualche minuto in silenzio, avvolto dall'amore di suo figlio. Era una sensazione bellissima, un calore unico, indescrivibile. Per quanto amasse Isabelle, non era riuscito a provare una tale sensazione nemmeno con lei. In quel momento si sentiva... indistruttibile. Lo era, con suo figlio a donargli un affetto così profondo e veritiero.

«Fred, tu non potevi saperlo. E forse, è stato meglio così. Come mi ha fatto notare qualcuno...» disse rivolgendo un'occhiata a Isabelle «Franziska non è suo nonno. Fran è una bambina dolcissima, super premurosa nei tuoi confronti... ed è la tua migliore amica. E io lo devo accettare. Lo farò, dammi solo un po' di tempo. Devo metabolizzare la cosa. Ma voglio solo il tuo bene».

Accucciandosi di fronte a lui, poté scorgere i suoi occhi velati di lacrime. «Voglio che tu sia felice. E se Fran riesce a renderti felice, allora io sono felice.»

«Davvero?»

Annuì senza esitazione. «Tu e tua madre siete le persone più importanti del mondo per me. Quello che conta è garantire la vostra felicità. Tutto il resto passa oltre... e ti giuro che farò del mio meglio per riuscire in questa impresa.»

«T-ti voglio tanto bene, papà... e non sono arrabbiato con te. Non lo sono stato nemmeno per un secondo...»

George sgranò gli occhi. «Anche io... anche io ti voglio bene, amore mio.»

~~~~~~

—> Brother

1° aprile 2013

«Georgie... sveglia».

Protestò con un lamento, voltandosi in direzione opposta della dolce voce che lo stava chiamando. Quel mattino voleva solo dormire. Se avesse potuto, avrebbe voluto tenere gli occhi chiusi per tutto il giorno, evitando contatti con chiunque.

Se solo potessi, vorrei tenerli chiusi per sempre

«Georgie...»

«Dai, lasciami stare...»

«George Weasley, se non ti svegli subito, ti giuro che ti metto una famiglia di Schiopodi Sparacoda nel letto! E poi ti impedisco di uscire!»

«Ginny, quando ti ci metti sei veramente insopportabile. Puoi lasciarmi dormire?» disse sbuffando e aprendo solo un occhio.

«Assolutamente no. Ti conosco, mio caro fratellone. So come ti comporti, soprattutto in certi giorni dell'anno. E non ti lascerò solo. Dovrai goderti la mia presenza per tutto il giorno, non sei felice?» rispose sua sorella cinguettando gioiosa. «Oh, che odore stantio! Aspetta, provvedo subito!»

Il tiepido sole mattutino, unito a una lieve brezza primaverile lo investirono, provocandogli però brividi di freddo.

«Non ti sopporto... perché non puoi lasciarmi solo, a godermi il calduccio del mio appartamento?» esclamò alzandosi dal letto con poca voglia.

Sua sorella ghignò. «Sono tua sorella, se non ti faccio impazzire io chi lo farà? Dai, vestiti!»

«Per andare dove?»

«Tu non preoccuparti. Fidati di me, anzi... di noi. E a proposito, tanti auguri, mio dolce tesoro. Buon trentacinquesimo compleanno» sussurrò Ginny, posando un delicato bacio sui suoi capelli arruffati.

L'amore che sentì scorrere in quel lieve contatto lo fece ridestare dalla sonnolenza che provava. Sua sorella, forse proprio perché la più piccola, aveva un legame speciale con tutti i suoi fratelli. E nonostante non fosse più la bambina che lui e Fred avevano protetto per lungo, lungo tempo, non poteva fare a meno di vederla come un fiore delicato da cui tener lontane le minacce del mondo esterno. Ma lei non aveva bisogno di nessuna protezione, di nessun aiuto. E forse stava proprio in questo il paradosso: Ginny era estremamente forte nella sua delicatezza. E lo stava dimostrando anche in quel momento. Si chiese quanto dolore stesse provando nel giorno del loro compleanno, un giorno che avevano vissuto sempre in compagnia della loro scatenata ma amorevole famiglia. Un giorno che ricordava a tutti, e non solo a lui, quanto grande era il vuoto che Fred aveva lasciato in ognuno di loro. Eppure lei era lì, solida come una roccia, pronta a sostenerlo in una delle due ricorrenze più strazianti dell'anno per lui.

D'impeto la avvolse in un abbraccio strettissimo, alzandola da terra e facendole fare due giravolte.

«Dai, Georgie! Mettimi giù!» esclamò ridendo.

«Tu lo sai che ti voglio bene, vero Ginny? Sei tutto per me... grazie per oggi. Grazie per essere quella che sei...grazie per non lasciarmi mai» rispose con le lacrime agli occhi.

«Oh, Georgie... non piangere, ti prego!» Cercò di nascondere due lacrimoni, ma senza successo. «Dai, adesso andiamo! Non voglio fare assolutamente tardi!»

«Ma esattamente dove mi porti? E il negozio?» chiese curiosamente.

«Per il negozio c'è Verity, no? E poi...aspetta e vedrai!»

~~~~~~

Non si sarebbe mai aspettato di passare la giornata del suo compleanno in compagnia di tutta la sua famiglia al completo. Sua sorella lo aveva costretto a bendarsi e lo aveva condotto fino ad una passaporta, che li aveva portati fino a Brighton, una località di mare a qualche ora da Londra. Lì George era riuscito immediatamente a scorgere tra la folla del lungo pontile i suoi fratelli e i suoi genitori: i capelli rossi erano inconfondibili.

«Georgie! Ginny! Siete arrivati, finalmente!» urlò sua madre con una gioia incontenibile in corpo, mentre si avvicinava loro. «Tanti auguri, amore mio!»

«Tanti auguri, figlio mio!» fece eco Arthur.

C'erano tutti, comprese le famiglie allargate. I suoi nipoti lo stritolarono con una forza inaudita, riempiendolo di baci e di auguri, mentre i suoi fratelli gli diedero pacche sulle spalle e fecero qualche battuta sul tempo che passava, ma senza mai nominare Fred. Aspettavano tutti un suo cenno, un suo segnale. Sapevano quanto l'argomento lo divorasse dall'interno, e non volevano rendere ancora più fragile un equilibrio già precario.

«Fred avrebbe adorato tutto questo» sussurrò piano, abbracciando sua madre. «Ok, quindi qual è il programma della giornata?»

«Aspetta, George! Manca qualcuno all'appello... ah, eccoli lì!» disse Sammy, sbracciandosi verso la grande ruota panoramica bianca che affacciava sul mare, segno distintivo della piccola cittadina.

Il suo cuore scoppiò di gioia quando vide Freddie correre verso di lui, felice come non mai. «Papà, tanti auguri!» esclamò, buttandogli le braccia al collo.

«Ciao campione, grazie! Che ci fai qua? Non hai scuola?»

«Zio Charlie  sa sempre come convincere la preside a lasciarmi uscire!» disse facendo l'occhiolino.

«Che bella notizia! Non ci vediamo dal tuo rientro dopo le vacanze, fatti vedere!» Si allontanò e gli fece fare una piccola giravolta, osservandolo divertito. «Sbaglio o hai messo su qualche muscolo?  Ci stai dando dentro con la pratica, complimenti!»

«Il capitano Payne è davvero tosto, se manchiamo anche un solo allenamento si arrabbia e la volta dopo ci fa fare quattro giri di campo in più per punizione! Vero, Alec?» disse Freddie voltandosi verso il cugino, che annuì con convinzione. «Quindi cerco sempre di andarci, e in ogni caso adoro giocare! La prossima settimana abbiamo una nuova partita contro Serpeverde, non vediamo l'ora di stracciarli-»

«Buon compleanno, George».

Non si era accorto della sua presenza. Troppo concentrato su suo figlio, non si era reso conto dello sguardo con cui Isabelle lo stava osservando. Un misto di dolcezza, amarezza, tristezza.

«G-grazie. Non... pensavo che ti avrei rivisto. Non oggi, almeno» rispose imbarazzato. Non si vedevano da tre mesi, dall'ultima discussione avuta sul balcone di casa Jordan. Dopo quello che si erano detti Isabelle era sparita, di nuovo. Probabilmente ci aveva preso gusto... e lui non era più così sconvolto quando questo accadeva. Ci si era abituato. George non se l'era sentita di andarla a cercare, troppo ferito, troppo deluso dalle sue parole. Era riuscito a scorgerla pochi secondi prima della mezzanotte, abbracciata a Lucas e con uno sguardo indecifrabile sul volto. Poi, più niente... nessuna comunicazione, nessuna visita. Nessuna chiamata o contatto... fino a quel momento. Dopo quello scambio, dentro di sé sentiva di aver perso ogni speranza. Lei non sembrava assolutamente intenzionata a dargli una nuova possibilità, e nonostante cercasse di tirare fuori tutta la pazienza che possedeva... piano piano la stava esaurendo.

«È merito di Freddie, devo essere sincera... non volevo venire. Mi sembrava giusto che lui ci fosse» continuò, indicando il figlio. «Ma io non volevo rovinare l'atmosfera. Però è riuscito a convincermi... sai come è fatto, ormai hai imparato a conoscerlo un po'...è molto testardo quando ci si mette.»

«Forse non ci crederai... ma è bellissimo che tu sia qui. Grazie».

«Ciao Bel! È stupendo vederti, ci fai compagnia oggi?» chiosò Ginny, mentre circondava le spalle di George con un braccio. «Andiamo, è ora di pranzo e io muoio di fame! Non vorrete mica far aspettare Ron, vero? Potrebbe iniziare a sgranocchiare le gambe di Rosie!»

La giornata passò così, tra risate, scherzi e tanto, tanto amore. George si sentì circondato da una bolla di affetto, gioia e spensieratezza unica, delle sensazioni che non provava da diverso tempo. Delle sensazioni che sicuramente non provava da quando Fred non era più con lui ad abbracciarlo, stringerlo a sé, proteggerlo. Ma come aveva imparato in quegli anni, avrebbe dovuto farsi forza per entrambi. Il suo fratellone non avrebbe voluto vederlo addolorato, incapace di andare avanti. Avrebbe voluto che vivesse a pieno ogni momento, ogni emozione. E lui stava cercando di farlo con tutte le sue forze.

Presto il sole tramontò, restituendo loro una sensazione di benessere speciale: restarono per diversi minuti sul molo proprio di fronte all'attrazione panoramica, osservando l'insorgere dei colori rosei e aranciati sulla linea dell'orizzonte. Videro il sole fondersi con il mare e la sera avanzare, mentre si stringevano gli uni agli altri. Hermione, che da sempre si premurava di trovare un modo speciale per ricordare Fred, quell'anno si era superata. Quando il sole era ormai quasi del tutto calato nel cielo, fece loro segno di seguirli sulla spiaggia.

Iniziò a camminare velocemente a piedi nudi sulla sabbia, mentre con una mano trafficava nella sua borsa a tracolla e parlava sommessamente con Ron, che teneva in braccio Hugo.

«Per favore, avvicinatevi!» disse a tutta la famiglia allargata. «Bene, come sapete ogni anno mi piace fare qualcosa per ricordare Fred. Non potremo mai dimenticarci il suo sorriso, la sua voglia di fare, la sua dolcezza. Nessuno potrà mai farlo, soprattutto tu» disse piano, rivolgendo un sorriso stanco a George.

Lui annuì, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

«Quest'anno mi sono fatta aiutare da Rose» sussurrò, accarezzando dolcemente i capelli della sua figlia maggiore «e da Ginny, per preparare queste.»

Estrasse dalla borsa un grande sacchetto, da cui tirò fuori una serie di barchette di carta e dei piccoli fogli. «Queste sono già state...incantate» pronunciò a bassa voce «per poterle posare in acqua ed evitare che le onde le facciano infrangere contro gli scogli oppure che le riportino a riva. Ognuno di voi ne prenda una, e prenda anche un foglietto. Ho pensato che sarebbe stato bello scrivere un pensiero per Fred, e poi lasciarle andare verso l'orizzonte. Perché io me lo immagino proprio lì, sulla linea di confine che separa il cielo dalla terra, che ci osserva con il suo sorriso furbo.»

I suoi occhi si riempirono di lacrime, così come quelli di tutti. Molly, stretta tra le braccia del marito, era ormai partita con il suo solito sfogo. Ma George era sicuro che fosse felice. Felice che dopo tutti quegli anni, nessuno avesse dimenticato il suo dolce bambino.

«La trovo un idea stupenda. Grazie, Mione» disse George, avvicinandosi per stritolarla in un abbraccio.

Ognuno dei membri della famiglia Weasley prese una barchetta, un foglio e una piccola matita fornita sempre dalla brillante strega. Qualcuno si mise a sedere sulla sabbia ormai tiepida, qualcuno si appoggiò a dei battini di salvataggio, altri restarono in piedi. George si mise seduto proprio in riva al mare, noncurante delle onde che gli inzuppavano i vestiti. Voleva essere completamente assorbito da quel compito, inglobato dalla tenue luce del sole che piano piano se ne stava andando. Voleva stare in un contatto puro con Fred e per un po' gli sembrò di esserci riuscito, perché una sensazione di calore si espanse nel suo petto. Così, scrisse di getto.

"Non mi servono tante parole, tu sai già tutto. Ti parlo ogni notte prima di dormire, ogni mattina appena mi sveglio. Sei la mia metà e lo sarai per sempre. Lo sarai ogni minuto, di ogni ora, di ogni giorno. E grazie, perché sono sicuro che un po' di te lo hai messo nel mio dolce bambino. Ed è bellissimo, perché è come se ti avessi sempre con me.

Buon compleanno, gemello brutto. Ti amo"

«Cosa hai scritto, papà?»

Freddie si mise a sedere accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.

«Tesoro, così ti bagni...»

«Non mi importa. Voglio stare con te! Cosa hai scritto?» ripeté sorridendo lui. «Wow, che bello!» continuò poi con gli occhi lucidi, dopo aver letto il contenuto del biglietto. «Vuoi vedere cosa ho scritto io?» disse porgendogli il suo pezzetto di carta.

«Certamente».

"Zio Fred, sono così onorato di portare il tuo nome. Tutto quello che mi raccontano di te è meraviglioso, e io sono davvero fiero di essere tuo nipote. Spero di non deludere le tue aspettative, e di essere come te un re degli scherzi e un battitore formidabile. Mi ci sto impegnando tanto, spero che tu lo veda. Ma sono sicuro di sì. E non preoccuparti, a papà ci penso io! Mamma mi ha detto che da quando ci siamo conosciuti non è più triste; quindi, credo di stare facendo le cose per bene.

Spero di incontrarti, un giorno lontano. Tantissimi auguri!"

Avvicinò suo figlio a sé con impeto, abbracciandolo fortissimo. Le lacrime scorrevano senza sosta, ma a lui non importava. Erano lacrime di felicità, lacrime di gioia per essere circondato da un amore che non credeva di meritare.

«Papà... mi stai soffocando.»

Si allontanò da lui ridendo, felice come non mai. «Grazie, Freddie. Grazie...»

«Non mi ringraziare! Mi ha un po' spinto la mamma, non sapevo cosa scrivere... ma dopo un suo suggerimento sono partito!»

«A proposito, dov'è lei?» chiese George guardandosi intorno. Dopo che Hermione aveva terminato di spiegare era sparita.

«Là» rispose Fred indicando un punto in fondo alla spiaggia. «Sta pensando da un po' a cosa scrivere... anche se la vedo in difficoltà!»

Senza nemmeno pensarci si alzò, salutando Fred e avviandosi proprio verso di lei.

«Come va?»

Isabelle alzò piano la testa, e le sue pupille si dilatarono enormemente quando si posarono su di lui. «B-bene...»

«Ti dispiace se mi siedo qua?»

«No, certo. Vieni pure» disse dopo un attimo di esitazione.

Per qualche minuto rimasero in silenzio, senza guardarsi mai. George osservò l'infrangersi delle onde sulla battigia e sugli scogli posti ai lati dell'insenatura della baia.

«Hermione ha avuto un idea bellissima» disse Isabelle dopo un po', sussurrando per non spezzare l'alone di magia che sembrava essersi formato intorno a loro.

«È davvero magica... ogni anno si inventa sempre qualcosa di bello per celebrare Fred.»

«Ho... scritto qualcosa anche io. Ma mi sembra fuori luogo, mi sento fuori luogo... non lo conoscevo affatto. Me lo hai fatto conoscere tu tramite i tuoi racconti... ma non è la stessa cosa.»

George scosse la testa. «Non è vero. Tu lo conosci bene... fidati. Hai imparato a capirlo tramite me... e questa cosa è bellissima. Non ti potrò mai ringraziare abbastanza.»

«Tieni... mi fa piacere che tu legga cosa ho scritto».

Gli porse il foglietto con mani tremanti e lui lo aprì con trepidazione.

"Spero di essere riuscita a portare avanti il tuo compito."

Mille emozioni diverse lo colpirono come un fulmine a ciel sereno. Come sempre, con poche parole, era arrivata al suo cuore, alla sua anima. George capì immediatamente quella breve frase, e di istinto si avvinghiò a lei, portando la bocca vicino al suo orecchio. «Lo fai, da quattordici anni. Non dubitare mai, nonostante tutto».

Isabelle ricambiò quella vicinanza, e pronunciò una singola parola che racchiudeva tutto il suo tormento. «Scusa...» George comprese subito, e tutta la rabbia, il risentimento e la tristezza covata in quei tre mesi lontani sparirono in un soffio. Non era mai riuscito a serbarle rancore, probabilmente non lo avrebbe mai fatto.

«Non ti devi scusare. Ma una cosa te la voglio dire...» continuò, con un tono dolce al suo orecchio. «Non cercare sempre di fare la cosa giusta. Perlomeno, se devi farla... fai la cosa giusta per te, e non per gli altri. Fai ciò che ti rende felice. In parte questo me lo hai insegnato tu... e adesso sono qui a ricordartelo».

Lei non rispose, ma George sentì aumentare la stretta del suo abbraccio, che lui ricambiò immediatamente. In quel momento ogni dolore sembrava essere sparito dal suo cuore, così come ogni traccia di tormento.

Ancora una volta, tu sei la cura, pensò.

Ancora stretti, ancora vicini, furono richiamati all'ordine da Ron. Tutti si avvicinarono all'acqua, sistemando i biglietti nelle barchette stregate e le sospinsero sulla superfice. Posizionati di fronte a quel panorama bellissimo, si godettero quel momento magico. Un momento di riunione, di celebrazione e commemorazione. Un momento unico, sugellato dal calore di una famiglia colpita dal dolore, ma che aveva rialzato la testa con fierezza. Una famiglia incredibile.

~~~~~~

«Ora tocca a noi! Apri il nostro, dai!»

«Va bene, Fred. Però vieni qua accanto a me, aiutami a scartarlo!» rispose George felice.

Dopo la giornata trascorsa al mare, tutta la truppa Weasley si era spostata alla Tana per una delle immense cene di Molly Weasley. Dopo aver mangiato per un reggimento intero, era arrivato il momento dei regali.

Dopo aver ricevuto dei capi di abbigliamento, un nuovo profumo e un abbonamento per vedere tutte le partite della Nazionale Irlandese di Quidditch, George si accinse ad aprire quello di suo figlio e di Isabelle. La donna, stranamente, aveva accettato l'invito a cena di Molly, ma era rimasta in silenzio quasi tutta la sera, scambiando solo qualche parola con Sammy e Charlie, e sporadicamente con Ginny. George si era accorto del suo sentirsi a disagio e fuori luogo, quasi un peso. Quanto avrebbe voluto spiegarle che non lo era affatto...ma non gli era sembrato il caso. Non voleva creare ulteriori drammi, e preferì mantenere quella sorta di equilibrio pacato che si era creato tra loro dopo la giornata passata insieme e le emozioni condivise.

«Aprì!» cinguettò Fred. «Da parte mia e di mamma!»

Tolse lentamente l'involucro e trovò una scatolina di velluto verde. La aprì e restò senza fiato.

«Questo è...»

«Un orologio da taschino! Ti piace?» chiese emozionato Fred. «So che forse ti sembra antiquato, però mamma era sicura che ti sarebbe piaciuto! E poi, guarda sia dentro che dietro!»

Aprì delicatamente l'orologio in oro, contornato da una catenella e delle incisioni sul davanti. «Oh... è bellissimo...»

«Questa è una foto animata mia e di mamma, mi ha aiutato zio Charlie a farla! Qua siamo a Columbus, avevo forse sette anni, vero mamma?» chiese conferma a Isabelle, che annuì restando in silenzio. George osservò i loro stupendi sorrisi e gli occhi felici, ridenti, mentre si scambiavano un occhiata fugace. Poi voltò l'oggetto e il suo cuore fece un tonfo.

Famiglia

«Questa incisione l'abbiamo fatta fare noi, sai... è la stessa che io e mamma abbiamo sulla collana che portiamo! Solo che questa non l'abbiamo trovata, ma in questo modo hai qualcosa di simile! E portiamo sempre con noi un pezzo dell'altro. Ti piace? Allora?» continuò, oltremodo impaziente e con le guance tutte rosse.

«Mi piace da morire» rispose deciso, con le lacrime agli occhi. Quello era senza dubbio il regalo più bello che avesse mai ricevuto. Lo fece sentire amato, non più solo... lo fece sentire vivo. E quello era l'effetto che Isabelle e Freddie aveva sul suo cuore delicato.

Dopo aver ringraziato suo figlio si alzò per andare a fare lo stesso con la donna che amava di più al mondo, ma un lieve bussare alla porta lo distrasse.

«Aspettavi qualcuno, tesoro?» chiese sua madre.

«Credo che siano Lee e Pam, mi hanno detto che sarebbero passati dopo cena...»

Aprendo la porta però, rimase senza parole. Era l'ultima persona che avrebbe desiderato rivedere, probabilmente in tutta la sua vita. E invece era lì, con uno sguardo pentito sul volto che lo fece solo innervosire. Perché sentiva dentro di sé che non era reale, era solo una finzione per ottenere un perdono che lui non si sentiva di donare.

La spinse fuori dalla porta, chiudendosela alle spalle.

«Che cazzo vuoi? Sei venuta a rovinare anche questa serata, oltre che tentare di farlo con la mia vita?»

«Ti prego, fammi parlare...»

«Vuoi ancora parlare, Angelina? Non pensi di averlo fatto già abbastanza?»

La sua amica di vecchia data abbassò lo sguardo, ferita. «Hai ragione... ma sono venuta qui per chiederti scusa. Non ci parliamo da mesi, non rispondi mai alle mie chiamate...»

«Ti sei mai chiesta il perché?» rispose stizzito.

«Sì... e sono qui per questo. Ho sbagliato, tanto. Non dovevo intromettermi tra voi, non dovevo dire cose che non spettavano a me... mi dispiace, tanto. Mi dispiace di averti ferito...»

«Non hai ferito solo me! Ma tanto tu non ci pensi mai alle conseguenze, vero? Non ci hai pensato nemmeno undici anni fa...»

«Mi dispiace di aver ferito Isabelle! Ero sconvolta dal suo rientro, dal fatto che fosse qui, a casa tua come se non fosse successo niente...»

«Tu non ti dovevi intromettere!»

«George, ti prego...»

Sbuffò, infastidito dalla sua presenza e dalla sua insistenza. «Insomma, cosa vuoi? Dentro c'è tutta la mia famiglia, e vorrei tornare da loro il prima possibile».

«Oh... ok. Volevo solo darti questo... e farti tanti auguri di buon compleanno, Georgie. Anche se mi odi, io ti amo in un modo indescrivibile. Lo sai... Sei sempre stato il mio migliore amico.»

Gli porse un sacchetto di carta con un fiocco sopra. Lui lo prese titubante, osservandola poi negli occhi. Nonostante tutto, il suo gesto gli smosse qualcosa dentro. Era estremamente arrabbiato con lei, ma non sarebbe stato nella sua natura esserlo per sempre. Anche se aveva causato tanto dolore, Angelina sarebbe sempre stata una parte fondamentale della sua vita, anche se ormai archiviata.

Apri il sacchetto ed estrasse il contenuto, restando senza parole a guardarlo. Era una felpa con il cappuccio rossa, con inserti in oro sulla parte frontale e con richiami anche sulla parte posteriore.

Gryffindor Team

Weasley, F.

«Questa è...» disse, senza fiato.

«Proprio quello che pensi. È la felpa che tu e Fred vi siete fatti fare quel giorno che abbiamo passato a Londra tutti insieme al quarto anno. Sai, dopo il ballo del Ceppo lui l'aveva regalata a me, la usavo come pigiama... ma ho pensato che fosse inutile tenerla ancora. Penso che serva più a te... e anche a tuo figlio. È un po' come un passaggio di consegne, giusto?» rispose con le lacrime agli occhi.

«Non ci posso credere... credevo che l'avesse buttata. Io ho sempre la mia nell'armadio...»

«Buon compleanno, dolce Georgie.» Si avvicinò piano, lasciando un piccolo bacio sulla sua guancia e lui la lasciò fare, troppo preso dai fantastici ricordi di una giovinezza spensierata insieme a suo fratello.

«Papà! Chi è?»

Freddie uscì di casa tutto sorridente, stringendo con naturalezza una mano con la sua. «Chi è la tua amica?» chiese con ingenuità.

«Fred, lei è Angelina. È una mia vecchia compagna di scuola, ed è anche compagna di squadra di zia Ginny.»

La donna rimase impietrita di fronte alle vista di suo figlio. George non si stupì affatto: per chi conosceva Fred era impossibile non avere quella reazione. Era come essere tornati indietro nel tempo, e rivedere un film già conosciuto. Stessi occhi, stessi capelli, stesso portamento fiero.

«P-piacere...»

«Tanto piacere mio!» esclamò il ragazzino, salutando con la mano. «Vuoi venire a mangiare un po' di torta con noi? La nonna ne ha fatta una a tre piani, e ti stava aspettando ma dovremmo sbrigarci... lo zio Ron la sta guardando con occhi famelici, e credo che tra poco non resterà più niente!» continuò rivolgendosi al padre.

Angelina stava per replicare, quando la porta si aprì di nuovo. «George, tua madre vuole che veniate dentro, quella torta non resisterà ancora per molto-»

George le aveva viste insieme qualche mese prima, e la cosa non gli era piaciuta affatto. Il volto triste di Isabelle, quello infuriato di Angelina erano stati uno spettacolo terribile da osservare. Ma in quel caso, la situazione sembrava ancora peggiore. Le due donne, infatti, si guardarono in cagnesco per un secondo lunghissimo, e fu poi Angelina ad abbassare lo sguardo ferita. L'espressione sul volto di Bel era invece indecifrabile, ma George si immaginò che fosse molto, molto arrabbiata per la sua presenza. La donna, infatti, gli rivolse uno sguardo pieno di risentimento che lo fece preoccupare.

«Non ti devi arrabbiare con lui. Non sapeva che sarei venuta... e comunque sono passata a lasciare soltanto il mio regalo. Adesso me ne vado. Buona serata... a tutti e tre. E ancora auguri Georgie.» disse Angelina a bassa voce. Poi, si smaterializzò.

«Quello che ha detto è vero. Io non sapevo niente-» tentò di dire George per giustificarsi.

Isabelle si riscosse, scuotendo la testa. Con un piccolo sorriso sul volto pronunciò le parole che risollevarono il suo umore a terra. «Non ti preoccupare, ti credo. E adesso andiamo dentro, prima che quella torta subisca un attentato da parte di tuo fratello!»

E uno degli ultimi ricordi di quella giornata quasi perfetta fu proprio la sua espressione dolce, la sua comprensione nonostante la grande rabbia e frustrazione che doveva aver provato per quell'incontro. Così George, quella notte, andò a letto con il sorriso sul volto. Un sorriso provocato dall'effetto che la sua famiglia del tutto non convenzionale aveva su di lui.

__________________________________

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, è stato molto intenso da scrivere anche per me... il primo aprile e il due maggio mi rendono sempre debole di cuore. Come vedete George non riesce a covare rabbia verso Isabelle, però probabilmente la sua pazienza non sarà infinita... voi che ne pensate? Lasciatemi un commento o un parere, e se vi va una stellina!

Al prossimo capitolo, baci stellari!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top