XVI

Counting days, counting days
Since my love up and got lost on me

And every breath that I've been takin'
Since you left feels like a waste on me

I've been holding on to hope
That you'll come back when you can find some peace

'Cause every word that I've heard spoken
Since you left feels like an hollow street

I've been told, I've been told to get you off my mind

But I hope I never lose the bruises that you left behind

Oh my lord, oh my lord, I need you by my side

There must be something in the water
'Cause everyday it's getting colder

And if only I could hold you
You'd keep my head from going under


Il colore dei suoi occhi era particolare, nulla che Isabelle avesse mai visto prima. Erano cangianti, e con il sole dentro vi si creava un riflesso dorato che le ricordava i tramonti sul mare in un giorno d'estate. Ma le ricordavano anche una distesa di foglie autunnali, che cadevano lentamente da un albero a formare una fitta rete sul terreno. Quando era arrabbiato le sembrava di scorgervi dentro un mare in tempesta sovrastato dalle nuvole scure, e quando la fissavano le ricordavano che, al mondo, non era mai esistito nessuno come lui. Nessuno che fosse in grado di capirla, amarla, proteggerla come faceva lui.

Al mondo non esisteva nessuno come George. E lei lo aveva imparato a sue spese.

Ogni volta che Isabelle provava a socchiudere le palpebre, ogni volta che provava a rilassarsi e a lasciarsi andare a un sonno profondo, riusciva a visualizzare solo una cosa. I suoi magnetici occhi, il luccichio particolare che vi aveva scorto all'interno. La sua voce roca e profonda, ma allo stesso tempo tremante, mentre pronunciava le parole che le avevano scaldato il cuore. «Sono così felice, è andata benissimo ad Hogsmeade. Mi ha raccontato qualcosa di lui... è stato magico. Grazie, Bel... grazie per avermi dato questa opportunità».

Sapere di aver contribuito alla sua felicità, o meglio alla loro felicità riusciva per qualche secondo a lenire il senso di colpa che la attanagliava. Ma quella pace interna era stata breve, effimera, e i suoi demoni si erano riaffacciati ancora più forti di prima, ancora più meschini e pronti a graffiare il suo animo debole con parole taglienti, mortifere.

Stupida, egoista, cattiva. Hai tolto loro tutto, hai fatto male al tuo bambino, quale madre fa questo? Come fai a guardarti allo specchio? Come fai a vivere con te stessa?

Non vedeva e non sentiva Fred da tre settimane. Qualche giorno dopo essere rientrata a Londra aveva ricevuto la lettera che lui aveva scritto prima del fatidico incontro, quello che aveva cambiato ogni cosa. Le parole presenti su quel foglio di carta le avevano spezzato il cuore a metà.

Sono certo che questa sia stata la scelta giusta. Per la prima volta mi sento bene con me stesso e con le persone accanto a me. Hai fatto bene a spingermi a venire qui, quindi grazie, mamma. Sai sempre cosa fare per me, per il mio bene. Sei speciale.

Non si sentiva affatto speciale, non si sentiva per niente una buona madre. Aveva optato per la scelta che credeva più facile per tutti loro... ma la nuda e cruda verità si era abbattuta su di lei come un onda, presentando il suo salato conto. Aveva optato per la strada più semplice. Scappare non era mai stata la soluzione più giusta, glielo aveva detto anche Sammy. E adesso se ne stava pentendo amaramente. Soprattutto perché la rabbia e la delusione di Fred non accennavano a diminuire. Non aveva risposto, mai in quelle settimane, alle lettere che lei gli aveva inviato. Lettere colme di disperazione, di preghiere, colme di amore. L'amore di una mamma che non si era certo affievolito dopo ciò che era accaduto.

«Isabelle, perché piangi?»

Alzò lo sguardo lentamente, incrociando quello di Lucas steso nel letto accanto a lei.

«Che succede? Ti manca Fred?» le chiese, mentre con un dito asciugava delicatamente le lacrime sfuggite al suo controllo. Immersa nei suoi pensieri, non si era nemmeno resa conto di piangere.

Isabelle annuì piano. «S-sì... mi manca tanto. Ma non è solo questo... mi fa male sapere che ha alzato un muro tra noi... ho paura che non vorrà vedermi mai più...»

Lucas la avvolse in un abbraccio stretto, soffocante. «Vedrai, gli passerà presto. Non potrà essere arrabbiato con te per sempre... sei la sua mamma. Capirà presto che ciò che hai fatto è stato anche per lui, e per il suo bene.»

«Non ne sono più così convinta...» disse sospirando sul suo collo. Nonostante tutto, tra le sue braccia si sentiva a casa. E si sentiva libera di poter esprimere le sue ansie, le sue paure e le sue emozioni.

«Perché?»

«Io... io penso di aver sbagliato. Lui... George mi ha fatto malissimo. Questo è certo... ma adesso che li ho visti insieme, anche se per poco tempo... dovresti vedere come lo guarda. Il suo sguardo è perso, è completamente innamorato di Fred. E forse ti sembrerà esagerato, o prematuro, ma con solo due scambi di battute ho notato una complicità incredibile tra loro. Adesso so che non gli avrebbe mai fatto del male, adesso so che avrei dovuto almeno avvertirlo e far scegliere a lui come comportarsi in quella situazione, come comportarsi con Fred» concluse con voce flebile.

«Bel, ascolta» rispose Lucas sciogliendo l'abbraccio e guardandola negli occhi intensamente. «So che probabilmente le mie parole non serviranno a niente perché continuerai a scervellarti senza sosta, ma voglio almeno provarci. Tu hai sempre dato il massimo di te stessa, per tutti. Lo hai fatto con le tue amiche, con Eric che non si meritava niente da te. E lo hai fatto anche con George. Tu sei così. Dai il tuo cuore per le persone che ami, e anche di più. Ti fai in quattro per tutti noi e non ti pesa, perché ci vuoi bene... perché ci ami e questo per te è solo gratificante. Ti conosco abbastanza bene, e so che la tua felicità va di riflesso con quella che vedi dipinta nei nostri occhi. Ma in quel momento tu hai visto crollare ogni certezza e ogni sentimento che avevi investito, ogni sforzo che hai fatto è stato cancellato dalla stupidità di una persona che non ti ha mai meritato. E io credo che sia stato proprio in quel momento che hai deciso di iniziare a pensare a te, e non solo agli altri. Undici anni fa ti sei messa al primo posto, forse per la prima volta nella tua vita. E credo che tu abbia preso la decisione più giusta di tutte.»

«Ma Fred... Fred non aveva nessuna colpa. Lui ha sofferto per tutta la sua vita... e sono io la causa...non se lo meritava» disse con gli occhi colmi di lacrime.

«Lo so... amore, lo so. E credo di aver sbagliato anche io... Forse avrei dovuto insistere di più, cercare di convincerti a farli conoscere... ma sono stato egoista. Volevo tenerti vicino a me... tenervi vicino a me. Avevo paura che se fosse comparso di nuovo nella tua vita e in quella di Fred vi avrebbe portato via da me. È una cosa che non sarei riuscito a sopportare. Io... io lo amo come se fosse figlio mio... anche se so bene qual è il mio posto» disse abbassando lo sguardo. «Spero solo che non si dimentichi di me.»

«Oh, Lucas... Fred ti ama così tanto. Anche se sta conoscendo George adesso... non potrà mai dimenticarsi di te. Fidati, ne sono assolutamente certa» rispose cercando di infondergli un po' di sicurezza.

Lui annuì, e poi con impeto la baciò. La avvicinò a sé ancora di più, e Isabelle in quel contatto si sentì protetta, al sicuro.

Ma ben presto quei dolci e delicati baci si trasformarono.

Lucas iniziò a lasciare l'impronta della sue labbra lungo il suo collo, le sue clavicole, e con delicatezza strinse il suo seno tra le mani. E fu proprio in quell'esatto istante che nella mente della donna si ripresentò l'immagine che tormentava il suo sonno.

Un mare in tempesta, una distesa di foglie autunnali, un tramonto sul mare in un giorno d'estate

«L-Lucas... ti prego, basta» disse con voce tremante.

Lui si staccò immediatamente e la osservò con un'espressione ferita. «Perché non mi vuoi più?»

«I-io...»

«Mi sono sforzato di capire i primi giorni. Ma sono passate tre settimane, Isabelle... quindi ripeto, perché non mi vuoi più?» chiese diventando più serio. «E non dirmi che non è vero. Non rispondi più al mio tocco, ti scansi non appena mostro più passione verso di te... dimmi perché, ti prego».

Lei balbettò per qualche secondo, cercando di trovare una risposta plausibile nel mare magno delle sue infinite emozioni. La risposta era lì, proprio sotto gli strati della sua pelle, pronta ad uscire, pronta ad esplodere in lei e nel suo cuore.

Perché da quando l'ho rivisto non capisco più niente

«N-non è vero! Sono solo un po' stressata, preoccupata per Fred... è solo un momento» fu l'unica scusa che riuscì ad accampare. Quella era la risposta giusta da dare...voleva ardentemente che lo fosse.

«Isabelle, devi dirmi la verità e-»

Il suono del cellulare di Lucas li interruppe, e Isabelle ne fu sollevata. La conversazione stava prendendo una piega inaspettata e dolorosa da affrontare, una piega che lei non era in grado di poter gestire.

«È mio padre... chissà cosa vuole adesso. Pronto?» disse alzandosi e dirigendosi in bagno. Isabelle lo sentì pronunciare il suo nome diverse volte, e il suo tono sembrava arrabbiato. Dopo diversi minuti Lucas rientrò in stanza, con uno sguardo crucciato e ferito.

«Allora?»

Il biondo sbuffò. «Mi ha detto che c'è bisogno di me a Columbus. In ufficio Hunter sta combinando un casino, ha quasi fatto saltare l'affare a cui abbiamo lavorato insieme per mesi! Che incompetente... comunque, ho provato a spiegargli che devo stare qua, che non voglio lasciarti sola ad affrontare tutto questo, ma è stato irremovibile. O torno adesso... o quando rientreremo non avremo entrambi più un lavoro. Mi dispiace Isabelle... ma devo tornare a casa.»

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La partenza di Lucas era stata quasi immediata. Suo padre gli aveva prenotato un volo per il giorno successivo e lei era andata ad accompagnarlo all'aeroporto. Il saluto che si rivolsero prima di superare i controlli di sicurezza le provocò una martellata di dolore al petto.

«Mi dispiace così tanto andare via... ma ci sentiremo ogni giorno, anche con il fuso orario! Te lo prometto. E cercherò di tornare il prima possibile, in ogni momento libero che avrò» le aveva detto mentre la abbracciava. «Ti amo da morire...»

Anche in quel caso non era riuscita a rispondere, e se ne era andata con un macigno enorme sul cuore. Riconosceva il suo sguardo ferito, e se ne sentiva responsabile... ma proprio non riusciva a far uscire quelle cinque lettere, quelle due parole che avrebbero probabilmente risolto ogni cosa.

Rientrò in albergo, stanca e sfinita. Quella mattina aveva ricevuto un invito a cena a casa Jordan da Pam, ma aveva declinato senza pensarci due volte. Non si era voluta informare, ma sicuramente George sarebbe stato presente e il solo pensiero di passare del tempo insieme a lui la rendeva nervosa, confusa. Si sarebbe sicuramente sentita trapassare da ogni singolo sguardo, sciogliere di fronte al modo in cui le parlava.

Mi tratta con i guanti, come se fossi porcellana pronta a rompermi ad ogni passo

E poi, non credeva che sarebbe riuscita a sostenere di nuovo gli sfioramenti involontari che c'erano stati tra di loro. Poteva percepire ancora chiaramente l'impronta della sua mano sulla schiena, la sentiva ancora bruciare dal contatto delicato di qualche settimana prima. Non pensava che avrebbe potuto affrontare di nuovo i brividi e l'emozione sentita. In più, non sarebbe riuscita a parlare di Fred con tutti loro. Non poteva far finta che suo figlio non volesse più avere niente a che fare con lei.

Aveva bisogno di stare sola.

Aprì la bottiglia di vino trovata nel frigo bar della camera e se ne versò un generoso bicchiere. Si appoggiò poi di fronte alla finestra, osservando il panorama della città di Londra. Il susseguirsi di macchine, taxi e pullman, il gioco di luci e di colori per un po' calmò i suoi nervi e le permise di non pensare.

Ma quella sensazione durò poco, perché Isabelle venne distratta da un picchiettio incessante. Un rumore che riconobbe immediatamente. Osservò i grandi occhi gialli di un gufo completamente marrone. Le sembrò di rivivere la scena di qualche mese prima, quando un gufo di Hogwarts le aveva consegnato la lettera destinata a Fred. Quell'animale, infatti, teneva nel becco una busta, che Isabelle si affrettò a raccogliere aprendo la finestra. Dopo un lungo acuto e aver sbandato qualche volta, il gufò tornò indietro, lasciando la donna ancora una volta stupita ed estasiata da quel mezzo non convenzionale di consegna della posta.

Sulla busta non c'era scritto niente, e lei spinta dalla curiosità la aprì in tutta fretta. Insieme al foglio estrasse un piccolo anello in oro.

Cara Isabelle,

come stai? Non ci vediamo da così tanto tempo... e devo confessarti che manchi tantissimo, a tutti noi. Quando sei andata via hai lasciato non solo un vuoto nel cuore di mio figlio... ma anche nei nostri. Arthur ti nomina sempre, e anche io. Riconosciamo il tuo enorme valore, tesoro. E ci dispiace davvero tanto di come sono andate le cose.

Ti scrivo questa lettera perché ho saputo del tuo rientro in città da George, e mi piacerebbe moltissimo incontrarci. Vorrei invitarti qua alla Tana per parlare un po'. Arthur non ci sarà, e ormai tra queste mura siamo rimasti solo io, lui e tanti ricordi di una vita spensierata e bellissima.

Se ti va e non hai impegni più urgenti vorrei vederci domani, a metà pomeriggio. Nella busta ho inserito un piccolo anello in oro che ho reso già una passaporta. Si aprirà domani alle quattro e si chiuderà all'incirca quindici minuti dopo. So che hai già viaggiato in questo modo, anche se con George, ma non preoccuparti. Potrai farlo anche da sola, ed è uno dei modi migliori e più sicuri per raggiungermi.

Se non verrai lo capirò. Comprendo che non sia facile incontrare la mamma della persona che ti ha spezzato il cuore. Ma, se vorrai, sarò pronta ad accoglierti a braccia aperte.

Un enorme abbraccio, e spero di veder comparire di fronte a me il tuo dolce sorriso domani.

Con affetto,

Molly

P.S. Prima che me lo scordi, e prima che tu possa declinare il mio invito per paura... sappi che George non sa niente di questa mia idea, e che domani sarà tutto il giorno ai Tiri Vispi. Non preoccuparti, sei al sicuro, Isabelle.

Rilesse il contenuto della lettera almeno dieci volte, prima di riuscire a realizzare. Rigirò incessantemente tra le dita il piccolo anello in oro, mentre cercava di mettere in ordine le sue emozioni. Ancora una volta se ne sentì sopraffatta, e stava iniziando a odiare l'effetto che le facevano.

Non si aspettava di ricevere una missiva del genere da Molly. Ingenuamente credeva che tutta la famiglia di George l'avrebbe odiata, da sempre e per sempre, per le sue stupide e infelici scelte, ma si sbagliava. Perché dalle parole che aveva appena letto Isabelle aveva percepito un profondo, sconfinato amore. Lo stesso che aveva provato in ogni angolo di casa Weasley, lo stesso che aveva respirato osservando le interazioni tra i membri di quella pazza, scatenata ma dolcissima famiglia.

Il pensiero di rifiutare e di non presentarsi all'appuntamento la sfiorò momentaneamente, ma poi la necessità di rivedere quella donna che per lei era come una seconda mamma si fece più forte. Voleva parlare con Molly, voleva perdersi in uno dei suoi abbracci caldi e confortanti. E se aveva parlato con George, probabilmente sapeva anche di Fred. Non voleva perdere l'occasione di poter spiegare anche le sue ragioni, le sue colpe, i suoi sbagli. Nonostante la profonda vergogna che sentiva per aver allontanato un nipote dalla sua dolce e premurosa nonna, voleva rivederla.

Così, in meno di un secondo decise. Sarebbe andata a quell'appuntamento. Avrebbe finalmente riaperto alcuni dei cassetti più profondi, quelli che aveva deciso di sigillare completamente.

Era arrivato il momento di buttare giù gli alti muri di ghiaccio che permeavano il suo cuore.

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«Come ti senti, tesoro? Vuoi dell'altro tè?»

«N-no Molly, grazie. Sono a posto così... e adesso sto leggermente meglio. Grazie di preoccuparti così per me».

Seduta nel salotto della Tana, Isabelle aveva appena iniziato a riprendersi. La passaporta che era stata costretta a prendere per arrivare a destinazione le aveva procurato un fortissimo giramento di testa ed era quasi svenuta. Per fortuna Molly era intervenuta con la sua solita prontezza, facendola stendere sul divano di casa e preparando per lei dei sali e un buonissimo tè al gelsomino. Il profumo le inondò le narici, provocandole una bellissima sensazione. Era il profumo di casa, di amore, di famiglia.

Questo è anche il profumo di George

«Lo sai, il divano su cui ti sei seduta è proprio lo stesso su cui si è steso George quando ha perso l'orecchio! Oh, che brutti ricordi! Quando ci penso ho ancora i brividi...» esclamò la donna seduta di fronte a lei, mentre sorseggiava la bevanda calda. «Ti ha raccontato di quella notte, vero?»

Isabelle annuì. «A grandi linee, sì. A volte ho fatto un po' fatica a seguire certi discorsi e ragionamenti sul mondo magico... ma George è sempre stato molto aperto con me su questo» terminò sorridendo timidamente.

«Perché lui si è sempre fidato di te» rispose Molly con un enorme sorriso. «E ha fatto bene. Tu sei riuscita a riportarlo in vita dopo la morte di Fred... nessuno ci era riuscito, nemmeno noi. Sei una babbana ma... la magia qua l'hai fatta tu!»

«S-sì... credo di sì» disse schiarendosi la gola. «Ma non posso nascondere che lui abbia aiutato tanto anche me. Dopo Stella... non ero più me stessa. Forse non sarò mai più la donna, la mamma di prima... ma George mi ha aiutato a vedere le cose da un'altra prospettiva... mi ha fatto vedere di nuovo il mondo attraverso lo spettro dei colori, mi ha ridato gioia anche quando davanti a me c'erano solo morte e disperazione» concluse con gli occhi lucidi. Nonostante tutto doveva molto a George... per averla rimessa in piedi dopo la fine della sua vita.

«Hai ragione, non si è più quelle di prima... la tua vita cambia, le tue prospettive cambiano. Sai, molte volte mi sono arrabbiata con i gemelli. Me ne hanno combinate di tutti i colori! E quante volte li ho sgridati... tante, troppe volte. E adesso...» sussurrò, mentre con un gesto veloce della bacchetta avvicinava a sé una cornice con dentro una foto. «Non sai quanto vorrei poterli sgridare ancora un po'... anche solo per una sciocchezza.» Le sue piccole mani passarono su quella vecchia foto di Fred e George da piccoli. Molly gliela mostrò, e Isabelle sentì un moto di tenerezza dentro di sé. Poteva immaginare bene il dolore di quella mamma, praticamente identico al suo. E conosceva bene il malessere di George, perché le erano rimaste le cicatrici e i segni sulla pelle. Un dolore reso più accettabile perché diviso a metà, perché vissuto intensamente insieme.

«Mi dispiace così tanto, Molly... non deve essere stato per niente facile, per tutti voi...»

La donna tirò su con il naso, scuotendo la testa. «Perdonami, Isabelle. Non volevo farmi vedere in questo stato, e invece... quando parlo dei miei bambini, è sempre così! Oh, che sciocca! Continuo a chiamarli bambini, ormai hanno tutti più di trent'anni! E io sono proprio invecchiata! Ad ogni modo, non ti ho chiamato qua solo per fare due chiacchiere» disse Molly asciugando una lacrima solitaria scappata al suo stoico controllo. «Ecco... George mi ha raccontato un po' di cose, e non ti nascondo che ci sono rimasta veramente di stucco! Ho pensato: "Oh, per Godric, e ora cosa significa questa storia?"».

Isabelle si sentì atterrita. Il momento della verità era arrivato.

«Molly... mi dispiace così tanto. Non avevo il diritto di portarvelo via. Ho agito di istinto, credendo che saremmo solo stati di intralcio a George e... e...»

«Tesoro, non sono assolutamente arrabbiata con te! Non fraintendermi, non volevo certo incolparti, o metterti a disagio. George ti ha fatto una cosa assolutamente orribile! Io e Ginny siamo state arrabbiate per molto, molto tempo con lui. Ha agito di impulso come suo solito, e ne ha pagato le conseguenze. Quello che volevo dire è che sono rimasta molto sorpresa di sapere che avevo un altro nipote, a migliaia di chilometri di distanza!» esclamò ridendo. «È stato un po' uno shock, ma dopo l'iniziale confusione siamo rimasti tutti entusiasti! Arthur ha iniziato a ridere come un bambino e non ti nascondo che ho pianto! Ma tanto io piango sempre... comunque! Sono davvero troppo felice per George. Quella sera stessa è venuto qua, e ci ha parlato del loro incontro a Hogsmeade... sprizzava gioia da ogni poro. Lui è finalmente felice, come non lo vedevo da tempo. E sono felice che tu gli abbia dato questa possibilità. Ma non avevo dubbi... sei davvero un sole che illumina la sua vita, da sempre.»

«Io... io non so cosa dire».

Ed era vero. Non sapeva davvero cosa dire, come rispondere. Si sarebbe aspettata rabbia, cattiverie. Se le sarebbe meritate. Ma ancora una volta Molly si stava dimostrando la fantastica mamma e nonna che era, e questo non fece che aumentare il carico di colpa che gravava sul suo cuore.

«Nessuno è mai stato arrabbiato con te, tesoro. La scelta che hai preso è più che comprensibile. Non riesco ad immaginare nemmeno lontanamente cosa devi aver provato... il tradimento di George è stato davvero ignobile, sapendo quanto dolore avevi già passato nella tua breve vita... non ti incolpiamo. Ci è dispiaciuto moltissimo che tu sia andata via... è stata dura. Per lungo tempo non abbiamo nemmeno potuto pronunciare il tuo nome in sua presenza, sai?. Diventava molto nervoso, quasi irascibile. Sono stati anni difficili per lui, e per tutti noi. Ma sono così felice che adesso tu sia qua!»

Isabelle sorrise felice. Quella donna era davvero magica. Con poche, semplici parole era riuscita a toglierle ogni dubbio, ogni incertezza. Credeva ancora di non aver preso la scelta giusta quel giorno di undici anni prima, ma in quel momento e con Molly al suo fianco, si sentì meno persa, meno disorientata.

«Ti prego... raccontami di lui. Voglio sapere tutto su mio nipote!»

Il pomeriggio passò così, tra chiacchere, tè e vecchie foto. Isabelle raccontò tutto su Freddie, sulle sue abitudini prima di Hogwarts, sugli episodi di esternazione della sua magia, sulle sue caratteristiche. Molly poi le volle mostrare quasi tutti gli album fotografici della famiglia Weasley, e delle risate genuine risuonarono tra le pareti di quella sbilenca casa colma di gioia, tenerezza, amore.

«Ed è per questo che adesso Ronald ha una paura incredibile dei ragni! Fred l'ha combinata davvero grossa quel giorno, per fortuna che Arthur è intervenuto prima che potessero stringere un Voto Infrangibile!» disse ridendo Molly.

«Povero Ron, immagino che spavento!» Isabelle buttò un occhi di sfuggita all'orologio appeso alla parete e vide che era ormai quasi ora di cena. «Oh, Molly... mi dispiace così tanto andarmene, ma sono le sette passate e non vorrei disturbare ulteriormente...»

«Non disturbi mai, Isabelle. Perché non rimani a cena qua con noi? A breve dovrebbe rientrare anche Arthur, e so che gli farebbe molto piacere rivederti!»

Isabelle scosse la testa, convinta. Il pomeriggio era stato davvero piacevole, ma non se la sentiva di proseguire ancora. Era ancora troppo presto per lei, e in più aveva il timore di incontrare George. Non voleva rischiare.

«Ti ringrazio Molly, ma devo declinare l'invito. Ho da sbrigare una serie di faccende in albergo e-»

Un forte rumore proveniente dal camino la interruppe. Entrambe si voltarono e videro una densa nube verde comparire. Ma quello che si presentò davanti ai suoi occhi dopo, le fece gelare il sangue nelle vene. E l'unica cosa che riuscì a vedere di fronte a lei furono le immagini di quel giorno.

Le sue gambe chilometriche, la maglietta di George che si posava sui suoi fianchi e le copriva a malapena l'intimo indossato. Il lieve scintillio di soddisfazione nei suoi occhi, prima che si inumidissero di lacrime.

«Ciao Molly! Ginny è già arrivata? Stasera abbiamo un allenamento fuori programma ed eravamo rimaste d'accordo di trovarci prima qua-»

Il sorriso di Angelina si spense immediatamente, non appena la vide. «E tu che cazzo ci fai qua?»

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Si sentiva pietrificata sul posto. Immobile, freddata.

Non riusciva a reagire. Non riusciva a muovere le gambe, non riusciva ad aprire bocca. Passò diversi secondi così, in bilico tra la voglia di scappare e urlare, ma senza poterlo fare.

«Cosa ci fai qua?» le chiese di nuovo Angelina avvicinandosi. «Molly, che succede? Perché lei è qui? C'è anche George?» chiese con il volto livido di rabbia.

«Ho invitato personalmente Isabelle qua. Volevo parlare con lei a quattr'occhi, lontano da orecchie indiscrete... una conversazione piacevolissima» rispose Molly facendole un sorriso.

«Oh, sì... piacevolissima, me lo posso immaginare» disse sbuffando la ragazza. «Sentiamo, cosa vuoi ancora? Non puoi solo lasciarci in pace?»

«N-non so cosa dire...»

«Non so perché ma immaginavo che avresti risposto così. Insomma, cosa hai raccontato a Molly per abbindolarla? La favoletta della donzella ferita?» chiese con fare strafottente avvicinandosi pericolosamente a lei. «Non riuscirai a fregare me, Isabelle. Io ti conosco, so bene cosa stai facendo».

«I-io... io non sto facendo niente, e non sto raccontando nessuna favoletta».

La risata amara di Angelina le arrivò forte e chiara. «Non stai raccontando balle? Isabelle, tu le racconti da anni! Vuoi sempre passare per la vittima della situazione, la povera piccola e indifesa Bel, che ha bisogno di essere protetta da George!»

«Angelina, smettila! Isabelle se ne stava andando... lasciala in pace!»

«No, Molly! Mi tengo dentro queste cose da anni, e ora ne voglio approfittare! Visto che siamo qua, posso finalmente dire tutto quello che penso su di te!». La donna si era avvicinata ancora di più, e Isabelle riuscì a sentire il suo respiro caldo posarsi sul suo volto. «All'inizio ci eravamo cascati tutti. Hai recitato la parte della donzella in pericolo per un sacco di tempo, e hai preso immediatamente all'amo George. Dio, quel ragazzo è troppo buono... da sempre. E in te ha visto una persona da salvare...quanto si sbagliava. Era lui la persona da salvare! Doveva rendersi conto prima di tutto il male che gli avresti causato, di quanto gli avresti spezzato il cuore!»

In un primo momento Isabelle si era sentita avvilita, abbattuta, e ogni parola pronunciata da Angelina le stava entrando sotto la pelle amplificando la sua sensazione. Mille coltelli la stavano ferendo e dalle ferite sanguinanti stava uscendo il rimorso portato dentro per anni. Voleva dirle di smettere, voleva non crederle... ma la verità era che concordava con tutto ciò che lei stava dicendo.

«Angie...fermati, prima di dire qualcosa di cui ti pentiresti!» la voce dolce di Molly le arrivò ovattata. Sembrava dispiaciuta, quasi sul punto di piangere.

«No! Non ho finito. Tu l'hai distrutto, completamente. Tu l'hai annientato. È vero, ha sbagliato... ma tu sei andata via, non hai voluto affrontare la situazione di petto. E lui si è accartocciato su sé stesso. Lo abbiamo visto morire ogni giorno che passava, appassire come un fiore. L'abbiamo visto rompersi come vetro e non riuscivamo a fare niente! Come pensi che questo ci abbia fatto sentire? Io sono morta ogni giorno un po' di più con lui, Molly è morta ogni giorno un po' di più con lui! Le due settimane che ha passato al San Mungo sono state immensamente difficili da superare e-»

«S-san Mungo? L'os-ospedale?» chiese Isabelle con voce tremante. «P-perché era lì?»

Angelina si fermò improvvisamente, fissando prima lei, poi Molly e poi di nuovo lei. «Cos'è, uno scherzo? Molly, ti prego dimmi che sta scherzando...»

La donna non rispose, fece solo di no lievemente con la testa.

«Nessuno le ha detto niente? Nessuno le ha detto un cazzo di niente?» esplose di nuovo. I suoi occhi erano rossi, carichi di rabbia e qualcosa da cui Isabelle si sentì spaventata. Nei suoi occhi c'era odio.

«Cosa avrebbe dovuto dirmi?»

«Ti prego, non le dire niente! Non spetta a nessuno di noi, ma a lui! È una sua scelta!» esclamò Molly, mentre si contorceva freneticamente le mani.

«Vuoi sapere cosa avrebbe dovuto dirti? Eh, Isabelle lo vuoi proprio sapere?» le chiese con aria di sfida, Lei annuì, anche se dentro di sé non era sicura di voler sapere davvero la risposta.

«E va bene! Molly, vedi? Lo vuole sapere! E mi sembra giusto che sappia di come ha rovinato l'esistenza di George, di come ha rovinato la vita di un ragazzo spensierato e felice! Vedi, cara ragazza... il giorno stesso in cui te ne sei andata io e Lee siamo andati a cercare George. Non era all'appartamento sopra il negozio, non era alla Tana. Quindi l'unico posto rimasto da guardare era la casa che condividevate. Siamo entrati e ciò che abbiamo visto ci ha segnato. So che Lee non te lo direbbe probabilmente mai... ma so che quella notte ha pianto.»

Isabelle la stava osservando con uno sguardo allucinato. Riusciva a sentire il battito del suo cuore fin nelle orecchie, lo sentiva pulsare nelle vene del suo collo e dei polsi. Non era sicura di voler sentire come proseguisse la storia, non era sicura che sarebbe riuscita a sopportare le conseguenze dei suoi gesti.

«Appena sono entrata in casa ho visto l'unica luce accesa in bagno e mi sono precipitata. E quando sono entrata...» disse traendo un profondo respiro. «Per un secondo ho smesso di vivere. George aveva ingoiato il contenuto di due boccette di pillole. Com'era il nome? Benzodiazepine, mi sembra... ah, e anche antidepressivi triciclici. Era steso nella vasca, con l'acqua che lo copriva quasi fino al volto e...»

Isabelle si portò le mani alla bocca. Si sentiva svuotata, annientata. Tutto intorno a lei aveva iniziato a sfumare. Il suo cervello piano piano stava iniziando ad elaborare quella straziante, inaspettata informazione.

«Sono stata io a tirarlo fuori da lì, con la schiuma e il vomito che gli uscivano dalla bocca. È andato in overdose ed è stato in coma per quindici giorni, e non mi dispiace affatto dirti che è stata tutta colpa tua!» urlò Angelina. «Se tu lo avessi voluto ascoltare, se tu non fossi scappata a gambe levate, forse lui non avrebbe fatto un gesto così sconsiderato. George è sempre stato una persona solare, una persona con un attaccamento viscerale alle bellezze della vita, agli affetti più cari. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere... prima di te. Tu gli hai rovinato la vita e io ti odio per questo! » terminò con amarezza.

«Oh mio dio...»

«Già... quindi adesso puoi renderti conto del male che gli hai fatto. Anche perché non ti ho detto la parte migliore! Sarai felice di sapere che dopo essersi svegliato dal coma George non si è fermato, no...anzi, ha sviluppato una dipendenza! Com'è che dite voi babbani? Ah, sì! È diventato un drogato!» disse enfatizzando l'ultima parola. «Lo hai fatto diventare l'ombra di sé stesso, e ha perso ogni giorno un po' del suo colore. Non è stato facile stargli accanto, ma per fortuna c'eravamo noi, per fortuna c'ero io! E adesso... adesso voglio farti una domanda. Cosa vuoi ancora da lui? Perché sei tornata? Vuoi rovinargli la vita ancora un po'? Vuoi distruggerlo ancora? È questo che vuoi?»

Ha sviluppato una dipendenza

Drogato

Cosa vuoi ancora da lui?

Le parole di Angelina la infilzarono come un ferro rovente. Sentiva andare a fuoco ogni organo vitale. I polmoni, lo stomaco, il cuore. Stava internamente collassando, stava internamente morendo.

Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. Nel suo immaginario George era sempre stato spensierato. Se lo era immaginato soddisfatto della scelta presa, felice con Angelina.

In quel momento pensò che quella fosse un'altra della macchinazioni della donna. Un altro modo per tenerli ancora lontani e separati.

Non poteva essere andato in overdose.

Non poteva aver sviluppato una dipendenza.

Non poteva essere un drogato...

Ma il pianto disperato di Molly le diede le conferme di cui necessitava. Era tutto vero, e Isabelle sentì il respiro mancare e la terra cedere sotto i suoi piedi. Il suo animo fragile si spezzò ancora una volta, messo di nuovo alla prova dalle intemperie della sua difficile vita.

Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto far uscire tutta la disperazione che sentiva, le avrebbe fatto solo bene. Ma i suoi occhi erano asciutti. A lacrimare, invece, era il suo cuore.

Uno schiocco proprio di fronte alla porta fece voltare la testa a tutte e tre. «Eccomi, mamma! Scusa se non ti ho avvisato, ma se non è un problema stasera mangerei qua! È stata una giornata stressante al negozio e-»

George si interruppe, pietrificato. Osservò prima sua madre e Angelina, e poi si fissò su di lei.

Non guardarmi come se fossi porcellana, perché io ho distrutto te. Io ti ho reso fragile, io ti ho reso polvere... io sono un mostro

«Isabelle, cosa ci fai qua? Freddie sta bene?» chiese avvicinandosi velocemente. Le prese le mani tra le sue e incastonò i loro occhi insieme.

Ma Isabelle non riuscì a sostenere quel contatto, non riuscì a sostenere il suo sguardo. Perché l'unica cosa che in quel momento riusciva a vedere di fronte a lei era George riverso a terra, con la bava alla bocca e il vomito che lo soffocava. George in fin di vita, George in coma.

Così fece l'unica cosa che sapeva fare meglio.

«I-io... io me ne devo andare» disse sussurrando, prima di scostarsi dalla sua presa. Con passi veloci raggiunse la porta e uscì di scatto, iniziando a correre a perdifiato una volta messo piede nel cortile di fronte la Tana.

Così, scappò. Dalle sue responsabilità, dai suoi dolori. Dalle sue profonde, infinite colpe.

E mentre cercava di farsi strada tra gli immensi campi di grano, come un mantra delle parole si susseguirono nella sua mente. In modo costante, cadenzato. In modo incessante. Il suo strazio interno era talmente forte che non sentì nemmeno la sensazione delle spighe d'oro che le tagliavano il volto, le braccia, le gambe. Non sentì i suoi polmoni che esplodevano cercando aria, non sentì le gocce di pioggia che il cielo plumbeo aveva iniziato a far cadere.

Mi sento morire per quello che ti ho fatto

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